Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: reginamills    20/04/2016    11 recensioni
OutlawQueen AU: Regina Mills è un'insegnante, sposata, ma ha un marito che abusa di lei, la picchia e non le permette di chiedere il divorzio. La sua vita è un vero schifo e Dio sa quante volte ha provato a metterne fine. Ma forse, il principe azzurro non esiste solo nelle favole, e il nuovo preside della scuola in cui lavora, Robin Locksley, forse riuscirà a riportarle quel sorriso che ha perso ormai da troppo tempo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ed eccoci arrivati alla fine di quest'avventura. Premetto che questa è stata la prima fanfic Outlaw Queen che sono riuscita a completare e ne vado molto fiera. Mi è piaciuta dalla prima all'ultima parola, da quando ho cominciato a scrivere fino all'ultimo punto che ho digitato.
Mi è piaciuta talmente tanto che ho cominciato a scrivere un seguito che, premetto, è completamente diverso da qualsiasi storia io abbia mai scritto. Un salto nel vuoto, senza neanche sapere come e se finirà; o meglio, so dove voglio arrivare, ho tutto nella mente, ma metterlo per iscritto è tutt'altro.
Comunque, basta con le sciocchezze, dovete ancora leggere l'ultimo capitolo di questa!
Spero, come sempre, che vi piaccia, e, per l'ultima volta, buona lettura!

 


Aveva indossato un paio di jeans chiari e aveva insistito per mettere una delle sue camicie, una bianca, arrotolando le maniche fino al gomito, lasciandola fuori dai jeans. Le arrivava appena sotto l’inguine, e, con una coda di cavallo morbida e le ciocche che le ricadevano sulle spalle, sembrava una ragazza di poco più di vent’anni.
Quando la vide, Robin si ricordò di quando l’aveva portata fuori a cena per la prima volta, al ristorante messicano. Quella sera in cui gli aveva sussurrato di portarla a letto, con quella voce che avrebbe potuto metterlo in ginocchio con un solo sussurro, ma con l’alito intriso di alcol che l’aveva spinto a rifiutare, seppure il suo corpo fosse restio a farlo.

“Ho sempre voluto abitare accanto ad un parco.” sussurrò, dando un morso al suo hot dog. 
“Davvero?” sorrise, guardando il modo in cui si concentrava per non far cadere la salsa dal suo panino, proprio come una bambina.
“Già. Credo sia importante trascorrere del tempo all’aria aperta. Potremmo andare a fare jogging la mattina all’alba e portare a spasso il cane la sera…”
“Abbiamo un cane?”
“No, ma lo avremo. Insomma, se ti va.” sentì le guance scottarle all’improvviso e si morse il labbro. Dio, era davvero pessima a mantenere i segreti.
Robin annuì: 
“Joe.”
“Come?” portò gli occhi nei suoi.
“Il cane. Si chiamerà Joe.”
“Oh, no” ridacchiò, scuotendo la testa, mentre apriva la bocca per divorare ciò che restava del suo hot dog. “Non ti lascerò chiamare il nostro cane Joe. Un cane deve avere un nome diverso, tipo Fulmine o… Principessa”
“Non è una renna.” si morse il labbro a sua volta, per non scoppiare a ridere. “Che ne dici di Wilson?” sorrise.
“Wilson. Mi piace. ‘Si chiamava Wilson Locksley, il golden retriever che salvò la città da un incendio’” disse, cercando di imitare quanto più possibile la voce della giornalista della tv del notiziario della mattina. “Suona bene.”
Robin non poté far a meno di ridere con lei. Quella pazza, pazza donna.
La vide alzarsi dalla panchina e tendergli la mano: “Vieni. Facciamo una passeggiata.” sorrise. Lui gliela strinse e fece come gli aveva chiesto. 
Camminarono mano nella mano lungo tutto il parco, illuminato da nient’altro se non la luce della luna e qualche lampione. Aveva scelto forse la zona più tranquilla della città e Robin gliene era grato; odiava il caos, amava il silenzio, la calma, la tranquillità. 
Ogni tanto incrociavano qualche coppietta felice, intenta ad amoreggiare sulle panchine e, per la prima volta, Regina si sentì felice di vederli. Aveva sempre detestato le effusioni in pubblico, aveva sempre detestato i giovani innamorati che si guardavano negli occhi come se il mondo potesse finire in quell’istante e loro sarebbero rimasti lì, a baciarsi. Ricordava perfettamente il nodo che le si formava allo stomaco quando li vedeva e, si era detta, doveva essere perché le ricordavano ciò che lei non avrebbe mai potuto avere.
Oh, se si sbagliava. Si sbagliava di grosso perché, in quel momento, aveva tutto. Stava vivendo appieno, per la prima volta in tutta la sua vita. Era così felice che il mondo sarebbe potuto finire in quell’istante e lei sarebbe rimasta lì, a stringere la mano di Robin.
“Guarda.” indicò un piccolo parco giochi, completamente deserto ma che, durante il giorno, pululava di bambini. Sorrise, mentre gli lasciava la mano, senza tuttavia distogliere gli occhi dai suoi, invitandolo a seguirla. 
Andò a sedersi su una delle altalene, lasciando che i piedi la dondolassero un po’. Robin si fermò davanti a lei, guardandola alzare lo sguardo al cielo stellato e sorridere. Giurò di non averla mai vista così radiosa, doveva esserci un motivo. Un motivo che presto avrebbe scoperto.
“Quando ero piccola, l’altalena era il mio gioco preferito. Ci andavo sempre con mio padre; lui mi spingeva e io, in quel momento, sentivo di poter volare. Ogni volta era come toccare il cielo. Dimenticavo tutto; la mamma, i compiti, i compagni di scuola. Ero leggera come il vento ed ero libera.” sorrise, poggiando i capelli sulla corda. “Mio padre me ne costruì una nel nostro giardino, ma la mamma la fece togliere appena una settimana dopo. Diceva che non faceva che distrarmi e che… era un gioco stupido.” Robin ascoltava ogni parola, con lo stomaco che gli si contorceva dalla voglia di tornare indietro anche solo per un secondo ed abbracciare quella bambina tanto sola e ferita. Quella con i boccoli corvini, gli occhi marroni e gli enormi occhiali scuri che lei descriveva sempre.
La vide afferrare entrambe le corde e guardarlo con quegli stessi occhioni enormi e pieni di vita, scintillanti. “Ti va di spingermi, Robin?” gli sorrise e il suo cuore si sciolse. Non dovette neppure annuire, le fu subito accanto. Alle sue spalle, più precisamente. Poggiò dolcemente le mani sulla sua schiena e la spinse in avanti; una, due, tre volte, finché non acquistò abbastanza velocità da spingersi con le proprie gambe. La sentiva ridere spensierata e giurò solennemente che avrebbe potuto vivere tutta la vita senza bisogno di altro. Il solo saperla così felice era abbastanza.
“Mi gira la testa” disse tra le risate “Okay, adesso scendo” e così fece. Smise di muovere le gambe e, in pochi secondi, i suoi piedi toccarono terra e lei si alzò, trovando le braccia forti di Robin a sorreggerla, mentre ancora soffocava le risate contro il suo petto.
“Dio, erano circa trent’anni che volevo farlo.” alzò il viso per guardarlo negli occhi ma, quando lo fece, sentì un conato divorarle lo stomaco.
“Ti senti bene, amore mio?”
“No.” Ehi Piccolo Miracolo, ti prego, non ora. Non ora. Ti prometto che domani mangerò tutta la cioccolata che vuoi, ma ti prego, ti prego, ti prego, non— Il conato si calmò, prima che potesse continuare il suo pensiero. Sorrise. Ci capiamo già da subito, piccolo Locksley. Sei proprio come tuo padre: se non ottieni qualcosa in cambio non cedi. “Si.” sorrise, vedendolo confuso e preoccupato allo stesso tempo. “Ho solo lo stomaco un po’ in disordine. Non sarei dovuta salire sull’altalena appena dopo mangiato.”
“Vuoi che andiamo a casa? Forse dovresti prendere qualcosa, girava una brutta influenza intestinale a scuola, questa settimana.” le accarezzò le spalle, disegnando piccoli cerchi con i pollici.
“No, non credo che sia questo il caso.” sorrise. Era il momento. Il cuore le batteva all’impazzata mentre immaginava il suo Piccolo Miracolo fare capriole all’idea di sentire finalmente il calore e l’amore del suo papà. “C’è una cosa che non ti ho ancora detto.” si morse il labbro, mentre Robin inarcava un sopracciglio. “Voglio dei figli.” sorrise, mentre il cuore le balzava dritto in gola. “E tu? Ne vuoi?”
Robin si sentì crollare il mondo addosso. Certo che ne voleva. Più di ogni altra cosa al mondo. Era il suo sogno più grande, quello di crescere un figlio con lei, darle l’opportunità di essere la madre che aveva sempre desiderato di avere. Aveva immaginato più volte come sarebbe stato un figlio loro, anche se non glielo avrebbe mai confidato, per paura di ferirla. Immaginava una bambina con i suoi occhioni, le sue labbra rosse e carnose e i suoi boccoli neri. Immaginava un bambino con i suoi occhi azzurri, i capelli scuri come la notte e un nasino all’insù.
Ma sapeva che non era possibile. Non sarebbe mai stato più di una semplice fantasia. Un sogno ad occhi aperti.
“Certo, amore mio.” le avvolse le braccia attorno alla vita, tirandola a sé in un tenero, caldo abbraccio. “Sono contento che tu stia considerando l’adozione come una possibile scelta.” le sorrise.
“No, vedi…” si morse il labbro di nuovo, abbassando gli occhi per un istante, guardando i loro corpi stretti l’uno all’altra. Il suo Piccolo Miracolo era proprio lì e, poteva scommetterci, le stava urlando contro per tenersi dentro quelle dannate parole ancora per un po’. “Non credo che ci sarà bisogno di considerare quell’opzione.” sorrise, come non l’aveva mai vista sorridere prima, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime che, alla luce della luna, sembravano piccoli preziosi diamanti. “Sono incinta, Robin.” 
E fu lì che la sentì di nuovo; quella sensazione di leggerezza, di libertà, la sensazione di poter volare e toccare quasi il cielo che sentiva da piccola. Era lì, tra le braccia dell’uomo che amava con tutta sé stessa a dargli la notizia più bella ed importante della sua vita, mentre il cuore le batteva come non mai.
Per un lungo, interminabile minuto regnò il silenzio, e questo bastò per riuscire quasi a farle perdere il sorriso. Non stava reagendo. Forse non era felice, forse aveva aspettato troppo per dirglielo ed era arrabbiato, forse—
“Tu sei…” disse finalmente, gli occhi blu che vagavano ovunque fuorché nei suoi “Come puoi essere… Insomma… Io credevo che…”
“Già. Anch’io.” sentì le sue morbide dita accarezzargli la barba, ma era troppo concentrato  a trattenere le lacrime ed a metabolizzare ciò che gli aveva appena detto per accorgersi del suo tocco. “Ancora stento a crederci. Ho dovuto rifare il test decine di volte. Ogni mattina, per le scorse due settimane, mi alzavo e correvo in bagno a fare un altro test, per vedere se fosse ancora lì. Il mio Piccolo Miracolo. Il nostro Piccolo Miracolo. Ed è qui, Robin.” gli prese la mano e se la portò sul ventre ancora piatto, “Proprio qui. Ed è reale.” rimase a guardare le loro mani unite nel punto in cui il loro Miracolo stava crescendo, finché sentì qualcosa bagnarle la pelle. Lacrime. Erano di Robin, stavolta. 
“Regina—”
“Ehi” sorrise, asciugandogliele con la mano ancora libera. “Dì qualcosa, ti prego.”
“I-Io non… non so che cosa dire io… ho solo voglia di…” senza alcun preavviso, la tirò a sé e la strinse forte, seppellendo il viso nell’incavo del suo collo, soffocando ogni singhiozzo mentre si lasciava andare ad un lungo pianto. “Ti amo così tanto, Regina. E’ che… non riesco a crederci, io—”
“E’ tutto okay” avrebbe voluto piangere anche lei, ma le faceva effetto vederlo in quel modo. Era buffa la vita: tutte le volte in cui aveva pianto lei in quel modo, lui l’aveva sempre stretta forte, accarezzato la schiena e sussurrato che sarebbe andato tutto per il meglio. Ed eccoli lì, a fare la stessa cosa, ma con i ruoli invertiti.
Sorrise a quel pensiero, mentre aspettava che lui si sentisse pronto a guardarla di nuovo negli occhi. Quando lo fu, lei gli asciugò le lacrime, poi lo baciò, assaggiandole per una manciata di secondi.
“Ti amo.” le sussurrò, prima di un altro bacio. “Ti amo” ed un altro, “Ti amo” e un altro ancora. Regina rise mentre Robin la spingeva contro il legno che sorreggeva le altalene e continuava a baciarla con passione, finché non la sentì avvolgere le gambe attorno alla sua vita. Le sussurrò “Ti amo” l’ultima volta, poi la lasciò scendere, senza tuttavia togliere le braccia. 
“Ti amo anch’io.” sorrise, baciandogli la punta del naso. “E ti ama anche il Piccolo Miracolo.” lo sentì ridere come non mai, poi portò una mano sul suo stomaco e la risata si ridusse ad un tenero, emozionato sorriso. 
“Piccolo Miracolo, eh?” ridacchiò “E io che l’avrei chiamato Fulmine o Principessa.” risero insieme.
In quel momento, Regina ne era sicura: non sarebbe mai potuta essere più felice. Aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato, e anche quello che non avrebbe mai immaginato di avere. 
Forse, infondo, da qualche parte, lassù, qualcuno faceva il tifo per lei. E per quella sua folle, folle famiglia che avrebbero costruito insieme, lei e Robin, e protetto, sempre.
Quella famiglia per cui avevano sofferto, lottato, pianto. 
Quella famiglia che prometteva di ripagarli con tutto l’amore del mondo.
 

Oddio, credo che potrei anche commuovermi.
Sono contenta di essere arrivata fino alla fine, con questa follia, insieme a voi. Grazie infinite per aver letto ed apprezzato (o almeno spero) fino all'ultimo capitolo.
Un grazie speciale a chi ha trovato il tempo di scrivere un commento, anche breve, a questa storia, per farmi sapere ciò che ne pensava, nel bene e nel male. Sinceramente, spero ne arrivino altri per questo finale e per il seguito, che spero di postare molto presto.
Un abbraccio forte, alla prossima.

-Ella.

   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: reginamills