CAPITOLO UNO
The Outsiders
How
many yesterdays - they each weigh heavy
Who
says what changes may come?
Who
says what we call home?
(REM)
Teneva nascosto il pacchetto
dietro la schiena, mentre cercava di dribblare i tanti piccoli esseri che
saltellavano per la casa. Non che le piacessero i compleanni in maniera
particolare, ma quello, beh, quello era un compleanno particolare. Fuori c’era
il sole, i bambini giocavano e di fronte a lei si stava spalancando un
fantastico weekend di assoluto relax. Non poteva andare meglio.
“Finalmente, sei in ritardo”.
“Ho trovato traffico,
Thomas”.
Victoria diede un bacio
leggero sulla guancia al fratello, slacciandosi l’impermeabile.
“Bell’organizzazione. Come
hai fatto?”.
“Ho avuto degli spazi di
tempo. E ho chiamato un ottimo catering” le sorrise. “Grazie per le
attrezzature fuori” indicò il retro, dove si erigevano altalene colorate,
scivoli e perfino un piccolo castello di gommapiuma dove alcune bambine stavano
saltellando.
“Ho avuto una perquisizione,
ultimamente” fece la ragazza, guardandosi intorno.
“Prima il regalo o...?”
Thomas agitò le braccia in aria, lasciando appesa la frase.
“Prima il festeggiato.
Dov’è?”.
Thomas scortò Victoria in
giardino, verso il grande scivolo blu, dove suo figlio troneggiava, pronto a
scendere. Victoria gli fece un cenno con la mano, ed il bambino scivolò in
fretta, correndo poi tra le sue braccia.
“Zia! Sei venuta!”.
“Non sarei mancata per nulla
al mondo”.
Victoria si chinò per essere
alla stessa altezza del bambino, scompigliandogli i capelli.
“Quanti anni compie oggi il
nostro Edward?”. Il bambino si guardò le mani, corrucciò la fronte e poi iniziò
a contare sulle dita della mano, concentrato. Victoria lanciò uno sguardo
complice a Thomas, nascondendo un sorrisetto.
“Cinque!” disse trionfalmente
Edward, mostrando la mano aperta alla zia.
“Ottimo! Stai diventando
grande”. Fece una pausa. Il bambino scalpitava. Soppesò quanto sarebbe stato
divertente farlo stare sulle spine ancora un po’, ma sarebbe stato troppo
cattivo. Persino per lei.
“Questo è per te, tesoro. Con
i migliori auguri di un buonissimo quinto compleanno”.
Edward prese avidamente il
regalo dalle mani di Victoria, le diede un grosso ed umido bacio sulla guancia
e corse a mostrarlo ai suoi amichetti, fiero.
Victoria si rialzò, guardando
il nipote scappare via attraverso il giardino. La sua innocenza la colpiva ogni
volta, come se fosse qualcosa che lei non aveva mai conosciuto. Guardò Thomas,
suo fratello, il suo gemello, e sapeva che, mentre osservava suo figlio ridere,
pensava alla stessa cosa.
“Me lo offri un caffè?” gli
disse, posandogli una mano sul braccio. Thomas le regalò quei sorrisi speciali,
quelli rari, da quando Faith era morta.
“E da quando in qua qualcosa
te la si deve offrire, e non te la vai a prendere da sola?” ghignò. Thomas le
poggiò una mano dietro la schiena e la portò nella solitaria cucina, lontano
dal caos della festicciola, dove Victoria gli avrebbe spiegato, senza troppi
mezzi termini, come aveva fatto a portare in vita sette persone a più di mille
miglia da loro.
“Che vuol dire Io non vengo?”
squittì Victoria, sedendosi sulla valigia che stava preparando.
“Vuol dire che ho da
lavorare” alzò le spalle Thomas, osservandola appoggiato alla porta, fuori
dalla sua portata.
“Thomas” fece piano Victoria,
ribollendo dalla rabbia. “Tu mi hai convinto a farlo. Tu mi hai convinto ad
andare. Tu, tu e solo tu. Che vuol dire che adesso non vieni? Che vuol dire che
devi lavorare?”.
“Mi mandano in Nuova Zelanda.
Edward sta crescendo. Voglio mandarlo nelle migliori scuole, e le rette
costano...” iniziò, nella speranza di placare la rabbia di Victoria.
“Non mettere in mezzo Edward
quando ti fa comodo!” sbottò la ragazza, dando un’ultima spinta alla valigia,
che si chiuse.
“Non potevi farlo con la
bacchetta?” chiese Thomas, di punto in bianco.
“Ringrazia che non l’avessi
in mano, la bacchetta, oppure ti avrei Schiantato via!”.
“Sei arrabbiata?”.
“Sì. Perché mi mandi laggiù
da sola” incrociò le braccia al petto.
“Non ci andrai da sola.
Edward verrà con te”.
“Ma sei impazzito”. Victoria
non poteva crederci.
“Voglio che lo conosca, Tory”.
A questo, Victoria
boccheggiò. Era assurdo che lo stesse dicendo. Che lo stesse dicendo davvero.
“Sai che non è Edward il
problema. Sai che lo porterei in capo al mondo. Ma non lì. Thomas, ma ti rendi
conto?”.
“Sì, mi rendo conto
perfettamente. Voglio che lo conosca lo stesso. Non ho detto che voglio che
sappia, ma ci sono davvero troppi orfani nella nostra famiglia”. La guardò
serio.
“Famiglia...” sospirò
Victoria, passandosi una mano sugli occhi. In quel, Edward entrò correndo, come
se stesse cavalcando un Thestral.
“Edward è entusiasta di
andare in vacanza con te” sorrise Thomas.
“Sono entusiasmico”
annuì Edward. Victoria sorrise. “Sei arrabbiata, zia?” il bambino le si
avvicinò con aria preoccupata.
“No, non lo sono” mentì. “Ma
mi sarebbe piaciuto andare in vacanza tutti e tre insieme”.
“Papà lavora” spiegò Edward.
“Nuova Zelanda, addirittura?”
Victoria prese in braccio Edward. Non perché il bambino glielo stesse
chiedendo, ma perché, ogni tanto, un po’ di contatto fisico rendeva Victoria
più docile, e meno incline agli scatti d’ira.
“La dura vita di uno Spezzaincantesimi” sospirò falsamente Thomas. “Ci andrai?”.
“Ci andremo” sospirò alla
fine Victoria.
“Vi raggiungerò” promise
Thomas. Victoria gli pizzicò il naso con la mano libera.
“Vedi di muoverti. So dove
abiti, fratello”.