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Autore: Rory Drakon    12/04/2016    3 recensioni
Alucard ha alle sue spalle un passato oscuro e doloroso, che l'ha profondamente segnato nel cuore e nell'animo, per tutti gli anni che ha passato al servizio dell'Organizzazione Hellsing.
Che cosa accadrebbe se nella sua vita entrasse qualcuno in grado di penetrare la corazza che ha costruito tra sé e la sua umanità perduta, i suoi sentimenti più profondi?
Anche i mostri hanno un cuore e sono capaci di amare.
Anche il Re Immortale, il Conte.
(ST0RIA SOSPESA)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Alucard, Nuovo Personaggio, Seras Victoria
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Azmaria aprì piano gli occhi e sollevò lo sguardo.
Si trovava sdraiata per terra in un’immensa stanza, con al centro un trono di pietra grigia, e alla destra del trono vi erano sei cilindri trasparenti.
La ragazzina si accorse con orrore che all’interno di uno di essi c’era…
«Rosette!» trasalì Azmaria.
Era proprio lei, la sua carissima amica, ma era fredda e distante, le palpebre chiuse, sembrava più morta che viva!
«È tornata in sé, mio signore» ridacchiò una voce maschile.
Azmaria si sollevò in piedi e volse la sua attenzione verso il trono. Su di esso era seduto qualcuno che lei però non riusciva a distinguere, perché era nascosto dalle tenebre. Intravedeva solo due occhi rossi e sottili, privi di pupilla, ed una lunga veste nera.
Azmaria deglutì, intimorita, e la voce maschile di prima ridacchiò.
Alla sinistra del trono, Azmaria riconobbe l’essere che aveva tramortito Seras con una nera falce, per poi gettarle della sabbia nera sugli occhi, facendola svenire. Un uomo alto dalla pelle color cenere, i capelli disordinati e neri come l’ebano, il viso allungato, le braccia e le gambe lunghe, vestito con una lunga veste nera, gli occhi grandi e gialli, l’unica cosa in lui che non fosse nera.

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«Dormicchiato bene, piccolo Apostolo?» la schernì Pitch Black con una risatina.
Azmaria indietreggiò appena, fissandolo con gli occhi sbarrati.
«Hai paura, vero? Fai molto bene, ragazzina, non sai cosa ti aspetta». L’Uomo Nero rise di gusto nel vedere la giovane ammantata dalla paura, la sua era una risata assurdamente monopolizzatrice, che inchiodò Azmaria al suolo come un enorme martello.
«Smettila di disturbare la signorina, servo della malora» sbottò una voce maschile, profonda e cavernosa, che non fece altro che aumentare il livello di terrore di Azmaria. Sembrava provenire da quegli occhi rossi come il sangue. Pitch smise di ridere.
Poi gli occhi color della brace si posarono su Azmaria. Nonostante l’oscurità, la ragazzina percepì che quegli occhi le stavano sorridendo, di un sorriso che forse avrebbe voluto essere rassicurante, ma che in realtà era un ghigno malefico. Rabbrividì.
«Benvenuta, Azmaria Hendric» disse la creatura dagli occhi rossi nascosta nell’oscurità. «Ti stavo aspettando, giovane Apostolo dal canto miracoloso».
«Chi sei?» domandò Azmaria, la voce incrinata dalla paura.
«Ho molti nomi, ma sappi che per te sono un amico, e non intendo affatto farti alcun male».
«Mente, non dargli retta!» gridò una voce maschile. «Scappa, Azmaria!»
La ragazzina si voltò nella direzione da cui proveniva quella voce, e li vide: Chrono e Satella, le braccia saldamente incatenate alla parete, feriti e con gli abiti stracciati.
«Chrono! Satella!» Azmaria corse verso di loro e li abbracciò forte, piangendo e singhiozzando.
«Guarda, guarda» fece Pitch, con un ghigno. «Che adorabile riconciliazione…»
«Mi sono sempre piaciute le scenette commoventi» ridacchiò il Signore Oscuro.
Azmaria sciolse l’abbraccio e guardò i suoi amici con le lacrime che le rigavano il volto. «Pensavo di non rivedervi mai più… pensavo che foste morti…»
«Siamo duri a morire, lo sai» ironizzò Satella con un debole sorriso. «Azmaria, Joshua sta bene? È al sicuro?»
«Sì, sì, tranquilla, è all’Hellsing, dove mi trovavo io un attimo prima!»
«Azmaria, devi assolutamente scappare da qui» la avvisò Chrono. «Altrimenti ti faranno esattamente quello che hanno fatto a Rosette!»
«Tempo scaduto» disse il Signore Oscuro. «È tempo di salutare i tuoi amichetti, giovane Apostolo, perché questa è l’ultima volta che li vedi».
«No!» gridò Chrono. «Azmaria, attenta!»
Ma prima che Azmaria potesse minimamente reagire, dal nulla sbucarono degli stalloni neri come la notte, scheletrici e dagli occhi gialli, che accerchiarono la ragazzina e la costrinsero a retrocedere al centro della sala, lontano da Chrono e Satella.

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Azmaria strillò di paura.
«Non toccatela!» urlò Satella, divincolandosi. «Lasciatela stare!»
Pitch scoppiò in una fredda risata, mentre gli incubi purosangue dilatavano le narici fiutando la paura di Azmaria e le si avvicinavano. L’Apostolo continuò a indietreggiare, cercando di mettere più distanza possibile tra lei e quelle creature ripugnanti, e così facendo si ritrovò a dare le spalle al trono, ai piedi dell’Oscuro Signore.
«Fa’ dei begli incubi, mio piccolo e ingenuo Apostolo» ridacchiò l’essere oscuro.
Dall’oscurità del trono si protese una mano dalle dita affusolate, priva di unghie e vagamente umana, nera come la più nera delle notti, rivestita dalla manica lunga e pendente di una tunica nero inchiostro.
La mano sfiorò la schiena di Azmaria e poi si ritrasse, con una risata agghiacciante.
Azmaria inarcò la schiena sgranando gli occhi, mentre una paralisi innaturale si diffondeva dalla schiena lungo tutto il suo corpo.
La ragazzina distese le braccia lungo i fianchi, unì le gambe e serrò palpebre e labbra, poi non si mosse più, mentre la sua pelle assumeva un inquietante pallore cadaverico.
Un lampo di luce violacea ed Azmaria svanì, per poi ricomparire all’interno di uno dei cilindri di vetro vuoti, accanto a Rosette.
L’urlo strozzato di Chrono e Satella si unì alla risata agghiacciante del perfido Signore Oscuro, e quel suono maledetto risuonò a lungo in tutto il Castello Oscuro.


***


Alucard sgranò gli occhi, mentre uno sgradevole senso di inquietudine si impadroniva di lui.
Era successo qualcosa, qualcosa di terribile. L’aveva percepito anche un’altra volta, quando Chrono era scomparso dalla circolazione.
Chrono.
Dov’era finito quella testa calda di un demone? Possibile che non potesse girare lo sguardo senza che suo fratello si cacciasse nei guai, assieme a quella ragazzina di Rosette?
Non avrebbe mai permesso che gli accadesse nulla di male. Chrono era l’unico residuo della sua famiglia che gli fosse mai rimasto.
Famiglia. Da quanti millenni non aveva più usato quella parola per descrivere lui e Chrono. Da quanti millenni aveva cercato con tutte le sue forze di dimenticare i suoi genitori.
«Alucard? Stai bene?»
Il Conte non si voltò, ma, come ogni volta che sentiva la sua voce, non poté impedirsi di sentirsi più leggero, più… felice. Subito quei cupi pensieri svanirono dalla sua mente, quasi non ci fossero mai stati. Rory aveva davvero un potere molto strano su di lui.
«Guarda che se ti azzardi a rispondermi con “Dovresti essere a letto” ti tolgo il saluto!» sbottò Rory.
Alucard rise e si voltò verso la ragazza, sfiorandole la guancia in una delicata carezza.
Rory arrossì di botto, ma sul suo viso era dipinta un’espressione beata.

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«Che cosa ci fai tutta sola in terrazzo, piccola preda?» domandò Alucard con un ghigno.
«Nulla di particolare… ehi! Come mi hai chiamata!?» Rory gli lanciò un’occhiataccia, scatenando l’ilarità del vampiro. «Stai bene, Alu?»
«Perché mi fai questa domanda?»
«Sei parecchio… distante, in questi ultimi giorni. C’è qualcosa che ti turba, vero?»
«Se anche fosse?». Alucard le accarezzò i capelli, pensieroso.
«Dimmi che cos’hai» lo invitò Rory.
«E se non volessi rivelartelo?» Alucard percorse il profilo del suo collo e del suo volto con le dita. Rory avvertì un fremito di eccitazione.
«Se non me lo dici sei cattivo, e anche tanto» borbottò Rory, mettendo il broncio.
«Così mi offendo». Alucard ridacchiò, ma poi fece un respiro profondo. «Temo per mio fratello minore, Rory. È in mano a dei cani rognosi, e se gli succede qualcosa, non me lo perdonerei mai».
«Hai un fratello?» domandò Rory, incredula.
«Sarebbe meglio dire fratellastro…»
«Non lo sapevo… non me l’avevi mai detto…»
«Non ti serviva saperlo». Alucard la fissò dritto nelle iridi color dell’oceano. «Perlomeno finora».
«Come si chiama?»
«Chrono». Alucard chinò lo sguardo, quasi si fosse perso in ricordi dolorosi. «Avevo solo dodici anni quando mia madre venne sedotta da Kallister, un demone, e lei rimase incinta di Chrono. Cercò di nasconderlo in tutti i modi, ma invano. Mio padre, Vlad II, la scoprì, e la fece arrestare per adulterio. Ma mia madre riuscì a fuggire, aiutata dalle serve e da me. Si rifugiò in una capanna nel bosco dove vivevano dei contadini, e lì diede alla luce Chrono, per poi morire».
Rory lo fissò con gli occhi sgranati, toccata dal dolore e dalla tristezza che quella storia le aveva suscitato. «Mi dispiace…» mormorò. «So che cosa si prova…»
Il vampiro non disse una parola, ma la strinse a sé, cingendole la schiena con le braccia.
Rory affondò le mani nella sua camicia e si avvinghiò di più al suo petto, desiderando con tutta sé stessa che quell’abbraccio in cui era stretta non finisse mai.
Lui c’era. Lui c’era sempre stato, non l’aveva mai abbandonata, l’aveva sempre amata, prima come una figlia, e adesso, lo percepiva chiaramente, come l’amore della sua vita. E in quell’istante che i loro corpi erano abbracciati, sentiva che era suo, e che lo sarebbe stato per sempre. Da quando l’aveva presa con sé, Rory aveva deciso che sarebbe appartenuta a lui e a nessun altro. Solo quando era con lui, quando le rivolgeva quei suoi sorrisi sghembi, quello sguardo profondo e ammaliante, quando sentiva la sua risata ironica eppure così adorabile, quando la chiamava con quella voce angelica eppure così tentatrice, solo quando si ritrovava tra le sue braccia, Rory si sentiva al sicuro, si sentiva davvero al sicuro, sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo.
Alucard posò le labbra sul suo capo, inspirando il profumo dei suoi capelli.
Non ci riusciva. Non riusciva a starle lontano, non riusciva a reprimere il desiderio di averla, non riusciva a sopportare di stare lontano dal suo calore, dal suo viso sorridente, dalle sue guance rosse come ciliegie, dalla scintilla del suo sguardo quando capiva che la stava prendendo in giro…
Gli aveva preso il cuore. Un cuore avido e ormai privo di battito, certo, eppure era stata in grado di rubarglielo lo stesso. E adesso lui voleva quello di lei. Puro e pulsante.
La mano guantata del vampiro si allacciò ai capelli corvini di Rory in una sensuale carezza, scostandoli appena per scoprire il collo candido.
«Alu? Cosa stai…?»
Il vampiro si chinò, per depositare un sottilissimo bacio sulla vena pulsante. La ragazza si irrigidì quando le braccia del ragazzo si chiusero possessivamente attorno alla sua vita, scaricandole addosso una cascata di brividi.
«Alu…!»
Le iridi rosso sangue dell’uomo si accesero di una sfumatura infuocata quando catturarono quelle color del cielo di Rory, la bocca si distese in un sogghigno.
La presa sulla vita della giovane si intensificò, tanto da schiacciare i loro corpi l’uno con l’altro.
Il sangue cominciò furiosamente a correre nelle vene di Rory, accendendo una bollente scintilla negli occhi assetati del vampiro che, sorridendo, appoggiò la fronte contro quella della ragazza.
«Stai forse cercando di provocarmi?» ridacchiò tra i denti, accarezzandole la schiena con lenti ghirigori.
Le dita fredde si insinuarono sotto il bordo del maglione, sollevandolo appena.
«Ti mostrerò un mondo totalmente nuovo, Rory» bisbigliò il vampiro, pronunciando il suo nome con un’enfasi suadente.
«Alucard… io… io non…»
«Sii mia, Rory». La voce del vampiro si fece più profonda, mentre le mani scivolavano sulla pelle nuda della schiena sinuosa della ragazza. Poi premette le labbra contro quelle della ragazza.
Rory, quasi senza riflettere, si lasciò annegare in quel vortice di emozioni e sensazioni che la invase; schiuse le labbra e catturò con esse quelle di lui quasi con un’urgenza violenta, inspirò l’aroma del compagno e gli cinse il collo con le braccia.
Poi, dopo un’eternità, le loro bocche si separarono, riluttanti.
Alucard percorse il profilo del suo collo con le labbra, inspirando a fondo l’odore soave della pelle.
«Hai un profumo delizioso, piccola».
Il cuore della ragazza cominciò a galoppare, rinchiuso nella gabbia formata dalle sue costole. Il sangue sembrava essersi trasformato in lava, ed il respiro non era altro che un fievole rantolo.
Una parte della ragazza desiderava disperatamente fuggire, un’altra la tratteneva dal respingere l’abbraccio dell’uomo.
«Hai paura? Essere qui con me, tutta sola...» Alucard percorse la linea del collo di Rory, salendo fino all’orecchio.
«No…» Le parole morirono sulla bocca della giovane, che si sentiva fremere d’eccitazione sotto al leggerissimo tocco delle labbra del vampiro che le baciavano la pelle.
«Lì dove regna il silenzio, è il tuo corpo a parlarmi» soffiò Alucard al suo orecchio, per poi riprendere a baciarle il collo, compiendo stavolta il percorso all’indietro.
«Alucard...»
«Il tuo sangue canta per me, scorre nelle tue vene come la meravigliosa voce di una sirena».
Il vampiro le afferrò il mento sollevandolo, di modo che i loro sguardi si intrecciassero ancora una volta e lui potesse stregarle l’anima.
«Non ho mai sentito melodia più bella, Rory».
La giovane non disse nulla, avvicinò il proprio a volto e chiuse le labbra su quelle fredde, eppure morbide e irresistibili, del vampiro.
Mentre l’amore incatenava con suadente passione i due innamorati, una creatura oscura dagli occhi rossi e malefici li osservava, attraverso uno specchio di cristallo, e nell’oscurità ghignava perfido.


   
 
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