Libri > Divergent
Segui la storia  |       
Autore: Ironicamente_caustica    21/04/2016    0 recensioni
Con quale scelta potrei convivere?
Non con gli Eruditi,non con i Candidi.
Non con gli Abneganti,da cui voglio scappare.
E neanche con i Pacifici,perché sono troppo disperato per farne parte.
La verità è che voglio che la mia scelta sia come un coltello affondato dritto nel cuore di mio padre,che lo ferisca con tutto il dolore,l’imbarazzo e la delusione possibili.
C’è una sola scelta che può farlo.
questa ff è ricopiata dal libro di Veronica Roth "Four" non ho amato la velocità e leggerezza degli eventi così riprendo passo passo il libro aggiungendo solamente le parti che mancano nella linea temporale. spero vi piaccia
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amar, Eric, Four/Quattro (Tobias), Tris, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic                                                                     QUATTRO
 
 
Non sento le grida degli Intrepidi,sento solo un ronzio.
La mia nuova fazione è come una creatura dalle molte braccia allungate verso di me. Le vado incontro senza avere il coraggio di voltarmi a guardare la faccia di mio padre.
Diverse mani mi toccano il braccio in segno di approvazione e io mio spingo verso il fondo del gruppo,con il sangue che mi cola sulle dita.
Raggiungo gli altri iniziati e mi fermo accanto ad un Erudito con i capelli neri,che mi soppesa e mi scarta con una sola occhiata. Non devo sembrare granché,nel mio grigio da Abnegante,altro e scheletrico dopo la crescita improvvisa dell’anno scorso. Dal taglio nella mano il sangue scorre abbonante,scivola lungo il polso e gocciola sul pavimento.
Ho affondato troppo il coltello.
Mentre l’ultimo dei miei coetanei avanza verso le coppe,afferro l’orlo della mia ampia camicia tra due dita e ,con un gesto deciso,strappo una striscia di stoffa dalla parte davanti;poi me l’avvolgo intorno alla mano per fermare il sangue. Questi vestiti non mi serviranno più.
Non appena l’ultimo esprime la sua scelta,gli Intrepidi seduti davanti a noi scattano in piedi e si lanciano verso l’uscita,trascinandomi con loro. Mi volto indietro prima di raggiungere la porta,incapace di trattenermi,e vedo mio padre seduto in prima fila,immobile,circondato da alcuni Abneganti. Sembra in stato di shock.
Accenno un sorriso. Ce l’ho fatta,sono stato io a provocare quell’espressione sulla sua faccia. Non sono il perfetto figlio Abnegante,condannato a farsi divorare completamente dal sistema e a sparire nell’anonimato. Al contrario,sono il primo traslazione Abnegante dopo più di dieci anni.
Mi volto e corro per raggiungere gli altri. Non voglio rimanere indietro. Prima ancora di uscire dalla sala mi slaccio la camicia strappata e la lascio cadere a terra. Anche la maglietta grigia che ho sotto è troppo grande per me,ma almeno è più scura e si confonde meglio con i vestiti neri della mia nuova fazione.
Gli Intrepidi si precipitano giù per le scale e spalancano le porte ridendo e gridando. Mi sento bruciare la schiena e le spalle,i polmoni e le gambe,e a un tratto non sono più sicuro della scelta che ho fatto,né delle persone a cui ho deciso di unirmi. Sono così rumorose e scatenate. Sarò davvero in grado di trovare il mio posto in mezzo a loro?
Non lo so.
Credo di non avere alternative.
Supero parte del gruppo in cerca dei miei compagni iniziati,ma sembrano spariti. Mi sposto di lato,sperando di riuscire a farmi un’idea di dove siamo diretti,e vedo poco più avanti i binari del treno,sospesi sopra la strada e racchiusi da un’intricata gabbia di legno e metallo.
Gli Intrepidi salgono i gradini e si riversano sulla banchina.
Ai piedi della scala la folla è così accalcata che non riesco a trovare un modo di infilarmi,ma so che se non mi sbrigo potrei perdere il treno,per cui decido di farmi strada a spintomi,stringendo i denti per impedirmi di scusarmi ogni volta che urto qualcuno. L’inerzia della folla mi spinge su.
< Te la cavi nella corsa > esclama Tori,affiancandomi sulla banchina, < per essere un Abnegante. >
< Grazie. > rispondo.
< Tu sai cosa succederà ora,vero? > Si volta e mi indica una luce in lontananza,il fanale di un treno in arrivo. < Non si fermerà. Rallenterà appena. E se non riesci a salire,per te è finita. Escluso. È molto facile essere buttati fuori. >
Annuisco. Non mi sorprende che le prove dell’iniziazione siano già cominciate,che siano cominciate nell’istante stesso in cui abbiamo lasciato la sala della Cerimonia della Scelta. Così come non mi sorprende che gli Intrepidi si aspettino che dimostri di essere alla loro altezza. Osservo il treno che si avvicina. Adesso sento anche il sibilo delle ruote suelle rotaie.
Lei mi sorride. < Ti troverai benissimo qui,sai? >
< Che cosa te lo fa pensare? >
Si stringe nelle spalle. < Mi dai l’impressione di essere uno pronto a combattere,tutto qui. >
Il convoglio si avvicina veloce e gli Intrepidi cominciano ad ammassarsi al suo interno. Tori corre lungo la banchina e io la seguo,imitando la sua posizione e i suoi movimenti mentre si prepara a saltare. La vedo afferrare la maniglia sul fianco della carrozza e buttarsi dentro,e faccio la stessa cosa,annaspando un po’ prima di trovare la presa e poi lanciandomi nel vagone.
Ma non ero preparato alla curva del treno e perdo l’equilibrio,andando a sbattere con la faccia contro a parete di metallo. Mi stringo tra le dita il naso dolorante.
< Che stile > esclama un Intrepido. È più giovane di Tori,ha la pelle scura e un sorriso aperto.
< Le sottigliezze lasciamole a quegli spocchiosi degli Eruditi > lo zittisce Tori. < È riuscito a salire,Amar,è questo che conta. >
< Però dovrebbe essere nell’altra carrozza,insieme agli altri iniziati > ribatte lui. Mi sta studiando,ma non nel modo che ha fatto il trasfazione Erudito alcuni minuti fa. Sembra più curioso che altro,come se fossi un oggetto strano che deve analizzare con attenzione per poterlo comprendere.
< se è amico tuo,immagino possa andare. Come ti chiami,Rigido? >
Il nome mi si forma sulle labbra nell’istante stesso in cui lui mi pone la domanda e sto per rispondere come ho sempre fatto,che sono Tobaias Eaton. Dovrebbe venirmi naturale,ma in questo momento non sopporto il pensiero di pronunciare il mio nome ad alta voce. Non qui,tra le persone che spero diventeranno i miei nuovi amici,la mia nuova famiglia. Non posso più essere  –  non sarò mai più  –  il figlio di Marcus Eaton.
< Per quel che me ne frega,puoi chiamarmi “Rigido” > dico,cercando di imitare le battute sarcastiche degli Intrepidi,che finora ho solo sentito nei corridoi della scuola.
Man mano che il treno acquista velocità,il vento nella carrozza aumenta sempre di più. È rumoroso
E mi ruggisce nelle orecchie.
Tori mi lancia una strana occhiata e, per un attimo, temo che voglia dire ad Amar come mi chiamo .. sono sicuro che se lo ricorda,dal testa attitudinale. Ma lei si limita ad annuire e io,sollevato,mi volto verso lo sportello aperto,la mano ancora sulla maniglia.
Prima d’ora non mi era mai venuto in mente che avrei potuto rifiutarmi di dire il mio nome,o che ne’avrei potuto dare uno falso,costruirmi una nuova identità. Qui sono libero .. di rispondere male,di respingere le persone e persino mentire.
Tra le travi di legno che sostengono i binari si intravede la strada. Siamo circa all’altezza di un secondo piano di un palazzo,ma più avanti la vecchia ferrovia lascia il posto a un linea nuova che sale ancora più in alto,avviluppandosi intorno ai tetti. L’ascesa è talmente graduale che non me ne sarei accorto se non mi fossi trovato a guardare la strada di sotto,quando abbiamo cominciato ad allontanarcene per avvicinarci sempre di più al cielo.
Mi sento le gambe deboli per la paura, per cui mi discosto dalla porta e mi accovaccio contro una parete,nell’attesa di arrivare ovunque stiamo andando.
 
 
                                                                     ***
 
Sono ancora nella stessa posizione – accucciato contro la parete,testa tra le mani – quando Amar mi tocca con il piede.
< Alzati,Rigido > il tono non è sgarbato. < È quasi ora di saltare. >
< Saltare? >
< Si. > risponde,sorridendo. < Questo treno non si ferma per nessuno. >
Mi tiro su. La stoffa con cui mi sono fasciato la mano è completamente intrisa di sangue.
Tori viene a prendermi e mi spinge verso l’uscita. < Prima gli iniziati!> grida.
< Che cosa stai facendo? > chiedo guardandola contrariato.
< Ti sto facendo un favore! > mi risponde,spingendomi di nuovo verso la porta.
Gli altri Intrepidi mi fanno spazio,sogghignando come predatori che pregustano il loro prossimo pasto. Io mi trascino fino al bordo,stringendo la maniglia con tanta forza da perdere la sensibilità alle dita. Individuo il punto su cui dovrei atterrare: più avanti la sopraelevata costeggia il tetto i un edificio,prima di cambiare direzione. Da qui,lo spazio tra il tetto e i binari sembra stretto,ma più il treno si avvicina più sembra allargarsi,e più mi sembra alta la possibilità di morire.
Tremo tutto mentre gli altri Intrepidi cominciano a saltare giù dalle carrozze di testa. Nessuno sbaglia a calcolare la distanza,ma questo non significa che non possa essere io il primo. Stacco a fatica le dita dalla maniglia,fisso il tesso e mi lancio con tutta la forza che ho.
Il contraccolpo dell’impatto mi attraversa il corpo come un fremito. Cado sulle ginocchia e sulle mani,e a ghiaia che ricopre il tetto mi si infila nella ferita. Mi osservo le dita. È come se il tempo avesse appena fatto un balzo in avanti e il mio salto fosse già svanito dalla vista e dalla memoria.
< Accidenti. > esclama qualcuno dietro di me < Speravo che più tardi ci saremmo divertiti a scrostare dal cemento frittata di Rigido. >
Guardo a terra con rabbia,mentre mi accovaccio sui talloni. Il tetto sotto di me s’inclina e oscilla .. non credevo si potessero avere le vertigini per la paura.
Però so di aver già superato due prove dell’iniziazione: sono salito su un treno in corsa e sono riuscito a saltare sul tetto.
Ora la domanda è : come fanno gli Intrepidi a scendere da quassù?un momento dopo Amar si avvicina al cornicione e scopro la risposta ..
Ci faranno saltare.
Chiudo gli occhi e faccio finta di non essere qui,inginocchiato sulla ghiaia,in mezzo a questi tipi pazzi e coperti d’inchiostro. Mi sono unito a loro per fuggire,ma questa non è una fuga,è solo un diverso tipo di tortura,ed è troppo tardi per tirarmi indietro. La mia unica speranza,allora, è sopravvivere.
< Benvenuti negli Intrepidi! > grida Amar. < Qui affronterete le vostre paure,cercando di non morire nel tentativo,oppure ve ne andrete da codardi. Quest’anno abbiamo avuto il record negativo di trasferimenti e non c’è da sorprendersi. >
Gli Intrepidi intorno ad Amar sollevano i pugni in aria ed esultano,accogliendo con orgoglio la notizia che nessuno vuole unirsi a loro.
< L’unico modo per entrare nella residenza degli Intrepidi da qui è buttarsi dal cornicione > prosegue Amar,allargando le braccia per indicare il vuoto che lo circonda. Poi si dondola all’indietro sui tacchi,agitando le braccia come se fosse sul punto di cadere,e un attimo dopo si raddrizza e sorride. Io inspiro profondamente da naso e trattengo l’aria nei polmoni.
< Come sempre,offro l’oppurtunità di saltare per primi ai nostri iniziati,interni o meno. > Amar scende dal cornicione e lo indica con un gesto,un’espressione interrogativa sul volto.
I giovani Intrepidi vicini al bordo del tetto si scambiano occhiate. A una certa distanza da loro,a lato del gruppo,ci sono l’Erudito di prima,una Pacifica e tre Candidi,due ragazzi e una ragazza. Siamo solo sei trasfazione.
Uno degli Intrepidi si fa avanti,un tipo dalla pelle scura che invita con un gesto i compagni a tifare per lui.
< Vai,Zeke! > grida una ragazza.
Lui raggiunge il cornicione con un piccolo balzo,ma calcola male la distanza e si ritrova troppo sbilanciato in avanti,perdendo l’equilibrio. Urla qualcosa di incomprensibile e scompare di sotto. La Candida trasale e si copre la bocca con una mano,mentre gli amici Intrepidi di Zeke scoppiano a ridere. Non credo che sia stato il momento spettacolare ed eroico che lui si era prefigurato.
Amar,sorridendo,indica di nuovo il cornicione. Gli iniziati interni vi si allineano davanti,e così fanno l’Erudito e la Pacifica. So che devo unirmi a loro,che devo buttarmi,a prescindere da come mi sento. Mi avvicino alla fila,rigido come se avessi viti arrugginite al posto delle giunture. Amar guarda l’orologio e dà il segnale di saltare ogni trenta secondi.
La fila si sta accorciando,si sta dissolvendo.
E a un tratto è sparita e io sono tutto ciò che ne rimane. Salgo sul cornicione e aspetto il segnale di Amar. Il sole sta calando dietro la linea frastagliata dei palazzi più lontani; è la prima volta che li vedo da questa prospettiva. La luce è dorata sopra l’orizzonte. Il ento che sale impetuoso lungo la parete dell’edificio mi fa svolazzare i vestiti.
< Vai! > dice Amar.
Chiudo gli occhi ma sono impietrito,non riesco neanche a spingermi oltre il tetto. Tutto quello che riesco a fare è sporgermi e lasciarmi cadere. Mi sento sprofondare lo stomaco mentre le gambe e le braccia si muovono affannosamente nel vuoto cercando qualcosa,qualunque cosa,a cui aggrapparsi; ma non c’è niente,sola la caduta,l’aria e il desiderio frenetico di un terreno su cui posare i piedi.
E poi.. colpisco una rete.
Le maglie si deformano e mi avvolgono con i loro fili resistenti. Delle mani mi fanno cenno dal bordo. Mi aggrappo alla rete con le dita e mi spingo verso di loro. Atterro in piedi su una piattaforma di legno,e un uomo con la pelle scura e le nocche scorticate mi sorride.
Max.
< Il Rigido! > mi do una pacca sulla schiena che mi lascia quasi senza fiato < È bello vedere che sei arrivato fin qui. Vai a raggiungere i tuoi compagni iniziati. Amar scenderà tra un secondo,sono sicuro. >
Alle sue spalle c’è un tunnel buio con le pareti di roccia. La residenza  degli Intrepidi è sotto terra. Mi sarei aspettato che fosse appesa a un grattacielo con cavi sottilissimi,una materializzazione dei miei peggiori incubi.
Provo a scendere i gradini per raggiungere gli altri trasfazione. Le mie gambe sembrano aver ripreso a funzionare.
La Pacifica mi sorride. < Non mi aspettavo fosse così divertente! > esclama. < Mi chiamo Mia,tutto bene? >
< Direi che sta cercando di non vomitare > sottolinea uno dei Candidi.
< Non trattenerti,amico > mi sfotte l’altro Candido. < Ci dispiacerebbe perderci lo spettacolo. >
La mia risposta arriva secca. < Piantatela. >
Con mia grande sorpresa mi danno retta. Probabilmente è la prima volta che vengono zittiti da un Abnegante.
Pochi secondi dopo vedo Amar raggiungere rotolando il bordo della rete. Scende gli scalini e, con quella sua aria selvaggia e disordinata,sembra già pronto per la prossima pazzia. Fa un cenno agli iniziati più vicini e ci raccogliamo in semi cerchio davanti alla bocca del tunnel.
Lui congiunge le mani davanti a sé. < Mi chiami Amar > si presenta a tutti. < Sarò il vostro istruttore. Sono cresciuto qui e, tre anni fa, ho terminato l’iniziazione brillantemente,il che significa che sarò responsabile dei nuovi arrivati per tutto il tempo che voglio. Fortunati che siete! Durante l’addestramento fisico terremo per lo più separati gli iniziati interni dai trasfazione,in poiché i primi non spezzino subito i secondi. >
A queste parole gli interni,che sono sul alto opposto del semicerchio sorridono.
< Ma quest’anno proveremo qualcosa di diverso. Io e i vostri capifazione vogliamo vedere se conoscere le vostre paure prima di cominciare i combattimenti vi aiuterà ad affrontar meglio il resto dell’iniziazione. Per cui ancora di farvi mettere piede nella sala mensa per la cena,faremo un po’ di auto-esplorazione. Seguitemi. >
< E se non volessi esplorare me stesso? > chiede Zeke.
Ad Amar basta guardarlo per farlo risprofondare nel gruppo degli interni. Amar è diverso da tutte le persone che ho mai incontrato fin’ora: affabile un minuto prima e duro quello successivo,a volte entrambe le cose contemporaneamente.
Lo seguiamo nel tunnel,finchè si ferma davanti a una porta che si apre nella parete di pietra e la spinge con la spalla. Entriamo in una sala umida con un’enorme finestra sul fondo. Sopra di noi tremolano lampade al neon dalla luce incerta. Amar si avvicina a una macchina molto simile a quella del test attitudinale. Sento uno sgocciolio:il tetto perde e si è formata una pozza d’acqua in un angolo.
La finestra si affaccia su un altro locale,enorme e vuoto. In ogni angolo c’è una videocamera di sorveglianza. Le avranno piazzate in tutta la residenza?
< Questa è la sala dello scenario della paura > annuncia Amar senza alzare lo sguardo. < Lo scenario è una simulazione in cui affronterete i vostri peggiori incubi. >
Sul tavolo,accanto alla machina,sono allineate diverse siringhe. Hanno un che di sinistro in questa luce instabile,come se potessero benissimo essere strumenti di tortura: coltelli,lame o attizzatoi incandescenti.
< Com’è possibile? > dice l’Erudito.< Tu non sai quali sono. >
< Eric,giusto? > chiede Amar. < Hai ragione. Non lo so,ma il siero che sto per iniettarvi stimolerà le aree del vostro cervello che gestiscono la paura,e sarete voi stessi,per così dire,a creare gli ostacoli della simulazione. A differenza dei test attitudinali,sarete consapevoli che ciò che accade non è reale. Io controllerò l’andamento della simulazione da questa stanza,e quando il vostro battito cardiaco raggiungerà un determinato livello,in altre parole quando vi sarete calmati o avrete affrontato la paura in modo significativo,indurrò il programma a passare oltre. Una volta affrontate tutte le paure,il programma terminerà e voi vi “sveglierete” di nuovo in quella sala,con una maggior consapevolezza dei vostri punti deboli. >
Prende una siringa e fa un cenno ad Eric.
< Permettimi di soddisfare la tua curiosità da Erudito. Tu andrai per primo. >
< Ma .. >
< Ma > lo interrompe Amar senza scomporsi < sono il tuo istruttore ed è nel tuo interessa fare quelo che dico. >
Eric rimane fermo un momento,poi si toglie il giubbino azzurro,lo piega e lo sistema sullo schienale di una sedia. I suoi movimenti sono lenti e calcolati;studiati,ho il sospetto,per irritare il più pssoibile Amar. Infine si avvicina a lui,che gli infila quasi con violenza l’ago nel collo e lo accompagna nell’altro locale.
Quando Eric si piaza al centro della sala al di là del vetro,Amar si collega con una serie di elettrodi e tocca lo schermo del computer per far partire il programma.
Eric è fermo,le mani abbandonate lungo i fianchi. Ci fissa da dietro il vetro ma un momento dopo,anche se non si è mosso,sembra che stia guardando qualcos’altro. La simulazione è cominciata. Non grida,non si agita,né piange come mi aspetterei da qualcuno che si trova faccia a faccia con le sue peggior paure. Il suo battito caridiaco,registrato sul monitor davanti Amar,accelera sempre di più,come le ali di un uccello che spicca il volo.
Ha paura. Ha paura ma non muove un muscolo
< Che succede? >  mi domanda Mia. < il siero sta funzionando? >
Annuisco.
Osservo Eric inspirare profondamente,spingendo l’aria fin giù nella pancia per poi espellerla attraverso il naso. Il suo corpo rabbrividisce e si agita,come se gli tremasse il terreno sotto i piedi,ma i suoi respiri sono lenti e regolari,i suoi muscoli si contraggono e poi si distendono,ogni pochi secondi,come se continuasse a entrare inavvertitamente in tensione e poi correggesse l’errore. Guardo il battito cardiaco sullo schermo e lo vedo rallentare sempre di più,finche con un colpo di polpastrello Amar ordina al programma di passare all’ostacolo successivo.
Questo succede più e più volte,a ogni nuovo ostacolo dello scenario. Conto silenziosamente le paure man mano che passano. Deici,undici,dodici. Poi Amar tocca lo schermo un’ultima volta ed Eric si rilassa,sbatte lentamente le palpebre e sorride rivolto alla finestra.
Noto che gli iniziati interni,di solito sempre pronti a fare commenti,rimangono in silenzio. Credo voglia dire che la mia sensazione è giusta: Eric è una persona da cui guardarsi. Forse addirittura da temere.
 
 
                                                                         ***
 
Per più di un’ora osservo gli iniziati affrontare le loro paure. Li vedo correre,saltare,puntare pistole invisibili e,in alcuni casi,buttarsi a terra faccia in giù,singhiozzando.
A volte riesco a immaginare che cosa stanno vedendo,a indovinare gli incubi striscianti,raccapriccianti che li tormentano;ma per lo più,i nemici contro cui combattono sono personali,e li conoscono solo loro e Amar.
Io rimango in fondo alla stanza e mi faccio sempre più piccolo ogni volta che lui chiama un nuovo nome. Resto per ultimo e intanto Mia sta per finire. Riemerge dallo scenario della paura e si ritrova rannicchiata contro il muro,la testa tra le mani. Si alza,con un’aria esausta,e si trascina fuori dalla stanza senza aspettare che Amar la congedi.
Lui guarda l’ultima siringa sul tavolo,poi me < Siamo rimasti solo io e te Rigido >  dice.  < Su vediamo di finirla, >
Mi fermo davanti a lui. Sento a malapena l’ago entrare. Non ho mai avuto problemi con le iniezioni,invece ad alcuni iniziati sono quasi venute le lacrime agli occhi quando è toccato il loro turno. Entro nella sala contigua e mi giro verso la finestra,che da questa parte è uno specchio. Un momento prima che il siero faccia effetto,mi vedo esattamente come abbaio agli occhi degli altri:ingobbito e infagottato in vestiti troppo grandi per me,alto,ossuto e sanguinante. Mi raddrizzo un po’ e rimango stupito dalla differenza: il piccolo accenno di forza che intravedo nel mio riflesso appena prima che stanza scompaia mi lascia sbigottito.
Una sfilza di immagini riempie la sala,un pezzo alla volta: il profilo della città,la voragine che si apre sotto i miei piedi profonda sette piani,il cornicione di fronte a me. Il vento sale lungo il fianco del palazzo,più sferzante di quando mi sono trovato su questo tetto nella vita reale,mi scuote i vestiti con tanta violenza da farli schioccare di qua e di là. Poi l’edifico comincia ad allungarsi,con me in cima, allontanandomi sempre più dal suolo. Il fondo della voragine si chiude e l’asfalto lo ricopre completamente.
Mi ritraggo dal bordo,ma il vento non mi permette di indietreggiar. Il mio cuore batte all’impazzata mentre accetto l’inevitabilità di quello che devo fare: buttarmi di nuovo,anche se stavolta non sono certo che non proverò dolore all’impatto.
Frittata di Rigido.
Scrollo le mani,chiudo gli occhi strizzandoli e grido tra i denti. Poi mi abbandono alla spinta del vento e cado,veloce.
Colpisco il duro asfalto.
Un dolore acuto e lancinante mi attraversa il corpo,ma per un secondo soltanto.
Mi alzo,mi pulisco la guancia dalla polvere e aspetto l’ostacolo successivo. Non ho idea di cosa sarà. Non ho mai speso tempo a riflettere sulle mie paure,o su che significasse liberarse,dominarle. Mi viene da pensare che senza di esse potrei essere forte,potente,inarrestabile. L’idea mi seduce per un breve istante,prima che qualcosa mi colpisca violentemente alla schiena.
Qualcos’altro mi colpisce sul fianco sinistro,poi sul destro,e mi ritrovo rinchiuso in una scatola grande a malapena per contenermi. All’inizio la sorpresa mi protegge dal panico,ma poi inspiro l’aria viziata,fisso il vuoto nel buio e sento lo stomaco contrarsi. Non riesco più a respirare. Soffoco. Mi mordo il labbro per non scoppiare a piangere. Non voglio che Amar mi veda piangere,e nemmeno che racconti agli altri Intrepidi che sono un codardo. Devo pensare ma non ci riesco,non finchè rimarrò qui dentro. La parete che mi preme sulla schiena è la stessa dei  miei ricordi da bambino,quando per punizione venivo rinchiuso nel ripostiglio buio al piano di sopra. Non sapevo mai quanto tempo ci sarei rimasto,in balia di mostri immaginari che mi strisciavano addosso nell’oscurità,nelle orecchie i singhiozzi di mia madre che filtravano attraverso i muri.
Colpisco con forza la parete davanti a me,più e più volte;vi infilo le unghie,anche se le schegge mi feriscono i polpastrelli; alzo le braccia e mi butto contro la scatola con tutto il peso del corpo,chiudendo gli occhi per far finta di non essere qui,di non essere qui. Fatemi uscire fatemi uscire fatemi uscire.
< Rifletti,Rigido! > grida una voce,e mi fermo. Mi ricordo che è solo una simulazione.
Rifletti. Che cosa mi serve per uscire da qui? Uno strumento,un oggetto con cui fare leva.
Tocco qualcosa con il piede e mi piego per raccoglierlo. Il coperchio della scatola si abbassa insieme a me, impedendomi di rialzarmi. Soffoco un grido e tasto con le dia l’estremità appuntita di un piede di porco. L’infilo tra le assi che formano l’angolo sinistro della scatola e spingo con tutta la forza che ho. All’improvviso le assi si aprono e cadono a terra tutto intorno a me. Respiro aria fresca,sollevato.
Alle mie spalle compare una donna. Non ne riconosco il volto ed è vestiti di piango,quindi non appartiene a nessuna fazione. Faccio per andare verso di lei ma davanti a me spunta un tavolo,con sopra una pistola e un proiettile.
Li guardo,perplesso.
Che paura è questa?
< Chi sei? > le chiedo,ma lei non risponde.
È chiaro quello che devo fare: caricare la pistola con il proiettile e sparare. Dentro di me cresce l’ansia che mi travolge come ogni paura. Ho la bocca secca e annaspo mentre cerco di afferrare il proiettile e la pistola. Non ho mai tenuto un’arma in mano prima d’ora,per cui mi ci vuole qualche secondo per capire come si apre il caricatore. In quei secondi penso alla luce che si spegnerà negli occhi di questa donna che non conosco,che non conosco abbastanza perché mi importi di lei.
Ho paura. Ho paura di quello che mi verrà chiesto di fare negli Intrepidi,e di quello che io stesso vorrò fare.
Ho paura che ci sia una violenza assopita dentro di me, provocata da mio padre e dagli anni di silenzio che la mia fazione mi ha imposto.
Inserisco il proiettile,poi sollevo l’arma con entrambe le mani. Sento pulsare il taglio nel palmo. Guardo in faccia la donna. Le trema il labbro inferiore e ha gli occhi pieni di lacrime.
< Mi dispiace > mormoro prima di premere il grilletto.
Vedo il buco scuro che il proiettile ha scavato nel suo corpo,prima che lei cada a terra,dissolvendosi in una nuvola di polvere al contatto con il pavimento.
Ma l’ansia non si placa,anzi la sento crescere dentro di me. Sento che sta per arrivare qualcos’altro. Marcus non è ancora apparso,ma arriverà. Lo so con la stessa certezza con cui so il mio nome. Il nostro nome.
Mi ritrovo al centro di un cerchio di luce,sul cui bordo vedo camminar un paio di logore scarpe grigie. Marcus Eaton entra nel cono di luce,ma non è il Marcus Eaton che conosco. Questo ha buschi neri al posto degli occhi e fauci spalancate invece della bocca.
Accanto a lui compare un secondo Marcus Eaton e lentamente,lungo tutta la circonferenza,spuntano sempre più numerose versioni mostruose di mio padre,fino a circondarmi completamente,le bocche senza denti spalancate,le teste piegate in strane angolazioni. Serro le mani a pugno. Non è reale. È evidente che non lo è.
Il primo Marcus slaccia la cintura e se la sfila dai calzoni,un passante dopo l’altro; contemporaneamente gli altri fanno lo stesso. A poco a poco le cinture si trasformano in corde di metallo che terminano con punte uncinate. I Marcus le trascinano disegnando linee sul pavimento,mentre le loro viscide lingue scivolano sulle bocche scure. Tutti simulataneamente tirano indietro le corde di metallo e io grido a pieni polmoni,stringendomi le braccia intorno alla testa.
< È per il tuo bene. > dicono i Marcus con voci metalliche all’unisono,come un coro.
Mi sento tagliare,strappare,ridurr a brandelli. Cado sulle ginocchia e mi premo le braccia contro le orecchie come se bastasse a proteggermi,ma niente può farlo,niente. Grido di nuovo, ma il dolore non si ferma, e neanche le voci.
< Non tollererò comportamenti autoindulgenti nella mia casa! >
< Non ho cresciuto mio figlio perché diventasse un bugiardo! >
Non ce la faccio a sentirlo,non voglio sentirlo.
Senza volerlo,un’immagine della scultura che mi ha dato mia madre mi si presenta alla memoria. Rivedo il posato in cui l’ho lasciata,sul mio cassettone, e il dolore si attenua. Mi concentro sul soprammobile e sugli altri oggetti sparpagliati sul pavimento della mia camera,distrutti; sul coperchio del baule livellato dalle cerniere. Ricordo le mani di mia madre,le sue dita sottili che chiudono il baule,fanno scattare la serratura e mi consegnano la chiave.
Una dopo l’altra le voci scompaiono,finchè non ne rimane nessuna.
Lascio ricadere le braccia,in attesa dell’ostacolo successivo. Le mie nocche sfregano contro il pavimento di pietra,freddo e impolverato. Sento dei passi e mi preparo a qualunque cosa stia arrivando,ma a raggiungermi è solo la voce di Amar: < Tutto qui? Non c’è altro? Caspita Rigido! >
Si ferma accanto a me e mi porge una mano. L’afferro e lascio che mi aiuti ad alzarmi in piedi. Evito il suo sguardo. Non voglio vedere la sua espressione. Non voglio che lui sappia quello che ora sa,non voglio diventare l’iniziato patetico con l’infanzia disastrosa.
< Dobbiamo trovarti un altro nome >  dice lui senza alcuna inflessione nella voce. < Qualcosa di più aggressivo di “Rigido”. Qualcosa come “Rasoio” o “Killer”,robe del genere. >
A quel punto lo guardo. Ha un mezzo sorriso stampato sulla faccia. Riconosco una venatura di compassione,ma non tutta quella che mi aspettavo.
< Neppure io vorrei dire il mio nome agli altri. > dice. < vieni,andiamo a mangiare qualcosa. >
 
 
                                                                        ***
 
Entriamo nella sala mensa e Amar mi accompagna al tavolo degli iniziati. Diversi tavolisono già occupati da Intrepidi che tengono gli occhi puntati sul lato opposto della stanza,dove cuochi ricoperti di pearcing e tatuaggi stanno ancora finendo di apparecchiare. La mensa è una caverna illuminata dal basso da lampade azzurre e bianche,che proiettano sugli oggetti una luce inquietante.
Mi accomodo su una sedia vuota.
< Accidenti Rigido. Sembri sul punto di svenire. > esclama Eric. Uno dei Candidi sorride.
< Siete sopravvissuti tutti quanti. > dice Amar. < Congratulazioni. Avete superato il primo giorno di iniziazione,con diversi gradi di successo. > guarda Eric.
< Però nessuno di voi è stato bravo come Quattro. >
Mi indica e io aggrotto la fronte .. quattro? Si riferisce alla mie paure?
< Hey,Tori > grida Amar in direzione di un tavolo alle sue spalle  <  Hai mai sentito di qualcuno a cui si sono presentate solo quattro ostacoli nello scenario della paura? >
< L’ultimo record di cui ho notizia era di sette o otto. Perché? >
< Ho qui un trasfazione che ha solo quattro paure. >
Tori mi indica e Amar annuisce. < Dev’essere un nuovo record. > dice lei.
< Bravo > si congratula Amar con me,poi si volta e va verso il tavolo di Tori.
Tutti gli altri iniziati mi fissano in silenzio e con gli occhi spalancati.
Prima dello scenario della paura mi avrebbero calpestato senza pensarci due volte pur di guadagnarsi un posto tra gli Intrepidi. Ora sono come Eric: qualcuno da cui guardarsi. Forse addirittura da temere.
Amar mi ha dato più di un nuovo nome. Mi ha dato potere.
< Ricordami come ti chiami in realtà? Comincia con la E ..? > mi chiede Eric,gli occhi socchiusi come se sapesse qualcosa ma fosse in dubbio se tirarla fuori o meno.
Anche gli altri potrebbero ricordare il mio nome,per averlo sentito durante la Cerimonia della Scelta.
Ricordarlo così come io ricordo il loro: vagamente,come una serie di lettere dell’alfabeto avvolte nella nebbia mentre aspettavo di essere chiamato.
Forse se riesco a imprimere con la forza nella loro memoria la mia nuova identità di Intrepido riuscirò a salvarmi.
Esito un momento,poi appoggio i gomiti sul tavolo e lo guardo a sopracciglia inarcate. < Mi chiamo Quattro. > dico. < Chiamami “Rigido” ancora una volta e io e te avremo un problema. >
Eric alza gli occhi al cielo,ma io so che il messaggio è arrivato a destinazione.
Ho un nuovo nome,il che significa che posso essere una persona nuova. Un persona che non tollera commenti sarcastici da Eruditi saccenti.
Una persona finalmente pronta a cambiare.
QUATTRO.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: Ironicamente_caustica