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Autore: Amatus    13/04/2016    2 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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Richiami nella tormenta


A wolf is used to winter. This is not the first winter a wolf has lived through.
Will Grave
 
IX
Un grido dovuto alla fatica più che al dolore e Lena cadde in ginocchio. I maghi avevano dato tutto il supporto possibile e avevano fatto la loro parte al meglio guidati dal vigile Solas. Era tutto nelle sue mani ora. Doveva resistere ancora per poco. Percepiva chiaramente lo squarcio cedere, doveva solo riuscire a mantenere la presa. La mano le pulsava, il braccio era attraversato da continui spasmi che provocavano un dolore sempre più intenso e sempre più esteso. Lena sentiva le fitte farsi strada nel suo corpo: prima la spalla, poi il collo, poi il petto. Si domandava cosa sarebbe successo se le pulsazioni di quella strana e dolorosa energia avessero in fine raggiunto il cuore. Ma fortunatamente non ebbe modo di verificare. Con un lampo accecante e un’onda d'urto potentissima lo squarcio si richiuse su se stesso. Lena fu gettata con forza contro la parete rocciosa che si stagliava alle sue spalle. Cassandra e Solas arrivarono trafelati, temendo il peggio. 
Lena, stordita e dolorante ma ancora tutta d'un pezzo, cercò con difficoltà di rialzarsi indirizzando ai due soccorritori un sorriso trionfante. 
“Ci siamo riusciti! È fatta!” Lena poteva con difficoltà trattenere l'emozione. Il cielo era tornato normale, non si notava ormai che un piccolo segno lì dove prima si apriva l'enorme squarcio. Ed era anche un po' merito suo. 
Cassandra l'aiutò a rimettersi in piedi e s'incamminarono verso Haven, potevano fare ritorno da vincitori. 
Lena dovette fermarsi lungo la strada, aveva una gamba dolorante e una ferita alla testa che non smetteva di sanguinare. Si sedette su una grossa roccia e mentre Cassandra tornava velocemente verso Haven per avvisare tutti che niente di grave era accaduto, il mago rimase per medicare la giovane elfa. 
Solas fermò con un incantesimo il sangue che continuava ad uscire copioso. Di solito uno strano formicolio partiva dalla sua mano e le attraversava tutto il corpo ogni volta che il mago usava su di lei uno dei suoi incantesimi, questa volta invece una nuova scossa più forte delle precedenti le attraversò la parte sinistra del busto. Il sangue si era fermato ma il dolore l’aveva quasi paralizzata.
“Cosa è successo?” Chiese Solas allarmato. 
“Tu sei il guaritore e l'esperto di questa roba luminosa, perché lo chiedi a me?” Rispose Lena con un tono che voleva risultare ironico ma che le uscì tra i denti stretti dal dolore come un ringhio. 
“Non posso curarti se questo è l’effetto che ti fanno i miei incantesimi. Deve essere successo qualcosa al marchio, curandoti rischio di rafforzarlo. Se il marchio crescesse ancora, potrebbe destabilizzarsi e potrebbe richiedere più energie” si fermò ad osservarla cercando di valutare le condizioni della sua paziente e aggiunse: “non credo che tu sia abbastanza forte per questo.” Lena assunse di proposito un’espressione risentita. Un mago preoccupato non era utile, meglio cercare di rassicurarlo e quello di prendersi bonariamente gioco di lui era, secondo Lena, il modo più rapido.
“Grazie per aver rovinato uno dei momenti più esaltanti della mia vita!” Disse con tono quasi teatrale. “Se non è sufficiente chiudere un buco nel cielo per ricevere un apprezzamento da te, mi chiedo cosa potrei mai fare. Voi elfi, tutti uguali! Trovate sempre qualcosa di cui lamentarvi!” La scenata sembrò sortire l'effetto desiderato. “Mi sembri perfettamente in te. Passare tanto tempo con Varric ti sta corrompendo sempre di più” disse Solas ridendo. La sua risata era cristallina e piacevole. Il sorriso illuminava il volto dell'elfo e distendeva i suoi tratti in un’espressione dolce e affabile. Ogni volta che lo vedeva ridere Lena rimaneva affascinata da lui, come se per un attimo quell’elfo così sostenuto abbassasse le proprie difese e lasciasse intravedere il suo vero aspetto.
Sebbene questo non accadesse così spesso, Lena non avrebbe descritto l’elfo come una persona eccessivamente seria, come invece facevano gli altri, specialmente Varric. Lei non aveva mai avuto quell’impressione, capiva anzi che sebbene ci fossero delle differenze tra Varric e Solas, non riusciva a vederli troppo distanti l’uno dall’altro. L’elfo era senza dubbio più scostante anche se, superata la diffidenza iniziale, sapeva essere affabile, cordiale e premuroso. Il nano invece, apparentemente più aperto e amichevole, nascondeva in sé qualcosa a cui non permetteva a nessuno di avvicinarsi. Erano entrambi misteriosi e affascinanti. Lena sapeva che erano loro due i veri pilastri di quel piccolo entourage, uno per la sua sapienza e l’altro per la sua arguzia, entrambi per la dedizione con cui si donavano agli altri. Sapeva soprattutto che per lei erano pian piano diventati davvero preziosi.
Solas si fece serio all’improvviso e come capitava ogni volta, Lena vide il suo volto trasformarsi di nuovo. La sua espressione amichevole si eclissò all’improvviso dietro la solita maschera di gravità. “Sai non credevo che lo avrei mai detto ma sono felice di aver combattuto accanto ad una dalish.”
Lena era sorpresa e spiazzata da quelle parole ma Solas continuava a fissarla, qualcosa lo turbava.
“Credevo di essere io ad aver preso un colpo alla testa, sei sicuro di stare bene?”
Solas che fino a quel momento era rimasto in piedi accanto a lei, piegò un ginocchio a terra e si portò dritto davanti a lei.
Gli occhi di Solas si fecero più cupi e profondi del solito, Lena non riusciva a capire cosa passasse nella sua testa stava iniziando a preoccuparla. L’elfo le accarezzò il viso con infinita dolcezza e disse: “Forse hai ragione da’len, ma volevo che sapessi che condividere una parte del mio cammino con te è stato sorprendente.”
Lena capiva che c’era qualcosa che le stava sfuggendo, la tristezza del mago in quel momento sembrava senza fondo e Lena aveva paura di vederlo annegare. “Parli come se non dovessimo più vederci.” Lena aveva cercato il suo tono più allegro, ma la voce uscì in modo approssimativo, quasi strozzato
“Capiterà un giorno da’len. Questa Inquisizione non è il mio esercito e la guerra della chiesa degli umani non è la mia guerra. Ho compiti che mi attendono altrove.” Dicendo questo l’elfo si era rimesso in piedi e le aveva voltato le spalle.
Lena sentì il respiro fermarsi in gola. Non aveva mai pensato al dopo. Ciascuno dei suoi compagni sarebbe tornato alla propria vita e lei? Cosa avrebbe fatto? Ora che il buco nel cielo non c'era più? Chiusi gli ultimi squarci, l’Inquisizione non avrebbe più avuto bisogno di lei. L’avrebbe rimandata dal suo clan?
Si rimise in piedi. Alla fin fine l’incantesimo di Solas aveva fatto effetto ed era ora di tornare al villaggio. La gamba doleva ancora ma l’avrebbe ignorata. Voleva tornare tra i suoi, nella confusione, non voleva pensare. S’incamminò zoppicando ma l’elfo la raggiunse, si avvicinò, si fece passare il braccio di lei attorno al collo e la strinse alla vita per sorreggerla.
Arrivarono ad Haven in silenzio, senza neanche guardarsi. Solas accompagnò Lena dall’erborista, qualche impiastro avrebbe dato sollievo alla sua gamba. Le augurò la buonanotte bofonchiando tra i denti e uscì in fretta.
I pochi minuti che l’impiastro curativo impiegò a fare il suo effetto, sembrarono a Lena i più lunghi della sua vita.
Cosa era venuto in mente a quel mago? Perché portarle alla mente quei pensieri tristi proprio ora? Quello doveva essere il loro momento, era il loro trionfo. Quello sciocco aveva avvelenato la sua grande vittoria con poche gocce di disperazione.
Agli inferi lui e tutti gli altri.
Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quell’attimo perfetto. Domani forse sarebbe tornata a quei pensieri tristi ma quella sera aveva tutta l’intenzione di seppellirli, anche sotto litri di sidro se necessario.
Si alzò e uscì in fretta dalla capanna dell’erborista ringraziando appena. Camminava spedita e a testa bassa e svoltando l’angolo della taverna rischiò di schiantarsi contro qualcuno che procedeva nella direzione opposta. Fortunatamente i suoi riflessi erano eccellenti. Blackwall era fermo a meno di un passo da lei.
Il custode la afferrò per le spalle. “Stai bene? Cassandra ha detto che eri ferita e Solas è venuto a dirci che eri arrivata e che ti stavano medicando.”
Lena era sorpresa, nonostante si fossero molto avvicinati negli ultimi tempi, era la prima volta che si rivolgeva a lei dandogli del tu.
“Sto bene, ma VOI piuttosto?” Aveva deciso che si sarebbe divertita quella sera e allora perché non provocare un pochino quel Custode così sfuggente.
Blackwall sembrava in imbarazzo per essere stato colto in fallo, ma Lena gli sorrise e lui si rilassò.
“Aspettami qui, vuoi?” chiese Lena, e quando il custode rispose di sì con un cenno della testa l’elfa s’intrufolò nella locanda cercando di sfuggire l’attenzione di tutti. Arrivò al bancone, prese di nascosto una bottiglia di vino e fece per uscire. Varric la vide, ma lei lo implorò con lo sguardo di non chiamarla ad alta voce. Il nano sembrò capire, e lei se ne andò indisturbata.
Il custode era fermo dove lo aveva lasciato. “Vuoi farmi compagnia vicino al fuoco? Ho bisogno di un momento prima di tuffarmi nella confusione. Offro da bere.” Lena mostrò al custode la refurtiva sorridendo.
“Fatemi strada, my lady.” Lena avrebbe giurato di sentire dell’ironia quella volta in quell’appellativo così formale che lui era solito rivolgerle.
Si sedettero accanto ad un fuoco che normalmente rimaneva sempre accesso. Era esattamente al centro del villaggio ed era il posto preferito di Varric, diceva che stando lì poteva ricevere ogni giorno la sua dose d’ispirazione. O di pettegolezzi, che alla fin fine erano la stessa cosa.
Si sedettero, Lena aprì la bottiglia e mimando un inchino con braccia e busto la porse a Blackwall. “Per voi, My lord”
Il custode prese la bottiglia ridendo, ne bevve un lungo sorso e la restituì all’elfa.
“Sapete non dovreste prendervi gioco di me”
“E perché non dovrei?”
“E’ una questione di saggezza, sono più grosso di voi, e sono armato”
“Sono armata anche io e in più ho ragione. Questo mi dà decisamente un vantaggio”
L’elfa si fermò a scrutare l’uomo. La luce delle fiamme danzava sulla sua armatura. Si chiese come mai la stesse ancora indossando, forse temeva di dover intervenire nel caso in cui lei e i maghi avessero fallito. Si ritrovò a pensare a come dovesse essere il suo corpo sotto l’armatura: le cicatrici, il profumo, il sapore della sua pelle. Si sentiva inebriata da quel pensiero eppure non aveva ancora bevuto neanche un goccio di vino. Rimediò immediatamente. Immaginò il sapore intenso del vino mescolarsi a quello di lui.
 Avevano passato lunghe giornate insieme negli ultimi tempi. Era stata sempre lei a cercarlo, si era sentita un po’ ridicola a volte ma al custode facevano piacere le sue visite e la sua compagnia e oramai non lo negava più. Inizialmente era convinta che il custode fosse infastidito dal suo modo di fare, dopotutto le aveva detto chiaramente di non gradire le sue attenzioni, ma sempre più spesso le sue azioni e i suoi sguardi contraddicevano le sue parole. Quello strano gioco fatto di momentanei avvicinamenti e di fughe improvvise la riempiva di energie, leniva il dolore che era costretta ad affrontare sui numerosi campi di battaglia che continuavano ad aprirsi, era un balsamo speziato e corroborante che le donava ogni giorno nuova forza. Spesso la sola presenza del custode, come in quel momento, la faceva sentire pronta a tutto. Era come la strana eccitazione del combattimento che nasconde il dolore e la fatica. Anche in quel momento, anche dopo una lunga battaglia, anche dopo aver realizzato che non poteva andare tutto bene, come tutti continuavano falsamente a ripeterle, sentiva scorrere nelle vene l’ardore e la forza. 
“Non dovreste essere qui, ma dentro a festeggiare con i vostri uomini.” La voce roca del custode la distolse dai suoi pensieri.
“Tutti questi divieti. Non credo sia la serata giusta. Non ho guadagnato il diritto di infrangere qualche regola questa sera?”
“Ho la sensazione che voi non facciate altro nella vita. Da quando vi conosco non avete perso occasione di infrangere norme e regole, sovvertendo il punto di vista di molti.”  E dopo una breve pausa aggiunse: “Il mio prima di tutti.”
“Mi fa piacere che tu lo abbia notato.” Disse Lena sorridendo furbescamente. “Ma tu? Esistono regole a cui non ti sottometti?”
Il custode la fissò serio per un momento. “Mi sembra piuttosto evidente che non dovrei essere qui con voi. Vedete, so essere trasgressivo anche io, checché ne dica Varric.” Blackwall tornò a sorridere e si sporse verso di lei per prendere dell’altro vino.
Lena anziché porgergli il vino, afferrò la sua mano. Non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare.
“Io credo che non dovresti fingere che fra noi ci sia una distanza che non esiste.”
Blackwall la guardò con il suo solito sguardo severo. Ogni volta che cercava di fare un passo nella sua direzione lui la respingeva con quello sguardo. Ma quella volta Lena non si lasciò spaventare, quella sera non aveva niente da perdere. Si tirò su in ginocchio sedendosi dietro sui talloni, sempre senza lasciare andare la mano dell’uomo. La sollevò invece e se la appoggiò sulla guancia. Come era diverso il suo tocco da quello di Solas. La sua mano era più grande, meno calda e meno gentile ma più forte e decisa, poteva sentire contro la sua pelle i segni che il costante utilizzo della spada aveva lasciato.
Chiuse gli occhi per un istante, e quando li riaprì lo sguardo severo di Blackwall era stato sostituito da uno sguardo nuovo che non conosceva, ma che poteva chiaramente interpretare. Varric aveva ragione quindi, lui voleva averla vicina tanto quanto lei voleva lui. Lena aveva lasciato andare la mano del custode ma lui non l’aveva spostata, era ancora lì appoggiata contro il suo viso.
“Siete così bella. Davvero. Non dovrei.”
Lena afferrando il braccio di lui, lo trascinò a sé e posò le sue labbra su quelle dell’uomo. Un solo istante e nell’aria iniziò a diffondersi l’allarme generale. Qualcosa si stava avvicinando. Scattarono entrambi in piedi, erano vicini alle porte del villaggio e vi si diressero immediatamente. Qualcuno stava bussando dall’altro lato. Lena senza pensarci due volte diede ordine di aprire, sentiva su di sé lo sguardo di disapprovazione del custode ma lo ignorò. Nello spiraglio appena aperto Lena vide un ragazzo, smunto e malconcio, il viso quasi completamente nascosto da un grosso cappello sdrucito.
Il ragazzo era terribilmente allarmato: “Presto! I templari rossi. Stanno arrivando”
 


 
 
  
X
Era successo tutto così in fretta.
Solas si era lasciato alle spalle la ragazza, era andato alla taverna e aveva avvisato personalmente il custode della situazione. Sapeva che lui si sarebbe preso cura di lei. Sapeva che lei ne aveva bisogno. Poi era tornato in fretta nella sua capanna, aveva raccolto le sue cose. Le aveva detto addio. Lo aveva fatto a modo suo, forse lei non aveva capito ma lo avrebbe fatto. Sentiva ancora sulle mani il tocco di quella pelle morbida e contro il suo corpo il calore e l’odore di lei. Per lui era decisamente l’ora di andare.
Poi l’allarme, la battaglia. Il drago. Il ladro.
Haven era stata sepolta dalla neve. Non riusciva a capire come quello sciocco ottuso di Cullen avesse acconsentito ad un piano tanto folle e soprattutto, come avevano potuto Varric e Cassandra non opporsi? Come aveva potuto Blackwall.
Era arrabbiato con tutti loro. Ma lo era ancora di più con se stesso. Se fosse stato con loro anziché pronto alla fuga, forse avrebbe convinto l’elfa dell’assurdità di quel piano.
Forse il ladro vedendolo e riconoscendolo sarebbe fuggito. O forse avrebbe rivolto la sua furia contro di lui anziché contro la giovane elfa. Invece era uscito troppo tardi dalla sua capanna ed era rimasto invischiato in una serie di combattimenti nei pressi della chiesa mentre lei affrontava quella minaccia da sola e lontana da lui.
I racconti riguardo quella battaglia erano frammentari. Sembrava che il Ladro o l’ Antico, come lo chiamavano gli altri, fosse apparso all’improvviso a cavallo di quello che tutti ritenevano essere un arcidemone.
Aveva cercato di riprendersi il marchio. Nessuno sapeva se ci fosse riuscito ma ora tutti sapevano che quel marchio non era un dono di Andraste ma una magia antica e potente che lei aveva in qualche modo rubato all’Antico. Nessuno sapeva se l’araldo fosse ancora vivo.
Avevano lasciato quell’avventata giovane elfa fare di testa sua e lei aveva deciso di sacrificare se stessa per salvare gli altri. Sconsiderata e testarda. E ora si trovavano nel mezzo del nulla, in un accampamento di fortuna, circondati dalla neve, senza sapere cosa fare.
Cassandra, Leliana e Cullen non facevano altro che discutere da quando si erano accampati. Il morale era a terra. Molti erano caduti ad Haven e non c’era nessun araldo che potesse incarnare le speranze di un futuro meno buio.
Solas era combattuto sul da farsi. Non poteva rimanere a lungo, il Ladro poteva essere tornato in possesso della sua magia e quindi potevano essere in pericolo in quel momento più che mai. Ma non sapeva come affrontare quel dolore da solo. Un tempo lontanissimo aveva perso tutto e si era trovato solo. In confronto la perdita di una sola persona non avrebbe dovuto turbarlo così tanto eppure non poteva pensare di lasciare l’accampamento. Non ancora.
La sera dopo il loro arrivo in quel posto alcune sentinelle diedero l’allarme. Erano senza dubbio esausti ma con i nervi a fior di pelle e in un istante tutti furono armati e pronti a combattere.
Dalla neve si materializzò invece pian piano il profilo del Custode Grigio, portava tra le braccia qualcosa. Solas riconobbe immediatamente il suo fardello. Non appena superarono la cortina di neve infatti, il dolore che aveva di nuovo afferrato la tua testa svanì di colpo. L’araldo era tornato e aveva ancora con sé la sua magia.
Solas si fece incontro al custode e lo guidò verso la sua tenda.
L’elfa doveva essere quasi assiderata oltre che stremata dalla battaglia. Il custode la distese su una piccola brandina all’interno della tenda e rimase immobile ad osservare il mago prestarle le prime cure.
Solas non sapeva se intervenire direttamente con la magia, l’ultima volta il suo incantesimo di guarigione aveva avuto un effetto indesiderato, in questo caso le sue forze potevano non essere sufficienti a sopportare il dolore.
“Come sta?” chiese il custode preoccupato.
“Non starà meglio se rimani fermo a fissarla. Renditi utile e vai a cercare delle coperte. Porta anche qualche pozione curativa.”
Senza proferire parola Blackwall uscì dalla tenda. Non voleva essere scortese con il Custode ma la sua presenza lo infastidiva.
Avvicinò alla brandina il piccolo braciere che scaldava l’interno della tenda. Sfiorò la mano della ragazza: era ghiacciata. Non poté trattenersi dallo stringerla con entrambe le mani e portarla accanto alla bocca per cercare di scaldarla con il proprio respiro. Era sciocco, lo sapeva, ma la felicità di averla ritrovata era più forte di ogni altra cosa. Lei era lì, era viva. Il ladro non era riuscito a strapparle il marchio, questo voleva dire che c’era ancora speranza.
In quel momento Solas vide che l’elfa stava cercando a fatica di aprire gli occhi, le strinse la mano un po’ più forte e si chinò su di lei.
Lei sorrise debolmente riconoscendo gli occhi dell’amico. “Sei qui” disse con voce flebile, “non sei andato via. Rimarrai con me?”
Solas sentì qualcosa dentro di sé sciogliersi a quelle parole. Quell’elfa era davvero piena di sorprese. Aveva davvero capito tutto ed era ora tanto presente a se stessa da ricordarsene, da avere una parola gentile per lui dopo tutto quello che aveva passato. E voleva che lui le rimanesse accanto. Solas sentiva un calore confortevole crescergli dentro. “Riposati e non preoccuparti di niente. Sarò qui quando ti sveglierai.” Le posò un leggero bacio sulla fronte e si rialzò.
Fermo all’ingresso della tenda vi era Blackwall che lo fissava con sguardo inquisitorio.
Solas non aveva tempo per le sciocche recriminazioni dell’uomo. Prese dalle sue mani coperte e pozioni e tornò ad occuparsi della sua paziente. Blackwall non accennava ad andarsene né a parlare. Continuava solo a fissarlo, forse cercando di studiare le sue intenzioni. Solo pochi minuti prima Solas avrebbe aggredito l’uomo accusandolo dell’accaduto, ma ora non importava. Lei stava bene, cercava di prendersi cura di lui, nonostante le sue condizioni. Il cuore dell’elfo era colmo di gioia, gratitudine e tenerezza come non gli capitava da tempo immemore. Non vi era spazio per nient’altro.
“Non c’è bisogno che tu rimanga qui. Ti manderò a chiamare appena si sveglierà.” Solas cercò di usare il suo tono più conciliante, ma il custode non sembrava apprezzare. Rimase fermo ancora un po’ poi uscì improvvisamente senza fiatare.
Solas, lasciato solo, si accasciò a terra accanto alla sua paziente, appoggiò la testa contro la brandina e chiuse gli occhi.
Era felice. Come era possibile? Tutto si faceva più difficile. Eppure andava bene così.
Iniziò a pensare a cosa potesse aspettarlo in futuro. Due anime lottavano in lui. Da una parte c’era il bisogno di portare a termine la sua missione. Quanti fratelli soffrivano a causa sua? Quanto triste e senza vita era diventato quel mondo? Non era suo preciso dovere ristabilire l’ordine? Ma d’altro canto, lei aveva bisogno di lui.
Questa nuova consapevolezza annientava il suo giudizio e l’euforia di cui si inebriava lo spaventava.
Ma in fondo quale modo migliore per raggiungere il ladro se non quello di rimanere accanto a quell’elfa? Lei aveva qualcosa che lui voleva. Il ladro sarebbe tornato a cercarla e questa volta lui sarebbe rimasto accanto a lei. Nel frattempo avrebbe potuto iniziare a tessere una rete tra i suoi fratelli perduti. Avrebbe iniziato a radunare le forze e quando sarebbe tornato in possesso della sua magia, sarebbe stato in grado di portare in salvo schiavi e sofferenti, come aveva fatto a lungo in un altro tempo.
La sua mente lavorava freneticamente. L’Inquisizione doveva diventare potente e lui avrebbe potuto sfruttare così le sue maglie.
Per cominciare c’era bisogno di una roccaforte, e lui conosceva il posto adatto.
Poi avrebbero dovuto scegliere un leader, probabilmente Cassandra sarebbe stata la persona adatta. E infine dovevano solo continuare a fare ciò che avevano fatto fino a quel momento. Lui avrebbe continuato a combattere accanto all’elfa e quando il Ladro fosse tornato sulla loro strada, lui avrebbe potuto riprendersi la sua sfera. Le cose si sarebbero sistemate da sole.
La ragazza alle sue spalle cercò di muoversi ed emise un lieve gemito. Lui si voltò e si ritrovò a fissare quel bel volto, dai lineamenti perfetti, immobile a meno di un palmo dal suo. Poteva sentire il respiro di lei sul proprio viso. L’istinto di baciarla era quasi insopprimibile. Questo lo spaventava. Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere se quella passione, invece che rimanere celata, fosse stata portata alla luce. Erano millenni che non provava niente di simile e temeva di soccombere. Non era per quello che aveva cercato di fuggire da Haven in quella triste notte? Poi gli tornò alla mente l’immagine irata del custode. Era evidente che c’era qualcosa che stava nascendo tra i due. Invece di lasciarsi andare ad atteggiamenti meschini come gli era capitato la notte di Redcliffe, doveva vedere quel loro rapporto come un’ancora di salvezza. Anche se la sua passione avesse preso il sopravvento, la giovane elfa era troppo presa da Blackwall per nutrire interesse nei suoi confronti o anche solo per notare il suo trasporto verso di lei. Solas aveva così la possibilità di rimanerle accanto senza rischi. Al momento giusto sarebbe andato via ma solo quando lei fosse tornata ad essere davvero al sicuro, lei avrebbe sempre potuto pensare a lui come ad un amico rimasto fedele fino alla fine.
Tutti questi pensieri lo rasserenarono, poteva perseguire la sua missione e concedersi un po’ di felicità allo stesso tempo.
Si addormentò stanco ma tranquillo, finalmente.
Delle voci lo svegliarono all’improvviso, sembrava che l’intero accampamento stesse cantando. La branda accanto a lui era vuota, l’elfa doveva essere uscita in silenzio. Si accorse di avere addosso una pesante coperta, doveva essere stata una premura della giovane.
Uscì dalla tenda e vide che erano tutti radunati attorno a lei. L’araldo era tornato, ora tutto si sarebbe sistemato, sembravano crederlo con convinzione. L’alba sarebbe tornata, continuavano a cantarlo rincuorandosi così l’un l’altro.
Incrociò lo sguardo dell’amica. Lei gli si avvicinò.
“Mi concedi un momento?” era il momento di trovare una base per avviare tutti i suoi progetti. Era il momento di donare una casa all’Inquisizione.
   
 
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