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Autore: iloveryuga    17/04/2016    6 recensioni
Prendete una ragazza povera e con un passato difficile alle spalle, catapultatela a New York e fatela incontrare con l'uomo più ricco e avvenente della città. I due avranno un bizzarro colloquio di lavoro, che farà rendere conto entrambi di quanto siano in realtà vicini e lontani allo stesso tempo...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Fantastico. Davvero fantastico. La giornata era cominciata malissimo per la povera Lila, svegliatasi con venti minuti di ritardo a causa delle ore piccole fatte la sera prima per sistemare le pratiche che non era riuscita ad archiviare a lavoro. Era così assonnata che, per un soffio, non uscì in ciabatte, facendosi ridere dietro da tutto il vicinato. Si vestì di corsa, rischiando di inciampare su un cuscino che aveva buttato a terra la sera prima, causa un piccolo ragno che vi zampettava allegramente sopra. Le facevano davvero schifo gli insetti, probabilmente tanto quanto gli egoisti e i fedifraghi. Infilò i tacchi a fatica, i piedi erano ancora gonfi e dolenti dal giorno prima, ma si sforzò di ignorarli. L’unico pensiero che le martellava in testa dalla sera precedente e che l’aveva tenuta alzata fino a tarda notte erano i soldi che Ryuga le aveva consegnato come stipendio. Non si capacitava di come una simile somma potesse essere così facilmente elargita; in effetti un’ipotesi plausibile le era venuta in mente, ovvero che lui la volesse mettere alla prova, per vedere se fosse stata così onesta da restituirglieli. Trattandosi proprio di lui, un ragionamento così pernicioso non era da escludere, in fondo sembrava facesse di tutto per metterla in difficoltà, era palese. Per verità, Lila era convinta che lui attuasse questo sistema con tutte, essendo un uomo tanto raffinato quanto rigido, perciò non se ne crucciava, ma pensava solo ed esclusivamente a compiacerlo il più possibile. 

Sospirò mentre si abbottonava la giacca di seta finissima che lui, gentilmente, le aveva regalato il giorno prima, assieme al tailleur e alle scarpe. Poco prima di infilare la porta, si ricordò di avere alcuni spiccioli nella borsetta, che le sarebbero serviti per prendere un santissimo caffè, senza il quale, probabilmente, non sarebbe riuscita ad affrontare l’ennesima sfibrante giornata di lavoro. Allora era di questo che parlava sua madre quando si lamentava della monotonia di essere un dipendente? Lila credeva di cominciare a comprendere le sue parole… Sopratutto se il tuo capo  era Ryuga.

Comunque, quella della caffeina era un’ottima idea. Mentre scendeva le scale frugò nella borsetta, alla spasmodica ricerca di un dollaro e qualche cents, trovandoli solo nella tasca. Fece una corsa assurda per arrivare al bar e ordinare rimanendo in tabella di marcia:”Un caffè, grazie Patrick” Il proprietario di quella piccola caffetteria era un vecchio amico di famiglia, e Lila andava spesso lì per scroccare qualcosa da mangiare; dal canto suo, Patrick, il panciuto e barbuto proprietario, era felice di poterla aiutare:”Certo, ma… Si può sapere dove stai andando? Devi per caso incontrare il presidente? Non è che me lo presenteresti?” Scherzò, mentre preparava la bevanda, Lila ridacchiò:”Che tu ci creda o no, ho trovato un lavoro come segretaria” Rispose lei, mentre si sedeva sullo sgabello davanti al bancone, poggiando la testa sulla mano. Patrick le servì il caffè:”Ehi, felice per te, piccola! Chi è il tuo capo?” Lei, a questa domanda, si morse il labbro e giocherellò con il manico della tazzina:”Beh… Che ne diresti se… Lui fosse Ryuga Kishatu?” L’omone lasciò cadere il bicchiere che stava pulendo con uno straccio, frantumandolo al suolo, assieme alla sua mascella:”Che… Non è uno scherzo, vero?” Scosse la testa:”No, no, tutto reale al cento percento” Il baffuto proprietario era sconcertato e, in minima parte, preoccupato:”Un giorno mi racconterai come ti sei cacciata in un tale pasticcio” A proposito di pasticcio! Lila era in un ritardo mostruoso, Ryuga l’avrebbe di sicuro cacciata se lei fosse entrata in ufficio anche solo alle otto e cinque. Nel tentativo affrettato di finire il caffè velocemente, si ustionò la lingua per quanto era bollente e, in un gesto istintivo, mollò la presa, facendo rimbalzare la tazzina sul piattino. Questo rinculo produsse uno schizzo, che andò a riversarsi direttamente sulla giacca di Lila, creando una quantomeno imbarazzante e mastodontica macchia marrone. La ragazza, vedendola, inspirò di colpo ma, non avendo il tempo materiale per rimediare a quello scempio, cercò di pulirsi con un tovagliolo, aggravando soltanto la situazione. Buttò un fugace sguardo all’orologio: le otto meno venti. Aveva il tempo contato, se guardava alle sue spalle avrebbe perfino potuto vederlo correrle dietro come un forsennato. Si alzò piagnucolando, e mise la borsetta in spalla:”Devo andare, Patrick, grazie ancora per il caffè” Disse, già col fiatone, posandogli i soldi sul bancone. Patrick, che aveva osservato tutta la scena ma che non ebbe tempo di commentare, le urlò dietro mentre lei usciva:”Aspetta, piccola, non vuoi pulirti?” Troppo tardi, lei era già lanciata in strada a tutta birra. Con quei tacchi era decisamente un azzardo correre così, ma non aveva scelta, se voleva avere speranza di arrivare in orario. Di sicuro Ryuga l’avrebbe scuoiata e poi bruciata per aver sporcato la divisa, ma sempre meglio avere la giacca macchiata che arrivare in ritardo, dato che avrebbe potuto levarsela con la scusa di avere caldo. Per fortuna trovò tutti i semafori rossi per le automobili, così poté attraversare senza impicci, un momento di grazia in quella giornata cominciata in modo pessimo. 

La cosa spiacevole, in verità, fu che nell’arco di solo due giorni si era fatta vedere dai buttafuori ansante e madida di sudore, tanto che questi ormai non ci facevano più caso, e anzi, si lasciavano sfuggire un sorrisetto quando lei arrivava, piegata su sè stessa, davanti a loro. Questa volta, però, dato che cominciava ad abituarcisi, Lila si ricompose quasi subito, ed entrò in ufficio. Come sempre, i dipendenti si girarono al suo passaggio, ma non per scherno, quanto per… Sorpresa e, nel caso dei maschi, apprezzamento; giunsero anche dei fischi da alcuni angoli del lungo corridoio. Purtroppo, però, la diciottenne era troppo timida per credere che fossero rivolti a lei, e li ignorò, proseguendo fino all’ascensore. Premette il pulsante per salire all’attico e si morse il labbro, cominciando a riflettere su una scusa possibile nel caso in cui lui le avesse chiesto conto del disastro che, praticamente, urlava:”Guardami!” Dalla sua giacca di sartoria. Chissà quanto gli doveva essere costata! Ecco che i sensi di colpa iniziarono ad assalire la povera ragazza, già abbastanza mortificata.

Mentre l’ascensore portava a termine la sua corsa, Lila iniziò a sentirsi il cuore martellarle nel petto e il fiato corto, cosa che le accadeva spesso quando si accingeva a dare una brutta… Pessima notizia. Ecco che le porte si aprivano, chiuse gli occhi, pregando Dio per l’ultima volta. Mise un piede fuori e, tutto d’un fiato, disse:”Signore, mi perdoni infinitamente per la giacca, è stato un incidente!” Non udendo alcuna risposta, aprì gli occhi. Lo spettacolo che le si parò davanti fu peggiore di qualunque patacca avrebbe mai potuto farsi. 

Ryuga e Abigail stavano… Limonando, sì, non c’è altra espressione per definire il loro atto. Si scambiavano effusioni, si baciavano sul collo, slinguazzavano… Inutile dire che la mascella della diciottenne era diventata un tutt’uno con la moquette. Non sapeva perché, ma la cosa non la infastidiva… Semplicemente la faceva imbestialire! Come aveva osato quel… Quel… Non sapeva neppure come definirlo. Maschilista, egocentrico, schifoso… Ehi, un momento. Lila si trovò a riflettere sul fatto che non avesse alcun motivo per dare così in escandescenze. In fondo, Ryuga non era suo amico, né un suo parente, tantomeno il suo ragazzo! Aveva il diritto di limonarsi e farsi qualunque ragazza attirasse la sua attenzione. Ma allora, perché se li vedeva così, le saliva il sangue alla testa? Forse perché Miss Assorbenti era seduta sulla sua scrivania, o forse perché quello non era certo il luogo per scambiarsi simili effusioni… No, no, non aveva a che fare con nessuna di queste due ipotesi. Per quanto non volesse riconoscerlo, Lila era dannatamente, irrimediabilmente, terribilmente gelosa. 

Esatto. Gelosa. Ma di cosa? Lei e Ryuga non avevano alcun tipo di rapporto, non intrattenevano nessuna relazione interpersonale. Eppure lei si stava rodendo il fegato. Non poteva credere che una simile sciacquetta fosse il tipo di un uomo così… Così… Apprezzabile, colto, raffinato. Ma, stando così le cose, era possibile che lei si fosse totalmente sbagliata sul conto di lui; davvero, un gesto del genere, di una tale volgarità, se lo sarebbe aspettato da tutti, ma certo non da Ryuga Kishatu. 

Era pietrificata, gelata, ghiacciata sul posto. Solo una cosa si muoveva, le lacrime che cominciavano a fare capolino dai suoi occhi. La cosa peggiore, era che Ryuga l’aveva osservata per tutto il tempo. Aveva studiato ogni suo singolo gesto, mossa, espressione facciale. Ce l’aveva fatta, l’aveva spezzata, le aveva distrutto quell’entusiasmo così fastidiosamente pungente. Del resto, si sapeva, lui era sempre stato un asso per quanto concerneva le persone; le capiva, le studiava, le scrutava fin nel profondo e, quando ormai aveva fatto credere loro di essere un amico, un confidente, una spalla su cui appoggiarsi nelle difficoltà, le lacerava nel profondo, lasciando in essi una cicatrice permanente, ardua da dimenticare e impossibile da cancellare. E loro mollavano. L’avevano sempre fatto. Cedevano, affrante, devastate, impossibilitate a continuare; su questo aveva costruito il proprio impero, sul fallimento degli altri, sulle loro debolezze. Questa era sempre stata la sua filosofia di vita: prendi i punti morti delle persone, e trasformali nella tua forza. 

Era diventato invincibile, la sua armatura di acciaio brillava fiera attraverso il ghigno beffardo che, con tanta alterigia, lui ostentava. E quel momento non faceva attenzione.Aveva notato che la diciottenne vedeva in lui una sorta di pigmalione, un dio greco, un pilastro solido sul quale appoggiarsi in una vita di incertezze e stenti; lo credeva un puritano, una persona di principi, uno di quegli uomini che non cedono a lussuria e ingordigia; fece leva proprio su questo, puntò al centro, vaporizzando quel ritratto sì tanto perfetto che lei si era dipinta, e si mostrò per ciò che era  davvero: uno stronzo, egoista e meschino opportunista, che faceva di tutto per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato. Si staccò da Abigail, gli aveva fatto schifo limonare con lei, ma era per una causa più che giusta. Fissò Lila, fingendosi… Mortificato? E, con voce melliflua, cantilenò:”Dalila, sono desolato, non pensavo sarebbe arrivata in orario…” Osservò a lungo la sua reazione, ma non riuscì a carpire alcun dettaglio, dato che lei non muoveva un muscolo. 

Plick. Sordo, freddo, distante dalla dimensione reale delle cose. Quella lacrima così ricolma di dolore, frustrazione e disgusto echeggiò per minuti nell’ambiente circostante. Probabilmente Lila non si era nemmeno accorta di essersela lasciata sfuggire proprio davanti a lui. Per attimi lunghi come anni nulla si mosse, fatta eccezione per l’espressione di Ryuga, che mutò da sorniona a stupefatta. Cosa… Perché una sola singola lacrima lo stava così schiacciando nel profondo? Si sentiva il petto stretto in una morsa di ferro, a stento riusciva a respirare. Non era la prima volta che distruggeva i sentimenti di una persona, ma allora perché con lei, dopo aver visto quella perla salata sgorgare giù da quegli occhi così puri ed innocenti, si sentiva una merda per averlo fatto? Nel suo cuore non vi era fierezza, né spavalderia, né orgoglio, ma solo una grande, incolmabile tristezza. Si stava rendendo conto solo in quel momento della gravità del suo gesto. E lei, finalmente, avrebbe mollato. Credeva che si sarebbe liberato di un peso, pensava… Di poterla cacciare fuori dal cuore a pedate, invece l’aveva soltanto fatta affondare, e con lei tutta la barca. 

 

Sbatté le palpebre un paio di volte, tentando di razionalizzare quanto stava accadendo attorno a lui, e cercando di trovare parole adatte a… Scusarsi? Ma con che faccia avrebbe potuto chiedere perdono? Per una cosa che, per altro, fino a poco prima lui non considerava nemmeno spregevole.  Alzò di nuovo lo sguardo, sentendosi un verme:”Lila, io…” Anche lei si riscosse, sentendo di nuovo la sua voce cambiare colore, dallo sprezzante al desolato. Cosa avrebbe potuto… Dovuto rispondergli? Non c’era nulla da aggiungere al teatrino al quale aveva appena assistito. Non voleva  più vedere lui, né Abigail, né quel dannato posto. Non tanto perché lui se la fosse sbattuta, quello… Purtroppo, era nelle sue facoltà. La cosa che l’aveva distrutta era la frase che lui aveva pronunciato quando l’aveva vista sulla soglia, come se, di lei, non gli importasse né gli fosse mai importato qualcosa. 

Ecco che si era illusa di nuovo. Quando le aveva intimato:”Mangi qualcosa, le farà bene” Lei aveva creduto che lui se la fosse presa a cuore, che… Per una volta nella sua vita, avesse incontrato qualcuno che avrebbe potuto prendersi cura di lei, che avrebbe potuto aiutarla e addirittura tirarla fuori dalla sua situazione. Stronzate. Per l’ennesima volta, qualcuno si era tranquillamente preso gioco di lei. L’aveva elevata ad un piano superiore, l’aveva fatta sentire voluta e desiderata, perfino indispensabile. E ancora, dopo diciotto anni, qualcuno era riuscito a frantumare quella piccola parte del suo essere che ancora credeva nel prossimo. Lo sprezzo con il quale l’aveva presa in giro, dicendole:”Sono desolato” Le aveva spezzato il cuore.

Dopo un lungo istante, chinò il capo, per evitare che lui vedesse altre lacrime colare copiose sulle sue guance:”Scusi, devo andare…” Detto questo, fece dietrofront e rientrò nell’ascensore, increscioso testimone della tragedia testa consumatasi in quell’atrio così bigio. Ryuga allungò una mano, come per trattenerla dall’inevitabile, ma fu inutile. Fissò per diversi minuti le porte ormai chiuse, senza emettere un suono, imprigionandosi con le sue stesse mani in un silenzio religioso, che fu puntualmente spezzato dal perfido commento di Abigail, che si stava tranquillamente rifacendo il trucco davanti ad uno specchietto portatile:”Che le sarà mai preso, mah, vai a capirle queste provinciali” 

I pugni di Ryuga si serrarono in una morsa, così potente che dal suo palmo cominciarono sgorgare piccole goccioline del sangue, simbolica epistassi del suo cuore:”Vada a farsi fottere!” Le ringhiò in faccia, gettandole addosso la pila di fogli sistemata sulla scrivania di Lila. Poi si avviò con ampie falcate verso l’ufficio e, una volta dentro, sbatté con forza la porta. In tutto questo, Abigail scrollò le spalle, soddisfatta di aver ottenuto ciò che da mesi bramava, ovvero un po’ di attenzioni di stampo erotico da parte del suo avvenente capo. In quel momento, sembrava l’unica serena.

 

Lila osservava con sguardo vitreo il fondo del bicchierino di caffè, ormai vuoto da dieci minuti. Era il terzo che beveva, escluso quello preparatole da Patrick. Aveva finito le lacrime ormai da un pezzo, e sentiva la gola terribilmente secca. Per la prima volta da quando era arrivata lì, si ritrovò a  pensare che Ryuga avesse escogitato tutto quel putiferio per vederla piegata ai suoi piedi, per avere la soddisfazione di osservarla mentre andava via, mentre mollava. In effetti, si era verificato esattamente ciò che lui aveva previsto, probabilmente aveva perfino goduto nel vederla piangere; ancora non si era perdonata quella lacrima, sfuggita al suo controllo, un po’ come la sua vita. 

Cosa le diceva sempre Julie in quelle situazioni? “Cerca sempre il rovescio della medaglia, non tutto è come sembra”, beh, lì c’era ben poco da fraintendere. Sospirò per la centesima volta, e giocherellò col cucchiaino di plastica nel bicchiere. Chissà quanto doveva fare schifo la sua faccia in quel momento. Gettò la testa all’indietro, ponendosi la fatidica domanda: che fare? Una cosa era certa: lei, per quanto il pensiero la nauseasse, aveva disperatamente bisogno di quel lavoro… Con tutto il trambusto di poco prima, si era totalmente dimenticata di chiedere delucidazioni sul suo esagerato stipendio… Un momento. Se lui la odiava al punto da cacciarla via con uno stratagemma così subdolo, perché retribuire così generosamente il suo lavoro? Avrebbe potuto pagarla una miseria, cosa che l’avrebbe di certo invogliata ad abbandonare. Oltre che stronzo, era dannatamente incoerente… O forse, dentro di lui, si alternavano due Ryuga, uno che voleva averla accanto e che sperava lei rimanesse, e un altro che invece voleva liberarsene a tutti i costi. Sia l’uno, che l’altro, avevano le loro buone ragioni che, per quanto si sforzasse, Lila non riusciva proprio a comprendere, dato che si conoscevano solo da pochi giorni. In ogni caso, questa risultava l’ipotesi più plausibile a giustificare due atteggiamenti così contrastanti.

La diciottenne si alzò, in preda ad una confusione totale: stando così le cose, come avrebbe dovuto comportarsi? Sospirò, ripensando di nuovo al fatto che, per vivere, aveva bisogno di lavorare e, finora, l’unica occasione che le si era presentata per riscattarsi era stata proprio… Ryuga. Che anche lui cercasse qualcosa di simile alla rivalsa? Che allontanasse le persone per non dover intrattenere con esse una relazione e, di conseguenza, non dover sbagliare né essere accusato di aver sbagliato? Se era vera la sua tesi, allora lei non aveva la benché minima intenzione di dar soddisfazione ad un Ryuga così stupido e… Fragile. No, doveva restare, anche solo per verificare di non essere in errore, lei aveva il dovere di rimanere.

Sapeva già che il suo capo l’avrebbe fatta soffrire, l’avrebbe atterrita e perfino maltrattata. Forse si sbagliava a vedere del buono in lui, forse avrebbe dovuto semplicemente andarsene e dimenticare quella brutta parentesi, ricominciare di nuovo da capo. No, non stavolta, si disse. Non finché non fosse stata matematicamente certa che lui fosse totalmente marcio. Decise di ascoltare il cuore, come le consigliava sempre Julie fin da quando erano bambine. Non poteva lasciare nulla di intentato, lei sarebbe stata la sua segretaria, e l’avrebbe aiutato a rinascere, a qualunque costo. 

Sorrise e si portò una mano al cuore, scalpitava di nuovo nel suo petto. Lanciando una cima di salvataggio a lui, sarebbe guarita anche lei, e questo pensiero rimosse dalla sua mente qualunque incertezza vagasse ancora libera. Sarebbe tornata da lui, e l’avrebbe fatto col sorriso, perché lei era la sua segretaria, e le segretarie sono sempre compiacenti con il loro capo.

 

Aveva la testa poggiata sulla scrivania. Non parlava, non si muoveva, non emetteva un suono. Ci era riuscito. Aveva appena mandato via l’unica persona che avesse mai attirato la sua attenzione, perché? Proprio per questo. Finora, era riuscito ad allontanare tutte le possibili fonti di distrazione senza alcun problema; ma ora, il peso che gravava sulla sua coscienza era così opprimente da togliergli il respiro. Emise un sospiro, e allungò la mano per accendere la radio. Alla stazione corrente davano Let Her Go, di Passenger. Spense subito, ora perfino la musica gli stava ricordando quale stupido gesto avesse compiuto. Battè un pugno sulla scrivania, facendola tremare e facendo cascare la penna che usava di consueto per compilare la burocrazia. 

D’un tratto, come un balsamo per le orecchie, giunse un bussare da fuori. Ryuga, che non aveva voglia di vedere nessuno, rispose:”Non ho voglia di vedere nessuno” Un momento… Dei suoi dipendenti, ce n’era solo uno che bussava tre volte invece che una. Alzò la testa, con gli occhi sbarrati, e da fuori giunse un:”Nemmeno la sua segretaria personale?” L’albino provò un turbinio di emozioni tutte insieme, e bofonchiò un:”Lila…?” Si alzò di colpo dalla poltrona in pelle, inciampando e rischiando di cadere, bestemmiando sotto voce, e si parò davanti alla porta. Prima di aprire, tuttavia, si pettinò adeguatamente i capelli all’indietro e si schiarì la gola, si aggiustò la giacca e, infine, tirò la porta verso di sé. La guardò con un sopracciglio alzato, mentre lei gli sorrideva compiacente. Se qualcuno li avesse fotografati in quel momento, sarebbero risultati spassosi agli occhi di chiunque:”Salve capo, le ho portato i documenti che non ho fatto in tempo a sottoscrivere ieri. Li controlli” Glieli passò Senza mutare espressione del viso.

Ryuga li prese, fissandola sospettoso, come se non capisse perché lei fosse ancora lì, e credendo fosse un trucco per avere qualcosa in cambio. Diede una rapida controllata a tutti i fogli, poi sentenziò:”Sì… Vanno bene” Lila ci rimase male, e fece il labbruccio:”Sicuro? A me sembrava che qualche firma non andasse bene” L’albino aggrottò la fronte, le si avvicinò e la fissò con due occhi enormi, sbattendo le palpebre diverse volte. 

Solo dopo che lei ebbe allargato il sorriso lui comprese il suo gioco. Fece finta di ricontrollarli, poi assunse l’aria più boriosa e schifata che riuscisse a dissimulare:”In effetti è un lavoro misero, mi aspettavo molto di più” La guardò di sottecchi e sorrise complice, lei si rianimò:”Davvero?! Ha ragione, mi metto subito all’opera per fare di meglio!” Trotterellò verso la sua scrivania, lasciando il trentacinquenne a fissarla con un’espressione a metà fra lo sconcertato e l’euforico. Poi scosse la testa, e tornò a sedersi al suo posto di comando. Riaccese la radio mentre piegava nuovamente la testa sulla pila di fogli, e partì la canzone Royals di Lorde. Lentamente, Ryuga alzò il collo, fissando la scatolina, per poi asserire:”Che, mi spii per caso?” Sospirò:”Come mi sono ridotto, a parlare con le radio!” Alzò gli occhi al cielo, e riprese a fare ciò che faceva di consueto, mentre il piede batteva a ritmo delle parole:”E noi non saremo mai reali, non scorre nel nostro sangue, quel genere di lusso non fa per noi”

 

Alla fine della giornata, quando il cielo ormai imbruniva, Lila si stiracchiò, felice di aver portato a compimento una mole di lavoro discreta. Era tornato tutto come alle origini, né più né meno. E questo, in fondo, era ciò che entrambi volevano, continuare così, fingendo di detestarsi e di non aver affatto bisogno l’uno dell’altra, anche se sapevano perfettamente di mentire. 

Sorrise mentre riordinava l’agenda degli appuntamenti di Ryuga, spuntando quelli confermati con una vi, cerchiando quelli in forse e sbarrando quelli cancellati. In quel momento, il trentacinquenne uscì dall’ufficio, passandosi una mano nei capelli. La guardò da sotto le folte sopracciglia con occhi scrutatori:”Ha terminato?” Le domandò incrociando le braccia; Lila ricambiò lo sguardo, annuendo, senza mai smettere di sorridere:”Tutto quanto. Posso andare?” L’albino annuì e le posò davanti la busta contenente lo stipendio. Ecco cosa aveva scordato! Approfittò subito per chiedere lumi:”Signore, scusi se mi permetto, ma… Questi soldi non sono un po’ troppi? Insomma… Praticamente mi sta pagando a peso d’oro” Disse, andando in diminuendo con la voce quando il suo sguardo si fece severo, e diventando più piccola di un topolino quando lui parlò con la sua voce imperiosa:”La smetta di sottovalutarsi, è una cosa che non tollero. In più, questo è lo stipendio minimo di tutti i miei dipendenti” Si addolcì leggermente:”Lo accetti e non faccia storie” Sentendolo più dolce, Lila sentì le gote imporporarsi e annuì leggermente, mormorando un timido:”Grazie…” 

La aiutò ad infilare la giacca e aggrottò le sopracciglia quando vide l’imbarazzante quanto mastodontica macchia di caffè spiccare sul grigio topo:”E quella?” Fece, indicando la pozza marrone vicina all’allacciatura. Lila si schiarì la voce:”La frase di scuse che ho pronunciato stamattina, che lei non ha minimamente ascoltato perché occupato a limonare con Miss Ass… Abigail, le chiedeva umilmente perdono per questo” Tirò la giacca con un gesto di stizza, ostentando una rabbia che, in realtà, era sfumata già da tempo. Lui sbuffò:”Dovrà rinfacciarmelo per tutta la vita?” Rispose esasperato, mentre la accompagnava all’ascensore. Lei entrò e si girò per guardarlo:”Mmmh… Non per tutta la vita. Diciamo per i prossimi… Due mesi?”

“Un mese e mezzo” Lei aggrottò la fronte:”Tre mesi”

“Un mese, prendere o lasciare” Lila sospirò:”Affare fatto. E’ abile a concludere una trattativa” Ryuga sorrise:”E’ il mio lavoro” Lei ricambiò il sorriso, e fece per premere il pulsante recante il piano terra, ma lui la fermò prima che potesse farlo:”Lila?” 

Lei si voltò nuovamente verso di lui:”Sì?” Con un tono che risultava più una domanda che un’affermazione, le disse:”La aspetto domani alle otto in punto” Notando la sua incertezza, la diciottenne si affettò subito a fugare i suoi dubbi. Lo guardò con convinzione:”Otto in punto, niente ritardi, lei non li tollera” Gli fece un occhiolino che lo rassicurò più di mille parole, facendogli increspare all’insù gli angoli della bocca:”Allora a domani, per l’ennesima volta, mangi” Sbuffò, fingendosi scocciata:”Sì, sì. Non si preoccupi” Ma lui fu certo di vederla sorridere, quando le porte dell’ascensore si chiusero. Quella fu, di certo, la giornata più strana e problematica che lui avesse mai vissuto ma, nel contempo, gli aveva aperto gli occhi su tante cose… Li avrebbe tenuti aperti, o sarebbe tornato nuovamente nel suo limbo?

   
 
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