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Autore: revin    20/04/2016    1 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si, non c'era alcun dubbio. Quello era proprio Lincoln Burrows.
  • Grazie. -  risposi, sedendomi a capotavola tra i due fratelli. 
Per una manciata di secondi mi sentii scrutare con fare critico dai tre componenti del gruppo che mi avevano invitata ad unirmi a loro. L’atteggiamento di Burrows in particolare mi mise a disagio, anche se sospettavo che un tipo come lui riuscisse a mettere a disagio chiunque. L’uomo aveva un aspetto massiccio, spalle larghe, poderose, un accenno di barba sul viso e i capelli tagliati cortissimi sulla grossa testa rotonda che aveva la nuca sporgente e arrotondata. Lo sguardo dei suoi occhi però era stranamente in contrasto con tutta la sua figura, la sua espressione corrucciata gli conferiva una perenne portata minacciosa. 
  • Perché mi fissi? -  chiese improvvisamente l’uomo inchiodandomi con i suoi occhi chiari.
  • Scusa… non volevo… -  mi giustificai imbarazzata.
  • Ti do un consiglio, non stare a fissare la gente qui dentro o non arriverai a fine giornata.
  • E’… un ottimo consiglio… grazie. 
Non mi sembrava che fosse così bendisposto nei miei confronti come il fratello. Me lo sarei dovuta lavorare più del previsto allora. No problem.
Scofield mi allungò il suo panino ancora sigillato nella bustina di plastica, cercando di non dare nell’occhio. 
  • No grazie, non ho fame.
Le mie parole vennero immediatamente smentite da un gorgoglio basso proveniente dal mio stomaco. Arrossii all’istante quando mi resi conto che il rumore si sarebbe potuto sentire anche da coloro che occupavano le file più avanti.
 
Il ragazzo sorrise.  – Non si direbbe. Dai prendilo, io sono sazio.
  • Meglio di no, ti caccerai nei guai se le guardie se ne accorgono.
  • Allora tu sii discreta.
Avevo troppa fame per fare la schizzinosa, però non volevo mostrarmi così disperata con dei detenuti. 
  • E’ meglio che lo ascolti -  intervenì Fernando. -  Mi sa che il gruppetto di T-Bag ti ha presa di mira. Per un po’ andranno avanti così e tu non potrai sopravvivere senza nutrirti.
Qualcosa mi diceva che Fernando avesse ragione. Con un gesto rapido afferrai il panino e lo nascosi sotto la felpa, più grande rispetto alla mia taglia di almeno tre misure. 
  • Hai avuto fegato prima ad affrontare John Abruzzi, mi hai sorpreso. -  continuò Scofield.  -  Come mai ci tieni tanto a lavorare al laboratorio?
Feci spallucce.  -  E’ solo perché così potrei tenermi lontana dai guai… o perlomeno starmene alla larga da T-Bag.
  • Che bell’affare! -  bofonchiò Burrows. -  Ti toglieresti di torno il depravato e lavoreresti a stretto contatto con il mafioso.
  • Tu lavori al laboratorio, vero? -  gli chiesi prendendo subito la palla al balzo. -  Com’è lì l’atmosfera?
  • Niente di speciale. -  rispose apatico.
Beh, non si poteva certo dire che il tipo desse molti spunti per una conversazione, ma perlomeno ero riuscita a trovarlo. Forse non sarei mai riuscita a mettere piede al laboratorio, però avrei potuto trovare Lincoln Burrows a mensa. Certo, prima avrei dovuto conquistarmi un posto fisso al loro tavolo e cercare di fare amicizia col gruppetto di galeotti.

“Impegno Gwen, impegno!” 
  • Che strano questo tatuaggio. -  dissi osservando il braccio di Scofield. -  Che cosa rappresenta?
  • La solita lotta tra il bene e il male. -  mi sentii rispondere in modo vago.
Cominciai ad osservare il disegno attentamente, chiedendomi quanto fosse grande. Il braccio sinistro ne era completamente ricoperto fino al polso e la stessa cosa si ripeteva anche per il destro. Doveva trattarsi di un disegno molto esteso. Ero quasi certa che oltre le maniche arrotolate della felpa, il tatuaggio risalisse fino alle spalle. 
  • Quella sembra la spada di Damocle. -  continuai indicando il braccio destro.
  • Si esatto. Conosci la leggenda?
Non risposi. Ero affascinata da quel disegno così intricato, avrei tanto voluto chiedergli di mostrarmi anche il resto se non fosse parso un tantino sfacciato. 
  • Sembra un disegno senza logica… decisamente utilizza un linguaggio figurativo gotico… sembra un percorso. E’ un gran capolavoro, quanto tempo hai impiegato per fartelo fare?
Avevo posto quella domanda sovrappensiero, senza staccare gli occhi da quella pelle ricoperta d’inchiostro. Non sapevo nemmeno perché quel tatuaggio avesse attirato tanto la mia attenzione. Il fatto di non riuscire a trovare una spiegazione logica in quell’intreccio di linee e figure mi spingeva a spremere le meningi. Guardando i disegni sul braccio sinistro per esempio, non riuscivo a non pensare alla linea guida che ci vedevo rappresentata. Non avevo dubbi che il tatuaggio fosse costruito su un’impalcatura preesistente, ma non ne capivo il motivo. Forse in precedenza vi era stato un altro tatuaggio e quello nuovo vi era stato sovrapposto.
Solo allora mi resi conto che Scofield e Burrows mi stavano ancora fissando accigliati. Quest’ultimo era addirittura rimasto con una forchettata di verdura a mezz’aria.
  • Che c’è? -  chiesi preoccupata.
  • Scusa, cos’è che hai detto? -  esclamò Burrows parlandomi come se gli avessi appena versato dell’acqua sporca sulle scarpe.
  • Ho… ho detto che è un capolavoro… è… è un bel tatuaggio. Giuro, lo è.
  • No, prima.
  • Perché pensi che sia un percorso? -  mi chiese Scofield venendomi in aiuto.
  • Ho detto così? 
“Oddio si è offeso! Forse non è quello che voleva sentirsi dire.”
  • Non lo so, io… l’ho detto così… per dire.
  • No, sul serio. Cosa te lo fa pensare?
Fissai Michael in quegli occhi di un azzurro impenetrabile. No, non sembrava offeso, piuttosto curioso, ma allora perché suo fratello continuava a fissarmi come se lo avessi appena minacciato di morte?
  • Vedi queste linee? -  dissi sfiorandogli il braccio -  Si intersecano e formano quasi delle figure geometriche, questo significa che sono state realizzate come impalcatura. E’ un disegno che si appoggia alla struttura portante e non una struttura che fa da contorno alle immagini come accade di solito. Non ce ne sarebbe bisogno comunque, sono così incredibilmente elaborate. Insomma, io ci vedo un percorso, una sorta di labirinto… guarda questa linea. -  continuai tracciando il disegno che risaliva lungo l’avanbraccio.  -  E’ una linea guida, sopra vi è disposto il tatuaggio.
  • A dire il vero io ci vedo solo un tatuaggio e basta. Che cosa sei, una specie di appassionata di geometria o roba simile?  -  s’intromise Fernando poco convinto.
  • No, niente del genere, è solo che ho studiato arte al liceo. Ero brava con le proporzioni. Questa porzione del disegno non è il continuo dell’altra parte dietro, vedi? Vi è stato solo accostato, come un fumetto in cui non è più presente il margine. A me sembra un’accozzaglia di immagini senza il benché minimo sen…
Mi bloccai appena in tempo, scrutando attentamente il volto del ragazzo accanto a me per capire se si fosse offeso. Sembrava di no. Dovevo ricordarmi di stare attenta ed evitare di dare libero sfogo alla lingua come avevo appena fatto. I detenuti avevano la fama di essere piuttosto suscettibili.
  • Sai che sei proprio una strana ragazzina, non pensavo si potesse leggere un tatuaggio come una cartina geografica. -  esclamò divertito il compagno di cella di Scofield.
  • Tutta la faccenda della tua presenza qui è molto… strana.-  continuò serio Burrows, sostenendo il mio sguardo, forse per la prima volta da quando mi ero seduta a quel tavolo. -  Si può sapere chi sei e che ci fai qui?
  • Sono Gwen Sawyer e sono qui per scontare la mia pena.
  • Che cosa hai fatto?
  • Mi dispiace, non posso parlarne.
  • Perché? Sarai anche una ragazza, ma sei un detenuto come gli altri. Cosa può aver commesso di così terribile una ragazzina di… quanti anni hai a proposito? Diciotto?
Alzai gli occhi al cielo.  -  Ventiquattro.
  • Ok, ventiquattro, ma qualunque sia stato il crimine che hai commesso, che diavolo ci fai in un penitenziario maschile? Hanno confuso le assegnazioni?  -  Distolsi lo sguardo per cercare di eludere la domanda. L’uomo sbuffò infastidito.  -  Odio i misteri.
  • Non è un mistero, è solo una questione di privacy.
Capivo che dovesse essere strano e del tutto nuovo per tutti loro vedere una donna in una struttura adibita a soli uomini, ma quante volte mi sarei dovuta sentir fare quella domanda prima che la mia presenza venisse accettata?
  • Una ragazzina a Fox River? Ma andiamo! Sarebbe stato meno assurdo spedire una suora nelle viscere dell’inferno.
  • Sucre, adesso piantala! -  intervenì Michael mettendo fine ad ogni commento.
Gliene fui grata e in quello stesso istante le guardie ordinarono il rientro nelle celle. La pausa era terminata. Ci alzammo tutti e quattro contemporaneamente dopo l’ordine ricevuto. Feci il giro del tavolo per inserirmi nella fila che portava verso l’uscita, chiedendomi quale direzione avrebbe preso Burrows per tornare al suo alloggio isolato, quando all’improvviso quest’ultimo, afferrandomi per il polso, mi bloccò al suo fianco.
  • Ehi!  -  scattai spaventata da quell’inaspettato gesto.
L’uomo non ci badò nemmeno e mi spinse veloce dietro di lui con fare protettivo. Nello stesso istante Michael e Fernando si misero in allerta. Confusa, mi guardai intorno per capire cosa fosse preso a tutti e tre finché accanto a Lincoln vidi passare un tipo losco con il berretto calcato in testa, seguito a pochi passi da Theodore Bagwell. Entrambi mi lanciarono un lungo sguardo significativo prima di passare oltre, ma fu il sorrisetto sadico del depravato e l’occhiata inceneritrice che Burrows gli lanciò in risposta a farmi prendere coscienza del pericolo appena scampato.
  • Co… cos’è successo? -  balbettai.
  • Ragazzina, sbrigati a lasciare la mensa e guardati le spalle fino alla tua cella.
Un brivido mi corse lungo la schiena quando mi resi conto di averci visto giusto e di essere appena scampata ad un’imboscata. Il pericolo però era ancora in agguato.
  • Perché quel tizio ce l’ha con me? Che cosa vuole?!  -  Ero senza voce per la paura.
  • Abbassa la voce, ti farai sentire dalle guardie.  – mi intimò Burrows duro.  -  Stanno cercando di intimidirti, ecco cosa vogliono. Che diavolo pensavano quando hanno deciso di spedire una ragazzina in un penitenz…
  • Smettila di chiamarmi ragazzina!!  -  sbottai più terrorizzata che arrabbiata.  -  Ho un nome io.
  • Si, come ti pare, ma se non farai come ti dico finirai male.
  • Lincoln… -  lo ammonì il fratello.
  • Che c’è? Lo dico per il suo bene, questo non è posto per lei.
Aveva ragione. Cercavo di mascherare la paura, pregavo di passare inosservata, ma era fin troppo ovvio quanto fossi indifesa e sbagliata per quel posto.
  • A quanto pare hai fatto incazzare i cattivi. Cerca di non abbassare mai la guardia quando nei paraggi c’è quel depravato di T-Bag, anzi, se vuoi farti un favore guardati le spalle da chiunque qui dentro…  -  Le parole di Sucre riuscirono ad angosciarmi ancora di più. Mi sembrava di essere precipitata in un incubo senza via d’uscita.  -  … ehi, non guardarmi così e ti prego, non metterti a piangere. Non posso fare da balia ad una ragazzina, ho già abbastanza guai per conto mio.
Abbassai lo sguardo cercando di riprendere il controllo, ma quando Michael mi sfiorò la spalla per farmi strada verso la fila, sussultai. In quel momento mi resi conto che stavo tremando. Che cosa avrei fatto se quel delinquente mi avesse aggredita prima di arrivare al sicuro nella mia cella? Con quella confusione nessuno si sarebbe accorto di nulla e lui o il suo complice avrebbero potuto agire indisturbati.
  • Su sta tranquilla, rimani al mio fianco e seguimi. Lincoln e Fernando cammineranno dietro di noi.  -  mi disse Scofield gentile, parlandomi lentamente, con voce calma.
  • Michael, non farlo.  -  intervenì il fratello. Ero sicura che tra i due in quel momento fosse in atto una sorta di comunicazione telepatica. -  Attirerà più guai di quelli che possiamo permetterci.
Chissà se si rendeva conto che ero ancora presente. Al momento, l’unica informazione che aveva registrato il mio cervello era che avevo trovato una sorta di alleato.
  • Linc, l’accompagno solo nella sua cella, non è una tragedia.
  • Come no… - sbuffò freddandomi con un’occhiataccia. Poi di nuovo al fratello - … Occhi aperti.
Dal momento in cui ci immettemmo nella fila rimasi letteralmente incollata a Michael, certa che almeno con lui sarei stata al sicuro, almeno lo speravo. Camminai lentamente, tesa come un manico di scopa mentre guardavo i visi di tutti per cercare di individuare qualche volto ostile. Tutti mi sembravano una possibile minaccia.
  • Respira e non dare agli altri la sensazione che hai paura.  -  mi consigliò Michael. C’era qualcosa di incredibilmente calmo in quel ragazzo. Emanava una tranquillità e una sicurezza che io non possedevo. Il suo tono era affabile, ero stranamente a mio agio con lui.  -  E così hai 24 anni. Sei dell’Illinois o anche questo è un segreto?
Stava cercando di distrarmi perché apparissi più disinvolta. Era una buona idea.
  • No, io vivo in California, Beverly Hills. 
Non era proprio vero, visto che negli ultimi sei mesi avevo vissuto pressappoco come una nomade, però in teoria non poteva considerarsi neanche una bugia. La California era l’unico posto in cui avessi passato più tempo da quando mi ero trasferita negli Stati Uniti. 
  • Wow, Beverly Hills, il mistero s’infittisce.  -  esclamò Sucre ancora dietro di noi.
Non avevo ancora capito se quello fosse realmente il suo nome o solo un soprannome. Mi voltai per chiederglielo, ma poi ci ripensai. Sucre continuò a blaterare qualcosa tornando sulla storia del segreto e di quanto fosse sospetta la mia presenza tra di loro, ma io non lo stavo più ascoltando. Lincoln Burrows non era più dietro di noi.
  • Dov’è tuo fratello?  -  domandai rivolgendomi a Michael.
  • La sua cella non si trova nel Braccio A.
Avrei tanto voluto chiedergli dove si trovasse ma qualcosa mi diceva che avrei fatto meglio a tenere la mia curiosità per me, se non altro per non destare sospetti. Non era ancora arrivato il momento di scoprire le carte.
  • Quindi Beverly Hills.  -  continuò, usando la mia risposta come scusa per cambiare discorso.-  Devi essere una ragazza di buona famiglia per poterti permettere un posto simile.
  • Non sono una ragazza ricca finita in carcere per noia, se è questo che stai insinuando.
  • Per quel che ne sappiamo di te, potrebbe anche essere.
Qualcosa mi diceva che Michael fosse intrigato dal mio segreto.
  • E voi invece? Due ladri nella stessa cella, che bell’accoppiata! Non rischierete di rubarvi il dentifricio a vicenda?
  • Ti sei informata su di noi?
  • Non proprio, è solo che quando nessuno parla con te finisce che ti ritrovi un sacco di tempo per ascoltare le conversazioni altrui… oh, eccomi arrivata, la 93 è la mia “camera d’albergo”.
Mi fermai voltandomi per salutare i due ragazzi. Fernando Sucre mi fece l’occhiolino, dileguandosi successivamente, mentre Michael si fermò appoggiandosi alle sbarre della mia cella. Certa che la conversazione non fosse ancora finita, entrai, ma mi sistemai proprio di fronte al ragazzo così che solo le sbarre potessero dividerci.
  • Posso farti una domanda, Michael Scofield?  
  • Tu risponderai ad una mia?
  • No, penso di no.
  • Allora non è equo.
Era ancora impalato davanti alla mia cella però. Decisi di tentare ugualmente.
  • Che cosa rappresenta davvero quel tatuaggio?
Il suo viso si accigliò per un istante.  -  Te l’ho detto, è solo…
  • …l’eterna lotta tra il bene e il male,  -  lo precedetti  -  si, questo è chiaro, ma la domanda è: che cosa rappresenta per te?
Non rispose, ma almeno adesso avevo la certezza che quel tatuaggio nascondesse una storia. Magari un segreto, e che fosse interessante o meno, io non vedevo l’ora di scoprire di cosa si trattasse.
  • A domani. -  concluse salutandomi -  Se ti serve una mano, un consiglio o una spalla su cui piangere sono al piano di sopra. La mia cella è la 40.
  • Grazie.
Lo guardai mentre si allontanava svelto, salendo su per le scale per raggiungere il piano superiore e attesi esattamente 20 minuti vigile e in guardia prima che tutte le celle del Braccio venissero chiuse, così che potessi finalmente rilassarmi.
Mi sentivo ancora piuttosto scossa per la mancata imboscata alla quale ero sopravvissuta, ma mi sentivo anche piuttosto soddisfatta all’idea di essere riuscita a rintracciare Lincoln Burrows. Era quella la cosa più importante al momento, al di là di aver anche fatto amicizia con dei galeotti, essere sfuggita alle mire di un depravato sinistro e di aver quasi scatenato le ire di un pericoloso boss mafioso.
Era così strano immaginarmi in un posto del genere, come avevo potuto cacciarmi in un simile guaio?
Non ero certa che questa volta sarei riuscita a cavarmela come al solito, ma in un solo giorno avevo già fiutato un paio di segreti interessanti, ed ero certa che Fox River avrebbe portato a galla inaspettate sorprese e subdoli altarini.
   
 
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