Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TheSlavicShadow    19/04/2016    0 recensioni
Missing moments e side stories degli altri protagonisti di "Three Days"
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Three Days'
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There's no telling what I would do
Waking up to a world without you

If you promise me you'll stay in my vicinity
Then I'll be that person I swore I would be

Please listen to my slack-jawed glossy eyed ramblings
Although my words lost value
I think that now while it's down I suggest investing
You know I know you like no one else does
Jellybean be my queen bee we can start our own colony

 

The Spill Canvas - My Vicinity



Jean Kirschtein compiva spesso azioni di cui poi si pentiva più o meno amaramente. A volte era a causa di qualche capo di abbigliamento, comprato nell'enfasi del momento e per il quale poi si era reso conto di aver speso troppi soldi. Oppure quella di sposarsi solo perché si riteneva una persona responsabile e voleva essere un padre presente nella vita del bambino che sarebbe nato. Si era pentito di essersi sposato, non di essere diventato padre. Quella di aver ottenuto la custodia di Marie era una delle poche cose di cui andava davvero orgoglioso.

Per il resto la sua vita era costellata di scelte molto sbagliate. Spesso fatte mentre si trovava sotto gli effetti dell'alcol. Notti passate tra le braccia di persone di cui neppure ricordava il nome. Solo perché a volte si sentiva triste e solo. Perché molti anni prima aveva lasciato andare per sempre la persona che amava veramente.

Era bravo a fare scelte sbagliate al momento sbagliato. Litigare con Marco per un motivo giusto nel momento sbagliato. Andarsene per sempre. Senza dare a Marco la possibilità di spiegarsi. Senza ascoltare le sue spiegazioni. Senza accettare le sue motivazioni.

Marco era un pensiero fisso che negli ultimi dieci anni non lo aveva mai abbandonato. Anche se tutte le cose che gli ricordavano il moro erano sparite dalla sua vista; rinchiuse in scatole poi messe al sicuro in soffitta. Fin troppo spesso gli tornava alla mente il ragazzo con cui aveva trascorso la propria adolescenza. Il ragazzo a cui aveva dato tutte le proprie prime esperienze. Marco era la sua prima cotta omosessuale. Era stato il suo primo bacio in assoluto. Era stato la sua prima volta. E sia in campo sessuale che sentimentale era stato la sua prima volta in tutto.

Nel momento in cui era uscito dalla casa di Marco, nel momento in cui aveva troncato quella storia, era stato sicuro che non avrebbe mai più rivisto il moro. Avevano ambizioni diverse e i loro mondi erano lontani anni luce. Per vivendo nella stessa città, non si erano mai più incontrati. Per dieci lunghissimi anni le loro strade non si erano mai incrociate. Che fossero a Parigi o a Londra, dove poi aveva saputo si fosse trasferito Marco, le loro strade scorrevano forse parallele, senza mai neppure sfiorarsi.

Mai fino a quel giorno in cui Connie Springer lo aveva costretto ad uscire con lui e la sua compagnia di amici. Il mondo era un luogo vasto e le probabilità che fosse così minuscolo erano poche.

Eppure Marco era lì, di fronte a lui dopo tutti quei anni. E il suo stupido cuore aveva perso qualche battito e si era sentito di nuovo un ragazzino. Di nuovo innamorato perdutamente. E sapeva che qualche mossa falsa l'avrebbe fatta, perché si conosceva, perché non riusciva a ragionare lucidamente.

Perché quante probabilità c'erano che Connie fosse un'amicizia comune in una città così grande?

E lui sapeva di essere perduto nel momento stesso in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli di Marco.

 

***
Aveva abbandonato l'appartamento di Marco in fretta e furia, nemmeno avesse il diavolo alle calcagna. Quello era un errore che non sarebbe riuscito a perdonarsi. Un passo così falso che voleva urlare, piangere, nascondersi da qualche parte per il resto della sua inutile vita.

Marco era fidanzato.

Marco stava per sposarsi.

Marco lo aveva amato con la stessa passione di un tempo.

E lui sapeva bene che il suo corpo era stato marchiato in più punti. Ricordava ancora dove le labbra di Marco avevano indugiato un po' troppo e sapeva bene che i segni sarebbero stati visibili per giorni. E sapeva bene che quella notte non sarebbe riuscito a cancellarla facilmente dalla sua memoria. Sarebbe rimasta lì, fissa come un faro nella notte per ricordargli quanto completo si sentisse tra le braccia dell'altro. Sarebbe stata un monito per la sua idiozia e per la speranza che in lui non era mai morta. Perché era uno sciocco. Uno stupido romantico che aveva sempre sperato che un giorno Marco sarebbe ritornato. Che un giorno sarebbe rimasto con lui. Che tutta quella passione non sarebbe andata perduta, ma sarebbe sempre rimasta con loro, in loro, tra di loro.

Si era asciugato gli occhi con il dorso della mano. Quasi non si era reso conto di star di nuovo piangendo. Solo che non si era mai immaginato di dire addio alla stessa persona due volte. Non allo stesso modo. Non per quasi lo stesso motivo.

Non riusciva a fermare le lacrime. Ci stava provando. Stava cercando di pensare a qualsiasi cosa o persona che non fosse Marco, ma la sua mente non glielo permetteva. La sua mente continuava a ricordargli i momenti felici che avevano passato insieme da ragazzi. I viaggi che avevano fatto. Addirittura i film che avevano guardato insieme. Le interminabili partite di calcio a cui si univa anche la sorella del moro. I momenti passati da soli. Nell'intimità delle loro stanze. Luoghi in cui si sentivano sicuri. Luoghi in cui si erano baciati fino a rimanere senza fiato. Luoghi in cui avevano fatto l'amore per ore.

Jean non aveva mai più amato nessuno con la stessa intensità. E ora ai suoi polmoni mancava di nuovo l'aria, e il suo cuore faceva male. Era di nuovo ridotto in pezzetti minuscoli e sapeva che doveva muoversi. Che rimanere all'ingresso del palazzo non era la cosa più intelligente da fare.
Ma le sue gambe avevano dimenticato come si camminava. Gli unici muscoli che ancora sapevano muoversi erano le sue dita che freneticamente passavano tra i suoi capelli.

Doveva calmarsi.

Ci era già passato.

Doveva solo ricordarsi come funzionare di nuovo.

Respirare.

Muovere le gambe.

Scappare da quel posto.

“Jean?”

Di scatto aveva voltato il viso verso la nuova voce. Una voce che non aveva subito riconosciuto. Velocemente aveva asciugato le lacrime.

Patetico. Era patetico. Farsi trovare in quello stato dal testimone di nozze. Farsi trovare dal testimone di nozze dello sposo.

Aveva notato l'altro uomo sospirare e passarsi una mano sugli occhi, mormorando qualcosa molto simile a “quel coglione” prima che si rivolgesse a lui. “Ti va se andiamo a prendere un caffè? Immagino tu non abbia fatto colazione.”

Aveva scosso la testa. Non voleva stare con quell'uomo. “No, non serve. Torno da Connie. E credo tu sia qui per Marco.”

“Si, o almeno lo ero. In questo momento però non voglio vederlo.” Aveva sospirato di nuovo, muovendo qualche passo verso di lui. “Jean, voglio solo scambiare due parole con te. Anche perché mi sembra fin troppo chiaro cosa sia successo stanotte dopo che avete lasciato la festa.”

“Non dovevo neppure venire a quella maledetta festa. Non dovevo neppure accettare l'invito di Connie l'altra sera. Maledizione.” Aveva premuto i palmi delle mani contro i propri occhi, maledicendo sé stesso e tutto il Creato per la propria stupidità.

“Sei tu, non è vero? Il grande amore di Marco. Quello che gli ha distrutto il cuore.”

Jean era rimasto inebetito a guardare l'uomo che gli stava di fronte e scuoteva la testa prima di sorridergli un po'.

 

***
Prima che se ne rendesse conto era seduto in un caffè assieme al biondo. Si sentiva improvvisamente piccolo piccolo. Come se fosse stato messo sotto giudizio, o in una punizione.

Davanti a lui c'era un'enorme tazza di caffè, ma lui non aveva il coraggio di prenderla in mano. Non aveva neppure il coraggio di alzare lo sguardo e affrontare l'uomo che gli sedeva di fronte.

“Sai, mi sono sempre chiesto che tipo di donna fosse quella che gli aveva spezzato il cuore a quel modo. E ora scopro che sei un maschio.”

“Non avevo intenzione di rientrare nella sua vita. Te lo giuro.”

Aveva finalmente alzato lo sguardo su Armin, che lo guardava serio e allo stesso tempo comprensivo.

“Non è a me che devi delle scuse, ma alla sua fidanzata.”

Aveva deglutito, mordendosi un labbro, e Armin aveva solo sospirato, portandosi la tazza con il tè alle labbra.

“Quando l'ho conosciuto non capivo perché questo ragazzo sembrasse sempre così chiuso in sé stesso. Non capivo neppure perché non uscisse mai con nessuno, seppur facesse colpo su entrambi i sessi. Ed infine si è messo con Annie, cosa che mi ha stupito. Anche perché prima di mettersi con lei parlava sempre di questo fantomatico amore che aveva lasciato a Parigi. Gli hai spezzato il cuore in modo irreparabile, temo.”

“Io a lui?” Jean aveva fatto una smorfia, mentre dalle sue labbra usciva una risata acida. “E questo che ti ha raccontato? Non ti ha detto dei sei anni di bugie? Di come io ero soltanto Jean, il suo migliore amico, non la persona che si scopava quando eravamo da soli? Io avrei spezzato il cuore a lui?”

“Questo è solo quello che lui mi ha raccontato. Che tu lo avevi lasciato e non vi eravate mai più visti.”

“Io gli avevo chiesto di andare a vivere assieme. Gli avevo chiesto se potevamo finalmente fare questo passo, insieme. Vivere finalmente tutto alla luce del sole. E lui sai cosa mi ha detto? Che non sarebbe mai uscito allo scoperto. Che non avrebbe mai detto ai suoi genitori o ai suoi amici che stava con me. Perché essere gay gli avrebbe chiuso tante porte in faccia e che quella non era la vita che aveva immaginato. Io invece ci credevo in quelle cazzate che gli dicevo. Che lo amavo. Che volevo sposarlo e passare la mia vita con lui. Ci credevo davvero in tutte quelle stronzate che si sono dimostrate essere solo le mie illusioni.”

Armin aveva sospirato, poggiando la tazza sul tavolo e guardandolo. “Jean, lui sta per sposarsi. Posso capire cosa provi, perché se solo potessi fermerei subito queste nozze. Ma lui ha scelto così. E mi dispiace davvero, perché se quello che mi hai raccontato è vero, allora sono stato ingannato anch'io. Lui non ha mai fatto capire a nessuno di poter essere gay, bisessuale o quello che vuole. Noi abbiamo sempre conosciuto il Marco etero e perfetto, fino a ieri sera. Tutti ci siamo accorti che qualcosa era successo. Chi vi ha visti mentre vi baciavate, chi ha solo fatto allusioni sulle ultime notti da single di Marco e il fatto che dovesse fare quante più esperienze possibili prima di sposarsi.”

Si era di nuovo morso il labbro con forza. A causa sua tutta la bella sceneggiata del moro era saltata. Solo a causa sua che non era riuscito a trattenersi e lo aveva cercato, che aveva voluto vederlo.

“Non so cosa deciderà di fare alla fine. Con molta probabilità continuerà su questo percorso e sarebbe meglio per entrambi se tu non venissi stasera e non lo cercassi più.” Armin si era alzato ed aveva sospirato. “Mi dispiace esserci conosciuti in queste circostanze. Spero che quando ci rivedremo le cose siano diverse.”

Jean aveva annuito mentre il biondo di alzava e usciva dal locale. Sarebbe tornato subito a Parigi. Sarebbe solo passato da Connie per recuperare le proprie cose, sperando di non dovergli dare troppo spiegazioni, e sarebbe subito partito per tornare a casa. Il luogo in cui aveva costruito il proprio futuro, senza Marco. E dove avrebbe continuato a vivere senza Marco.

 
   
 
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