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Autore: Ironicamente_caustica    21/04/2016    0 recensioni
Con quale scelta potrei convivere?
Non con gli Eruditi,non con i Candidi.
Non con gli Abneganti,da cui voglio scappare.
E neanche con i Pacifici,perché sono troppo disperato per farne parte.
La verità è che voglio che la mia scelta sia come un coltello affondato dritto nel cuore di mio padre,che lo ferisca con tutto il dolore,l’imbarazzo e la delusione possibili.
C’è una sola scelta che può farlo.
questa ff è ricopiata dal libro di Veronica Roth "Four" non ho amato la velocità e leggerezza degli eventi così riprendo passo passo il libro aggiungendo solamente le parti che mancano nella linea temporale. spero vi piaccia
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amar, Eric, Four/Quattro (Tobias), Tris, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                        TRASFAZIONE
 
 
Mi risveglio dalla simulazione gridando.
Mi brucia il labbro e, quando lo tocco, mi ritrovo i polpastrelli macchiati di sangue.
Devo essermi morso.
L’intrepida che mi ha sottoposto al test attitudinale –Tori ha detto di chiamarsi- mi guarda in modo strano,mentre si tira indietro i capelli neri e li avvolge in un nodo.
Ha le braccia ricoperte di tatuaggi : fiamme,raggi di luce,ali di falco.
< Durante la simulazione .. eri consapevole che non si trattava di una situazione reale? > mi chiede, spegnendo la macchina.
Il suo tono e l’espressione del viso sono indifferenti,ma è un’indifferenza studiata, la sua, acquisita in anni di pratica.
La riconosco quando la vedo. Sempre .
Tutt’a un tratto il cuore inizia a battermi più forte.
È andata proprio come mi aveva detto mio padre.
Mi  aveva avvisato che mi avrebbero fatto questa domanda e mi ha anche detto che avrei dovuto rispondere.
< No > ribatto. < Se lo fossi stato, pensi che mi sari morso a sangue? >
Tori mi studia per qualche secondo,poi gioca con il pearcing che ha sul labbro prima di esclamare : < Congratulazioni. Il tuo risultato è Abnegante >.
Annuisco,anche se la parole “Abnegante” mi fa l’effetto di un cappio al collo.
< Non sei contento? > mi domanda.
<  I membri della mia fazione lo saranno. >
<  Non ti ho chiesto di loro,ti ho chiesto di te. > Tori ha gli angoli della bocca e degli occhi rivolti in giù,come se vi fossero attaccati dei piccoli pesi. Come se fosse triste. < Questo è un luogo sicuro. Qui puoi dire tutto quello che vuoi. >
Sapevo dove mi avrebbero portato le mie scelte nel test attitudinale prima ancora di venire a scuola stamattina.
Ho preferito il cibo all’arma. Mi sono buttato davanti al cane per salvare la bambina. Sapevo che così facendo il test sarebbe finito, e io sarei risultato Abnegante. Forse mi sarei comportato in modo diverso se mio padre non mi avesse istruito,determinando passo passo le mie scelte. In quel caso cosa mi sarei aspettato? Quale fazione avrei voluto?
Una qualunque. Una qualunque tranne gli Abneganti.
< Mi fa piacere > dico risoluto.
Non m’importa di quello che pensa,questo non è un luogo sicuro.
Non esistono luoghi sicuri,né verità sicure né segreti da poter confidare al sicuro.
Sento ancora i denti del cane affondarmi nel braccio e squarciarmi la pelle. Faccio un cenno i saluto a Tori e vado verso la porta, ma mentre sto per uscire la sua mano si stringe intorno al mio gomito.
< Sarai tu a dover convivere con la tua scelta > mi ammonisce.
< Tutti gli altri se ne faranno una ragione e andranno avanti per la loro strada,qualunque cosa tu decida. Ma tu non potrai farlo >
Apro la porta ed esco.
 
 
                                                                           ***
 
 
Torno nella sala mensa e mi siedo con gli altri Abneganti,tra gente che mi conosce appena. Mio padre non mi lascia partecipare quasi mai agli eventi pubblici: è convinto che combinerei solo guai,facendo sicuramente qualcosa che gli rovinerebbe la reputazione. Non che mi lamenti: preferisco starmene in camera mia, nel silenzio della casa vuota, piuttosto che essere circondato da persone umili e contrite.
La conseguenza delle mie ripetute assenze,tuttavia,è che gli altri Abneganti non si fidano di me. Credono che io abbia qualcosa che non va,che sia cattivo o depravato .. o strano. Persino quelli che mi rivolgono un cenno di saluto evitano di guardarmi direttamente negli occhi.
Mi siedo,le mani strette sulle ginocchia, e lascio vagare lo sguardo da un tavolo all’altro,mentre gli studenti finiscono il loro test attitudinale.
La postazione degli Eruditi è ricoperta di libri e foglio ma non tutti stanno studiando. Fanno solo finta. In realtà, quelle che si stanno scambiando sono confidenze e non idee, e i loro occhi tornano di scatto sulle pagine quando si accorgono di essere osservati. I Candidi parlano a voce alta, come sempre. I Pacifici ridono,scherzano,tirano fuori caramelle e snack dalle tasche e se li dividono. Gli Intrepidi sono turbolenti e rumorosi: semi-stravaccati su tavoli e sedie o appoggiati gli uni agli altri,si prendono in giro e si stuzzicano a vicenda.
Se solo mi fosse uscita un’altra fazione. Qualunque tranne la mia,dove tutti hanno già deciso che non sono degno della loro considerazione.
Finalmente entra nella sala mensa un’Erudita,che solleva una mano per chiedere la nostra attenzione. Gli Abneganti e gli Eruditi si zittiscono all’istante: < Silenzio! >,Intrepidi,Pacifici e Candidi neanche si accorgono della sua presenza.
< I test attitudinali sono terminati > annuncia la donna.
< Ricordatevi che non vi è consentito parlare dei vostri risultati con nessuno,nemmeno con la vostra famiglia o i vostri amici. La Cerimonia della Scelta si terrà domani,al Centro. Fate in modo di presentarvi almeno dieci minuti prima dell’inizio. Ora potete andare. >
L’intera sala si precipita verso l’uscita tranne il nostro tavolo.
Noi Abneganti aspettiamo che se ne siano andati tutti prima ancora di alzarci dalle sedie.
Conosco il percorso che seguiranno i miei compagni di fazione: attraverseranno il corridoio principale e raggiungeranno la fermata dell’autobus. Sarebbero disposti a cedere il loro posto a tutti gli altri e restare fermi lì per più di un’ora prima di salire a loro volta. Ma io non credo di poter più sopportare questo silenzio.
Anziché seguirli,sgattaiolo fuori da una porta di servizio che dà su un vicolo che costeggia la scuola. Ho già fatto questa strada altre volte,ma di solito cammino piano,cercando di passare inosservato. Oggi invece ho voglia di correre.
Con uno scatto veloce arrivo in fondo al vicolo e mi infilo in una strada deserta,saltando un buco nell’asfalto scavato dalla pioggia. La mia giacca da Abnegante è aperta al vento: me la sfilo dalle spalle,la faccio sventolare dietro di me come una bandiera e poi la lascio andare. Senza smettere di correre,mi arrotolo le maniche della camicia fino ai gomiti,poi, quando il mio corpo non riesce più a sostenere lo sforzo,rallento un po’. Sembra che l’intera città mi stia sfrecciando accanto,gli edifici che si fondono tra loro in una macchia indistinta. Il rumore delle mie scarpe che battono sul terreno mi arriva distante,come se non fossi io a provocarlo.
Alla fine sono costretto a fermarmi,perché mi bruciano i muscoli. Mi trovo nella terra desolata degli Esclusi,racchiusa tra il quartiere degli Abneganti,il quartier generale degli Eruditi,quello dei Candidi e la zona comune. A ogni riunione di tutte le fazioni,i nostri capi – di solito per bocca di mio padre – ci esortano a non temere gli Esclusi,a trattarli come esseri umani e non creature perdute e senza futuro. Ma io non ho mai avuto paura di loro.
Salgo sul marciapiede per guardare dietro le finestre. Per lo più non si vede altro che vecchi mobili,stanze vuote,per terra qualche rifiuto. Quando la maggior parte degli abitanti ha abbandonato la città  –  è questo che deve essere successo, dal momento che la popolazione attuale non è abbastanza numerosa da occupare tutti gli edifici- deve averlo fatto in tutta calma,perché gli spazi che abitava sono molto puliti. Non vi hanno lasciato niente di interessante.
Tuttavia,mentre costeggio un palazzo che fa angolo,intravedo qualcosa. La finestra dà su una stanza vuota,come tutte quelle che ho già oltrepassato,ma al di là di una porta scorgo un tizzone ancora incandescente,un fuoco non del tutto spento.
Preoccupato,provo a forzare la finestra. All’inizio non cede,ma poi  –  spingendola un po’avanti e un po’ indietro -  riesco a far scorrere il vetro verso l’alto. Infilo prima il busto e poi le gambe. Cado dall’atra parte,rotolando maldestramente sul pavimento e scorticandomi i gomiti.
Nell’appartamento c’è odoro di cibo,fumo e sudore. Mi avvicino alla brace,le orecchie ben tese a cogliere voci che mi avvertano della presenza di Esclusi,ma sento solo silenzio.
Le finestre dell’altra stanza sono annerite di vernice e di sporco,ma un filo di luce riesce a penetrare ugualmente,mostrandomi un pavimento cosparso di pagliericci e di vecchie lattine che contengono rimasugli di cibo ormai secchi. Al centro della camera c’è una piccola griglia. Il carbone è per lo più bianco e non c’è più alcuna fiamma,ma il tizzone ancora acceso mi fa pensare che chiunque sia stato qui se ne sia andato da poco. E, a giudicare dall’odore e dall’abbondanza di coperte e lattine vuote,dovevano essere parecchie persone.
Mi hanno sempre insegnato che gli Esclusi vivono isolati gli uni dagli altri e che non hanno mai formato nessuna comunità. Ora, di fronte a questo posto, mi chiedo come abbia potuto crederci. Che cosa li tratterrebbe dal raggrupparsi come abbiamo fatto noi? È nella nostra natura.
< Che ci fai qui? > La voce mi attraversa il corpo come una scarica elettrica. Mi volto,e nella stanza adiacente vedo un uomo con il viso sporco e giallognolo che si pulisce le mani su uno strofinaccio sbrindellato.
< Stavo solo ..> Guardo la griglia. < Ho visto il fuoco,tutto qui. >
<  Ah. > L’uomo si infila l’angolo dello strofinaccio nella tasca posteriore. Indossa pantaloni neri da Candido con toppe di stoffa azzurre da Erudito e una camicia grigia da Abnegante,uguale alla mia. È magro come un chiodo,ma sembra forte. Abbastanza da potermi far male, anche se non credo che ne abbia l’intenzione. < Grazie,immagino > dice. < Comunque non sta andando a fuoco niente,qui.>
< Lo vedo. Che cos’è questo posto? >
<  È casa mia > risponde lui con un sorriso freddo. Gli manca un dente. <  Non sapevo che avrei avuto ospiti,così non mi sono preoccupato di mettere ordine. >
Sposto lo sguardo da lui alle lattine sparpagliate a terra.
< Devi avere molto freddo,per aver bisogno di così tante coperte. >
< Mai incontrato un Rigido così impiccione. > si avvicina <  il tuo volto non mi è nuovo. >
So che non posso averlo già incontrato,di sicuro non dove vivo,circondato da case tutte uguali nel quartiere più monotono della città,e da persone vestite con gli stessi abiti grigi e pettinate esattamente nello stesso modo.
Poi capisco: per quanto mio padre cerchi di tenermi nascosto,è pure sempre il capo del consiglio,una delle persone più in vista della città,e io gli assomiglio.
 < Mi dispiace averti disturbato > dico con perfetta intonazione da Abnegante. <  Ora me ne vado. >
< Ti conosco > insiste l’uomo. <  tu sei il figlio di Evelyn Eaton,vero? >
Mi irrigidisco al suono di quel nome. Erano anni che non lo sentivo,perché mio padre non lo pronuncia mai e lo ignora se lo sente fare da altri. Essere di nuovo associato a lei,anche se per una questione di somiglianze,mi provoca una strana sensazione,come quando ci si infila un vecchio indumento che ormai non ci sta più.
< Come facevi a conoscerla? >
Doveva conoscerla bene per ritrovare i suoi lineamenti sul mio viso,nonostante la pelle più chiara e gli occhi blu invece che castano scuro. Quasi nessuno notava quante cose avevamo in comune: le dita lunghe,il naso adunco,le sopracciglia dritte e costantemente aggrottate.
Lui esita un po’. < Faceva volontario con gli Abneganti,a volte. Distribuivano cibo,coperte e vestiti. Aveva un viso indimenticabile. Inoltre,era sposata con un dirigente del consiglio. Non la conoscevano tutti? >
Intuisco se qualcuno mente dal modo prepotente in cui le parole mi arrivano addosso e suonano sbagliate. Dev’essere la stessa cosa che orva un Erudito a leggere una frase grammaticalmente scorretta. Qualunque sia stata l’occasione in cui quest’uomo ha conosciuto mi madre,non è stato perché lei gli ha passato una lattina di zuppa. Ma è tanto il desiderio di sentir parlare di lei che non insisto.
<  È morta,lo sapevi? >  butto lì.  < anni fa >
< No,non lo sapevo. Mi dispiace > dice,abbassando appena un angolo della bocca.
Mi sento strano a stare in questo posto umido che odora di corpi vivi e fumo,tra le lattine vuote che parlano di povertà e dell’incapacità di inserirsi. Eppure c’è anche qualcosa che mi attrae: la libertà,il rifiuto di appartenere a una categoria predefinita e da noi  stessi creata.
< A giudicare dalla tua espressione preoccupata,immagino che la tua Cerimonia della Scelta sia domani. Che fazione ti è uscita? >
< Non devo parlarne con altri. > rispondo meccanicamente.
< Io non sono un altro. Io non sono nessuno. È questo che significa essere Esclusi .>
Tengo comunque la bocca chiusa. Il divieto di rivelare i risultati del test attitudinale,o qualunque altro mio segreto,è impresso nello stampo che mi ha forgiato e che quotidianamente continua a forgiarmi. Non posso più cambiare ormai.
< Ah,sei un ligio alle regole > commenta lui,forse un po’ deluso. < Tua madre una volta mi ha detto che pensava di essere finita tra gli Abneganti a causa della sua indole arrendevole,perché era la strada più facile da percorrere,quella che comportava il minor grado di resistenza. > Si stringe nelle spalle. < Credimi, giovane Eaton,se ti dico che vale pena resistere. >
D’un tratto provo un impeto di rabbia. Quest’uomo non dovrebbe parlare di mia madre come se appartenesse a lui e non a me. Non dovrebbe costringermi a rimettere in discussione ogni ricordo che ho di lei solo perché,forse,gli ha dato da mangiare .. magari non è neppure vero. È un Escluso,un diverso,un niente.
< Ah,si? > sbotto. < E guarda dove ti ha portato resistere. A vivere di scatolette in palazzi fatiscenti. A me non sembra così entusiasmante. >
Mi dirigo verso la camera da cui è sbucato fuori. So che da qualche parte troverò un’uscita: poco importa dove mi condurrà,mi basta andarmene alla svelta.
Scelgo con attenzione dove mettere i piedi,per non calpestare le coperte. Sono già in corridoio quando l’uomo risponde: < Preferisco mangiare scatolette che farmi soffocare da una fazione > .
Non mi volto indietro.
 
 
                                                                  ***
 
Arrivo a casa e mi siedo sui gradini d’ingresso a respirare per qualche minuto la fresca aria primaverile.
È stata mia madre a insegnarmi a rubare momenti di libertà come questo,anche se non se n’è accorta. Io la osservavo quando se li prendeva: scivolava fuori di casa la sera, dopo che mio padre si era addormentato,e poi rientrava di nascosto appena la luce del sole cominciava a ricomparire dietro i palazzi. Se li prendeva anche quando era con noi,fermandosi a occhi chiusi davanti al lavello,così distante con la mente che non mi sentiva nemmeno se parlavo. Ma  ho imparato anche un’altra cosa ,guardandola,e cioè che i momenti di libertà prima o poi finiscono.
Mi alzo,spazzolandomi la polvere dai pantaloni grigi,e apro la porta. Mio padre è seduto sulla poltrona del salotto,circondato da documenti. Io raddrizzo la schiena più che posso,non voglio che mi rimproveri perché sto ingobbito. Vado verso le scale. Forse riuscirò a raggiungere la mia camera senza che si accorga di me.
< Raccontami de test attitudinale. > dice invece,e indica il divano per farmi sedere.
Attraverso la stanza,scavalcando con attenzione una pila di carte sul tappeto,e mi siedo dove mi ha ordinato,in bilico sul bordo del cuscino,per essere pronto ad alzarmi.
< Ebbene? > Si toglie gli occhiali e mi fissa,in attesa. Percepisco la tensione nella sua voce,il tipo di tensione che accumula in una giornata difficile a lavoro. Devo stare attento. < Che risultato hai ottenuto? >
Non ci penso un attimo a rifiutarmi di  dirglielo.
< Abnegante. >
< E nient’altro? >
Aggrotto le sopracciglia. < No,naturalmente no. >
< Non guardarmi in quel modo > ringhia,e io distendo la fronte.
< Non è successo niente di strano durante il test? >
Durante il test ero consapevole di dove mi trovavo,sapevo che  –  anche se mi sembrava di essere nella mensa della scuola -  in realtà me ne stavo straiato su una poltrona della saletta adibita ai test attitudinali,con il corpo collegato a una macchina da una serie di fili. Questo è strano. Ma non voglio parlargliene ora,non quando vedo il nervosismo ribollire dentro di lui come una tempesta.    < No > rispondo.
< Non mentirmi > sibila,afferrandomi il braccio. Le sue dita mi stringono come una morsa.
Non lo guardo. < Non sto mentendo. Sono risultato Abnegante,come previsto. La donna non mi ha neppure degnato di una seconda occhiata mentre uscivo. Lo giuro. > Mi lascia andare. Sento la pelle pulsare nel punto in cui mi ha trattenuto.
< Bene. Sono sicuro che hai bisogno di riflettere. Vai in camera tua. >
< Sissignore. > Mi alzo e attraverso di nuovo il salotto,sollevato.
< Ah > aggiunge
< Sissignore. >
 
 
                                                                 ***
 
 
Prima che tramonti il sole,mi prendo qualcosa da mangiare dalla dispensa e dal frigo:due panini,carote crude con il ciuffo verde,un pezzo di formaggio,una mela,un avanzo di pollo scondito. Tutto ha lo stesso sapore,di polvere e colla. Tengo gli occhi fissi sulla porta per non imbattermi nei colleghi di mio padre. Gli darebbe molto fastidio se fossi ancora giù al loro arrivo.
Sto finendo di bere un bicchiere d’acqua quando il primo membro del consiglio comincia a salire i gradini dell’ingresso,quindi mi affretto ad attraversare il salotto prima che mio padre raggiunga la porta. Lui aspetta con la mano sulla maniglia,le sopracciglia alzate,che io giri intorno alla balaustra;poi mi indica le scale e io salgo veloce,mentre lui apre la porta.
< Ciao,Marcus. > Riconosco la voce di Andrei Prior. È uno degli amici più stretti di mio padre,il che non significa nulla,perché nessuno lo conosce davvero. Nemmeno io.
Osservo Andrei dalla cima delle scale. Si sta pulendo scarpe sullo zerbino. Ogni tanto li vedo,lui e la sua famiglia,il perfetto nucleo Abnegante,il figlio e la figlia,che non sono gemelli ma frequentano entrambi due classi dopo la mia- camminare tutti composti sul marciapiede,salutando i passanti con piccoli cenni della testa. Natalie organizzava i programmi di volontariato a favore degli Esclusi. Mia madre deve averla conosciuta,anche se raramente frequentava gli incontri sociali degli Abneganti,preferendo tenere per sé i suoi segreti .. come io tengo per me i miei,nascosti in questa casa.
Andrew incrocia il mio sguardo e io scappo in camera mia,in fondo al corridoio,e mi chiudo la porta alle spalle.
Apparentemente la mia stanza è spoglia e ordinata quanto la camera di qualunque altro bravo Abnegante.Le lenzuola e le coperte grigie sono rimboccate strette intorno al materasso sottile e i libri di scuola sono impilati a formare una torre perfetta sulla scrivania di compensato. Un piccolo cassettone contenente diverse paia di capi identici sta accanto a una finestra da cui,il pomeriggio tardi, entra solo una sottile striscia di sole. Al di là dei vetri,la casa adiacente è perfettamente uguale a quella in cui abito,a parte la posizione di qualche metro più a est. Se davvero quell’uomo ha detto la verità,è stata la sua indole arrendevole a spingere mia madre negli Abneganti. Immagino la stessa cosa possa accadere a me,domani,quando mi troverò con il coltello in mano in mezzo alle coppe con gli elementi delle fazioni. Ci sono quattro fazioni che non conosco e di cui non mi fido,che hanno abitudini che non capisco,e una sola mi è familiare ed è per me prevedibile e comprensibile. Scegliere gli Abneganti non mi darà gioia e felicità,ma almeno avrò un posto confortevole in cui vivere.
Mi siedo sul bordo del letto.
No,non è vero,rifletto.
Poi deglutisco per inghiottire il pensiero,perché so da dove nasce:dalla parte infantile di me che ha paura dell’uomo che al piano di sotto sta ricevendo degli ospiti in salotto. L’uomo di cui conosco più i pugni che gli abbracci.
Controllo che la porta sia chiusa e, per sicurezza,incastro la sedia sotto la maniglia. Poi mi accovaccio accanto al letto e allungo il braccio per tirare fuori il baule.
Me lo diede mia madre quando ero piccolo,spiegando a mio padre che era per le coperte di riserva e che l’aveva trovato in un vicolo. Ma quando lo portò in camera mia,non lo riempì di coperte. Chiuse la porta e si portò un dito sulle labbra,poi lo posò sul e letto e lo aprì.
Dentro il baule c’era una scultura azzurra. Sembrava una cascata d’acqua,ma in realtà era vetro. Vetro perfettamente trasparente,liscio,senza alcuna imperfezione.
< Che cosa fa? > le avevo chiesto.
< Apparentemente nulla > mi aveva risposto con un sorriso. Ma era un sorriso tirato,come se avesse paura di qualcosa.
< Ma potrebbe riuscire a fare qualcosa qui dentro. > Si era messa una mano sul petto,proprio sopra lo sterno. < A volte le cose belle hanno questo potere. >
Da allora ho riempito il baule di oggetti che altri definirebbero inutili: vecchi occhiali privi di lenti,pezzi di computer buttati via,candele di accensione,fili elettrici senza guaina,il collo di una bottiglia di vetro verde,la lama di un coltello. Non so se mia madre li avrebbe trovati belli,e forse neanche per me lo sono,ma ciascuno mi ha colpito nello stesso modo del soprammobile: come oggetti segreti e preziosi,se non altro per il fatto di essere così disprezzati.
Invece di pensare ai risultati del mio test attitudinale,li prendo uno per uno e li rigiro tra le mani,finchè non li ho memorizzati tutti,in ogni loro singolo dettaglio.
 
 
                                                             ***
 
Mi sveglio di soprassalto sentendo i passi di Marcus in corridoio. Sono sdraiato sul letto con gli oggetti sparpagliati sul materasso intorno a me. I passi rallentano mentre lui si avvicina alla porta. Raccolgo le candele, i frammenti di computer e i fili e li getto nel baule,poi chiudo il lucchetto e mi infilo la chiave nella tasca. Solo all’ultimo momento,quando la maniglia già comincia ad abbassarsi, mi accorgo che la scultura è rimasta fuori,per cui la nascondo sotto il cuscino e spingo il baule sotto il letto.
Mi lancio verso la sedia sotto la maniglia per permettere a mio padre di entrare.
Quando lui apre la porta,fissa con sospetto la sedia che ho ancora in mano. < che cosa ci facevi con quella? Stavi cercando di chiudermi fuori? >
< No,signore >
< È la seconda volta che mi menti,oggi. Non ho cresciuto un figlio perché diventasse un bugiardo. >
< Io .. > non riesco a farmi venire in mente niente da dire,così chiudo la bocca e riporto la sedia verso il tavolo a cui appartiene,esattamente dietro la perfetta pila di libri.
< Che cosa stavi facendo qui dentro che non volevi farmi vedere? >
Stringo forte la spalliera della sedia,lo sguardo fisso sui libri.
< Niente. > mormoro.
< E fanno tre bugie. > La sua voce è bassa,ma dura come la pietra. Viene verso di me e io istintivamente indietreggio,ma invece di raggiungermi si china e tira fuori il baule da sotto il letto. Cerca di aprirlo ma non ci riesce.
La paura mi penetra nelle budella come una lama.
Stringo l’orlo della camicia,ma non sento niente sotto i polpastrelli.
< Tua madre diceva che questo serviva per le coperte. Diceva che di notte avevi freddo.
Ma io mi sono sempre chiesto: se dentro ci sono ancora le coperte,perché lo tieni chiuso? >
Solleva la mano,il palmo rivolto verso l’alto,e mi guarda severo. So che cosa vuole: la chiave. E devo dargliela,perché lui si accorge se mento .. si accorge di tutto quello che mi riguarda. Frugo nella tasca dei pantaloni e gli lascio ricadere la chiave nella mano. Ora non sento neanche più i palmi e il mio respiro comincia ad accorciarsi,come mi succede sempre quando capisco che è sul punto di esplodere.
Chiudo gli occhi mentre apre il baule.
< Che cos’è questa roba? > Le sue dita si muovono senza riguardo tra i preziosi oggetti,spostandoli di qua e di là. Poi comincia a tirarli fuori uno alla volta e a spingermeli sotto il naso. < A cosa ti serve questo,e questo ..! >
Sussulto ogni volta,ma non ho la risposta. Non mi servono. Non me ne serve nessuno.
< Questo comportamento  puzza di autoindulgenza! > grida,scaraventando il baule giù dal letto. Il contenuto si sparge su tutto il pavimento.
Non sento neanche più la faccia.
Le sue mani mi colpiscono il petto. Indietreggio incespicando e urto il cassettone. Lui solleva il braccio per colpirmi di nuovo e io esclamo,la voce strozzata per la paura: < La Cerimonia della Scelta,papà! >
Lui si ferma con la mano a mezz’aria e io mi ranicchio conto il cassettone,la vista annebbiata. Di solito cerca di non lasciarmi segni in faccia,soprattutto alla vigilia  di giornate come quella di domani,quando tante persone mi osserveranno,nell’attesa che io compia la Scelta.
Abbassa la mano e per un attimo penso che l’impeto di violenza sia passata,la rabbia spenta. Ma poi sibila: < Giusto. Resta qui. >
Mi accascio. Non mi aspetto certo che, ora che se ne è andato,ci rifletta e torni scusandosi. Non lo fa mai. Tornerà con una cintura e i solchi che mi scaverà sulla schiena saranno facilmente nascosti da una camicia e da un’espressione sottomessa da Abnegante. Mi volto,il corpo scosso da un fremito,mi aggrappo al bordo del mobile e aspetto.
 
                                                              ***
 
La notte dormo a pancia in giù,il dolore che addenta ogni mio pensiero,il pavimento cosparso dei frammenti dei miei averi. Dopo avermi colpito finchè ho dovuto infilarmi un pungo in bocca per soffocare le grida,ha calpestato tutti gli oggetti rompendoli o deformandoli fino a renderli irriconoscibili,poi ha sbattuto il baule contro il muro facendo staccare il coperchio.
Un’idea prende forma nella mia mente: Se sceglierai gli Abneganti non riuscirai mai a fuggire da lui.
Affondo la faccia nel cuscino.
Non sono abbastanza forte da resiste all’arrendevolezza,alla paura che mi trascina verso il sentiero che mio padre ha tracciato per me.
 
 
                                                                  ***
 
Il mattino dopo faccio la doccia fredda,non per risparmiare energia come prescrivono gli Abneganti,ma per intorpidire la schiena. Mi infilo lentamente i miei larghi,dimessi vestiti da Abnegante e mi fermo davanti allo specchio,in corridoio,per tagliarmi i capelli.
< Lascia fare a me > dice mio padre dal fondo del corridoio. <  È il tuo Giorno della Scelta,dopotutto. >
Appoggio la macchinetta sulla mensola creata dal pannello scorrevole e cerco di raddrizzarmi.
Lui si sistema alle mie spalle e io abbasso lo sguardo quando il rasoio comincia a ronzare. Rabbrividisco quando mi prende la testa per tenerla ferma. Spero che non se ne accorga,che non capisca che ogni suo minimo tocco mi terrorizza. < Sai che cosa ti aspetta > mi dice mentre con la mano mi copre la punta dell’orecchio prima di passare la macchinetta sul lato della testa. Oggi cerca di proteggermi dalle lame del rasoio,mentre ieri mi picchiava con la cintura. E questo pensiero è come un veleno che mi intossica la mente. È quasi buffo. Quasi mi viene da ridere.
< Te ne starai al tuo posto finchè non chiameranno il tuo nome. Poi ti presenterai e riceverai il coltello. Ti inciderai un taglio nella mano e lascerai colare il sangue nella coppa giusta. > I nostri occhi si incontrano nello specchio e lui stringe le labbra in una specie di sorriso. Mi tocca la spalla e mi accorgo che siamo quasi alla stessa altezza ora,quasi della stessa altezza,anche se io mi sento ancora molto piccolo.
Poi aggiunge,addolcendo la voce: < Il taglio farà male solo per poco. E dopo che avrai compiuto la Scelta sarà tutto finito. >
Mi domando addirittura se ricorda che cos’è successo ieri,o se l’ha già relegato in qualche compartimento separato dlla mente,scindendo il mostro dalla metà paterna. Io però non ho questi compartimenti e vedo tutte le sue identità,sovrapposte le une alle altre: mostro,padre,uomo,capo del consiglio,vedovo.
E all’improvviso il battito accelera,mi sento avvampare il viso e non riesco più a sopportare la tensione. < Non preoccuparti di quanto farà male > dico. < Sono allentato al dolore.>
Per un secondo i suoi occhi nello specchio sono come pugnali,e tutta la mia rabbia sfuma all’istante,sostituita dalle ben più familiare paura. Ma lui si limita a spegnere il rasoio e ad appoggiarlo sulla mensola,poi si avvia verso le scale,lasciandomi da solo a raccogliere i capelli,a spazzolarmi le spalle e il collo e a riporre la macchinetta nel cassetto del bagno.
Torno in camera mia e guardo gli oggetti rotti sul pavimento. Li raggruppo con cura in un mucchio e poi li butto nel cestino accanto la scrivania,un pezzo alla volta.
Mi rialzo con una smorfia,le ginocchia che mi tremano.
E in quel momento,mentre rifletto sulla vacuità della che mi sono costruito qui e osservo i detriti di quel poco che avevo,penso: devo andarmene.
Un’idea potente,che sento risuonare dentro di me con la forza del rintocco di una campana. Così me lo ripeto. Devo andarmene.
Vado verso il letto e infilo la mano sotto il cuscino. La scultura di mia madre è ancora intatta,azzurra e rilucente nel chiarore del mattino. L’appoggio sul cassettone,poco distante dalla pila di libri,ed esco chiudendomi la porta alle spalle.
Scendo di sotto,ma sono troppo nervoso per mangiare. Mi infilo ugualmente in bocca un pezzo di toast perché mio padre non faccia domande. In realtà,non ho niente di cui preoccuparmi:ora sta facendo finta che non esista,fa finta di non vedermi trasalire ogni volta che devo piegarmi per raccogliere qualcosa.
Devo andarmene. È un mantra,una formula rituale,l’unica cosa che mi rimae a cui aggrapparmi.
Mentre lui finisce di leggere le notizie che gli Eruditi pubblicano ogni mattina,io lavo i piatti,poi usciamo di casa insieme,senza parlare. Camminiamo sul marciapiede e lui saluti i vicini con un sorriso. Tutto è sempre in ordine per Marcus Eaton,tranne suo figlio,tranne me. Io non sono in regola,io sono un perenne disastro.
Ma oggi ne sono felice.
Saliamo sull’autobus e rimaniamo in piedi nel corridoio per lasciar sedere gli altri,perfetta immagine della deferenza degli Abneganti. Guardo salire le persone: Candidi impertinenti,Eruditi con aria da intellettuali. Osservo gli altri Abneganti alzarsi e cedere il posto. Oggi abbiamo tutti la stessa meta:il Centro,una colonna nera in lontananza che due guglie sul tetto che trafiggono il cielo.
Arriviamo a destinazione,e mio padre mi appoggia una mano sulla spalla mentre varchiamo l’ingresso,procurandomi una fitta di dolore in tutto il corpo.
Devo andarmene.
È un pensiero disperato e il dolore non fa che rinvigorirlo a ogni gradino della scalinata che porta al piano dove avrà luogo la Cerimonia. Faccio fatica a respirare,ma non è a causa delle gambe affaticate,quanto del mio debole cuore,che però si va rafforzando a ogni secondo che passa. Accanto a me,Marcus si asciuga il sudore sulla fronte,mentre tutti gli altri Abneganti tengono la bocca chiusa per non far sentire il respiro pesante,per non dare l’impressione che si stiano lamentando.
Sollevo gli occhi verso la cima della scale,eccitato da questo pensiero,questa necessità,questa possibilità di fuga.
Raggiungiamo il piano e tutti si fermano a riprendere fiato prima di entrare. La sala è poco illuminata,le finestre sono chiuse,le sedie disposte in cerchio intorno alle coppe che contengo rispettivamente vetro,acqua,pietre,carboni e terra. Io trovo il mio posto nella fila,tra un’Abnegante e un Pacifico. Marcus si ferma davanti a me.
< Sai cosa fare > mormora,e sembra quasi dirlo a se stesso più che a me. < Sai qual è la scelta giusta. So che lo sai. >
Fisso un punto indefinito sotto i suoi occhi.
< Ci vediamo presto. > aggiunge lui. Si dirige verso il settore degli Abneganti e si siede in primafila,accanto ad alcuni dirigenti del consiglio.
Gradualmente la sala si riempie. I ragazzi che devono compiere la Scleta sono in piedi sull’esterno,a formare un quadrato,mentre il pubblico è seduto sulle sedie al centro.
Le porte vengono chiuse e cala il silenzio quando il Presidente della Cerimonia,un Intrepido,avanza verso il podio. Si chiama Max. stringe le mani intorno al bordo del leggio e persino dalla distanza a cui mi trovo io si vede che ha le nocche scorticate.
Negli Intrepidi si impara a fare a pugni? Evidentemente si.
< Benvenuti alla Cerimonia della Scelta > esordisce Max. la sua voce profonda raggiunge facilmente ogni punto della sala,senza bisogno di microfoni,ed è abbastanza alta e forte da penetrarmi nella testa e avviluppare i miei pensieri.
< Oggi sceglierete la vostra fazione. Fino a questo momento avete seguito il percorso indicato dai vostri genitori,avete seguito le loro regole. Oggi troverete la vostra strada,creerete le vostre regole. >
Riesco quasi a vedere mio padre che stringe le labbra con fare sprezzante nel sentire un discorso tipicamente da Intrepidi. Conosco talmente bene le sue abitudini che quasi lo faccio anch’io,anche se non condivido il suo giudizio. Io non ho opinioni particolari sugli Intrepidi.
< Molto tempo fa i nostri antenati si resero conto che siamo tutti responsabili del male che c’è sulla Terra,ognuno per la propria parte,ma non si trovarono d’accordo sul nome da dare a quel male > continua Max. < Alcuni sostenevano che il male nascesse dalla menzogna .. >
Penso alle bugie che ho raccontato,anno dopo anno, sui miei lividi,e alle omissioni con cui ho protetto i segreti di Marcus.
< Altri dicevano dall’ignoranza,dall’aggressività ..  >
Peso alla serenità dei frutteti dei Pacifici,a come in mezzo a loro sarei al riparo dalla violenza e dalla crudeltà.
< Alcuni dicevano che la causa fosse l’egoismo .>
È per il tuo bene,ringhiava Marcus prima di vibrare il primo colpo. Come se picchiarmi fosse per lui un atto di sacrificio. Come se gli facesse male farlo. Ma non era lui a zoppicare in cucina,stamattina.
< E l’ultimo gruppo diceva che la colpa andava ascritta alla codardia. >
Alcune grida si levano dal settore degli Intrepidi,molti dei quali ridono. Ripenso alla paura che mi ha divorato ieri notte fino a togliermi ogni sensibilità,fino a mozzarmi il respiro. Penso a tutti gli anni in cui sono stato calpestato,polverizzato sotto il tallone di mio padre.
< È così che sono nate le fazioni: Candidi,Eruditi,Pacifici,Abneganti,Intrepidi. > Max sorride. < Da esse provengono i nostri amministratori,insegnati,consulenti,governanti e guardie. In esse si radica il nostro senso di appartenenza,il nostro senso di comunità,la nostra stessa vita. > Si schiarisce la gola. < Ma basta così,arriviamo al dunque. Ora verrete qui,prenderete il vostro coltello e compierete la Scelta. Il nome del primo convocato è Zellner,Gregory. >
Mi sembra quasi doveroso che il dolore segni il passaggio dalla vecchia vita a quella nuova,quando il coltello mi inciderà il palmo della mano. Però,questa mattina ancora non sapevo quale fazione scegliere come rifugio. Gregory Zellner solleva la mano sanguinante sopra la coppa che contiene la terra dei Pacifici.
I Pacifici sembrano una scelta ovvia come rifugio,con la loro vita serena,i frutteti profumati,la comunità sorridente. Tra loro troverei il tipo di accettazione che ho agognato per tutta la vita e forse,con il tempo,imparerei a sentirmi sicuro di me,ad accettarmi per come sono. Ma se guardo la gente seduta in quel settore,vestita di giallo e rosso,vedo solo persone sane o già guarite,capaci di allietarsi e di sostenersi. Sono troppo perfetti,troppo gentili perché uno come me possa essere spinto tra le loro braccia dalla rabbia e dalla paura.
La cerimonia procede troppo in fretta. < Rogers,Helena. >
 Helena sceglie i Candidi.
So che cosa succede durante l’iniziazione dei Candidi. Ne ho sentito parlare a scuola un giorno. Sarei costretto a rivelare ogni mio segreto,a dissotterrarlo con le unghie. Dovrei strapparmi la pelle di dosso per entrare nei Candidi. No,non posso farlo.
< Lovelance,Frederick . >
Frderick Lovelance,tutto vestito di azzurro,si taglia il palmo della mano e fa cadere il sangue nell’acqua già rosa degli Eruditi,facendole acquistare una gradazione un po’ più scura. Io imparo piuttosto in fretta,ma mi conosco abbastanza bene da sapere che sono troppo instabile,troppo emotivo per un posto come quello. Mi sentirei soffocato,mentre quello che voglio è essere libero,non essere rinchiuso in una nuova prigione.
Un attimo dopo stanno chiamando la ragazza Abnegante accanto a me < Erasmus,Anne >
Anne,un’altra che non mi ha mai rivolto che poche parole,percorre incerta tutto il corridoio fino al podio di Max. prende il coltello con mani troppo tremanti e si taglia il palmo,poi stende il braccio sopra la coppa degli Abneganti. È facile per lei. Lei non ha niente da cui scappare,solo una comunità gentile e accogliente a cui tornare. Inoltre,sono anni che non si trasferisce nessun Abnegante. È la fazione con il più alto tasso di fedeltà,secondo le statistiche.
< Eaton,Tobaias. >
Non mi sento nervoso mentre cammino verso le coppe,anche se non ho ancora scelto il posto per me. Max mi passa il coltello e io chiudo le dita intorno al manico. È liscio e freddo,la lama pulita. Un coltello nuovo,e una scelta nuova,per ogni persona.
Mi avvicino alle coppe,al centro della sala,passando davanti a Tori,la donna che mi ha sottoposto al test attitudinale. Sarai tu a dover convivere con la tua scelta,mi ha detto. Ha i capelli legati e noto che ha un tatuaggio sopra la clavicola,che si allunga verso la gola. Lei mi guarda negli occhi con un’intensità particolare e io la fisso a mia volta,calmo,mentre mi fermo in mezzo alle coppe.
Con quale scelta potrei convivere?
Non con gli Eruditi,non con i Candidi.
Non con gli Abneganti,da cui voglio scappare.
E neanche con i Pacifici,perché sono troppo disperato per farne parte.
La verità è che voglio che la mia scelta sia come un coltello affondato dritto nel cuore di mio padre,che lo ferisca con tutto il dolore,l’imbarazzo e la delusione possibili.
C’è una sola scelta che può farlo.
Lo guardo e lui annuisce. Mi incido nel palmo un taglio così profondo che mi vengono quasi le lascive agli occhi. Sbatto le palpebre per cacciarle indietro e serro la mano in un pugno per raccogliervi il sangue. I suoi occhi sono uguali ai miei,di un azzurro così scuro che quando c’è poca luca come in questo momento sembrano neri,come buchi scavati nel cranio. Sento la schiena pulsare e bruciare; la camicia sfrega sulla pelle scorticata,la pelle in cui ha scavato solchi con la cintura.
Apro la mano sopra i carboni.li sento bruciare nello stomaco,mi sento pieno fino a scoppiare di fuoco e fumo.
Sono libero.
   
 
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