- Grazie. - risposi, sedendomi a capotavola tra i due fratelli.
- Perché mi fissi? - chiese improvvisamente l’uomo inchiodandomi con i suoi occhi chiari.
- Scusa… non volevo… - mi giustificai imbarazzata.
- Ti do un consiglio, non stare a fissare la gente qui dentro o non arriverai a fine giornata.
- E’… un ottimo consiglio… grazie.
Scofield mi allungò il suo panino ancora sigillato nella bustina di plastica, cercando di non dare nell’occhio.
- No grazie, non ho fame.
Il ragazzo sorrise. – Non si direbbe. Dai prendilo, io sono sazio.
- Meglio di no, ti caccerai nei guai se le guardie se ne accorgono.
- Allora tu sii discreta.
- E’ meglio che lo ascolti - intervenì Fernando. - Mi sa che il gruppetto di T-Bag ti ha presa di mira. Per un po’ andranno avanti così e tu non potrai sopravvivere senza nutrirti.
- Hai avuto fegato prima ad affrontare John Abruzzi, mi hai sorpreso. - continuò Scofield. - Come mai ci tieni tanto a lavorare al laboratorio?
- Che bell’affare! - bofonchiò Burrows. - Ti toglieresti di torno il depravato e lavoreresti a stretto contatto con il mafioso.
- Tu lavori al laboratorio, vero? - gli chiesi prendendo subito la palla al balzo. - Com’è lì l’atmosfera?
- Niente di speciale. - rispose apatico.
“Impegno Gwen, impegno!”
- Che strano questo tatuaggio. - dissi osservando il braccio di Scofield. - Che cosa rappresenta?
- La solita lotta tra il bene e il male. - mi sentii rispondere in modo vago.
- Quella sembra la spada di Damocle. - continuai indicando il braccio destro.
- Si esatto. Conosci la leggenda?
- Sembra un disegno senza logica… decisamente utilizza un linguaggio figurativo gotico… sembra un percorso. E’ un gran capolavoro, quanto tempo hai impiegato per fartelo fare?
Solo allora mi resi conto che Scofield e Burrows mi stavano ancora fissando accigliati. Quest’ultimo era addirittura rimasto con una forchettata di verdura a mezz’aria.
- Che c’è? - chiesi preoccupata.
- Scusa, cos’è che hai detto? - esclamò Burrows parlandomi come se gli avessi appena versato dell’acqua sporca sulle scarpe.
- Ho… ho detto che è un capolavoro… è… è un bel tatuaggio. Giuro, lo è.
- No, prima.
- Perché pensi che sia un percorso? - mi chiese Scofield venendomi in aiuto.
- Ho detto così?
- Non lo so, io… l’ho detto così… per dire.
- No, sul serio. Cosa te lo fa pensare?
- Vedi queste linee? - dissi sfiorandogli il braccio - Si intersecano e formano quasi delle figure geometriche, questo significa che sono state realizzate come impalcatura. E’ un disegno che si appoggia alla struttura portante e non una struttura che fa da contorno alle immagini come accade di solito. Non ce ne sarebbe bisogno comunque, sono così incredibilmente elaborate. Insomma, io ci vedo un percorso, una sorta di labirinto… guarda questa linea. - continuai tracciando il disegno che risaliva lungo l’avanbraccio. - E’ una linea guida, sopra vi è disposto il tatuaggio.
- A dire il vero io ci vedo solo un tatuaggio e basta. Che cosa sei, una specie di appassionata di geometria o roba simile? - s’intromise Fernando poco convinto.
- No, niente del genere, è solo che ho studiato arte al liceo. Ero brava con le proporzioni. Questa porzione del disegno non è il continuo dell’altra parte dietro, vedi? Vi è stato solo accostato, come un fumetto in cui non è più presente il margine. A me sembra un’accozzaglia di immagini senza il benché minimo sen…
- Sai che sei proprio una strana ragazzina, non pensavo si potesse leggere un tatuaggio come una cartina geografica. - esclamò divertito il compagno di cella di Scofield.
- Tutta la faccenda della tua presenza qui è molto… strana.- continuò serio Burrows, sostenendo il mio sguardo, forse per la prima volta da quando mi ero seduta a quel tavolo. - Si può sapere chi sei e che ci fai qui?
- Sono Gwen Sawyer e sono qui per scontare la mia pena.
- Che cosa hai fatto?
- Mi dispiace, non posso parlarne.
- Perché? Sarai anche una ragazza, ma sei un detenuto come gli altri. Cosa può aver commesso di così terribile una ragazzina di… quanti anni hai a proposito? Diciotto?
- Ok, ventiquattro, ma qualunque sia stato il crimine che hai commesso, che diavolo ci fai in un penitenziario maschile? Hanno confuso le assegnazioni? - Distolsi lo sguardo per cercare di eludere la domanda. L’uomo sbuffò infastidito. - Odio i misteri.
- Non è un mistero, è solo una questione di privacy.
- Una ragazzina a Fox River? Ma andiamo! Sarebbe stato meno assurdo spedire una suora nelle viscere dell’inferno.
- Sucre, adesso piantala! - intervenì Michael mettendo fine ad ogni commento.
- Ehi! - scattai spaventata da quell’inaspettato gesto.
- Co… cos’è successo? - balbettai.
- Ragazzina, sbrigati a lasciare la mensa e guardati le spalle fino alla tua cella.
- Perché quel tizio ce l’ha con me? Che cosa vuole?! - Ero senza voce per la paura.
- Abbassa la voce, ti farai sentire dalle guardie. – mi intimò Burrows duro. - Stanno cercando di intimidirti, ecco cosa vogliono. Che diavolo pensavano quando hanno deciso di spedire una ragazzina in un penitenz…
- Smettila di chiamarmi ragazzina!! - sbottai più terrorizzata che arrabbiata. - Ho un nome io.
- Si, come ti pare, ma se non farai come ti dico finirai male.
- Lincoln… - lo ammonì il fratello.
- Che c’è? Lo dico per il suo bene, questo non è posto per lei.
- A quanto pare hai fatto incazzare i cattivi. Cerca di non abbassare mai la guardia quando nei paraggi c’è quel depravato di T-Bag, anzi, se vuoi farti un favore guardati le spalle da chiunque qui dentro… - Le parole di Sucre riuscirono ad angosciarmi ancora di più. Mi sembrava di essere precipitata in un incubo senza via d’uscita. - … ehi, non guardarmi così e ti prego, non metterti a piangere. Non posso fare da balia ad una ragazzina, ho già abbastanza guai per conto mio.
- Su sta tranquilla, rimani al mio fianco e seguimi. Lincoln e Fernando cammineranno dietro di noi. - mi disse Scofield gentile, parlandomi lentamente, con voce calma.
- Michael, non farlo. - intervenì il fratello. Ero sicura che tra i due in quel momento fosse in atto una sorta di comunicazione telepatica. - Attirerà più guai di quelli che possiamo permetterci.
- Linc, l’accompagno solo nella sua cella, non è una tragedia.
- Come no… - sbuffò freddandomi con un’occhiataccia. Poi di nuovo al fratello - … Occhi aperti.
- Respira e non dare agli altri la sensazione che hai paura. - mi consigliò Michael. C’era qualcosa di incredibilmente calmo in quel ragazzo. Emanava una tranquillità e una sicurezza che io non possedevo. Il suo tono era affabile, ero stranamente a mio agio con lui. - E così hai 24 anni. Sei dell’Illinois o anche questo è un segreto?
- No, io vivo in California, Beverly Hills.
- Wow, Beverly Hills, il mistero s’infittisce. - esclamò Sucre ancora dietro di noi.
- Dov’è tuo fratello? - domandai rivolgendomi a Michael.
- La sua cella non si trova nel Braccio A.
- Quindi Beverly Hills. - continuò, usando la mia risposta come scusa per cambiare discorso.- Devi essere una ragazza di buona famiglia per poterti permettere un posto simile.
- Non sono una ragazza ricca finita in carcere per noia, se è questo che stai insinuando.
- Per quel che ne sappiamo di te, potrebbe anche essere.
- E voi invece? Due ladri nella stessa cella, che bell’accoppiata! Non rischierete di rubarvi il dentifricio a vicenda?
- Ti sei informata su di noi?
- Non proprio, è solo che quando nessuno parla con te finisce che ti ritrovi un sacco di tempo per ascoltare le conversazioni altrui… oh, eccomi arrivata, la 93 è la mia “camera d’albergo”.
- Posso farti una domanda, Michael Scofield?
- Tu risponderai ad una mia?
- No, penso di no.
- Allora non è equo.
- Che cosa rappresenta davvero quel tatuaggio?
- …l’eterna lotta tra il bene e il male, - lo precedetti - si, questo è chiaro, ma la domanda è: che cosa rappresenta per te?
- A domani. - concluse salutandomi - Se ti serve una mano, un consiglio o una spalla su cui piangere sono al piano di sopra. La mia cella è la 40.
- Grazie.
Mi sentivo ancora piuttosto scossa per la mancata imboscata alla quale ero sopravvissuta, ma mi sentivo anche piuttosto soddisfatta all’idea di essere riuscita a rintracciare Lincoln Burrows. Era quella la cosa più importante al momento, al di là di aver anche fatto amicizia con dei galeotti, essere sfuggita alle mire di un depravato sinistro e di aver quasi scatenato le ire di un pericoloso boss mafioso.
Era così strano immaginarmi in un posto del genere, come avevo potuto cacciarmi in un simile guaio?
Non ero certa che questa volta sarei riuscita a cavarmela come al solito, ma in un solo giorno avevo già fiutato un paio di segreti interessanti, ed ero certa che Fox River avrebbe portato a galla inaspettate sorprese e subdoli altarini.