CAPITOLO DUE
Zombie
But
you see, it's not me, it's not my family.
In
your head, in your head they are fighting,
With
their tanks and their bombs,
And
their bombs and their guns.
(The Cranberries)
“Signorina, ma... non c’è
niente, qui”.
Victoria scese dal taxi, ed
Edward la seguì a ruota, senza parlare. Il tassista, corrucciato, scese a sua
volta, per dare una mano a scaricare le valigie. Guardava la ragazza ed il
bambino, senza capire. Che stessero scappando?
Se il tassista avesse saputo,
chissà se li avrebbe aiutati.
Victoria sapeva del
Nottetempo, ma l’idea di venir sballottata di qua e di là senza una ragione
valida non faceva altro che aumentare la sua rabbia. Era rimasta relativamente
calma alla partenza, ma più i chilometri di distanza si assottigliavano, più il
suo umore peggiorava. Era tutta colpa sua. Tutta colpa del vecchio.
La gente comune considerava
Silente un eroe. Victoria lo considerava un pazzo manipolatore. Aveva detto
loro cosa avrebbero dovuto fare che avevano sì e no un paio d’anni più di
Edward, ma lei aveva anche giurato a se stessa che mai, mai sarebbe tornata in
Inghilterra. E così era stato. Fino a quel giorno.
Il tassista prese la sua
ricompensa per il viaggio e sgommò via. Victoria attese che scomparisse
all’orizzonte, strinse rassicurante la mano al bambino, incantò le valigie ed
iniziò a salire il sentiero che li avrebbe portati nel castello di Hogwarts.
Edward, percependo il suo disappunto, scelse la tattica del silenzio,
aspettando che la zia, qualsiasi cosa avesse, sbollisse.
“Edward, io non sono
arrabbiata con te” iniziò Victoria, quando le Torri del castello iniziarono a
farsi più grandi di fronte a loro. “Solo che non mi va di stare qui. Quindi
faremo quello che dobbiamo fare e ce ne andremo. Potremmo anche raggiungere tuo
padre in Nuova Zelanda, se ci va. Che ne pensi?”.
Edward la guardò per un
attimo. Poi puntò i piedi a terra e si fermò, dando un lieve strattone alla
ragazza. Victoria si
voltò di scatto. Le valigie
sbatterono rumorosamente l’una sull’altra.
“Va tutto benissimo, zia, ma
cos’è che esattamente dobbiamo fare?”.
Victoria aprì la bocca, poi
la richiuse. Arricciò le labbra e si costrinse a trovare in fretta qualcosa da
dire. Decise che la verità sarebbe stata la cosa migliore.
“Ecco, in realtà non lo so
precisamente. Ma so che tuo padre vuole che tu conosca il nonno, e quindi...”.
“Che cosa?” il bambino
trattenne più aria di quello che i suoi piccoli polmoni potevano trattenere.
“Il nonno? Il papà di papà? Il tuo papà?” chiese a raffica. Victoria sospirò.
Quella dannata maestra stava facendo un buon lavoro con lui.
“Sì, Edward” rispose
soltanto. “Andiamo adesso”. A Victoria parve che Edward camminasse con una
certa baldanza in più, ma non volle indagare.
Quando il portone si aprì
davanti a loro, Victoria ebbe la spiacevole sensazione che li stessero
aspettando. Si chiese quanto perversa potesse essere la mente del vecchio. Fece
un gran respiro profondo, strinse la mano di Edward – per rassicurare se
stessa, più che il bambino – e salì gli scalini.
Victoria era stata a
Hogwarts, con Thomas, una vita prima. Guardando gli occhi di Edward spalancarsi
di fronte a tanta antica eleganza, immaginò che loro avessero avuto la stessa
espressione di incredulità sul volto. Era sempre estate, faceva sempre caldo e
lei, forse, era sempre così nervosa.
Qualcosa le morse lo stomaco,
mentre Edward le si faceva più vicino. Nostalgia, forse. Avvertì il nodo alla
gola, quella sensazione spiacevole che, purtroppo, l’accompagnava ancora quando
entrava in un’aula di Tribunale, prima dell’Arringa finale. La paura prima di
ogni esame. Il vuoto.
Entrambe le manine di Edward
si andarono ad unire nella sua. Poteva capire quello che stava provando. Gliele
strinse e gli sorrise.
“Forza, Edward. Spalle dritte
e sguardo fiero, si va in scena”.
Sala
Grande. E dove se no?