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Autore: reggina    21/04/2016    2 recensioni
Colin è un sopravvissuto. Dovrà affrontare una lenta e tormentata risalita per tornare alla vita vera.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Amy Abbott, Bright Abbott
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una luna perfetta illumina a giorno quella stanza stereotipata: il pavimento di linoleum colorato, il tappetino antifatica, la palla medica utilizzata durante la fisioterapia del pomeriggio assumono forme lievi e sfumate.

Colin non è più abituato ad un silenzio così denso ed irreale tanto che si tira su, tra le lenzuola inamidate, annaspando.

Si muove a tentoni in quell'ambiente rimodellato dalla notte, tra riflessi spezzati, fino a spalancare i battenti della finestra e respirare a pieni polmoni l'aria umida di Denver.

Puntella i gomiti sul davanzale e alza il naso verso il cielo che, nonostante le infinite stelle a trapuntarlo, è una gigantesca distesa buia.


È una carezza gentile a svegliarlo quando l'alba livida ha appena indorato ogni cosa e il reparto non si è ancora svegliato completamente. Colin stropiccia gli occhi assonnati accorgendosi di essersi addormentato in quella posizione scomoda, esposto al riflesso di quella vita che sembrava intoccabile e ad una solitudine infinita.

"Papà!"

Jim, uno spigolo vivente, sembra smussarsi difronte a tanta fragilità e alla consapevolezza che il dramma, prima di lui, lo sta vivendo suo figlio.

"Andiamo a casa, Colin."


Un Codice Rosso al Pronto Soccorso, i caffè all'aperto nella Denver dei trecento giorni di sole, i grigi nastri d'asfalto delle highway contornano un viaggio di ritorno lungo e sfiancante tanto che, a metà tragitto, il ragazzo si addormenta mentre suo padre rallenta e lo osserva con il cuore che sanguina come una melagrana scoppiata.

Arrivano ad Everwood che è quasi mezzogiorno, quando il resto della giornata trascorrerà da sé.

"Resto fuori!"

Jim asseconda quel desiderio, certo che un po' di sole e luce naturale non potranno che far bene a Colin e rincasa, lasciandogli una pacca sulla spalla.


Restato da solo, il ragazzo vaga come un viandante senza bussola tra la sterpaglia e i roveti che hanno infestato un giardino abbandonato all'incuria da quasi un anno.

Seminascosto da quegli arbusti aculeati nota il suo vecchio pallone da rugby: è di cuoio sintetico e ha cuciture laterali così simili al taglio che sta cicatrizzando, a malapena nascosto dai capelli in ricrescita.

Riesce ad afferrare l'ogivale ma non ad arrestare l'ondata dei ricordi degli ultimi giorni trascorsi in ospedale, di sensazioni indefinite che gli si affastellano in testa come ferite che sembrano non voler smettere di sanguinare.

Vorrebbe gridare, chiedere aiuto, ma la sua mano è più svelta ad acchiappare un paio di cesoie lasciate sull'erba e ad infilzare la palla.

La trafigge più volte finché suoi respiri affannosi non si regolarizzano e la punta aguzza non sfugge lacerando anche la pelle del dorso.

Colin guada esterrefatto un fiotto di sangue scorrere sulla mano pulsante: conseguenza di una ferita che inizia a dolere molto dopo che è stata inferta.

   
 
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