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Autore: nainai    05/04/2009    4 recensioni
Steve Forrest era convinto di essere entrato a far parte dei Placebo. Peccato che suonare assieme a qualcuno non vuol dire per forza "essere parte del gruppo".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal, Steve Forrest
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: il presente scritto ha come protagonisti persone realmente esistenti. Non s'intende offendere nessuno, non vi è alcuna pretesa di veridicità o verosimiglianza, si tratta di opera di pura fantasia. Nessuno scopo di lucro. Nessun diritto legalmente tutelato s'intende leso.

Junior

 
-Wow! Ti senti male?
 
Regola numero uno: non chiedere mai a Brian Molko se per caso si senta male solo perché lo hai beccato nel cesso di uno studio di registrazione mentre vomita anche l’anima nel gabinetto.
a)      Che stia male è abbastanza evidente perché lui non desideri davvero risponderti.
b)     Non ci sono molte persone che possano permettersi, a questo mondo, di far notare a Brian Molko l’evidenza e poi andarlo a raccontare in giro.
Io non rientro nel novero di queste persone.
Quindi lui, ovviamente, non mi risponde.
 
Ho una visione molto chiara della sua schiena. Pensare che è più basso di me…! o.k., io non sono un gigante, ma lui è molto più basso di me, se capite cosa intendo. Quindi, a fissare la sua schiena, non dovrei comunque sentirmi in soggezione. No?
No.
“No” nel senso che mi ci sento comunque, in soggezione.
Sarà il fatto che lui – appunto - non mi ha risposto, si è risollevato, mettendo dritta quella stessa schiena che fino a poco fa stava piegata a novanta gradi sulla tazza del citato cesso, si è pulito la bocca con il dorso della mano e si è diretto in un silenzio minaccioso al lavandino alle mie spalle.
Io, per quel che mi riguarda, ho ruotato su me stesso per continuare a guardarlo ed ho seguito per intero il tragitto della sua schiena: dal gabinetto al lavandino.
Mi sento un coglione.
-Junior, fai una favore a te stesso ed a me.- esordisce dopo essersi sciacquato mani e bocca sotto l’acqua.- Se non hai nulla di intelligente da dire, sta zitto.
-…mi sembrava una domanda intelligente.- replico- Stavi qui da solo, vomitavi…mi sono informato se stessi male.
O.k.
Lo so.
Non era una domanda intelligente. Quella cosa dell’evidenza avrei dovuto pensarla prima di aprire bocca. E poi ripensarla dopo – adesso – prima di ribadire il concetto e fare nuovamente la figura dell’idiota. Così a Brian basta guardarmi ed io balbetto lo stesso “o.k.” imbarazzato che ho solo pensato, ruotando gli occhi a terra e strascicando i piedi sul pavimento come un dodicenne deficiente.
Lui sospira. Sembra sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi deve giudicare che io sia un caso perso, perché agita la mano e mi abbandona lì, uscendo e tirandosi dietro la porta del bagno per isolarmi all’interno.
 
Bene. Per amore di quel po’ di orgoglio che mi rimane, dirò giusto appena due cosette o tre.
Non mi chiamo davvero “Junior”. In realtà mi chiamo Steve. Steve Forrest. Il punto è che credo che steve sia una parola che Brian non pronuncerà mai più in tutta la sua vita.
Diciamo che questo è un pessimo punto di partenza per me.
Diciamo anche che, quando mandai il provino agli Studi della EMI perché lo visionassero, non credevo che sarebbe stato un brutto punto di partenza.
I “Placebo” li conoscevamo…cioè, io ed i ragazzi, i miei vecchi compagni di band, li conoscevamo; quelli della EMI ci avevano chiesto di aprire ai loro concerti ed un paio di volte Brian ci aveva anche fatto i complimenti per la nostra musica. Sapete come succede, qualcuno ti dice che sei bravo e tu ti convinci che stia dicendo sul serio. E poi lui sembrava anche un tipo socievole, con gli altri ci eravamo detti che quella storia dell’orco cattivo era davvero una stronzata: Brian era una persona simpatica, rideva e scherzava con tutti. Si stava bene con lui. Poi, cazzo! erano pur sempre i “Placebo”! sarei stato un coglione a non provarci neppure.
Beh, ci ho provato. E ci sono pure riuscito.
Una mattina mi arriva la telefonata di Alex, la loro…la nostra…manager. Mi dice che quelli della produzione hanno visto il provino, sono tutti d’accordo che io abbia del talento. Mi dice che la cosa si può fare e che devo andare agli Studi a discuterla con lei e quelli della produzione. Io salto in macchina al colmo della gioia, approdo agli Studi euforico e mi ritrovo un contratto già confezionato: decorrenza Luglio 2008.
“Avete fretta?”, dico stralunato.
Alex ride. Mi spiega che i ragazzi saranno fuori dall’Europa fino a Settembre 2007, che anche io ho già degli impegni con gli “Evaline”, che comunque – dopo l’annuncio che Hewitt mollerà la band – dovranno dare ai fan il loro periodo di decompressione. Insomma, o accetto di starmene buono per un bel pezzo ancora o non se ne fa niente.
“Va bene”, dico io, “ma almeno posso sapere che ne pensano Brian e Stefan?”.
La risposta di Alex è educata ma decisa come sono sempre le sue risposte.
“No”.
 
E torniamo qui. Siamo alla fine di Agosto 2008, fa caldo e la California è un forno in cui cuocere lentamente. Brian dice di odiare il caldo, si lamenta continuamente ed è di malumore dal mattino quando scende a colazione alla sera quando se ne torna in stanza a dormire. Beve. Troppo, dicono Stef ed Alex, ma quando io mi intrometto per chiedere spiegazioni ad uno dei due, loro mi rimbeccano gentilmente e mi rimettono al mio posto.
Sì, steve è un pessimo punto di partenza per me.
So che avrei dovuto arrivarci da solo, non era davvero necessario che iniziassimo le sessioni di registrazioni, bastava che mi fermassi a riflettere sul fatto che sono entrato nella band da quasi un anno e nessuno dei suoi componenti – nessuno, neppure Stefan – mi ha ancora detto una parola di benvenuto. Ogni contatto che ho avuto è stato con Alex e con la produzione. Tutti carini. Tutti gentili. Tutti estranei.
Sapete quella cosa che Brian ha detto all’annuncio dell’abbandono di Steve – il “vero” Steve, mi viene da pensare – quella che i gruppi musicali sono come i matrimoni? Beh, in parte è davvero così. Sono come le famiglie: non puoi passare un sacco di tempo con delle persone che consideri degli estranei, o sei parte del gruppo o non lo sei.
Io, al momento, penso proprio di non esserlo.
Non è che mi considerino un peso, l’altro giorno ad una domanda diretta di Alex in questo senso Brian ha anche mugugnato un assenso sul fatto che io fossi effettivamente bravo. Mugugnato, eh! Nel senso che ha proprio borbottato un “mmh” poco interessato mentre sfogliava svogliatamente le partiture di una delle canzoni. Poi mi ha anche ringhiato dietro di muovermi a portare il culo dietro la batteria che non voleva passare la mattinata lì dentro. Posso accontentarmi, immagino che se non fossi effettivamente bravo – almeno, abbastanza bravo – mi avrebbe già sbranato ed avrebbe rispedito il mio cadavere alla EMI, dicendogli di darsi una mossa a trovare qualcuno che potesse fare il mio lavoro per bene.
…in effetti è una consolazione abbastanza magra.
Ma è una consolazione. Mi permette di restarmene qui buono buono, dopo essere tornato nella saletta di registrazione, seduto sul divano nell’angolo a guardare da lontano Stefan, Brian e David mentre discutono tra loro di riarrangiare il pezzo che abbiamo provato ieri e che non ha convinto affatto nessuno dei tre. Io gioco con le bacchette, tamburellando sul bracciolo in un suono sordissimo, e fingo di disinteressarmi, perché a nessuno frega niente che io mi interessi davvero a quello che stanno dicendo.
-Brian, capisco il tuo punto di vista e sono d’accordo sul fatto che si possa migliorare ancora, ma sono quasi tre giorni che siamo fermi su questo solo pezzo.- fa notare David paziente, mentre Stefan sposta lo sguardo da lui a Brian in attesa di sentire la risposta.- Ci stiamo lavorando da ancora prima che arrivassimo a provarlo…
-Perché è quello che offre più potenzialità ma che, al momento, da meno risultati.- dice Brian secchissimo.
È una cosa che si scopre in fretta di lui: Brian sul lavoro parla pochissimo, il meno possibile, e da ordini, precisi e diretti. Non si aspetta che qualcuno disubbidisca, semplicemente perché chi lavora con lui sa che la propria autonomia nel prendere decisioni si esaurisce nel momento in cui lui esprime il proprio parere. In compenso, Brian si assume completamente la responsabilità di ogni cosa sul lavoro. Lui fronteggia la produzione, lui fronteggia i fan, lui discute con chiunque trovi qualcosa da ridire su quello che è stato realizzato…
È per questo che la gente lo odia.
Ma credo che sia per questo che la gente lo ama, anche.
Adesso, David sospira. Stefan si lascia andare contro lo schienale della sedia ed è Brian a spostare gli occhi su di lui, forse in attesa di un commento. Stefan è l’unico - …no, c’è anche Alex – a cui Brian, a volte, permette di obiettare sulle sue decisioni. Nella maggior parte dei casi, comunque, la loro sintonia e tanta e tale che Stef non ha assolutamente nulla da obiettargli.
Ora come ora, David interpreta bene la chiusura rigida di Brian: quella canzone non gli piace com’è e la cosa non di discute. Sicuramente David sa che alla fine arriveranno ad un compromesso, ma il tempo che ci vorrà dipende dall’umore di Brian, dalla sua voglia di continuare il lavoro e di farlo seriamente e dalla necessità della produzione di chiudere queste registrazioni. Troppi elementi per un futuro immediato.
-…che ne dite se…andiamo in…spiaggia?- borbotto stentatamente in un infantile tentativo di sminuire il clima di tensione che si è creato nella stanza.
Tre paia di occhi diversi si voltano verso di me, ed io arrossisco imbarazzato rendendomi conto di aver nuovamente fatto la figura del moccioso che non sa stare al proprio posto. Per un momento credo che Brian mi incenerirà con lo sguardo, per fortuna che non ha davvero poteri di questo tipo. E per fortuna ancora maggiore, David scoppia a ridere, sinceramente divertito. Stef lo guarda di sottecchi e, quando torna a fissarmi, sta sorridendo anche lui, comprensivo.
Vorrei che Brian avesse la stessa reazione.
-Ne abbiamo parlato nel bagno meno di due ore fa, Junior.- scandisce lento- Non abbiamo davvero bisogno dei tuoi interventi fuori luogo.
-Già.- biascico io.
-Brian…- interviene Stefan, ma quando lui gli punta addosso quegli occhi assassini anche Stef cambia idea- Facciamo veramente una pausa.- suggerisce, invece di prendere le mie difese come avrebbe voluto.
Brian ci pensa su, poi annuisce e si alza.
-Sono fuori a fumare.- annuncia senza rivolgersi a nessuno in particolare.
 
Oggi mi sembra che la cosa più interessante su cui riuscirò a concentrarmi sarà la punta delle mie scarpe. Non mi succedeva da quando ho passato i dieci anni.
Sospiro, sbattendo un po’ di più le spalle contro la macchinetta del caffè a cui me ne sto appoggiato. Ho bisogno di provare almeno un po’ una sensazione di solidità, di avere un appoggio stabile. In realtà la macchinetta oscilla sotto il mio peso, per cui di stabile non c’è proprio un tubo. Sospiro ancora e riprendo lo studio attento delle variazioni cromatiche che lo sporco lascia sull’angolo esterno delle mie Nike…
-Steve.
Alzo gli occhi nel riconoscere la voce di Stefan e lo vedo venirmi effettivamente incontro, reduce da una discussione a tu per tu con David e senza Brian. Mi sorride quando si accorge che lo sto fissando ed io ricambio, anche se so che probabilmente sono molto poco convincente.
-Chiacchieriamo, ti va?- mi invita mentre io mi sposto per permettergli di utilizzare la macchinetta.
Lo osservo, lui fa cadere le monetine nell’apposito spazio con un rumore metallico che mi ricorda del bicchiere quasi vuoto che ho ancora in mano. Osservo il caffè nero all’interno, rendendomi conto di aver aspettato troppo a finirlo, quando lo avvicino alle labbra il caffè è freddo e fa schifo, storco la bocca e lo butto via con una protesta disgustata.
Stefan ride e mi passa il bicchiere che ha appena prelevato dalla macchinetta, poi ripete meccanicamente gli stessi gesti per prendersi un altro caffè.
-Grazie.- mormoro accettando la sua offerta.
Lui si serve e muove verso il gruppetto di divani e tavolini che occupa un lato del corridoio.
-Allora.- inizia mentre passa in rassegna i posti a sedere e ne sceglie uno.- Qual è il problema?- mi chiede non appena si è accomodato su una delle poltrone più piccole.
Mi lascio cadere sul divano che gli sta di fronte, sollevando uno sbuffo di polvere nel cadere di schianto sui cuscini, e lo fisso stranito.
-Problema?- ripeto- Dovresti chiederlo a qualcun altro!- faccio notare perplesso.
-Ma io so qual è il problema di Brian.- afferma calmo Stefan.- Ora vorrei sapere qual è il tuo.
Sorrido storto, nascondendo quella smorfia nel bicchiere e gustando il calore del caffè mentre scende in gola a sorsi piccolissimi.
-Beh, sai anche il mio, visto che coincide con quello di Brian.- commento a quel punto, sarcastico.
Lui scuote il capo senza parlare, osservandomi con tranquillità si sistema meglio sulla poltrona: posa il gomito contro il bracciolo, la testa contro il pugno chiuso e mi guarda.
Sbuffo.
-Andiamo!- protesto- Mi rimbrotta in continuazione…!
-Brian rimbrotta tutti, Steve.- m’interrompe lui.- Compresi me, Alex, Helena e perfino David. Solo che noi non ce ne rimaniamo zitti.
-Dovrei rispondergli?- chiedo strozzato. La sola prospettiva di affrontare Brian mi fa gelare il sangue nelle vene.
-No.- mi dice lui dopo averci riflettuto solo un momento.- Ora come ora ti farebbe a pezzi.- mi annuncia blando come se stesse parlando di football- Ma per il futuro comincia a metterlo da conto.- consiglia pacato.
Sì. Magari nella prossima vita futura, considero io scrollando i miei pensieri e le spalle; osservo il muro bianco dietro Stef ed affogo nel caffè le mie paure.
-Steve, non mi hai risposto.- nota lui strappandomi a quella fuga.
Quasi mi affogo con la bevanda nel sentire la sua voce irrompere bruscamente nella mia testa. Tossisco per riprendere fiato e sgrano gli occhi senza capire.
-Ma cosa dovrei dirti?! Io non ho davvero un problema con Brian, è lui che ha un problema con me!- sbotto.
-Sì, questo l’ho capito, Steve.- schiocca Stefan infastidito. Mi dispiace stargli dando noia, rimbalzo sul mio posto, mogio mogio, raddrizzando poi la schiena per cercare di darmi un contegno un po’ più dignitoso e non costringerlo ad avere a che fare con un ragazzino incapace di comportarsi da adulto.- Ma non stiamo parlando dei rimbrotti di Brian, perché non ti giustificano dallo startene sempre in disparte quando si parla di lavoro.- continua lui imperterrito ed ignaro di quei miei pietosi tentativi.
È un rimprovero molto pacato. Di quelli che mi ricordano mio padre quando tornavo alle cinque del mattino e lui mi aspettava dietro la porta, braccia incrociate e sguardo severo. Non alzava mai la voce ed io mi ritrovo a credere che neanche Stef la alzi mai, la voce, neppure per sbaglio.
Ma è un rimprovero.
Sospiro pesante. Mi sembra di essere tornato a scuola e sono settimane, ormai, che mi sento così. Da quando loro sono atterrati all’aeroporto ed io sono andato con David a prenderli per accompagnarli in albergo. Ero felice quel giorno, sorridevo come un cretino e non ero riuscito a chiudere occhio tutta la notte. Poi ho visto Brian e lui ha visto me, la sua aria scocciata si è portata via tutto il mio entusiasmo ed io sono finito dietro le spalle di David, lasciando a lui il compito di salutare Brian, Stefan ed Alex.
Ecco qual è il problema, Stef.
-Brian mi odia.
-Stai continuando a focalizzare su di lui l’attenzione, Steve, mi sembra sufficientemente inutile.
Sollevo gli occhi per riportarli su Stefan e lo guardo mentre finisce il proprio caffè, in silenzio ed in attesa che io rifletta su quello che sta cercando di dirmi.
-Lui non mi considera davvero un membro della band!- contesto io apertamente.
-Perché non sei un membro della band.- afferma Stefan glaciale.
…e…fa…dannatamente male.
Fa male perché io ero il membro di una band! E ci stavo bene con la mia band! E li ho mandati al diavolo per questi qui e per ritrovarmi trattato a questo modo!
Ho mandato al diavolo i miei migliori amici! L’ho fatto perché…cazzo! io i “Placebo” li stimavo, prima di scoprire che razza di persone sono!
-Bene!- commento prima di rendermi conto di aver aperto la bocca.- Buono a sapersi!- insisto comunque, quando invece realizzo di averla aperta per davvero.
-Cosa vorresti sentirti dire, Steve? Che io Brian siamo felici di averti con noi?- mi domanda lui retorico, ma non perde nemmeno per un attimo quella sua quieta compostezza, tanto che le sue parole – per quanto maledettamente affilate – non arrivano a far male sul serio ed io mi ritrovo ad ascoltarle – Che siamo felici di aver perso uno dei nostri più cari amici, quello che consideravamo un fratello e che ci ha piantati in asso dopo dieci anni, perché così abbiamo trovato te?
Annaspo. La sua visione e la mia non coincidono. Perché?
-Continui a dire che Brian ti odia,- ricomincia Stefan in tono mansueto.- io ti dico che tu non stai ricevendo nessun trattamento “di favore”. Brian è con te come è con tutti, sei tu a dovergli dimostrare che vali qualcosa, lui a te non deve dimostrare niente.- spiega in modo semplice.- E se è di cattivo umore, lo è per tutti. Non è gentile con me, non è gentile con Alex né con David e neppure con la sua compagna. Brian non è gentile con nessuno da mesi, Steve.
…sì…ma è solo il mio, il nome che si rifiuta di pronunciare.
 
-Soffri di gastrite?
Brian mi scocca un’occhiata infastidita da sopra la spalla, mettendomi a fuoco e tornando subito dopo a voltarsi verso il bancone del bar. Io mi arrampico sullo sgabello che gli sta di fianco, ma lui non mi degna di un secondo sguardo e preferisce fingere di seguire la voce della giornalista alla televisione – che non si sente, perché nel locale c’è troppo rumore – e far roteare il cocktail nel bicchiere alto che regge sospeso tra le dita.
-Se soffri di gastrite dovresti evitare di bere.- continuo imperterrito, alzando una mano verso il tipo al bancone per farmi servire una birra.- Mio padre soffriva di gastrite, si alzava la mattina che aveva già voglia di chiudersi al cesso a vomitare.
-Junior.- sibila lui secco, senza guardarmi.
So che vuole dirmi di stare zitto. Oggi, con questa, me lo ha già detto almeno sette volte. Le ho contate ad una ad una. La prima nel bagno. La seconda nella saletta di registrazione con Stef e David. Altre tre davanti ai tecnici mentre provavamo. Una a cena, quando con Alex discutevano dei tempi di uscita del disco… Questa è l’ultima. La settima.
Il tizio al bancone posa la mia birra accanto al braccio di Brian, lui si sposta impercettibilmente, come se gli desse fastidio la sola idea che un altro essere umano entri nel suo ristrettissimo raggio personale. Probabilmente gli da fastidio davvero. Osservo il boccale chiedendomi quale sia il modo migliore per prenderlo senza andare ad aggiungere motivi di irritazione ad altra irritazione, lui se ne accorge, segue il mio sguardo fino al boccale e sospira, facendosi indietro sullo sgabello per liberare il piano dalla propria presenza e darmi modo di allungare la mano fin lì.
Dovrei ringraziarlo?
Quando torno al mio posto, lo fa anche lui. Si riappoggia al piano e ricomincia a guardare il televisore appeso sopra le nostre teste.
-Mio padre è riuscito a tenere sotto controllo la cosa iniziando a fare meditazione yoga.- riprendo dopo il primo sorso di birra. Mi accorgo che Brian non riesce a reprimere un sorriso, che pur essendo cattivo e tirato è pur sempre un sorriso. Mi sento incoraggiato, nonostante tutto.- Mia madre lo prendeva in giro, ma sai che funzionava!? Alla fine era talmente zen ed in pace con se stesso che lei non riusciva più a litigarci! Credo che siano finiti anche in terapia di coppia per questa cosa, secondo mia madre rovinava il dialogo…
-Sei cresciuto in una famiglia davvero strana, tu.- commenta Brian a mezza voce, rivolgendomi un’ironia pungente ma diversa da quella solita. Per una volta tanto ho quasi l’impressione che non sia sua intenzione farmi del male.
Peccato continui a non guardarmi.
-Beh, e questo è niente! Avresti dovuto vedere cosa successe quando mia madre decise di imparare a ballare la salsa e trascinò mio padre a scuola di ballo…
Mi strozzo. La birra mi va di traverso nell’istante stesso in cui lui si volta, poggia il gomito sul piano e mi squadra per un momento. Abbasso di colpo il boccale e sbotto un unico colpo di tosse, piuttosto discreto, costringendomi poi a deglutire e restare a ricambiare il suo sguardo.
-Parlavo del fatto che i tuoi si preoccupassero di avere un dialogo.- mi notifica.
Ed io apro la bocca per dire qualcosa e scopro di non esserne capace.
Almeno…l’unica cosa che penso è “…come?”
Per fortuna non lo dico. Non in tempo, quanto meno, perché Brian torna quasi subito a girarsi al bancone per chiamare il tizio e farsi portare un altro giro. Quello esegue ed io mi lascio distrarre e volto la testa nella sua direzione, guardandolo mentre prepara il cocktail.
-Non credo che farò meditazione yoga, in ogni caso.- mi informa intanto Brian, ed io annuisco come un cretino completo.
-…quindi…soffri davvero di gastrite…- deduco, tentando di recuperare punti.
Brian ride nel bicchiere nuovamente pieno e sembra perfino sinceramente divertito, tanto che non mi da neanche troppo fastidio che stia ridendo di me.
-Ma perché accidenti devi sempre dirne una di troppo, Junior?!- sbotta alla fine.- Non ci riesci proprio a fermarti un istante prima di dare fiato alla bocca?- mi chiede.
-Ehm…- bofonchio io a disagio, grattandomi la nuca.- se così fosse…è un grosso problema?- domando.
-Enorme.- risponde lui calmo. Posa il bicchiere, si volta del tutto verso di me ed incrocia le mani davanti a sé, poggiandosi ancora al ripiano con il gomito ed alla coscia con l’altro. Sorride, ma io non so davvero come interpretarlo quel suo dannato sorriso, non è come quelli che ho visto in tour…Brian non è felice, in questo momento.- Tu non devi parlare, Junior. Per questo ci sono io.- mi spiega pacato.- A te non è richiesto né di parlare, né di pensare, nemmeno di respirare se non è il momento idoneo.
-Ma…io credevo che voi realizzaste la vostra musica tutti assieme!- ribatto perplesso.- Lo avete detto in un’intervista…
-Nelle interviste si dice quello che la gente vuole sentirsi dire.- mi rimbrotta gentilmente Brian.- Ed io da te non voglio sentire dire nulla.- ribadisce quindi. Il momento successivo è già in piedi, i soldi delle consumazioni sul bancone e gli occhiali da sole in mano pronti ad essere inforcati.- Buonanotte, Junior.- mi saluta, nuovamente senza guardarmi in faccia.
Io non gli rispondo. Il punto è che mi dimentico di farlo, troppo impegnato a guardarlo andar via dopo aver rimarcato per l’ennesima volta che non mi vuole tra i piedi.
Sono un ingenuo, sospiro voltandomi al bancone, non è che, siccome per dieci minuti mi ha permesso di rimanere seduto accanto a lui, io posso davvero considerarmi accettato. Diciamoci la verità, non sono neppure del tutto sicuro che arriverà un momento in cui potrò considerarmi accettato. Al di là di quello che Stefan ne possa pensare – quel suo “per il futuro preparati a dire la tua” – io penso davvero che Brian mi odi. Non posso dargliene tutti i torti, sono un moccioso al loro confronto, non so nulla di cosa voglia dire fare parte di una band come questa, per me la musica è ancora giocare e divertirsi, fare qualcosa che mi piace…Ma per Brian è lavoro.
Magari dovrei limitarmi a starmene buono e zitto nel mio angolo, fare quello che so fare meglio – pestare sulla batteria – e dirmi che è tutto a posto così. Brian prima o poi tornerà a sorridere davvero, no? Quando succederà ci sarò anche io in mezzo agli altri a cui sorriderà. Pazienza. Per lo meno sarò più vicino di tanti…
-Era quel finocchio dei “Placebo”?
Mi concentro sulla voce che ha parlato. Un ragazzo grosso il doppio di me. Anche più grande, mi pare a colpo d’occhio. Lui ed un amico si appoggiano al bancone con le spalle e continuano a scrutare la porta in fondo al locale con un’aria incattivita e rabbiosa.
-Sì.- sbotta l’altro disgustato.- La mia ragazza spacca le palle da settimane con questa stronzata che quel gruppo di froci sta da queste parti a registrare il disco!
Quello grosso ride.
-Che diavolo ci troveranno le femmine in un tizio del genere?! Posso capire che quando era giovane era una gran bella figa, ma adesso…!- commenta volgarmente.
-Certi coglioni dovrebbero ritirarsi quando cominciano a diventare vecchi.- annuisce l’amico.
-Certi imbecilli dovrebbero accendere il cervello prima di parlare.- dico io.
I due si girano a guardarmi.
…o.k.
Lo so.
Oggi non è decisamente la mia giornata.
 
Il rumore delle chiavi nella toppa e dei catenacci che vengono tirati mi riscuote. Ammetto che mi stavo addormentando. Ammetto anche che a riaprire gli occhi e staccare la schiena dal muro sento dolore un po’ dappertutto. Almeno hanno avuto la gentilezza di mettermi in una cella diversa da quella in cui hanno messo i due bestioni del pub, altrimenti sono quasi certo che si sarebbero assicurati di fratturarmi tutte le ossa che ho ancora intere e di spappolarmi quegli organi che continuano a funzionare nonostante i lividi. Rilascio l’aria con uno sbuffo doloroso, mentre la faccia dell’agente di sorveglianza alle celle fa capolino davanti a me e mi getta un’occhiata pietosa.
-Muoviti, ragazzino.- mi apostrofa brusco.- I tuoi amici hanno pagato la cauzione e sei libero.
-Oh.
Lui scuote la testa davanti alla mia faccia frastornata e torna indietro lasciandomi la porta aperta.
Mi alzo faticosamente in piedi per rendermi conto che sì, sono ancora tutto intero anche se non integro. Così riesco in qualche modo a capitombolare fuori di lì, e poi dietro all’agente per tutto il corridoio; quando passiamo davanti alla cella in cui hanno rinchiuso i miei due nuovi “amici” mi arrivano un paio di epiteti tutt’altro che carini, ma approdo incolume alla seconda porta, dietro cui mi attende la mia salvatrice.
O forse no.
-…avevo chiesto di chiamare Alex…- sono le mie prime parole di saluto.
-E invece ho preso io la telefonata.- ribatte Brian, braccia incrociate sul petto in un atteggiamento molto paterno ma con sulla faccia un’espressione tutt’altro che paterna. Si volta all’agente che mi segue da vicino e domanda educatamente- E’ tutto a posto?
-Sì, può portarselo via.- annuisce quello sbrigativo.- Ma la prossima volta lo tenga al guinzaglio,- rincara in vena di paternale anche lui- ne abbiamo abbastanza di giovani attaccabrighe nella nostra città.
-Ci stiamo lavorando, signor agente.- è l’affermazione pacata e sorridente di Brian.
Quando si volta per uscire non ha nemmeno bisogno di dirmi di seguirlo, io gli corro praticamente dietro e, nonostante i doloretti infiniti che sento un po’ dappertutto, mi metto al passo e raggiungo l’auto che ha posteggiato davanti la stazione di polizia. Brian ci gira attorno per raggiungere il lato guida ed io mi affretto a spalancare lo sportello ed infilarmi al mio posto, allacciando le cinture e mettendomi dritto.
Adesso dovrei ringraziarlo!
Mette in moto.
-Junior, tu sai cos’è uno scandalo?- s’informa mentre la macchina scivola fluida fuori dal parcheggio e nel traffico notturno della città. Faccio per rispondere, ma Brian non se ne accorge perché continua a studiare la strada e riprende da dove si era interrotto.- La parola “scandalo”, per quel che a noi interessa, può assumere principalmente due significati.- inizia a spiegare lentamente, come se stesse parlando con un bambino.- Il primo è positivo: significa attenzione dei mass media su di te. Va bene nella fascia di età compresa tra i 20 ed i 30 anni o, in alternativa e per equivalente, nei primi quattro anni di vita della tua band. Il secondo non è affatto positivo: significa attirare l’attenzione su qualcosa che non è la musica, significa far rivedere le proprie posizioni alla critica perché non può certo approvare un branco di quindicenni fuori target, significa far pensare in giro che non vali un cazzo e che hai bisogno di essere sulla bocca degli altri con qualcosa di diverso dalle canzoni.- Mi guarda. Deglutisco.- Capito?- mi chiede.
Annuisco, rigido sul sedile.
-Alex non sa quello che è successo. È chiaro che lo saprà, perché nessuno di noi due può impedire che succeda, e che quando lo saprà s’incazzerà come una belva e, credimi, Junior, non ti piacerà.- mi dice ancora, freddo e distaccato.- Ma per quel che mi riguarda te lo dico una volta sola e poi basta: io domani ti difenderò davanti ad Alex, perché in quanto membro della band non potrei fare diversamente, ma non tollero e non intendo tollerare per il futuro che il mio batterista si comporti come un moccioso incapace di controllarsi.
-…il tuo batterista…- biascico io recependo solo quello di tutto il discorso.
Ah sì, e il fatto che domani mi difenderà in quanto membro della band.
Mi arriva un’altra occhiata di sufficienza.
-Perché, cosa sei?- m’interroga.
-Ah…beh…io…immagino che sì…- balbetto scuotendo la testa ed evitando di ricambiare il suo sguardo.
Brian sospira profondamente.
-Vorrei che oltre al nome tu avessi pure le palle di Steve!- sbotta ferocemente ingranando una marcia più alta e dando gas.
La macchina fa un balzo in avanti ed io mi ritrovo dolorosamente appiccicato allo schienale del sedile, annaspando per recuperare un minimo di fiato tra le costole contuse.
-Ma che diavolo hanno detto quei due per farti scatenare una rissa?!- ringhia Brian spazientito mentre governa la macchina con scatti irati.
-Eh!- sbotto io inarcando le sopracciglia- Che sei un finocchio!- rispondo.
Brian ride ed io lo guardo, perché per una volta sta ridendo davvero.
E mi sembra di poter tornare indietro di mesi…un anno…
-Facci l’abitudine, Steve.- mi ritorce con un sorriso.
…beh…non sono nemmeno in mezzo ad una folla.
Wow!
“Junior”
MEM 2008
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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