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Autore: iloveryuga    21/04/2016    5 recensioni
Prendete una ragazza povera e con un passato difficile alle spalle, catapultatela a New York e fatela incontrare con l'uomo più ricco e avvenente della città. I due avranno un bizzarro colloquio di lavoro, che farà rendere conto entrambi di quanto siano in realtà vicini e lontani allo stesso tempo...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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Era sul ring. Da solo. Una folla adorante lo acclamava e chiamava il suo nome a gran voce. Quella era forse la parte migliore: attendere l’avversario. Ghignava, come sempre, sapeva di essere il più forte, non aveva rivali. Qualunque cane avessero sguinzagliato, chiunque fosse venuto per usurpare il suo titolo di campione assoluto, sarebbe stato schiacciato come una misera mosca sotto le sue scarpe Adidas rosso fuoco. 

Saltellò sul posto alcune volte, ringraziando con le mani la folla adorante, già in fermento. Non c’era nessuno che se ne intendesse un minimo di pugilato e lotta libera che non conoscesse Ryuga “Dragone Rosso” Kishatu. Venivano da ogni angolo degli Stati Uniti per vederlo combattere, dentro l’arena che, solitamente, ospitava gli incontri, ovvero “Il Triangolo”, chiamato così per via dei tre tipi di lotta che ivi si praticavano, ovvero Kick Boxing, pugilato e libera. Ryuga era un asso in tutte e tre, ogni suo singolo avversario andava al tappeto per ko tecnico in meno di metà match; nessuno era in grado di tenere testa alla sua tecnica perfetta, non c’era uomo in tutti i cinquanta stati, e distretto federale, che potesse resistere alla potenza e alla precisione dei suoi colpi. 

Lui era veloce, fulmineo, letale. Conosceva l’esatta ubicazione di tutti i principali nervi corporei, ed era in grado di sferrare attacchi mirati proprio in quei punti. Chiunque avesse provato a sfidarlo, sarebbe finito steso nel giro di pochi minuti, senza neanche rendersene conto. Dove avesse imparato a battersi così magistralmente, nessuno lo sapeva, e in un certo senso preferiva non venire a conoscenza di una cosa simile. A loro bastava poter assistere ad un bel pestaggio, solo questo.

Ryuga, dal canto suo, non aveva la benché minima intenzione di rivelare il suo segreto; non aveva appreso da nessun grande campione l’arte del massacro, bensì da suo nonno. Fin da piccolo, egli gli aveva spezzato costole e ossa, obbligandolo a lunghi ed estenuanti allenamenti, senza toccare cibo. Perché? Semplice. Il vecchio Ryuga, nonno del nostro protagonista che fu chiamato così proprio in onore del Kishatu per eccellenza, era un pugile mancato, il quale non aveva potuto proseguire la sua brillante carriera a causa di un brutto infortunio alla gamba, che l’aveva lasciato claudicante per tutta la vita.

Ryuga senior, però, aveva sempre visto nel nipote un talento che superava di gran lunga il suo; il giovane ragazzo era scattante, agile, forte, una vera promessa, di certo non poteva farsi scappare un’occasione del genere da sotto il naso. Infatti, l’aveva tirato su a sua immagine e somiglianza, temprandolo all’inverosimile, rendendolo resistente a qualunque intemperia, quel piccolo ammasso di muscoli aveva una resistenza al dolore fuori dal comune, forse a causa delle botte che prendeva in continuazione da suo padre, o forse grazie a madre natura; in ogni caso, Ryuga senior non visse abbastanza per vedere suo nipote in rapida ascesa verso la gloria, e la brutta malattia che contrasse non gli consentì neppure di vederlo disputare il suo primo match. 

Ma al giovane Ryuga ormai poco importava di chi fosse presente, lui pensava ad una cosa e ad una soltanto: mandare al tappeto il suo avversario. Suo nonno gli aveva insegnato, a furia di pugni e calci in faccia, ad essere una macchina da guerra: risultato raggiunto pienamente, l’allievo aveva nettamente superato il maestro per forza e ferocia. Nulla avrebbe potuto distrarlo dal suo obiettivo, vincere, vincere, vincere e ancora vincere. Ce l’avrebbe fatta a far mettere il suo nome su quella dannata coppa dei campioni.

Creò degli ampi cerchi ruotando il collo, e sciolse le spalle. Il suo avversario, un tal “La Montagna”, il cui vero nome era Arthur Dempsey, si stava appropinquando al ring. Era davvero una montagna, in tutti i sensi: alto, più alto di Ryuga, che non era esattamente basso, considerati i suoi due metri e quindici, più largo di un armadio e con un ghigno agghiacciante stampato in volto. L’albino sorrise beffardo:’Più sono grossi, e più fanno rumore quando cadono’ si disse mentalmente, già pregustando la vittoria così gentilmente offertagli su un piatto d’argento. Appena questi si posizionò sul ring, salutando la folla, l’arbitro fece segno ai due contendenti di avvicinarsi, e questi obbedirono. Erano faccia a faccia, muso contro muso, il respiro dell’omone scaldava il viso di Ryuga, già di per sè contratto in una smorfia. Vedendo il suo atteggiamento strafottente di fronte ad un pezzo grosso come lui, Arthur lo fissò schifato:”Io ti schiaccio, insetto, ti conviene andare al tappeto” gli ringhiò, per poi ridere. L’allora sedicenne sorrise:”Non credo accetterò il suggerimento” La Montagna smise di sghignazzare, e si fece stranito. L’arbitrò segnò con un fischio l’inizio dell’incontro, e il pubblicò ammutolì.

Ryuga schivò un pugno che, altrimenti, avrebbe potuto frantumargli il viso, con una tale velocità che Arthur non se ne rese conto, ma prima che potesse ricomporsi, l’albino gli sferrò una potente ginocchiata all’altezza dello stomaco, facendolo piegare su sè stesso. Aveva già vinto, fin troppo facile. Ora era lui a ghignare, come si suol dire, ride bene chi ride ultimo:”Ehi, Montagna, guarda qua” Quello, dolorante e sfinito, con le braccia a cingere la fascia ventrale, alzò lo sguardo, per ricevere un calcio rotante in pieno viso, colpo finale, che lo scaraventò a terra e gli fece anche saltare un dente, che Ryuga prontamente afferrò: lui li collezionava come cimelio. 

Probabilmente il pubblico non aveva ancora realizzato cosa fosse appena successo, infatti il silenzio calò per alcuni secondi in quello stadio così grande. Tutti si riscossero solo quando l’arbitro fischiò la fine del combattimento, alzando il braccio del sedicenne per proclamarlo vincitore. Ecco che lì la folla impazzì, cantarono a ritmo il suo nome, battendo le mani seguendo le sillabe. L’albino inspirò a fondo l’odore della gloria che, ormai, era familiare alle sue narici da molto tempo. Qualcosa, però, lo distrasse dal suo giubilo, e lo costrinse a guardare in basso, per quanto lui opponesse resistenza. Fra la gente ammassata attorno al ring, riconobbe una sagoma, che lo fissava con sguardo affranto, disperati, lo chiamò con voce accorata:”Ryuga” Lui inspirò lentamente e sgranò gli espressivi occhi dorati:”Lila…” Quel nome echeggiò per istanti nella sua mente.

Si svegliò di soprassalto, tirandosi a sedere sul letto e respirando con forza. Ansimava, la fronte era imperlata di sudore e la confusione lo assaliva. Si guardò intorno, voltando lo sguardo ora da una parte e ora dall’altra. Poi si fissò frettolosamente il braccio: nessun numero. Sì, perché i lottatori del Triangolo erano segnati da un codice cifrato. Ma sulla sua pelle non si vedeva nulla che ricordasse l’arena. Chiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro, e deglutì: si era trattato solo di un tremendo incubo. 

Certo, non era la prima volta che i fantasmi del suo passato tornavano a fargli visita in sogno, ma la cosa che non comprendeva era cosa ci facesse Lila lì dentro. Di sicuro fu un brutto scherzo del suo subconscio, ma ormai quella ragazza era dappertutto! Certamente Ryuga non avrebbe mai immaginato che avrebbe potuto infilarsi anche là, in quella parte così remota di lui, che teneva gelosamente custodita in fondo al suo essere. Nessuno doveva venire a conoscenza del suo tenebroso passato, tantomeno lei. Scosse la testa, deciso ad allontanare l’immagine di Lila fra la folla, che lo fissava con quegli occhi così tristi… Sbuffò, perché doveva venire a tormentarlo anche mentre dormiva? Era sicuro che, se lei avesse scoperto anche la metà delle cose scabrose che lo riguardavano, sarebbe fuggita a gambe levate; d’altro canto, come darle torto. Era successo con tutti quelli che l’avevano conosciuto un poco a fondo, quel tanto che bastava a venire a conoscenza di alcuni particolari sul suo passato, erano scappate. Puff, erano come evaporate. E lui moriva dentro ogni volta che succedeva. Solo due persone condividevano con lui questo dolore, senza fare domande, senza parlarne mai: Inuyasha e Kairi.

Loro due erano ciò che a Ryuga era rimasto di una vita passata all’ombra di due uomini che volevano solo… Soldi, successo, fama. E per raggiungere queste tre cose, erano disposti a pagare qualunque prezzo, non gli pesò affatto sacrificare il membro più giovane della famiglia per vedere realizzate le loro più egoistiche e marce ambizioni. L’avevano picchiato a sangue, insultato, preso a calci… E lui aveva imparato a non piegarsi, di fronte a niente ed a nessuno; aveva perfino smesso di credere in Dio, dimenticò tutte le preghiere che aveva faticosamente imparato all’oratorio, per fare spazio ad un nuovo e moderno credo: nulla è reale, tutto è lecito. 

Già, gli era stato insegnato ad usare qualunque mezzo pur di trionfare, dato che niente era tangibile, né sentimenti, né dolore, né paura, tutte cose che Ryuga aveva disconosciuto e imparato ad odiare e respingere; codesti precetti erano diventati le colonne portanti della sua vita, dei pilastri solidi e marmorei ai quali lui si era sempre appoggiato, sul quale aveva basato la sua intera esistenza.

Del resto, aveva ricevuto un’educazione mirata, sia che avesse continuato la carriera di pugile, sia che avesse seguito le orme di suo padre e fosse diventato un brillante uomo d’affari, magari anche prendendo in mano le redini della piccola azienda di famiglia, progetto che, per verità, suo padre stesso aveva in mente per il suo geniale figliuolo. Ryuga, tuttavia, cresciuto con una mentalità ambiziosa, non si era certo accontentato della piccola impresa familiare, no, lui puntava alla vetta e, grazie al credo con il quale faceva riferimento, possedeva i mezzi atti a realizzare il suo proposito. E l’avrebbe fatto, con qualunque arma lui avesse a disposizione.

Si stropicciò gli occhi e si passò una mano sul viso. Il suo mondo, quello in cui aveva sempre vissuto e che aveva imparato a conoscere e dominare, a plasmare secondo i suoi canoni, si stava lentamente sgretolando davanti allo sguardo supplichevole di Lila; in fondo, lui sapeva bene perché la sua figura, paragonabile ad un angelo, comparisse anche nei suoi sogni. Lei, con i suoi atteggiamenti e il suo modo di vivere, gli stava aprendo gli occhi, poco a poco, sull’impossibilità di agire senza scrupoli pur di raggiungere uno scopo, poiché rischi di perdere le persone a cui tieni. E quelle, una volta perdute, non puoi ricomprarle, pur possedendo il più grande patrimonio mondiale. 

Sospirò nuovamente e fissò il soffitto, era tutto troppo difficile da accettare e da comprendere. Insomma, essere da quando si è nati in un modo, e poi vedersi sradicare ogni singola convinzione da una sola, minuscola lacrima…

Scosse la testa e guardò la radiosveglia: le cinque del mattino. Si alzò di scatto, si infilò la prima felpa che trovò nella cabina armadio, occultandosi il volto col cappuccio, indossò un paio di pantaloni comodi della tuta, inforcò le scarpe da ginnastica e afferrò le chiavi di casa, non prima di aver inserito le cuffiette nelle orecchie. Un po’ di sana corsa gli avrebbe disteso i nervi, e la musica l’avrebbe aiutato a non pensare più di tanto. E’ proprio vero che il buongiorno si vede dal mattino.

 

Quella mattina, Lila uscì di buona lena; si era comprata una sveglia, di quelle vecchie che trillavano per svegliarti, poiché era intenzionata a non ammazzarsi più per arrivare in orario. Per sua fortuna, quando arrivò in posta per pagare le bollette, non c’era ancora nessuno in coda, perciò riuscì a sbrigarsi con relativo anticipo, il che le permise di fermarsi da Patrick per comprare un brick di caffè e quattro ciambelle. Perché quattro? Beh, una era per lei e per il suo povero stomaco che reclamava cibo, ovviamente quella al cioccolato, le altre tre erano una analoga alla sua, una alla marmellata di fragole e una alla crema di nocciole. Non sapendo quali fossero i gusti di Ryuga aveva deciso di prenderle tutte e tre, giusto per andare sul sicuro; di certo, le due che lui non si fosse mangiato non sarebbero state gettate…

Era stato un bel pensiero, da parte sua. Ma, del resto, lei era più che mai intenzionata a vederlo di nuovo sorridere come aveva fatto il giorno prima. Avrebbe dato tutto ciò che possedeva per vedere quelle labbra perfette increspate all’insù; a quel pensiero, sorrise e arrossì, sperando con tutta sé stessa che lui le avrebbe rivolto qualche parola dolce vedendo le ciambelle.

Nel tragitto fino all’ufficio, la ragazza si morse il labbro più volte, riflettendo sul fatto che il suo capo avrebbe potuto non apprezzare quel tale atto di generosità, essendo lui una persona piuttosto riservata e fredda. Pregò Dio con tutta sé stessa affinché lo trovasse di buon umore, altrimenti sarebbe stata una vera tragedia, sia per lei che per i donuts. Una volta arrivata, salutò i due buttafuori con un cenno del capo, mostrandosi più disinvolta possibile, e ricevendo in cambio un sorriso cortese da parte dei due omoni. Raggiunto l’attico, posò le sue cose sulla scrivania, si tolse la giacca e rifece la coda che le era venuta male quella mattina. L’ansia la stava divorando, e se lui avesse rifiutato la sua cortesia? Se l’avesse di nuovo trattata male? Sbuffò sonoramente, quell’uomo era davvero incomprensibile per certe sue sfaccettature, non sapevi mai cosa aspettarti! Da un lato, quel lato del suo essere la attirava irrimediabilmente, il rischio dell’ignoto, un terreno minato tutto da disinnescare; dall’altro, però, spesso la mandava in crisi e le faceva salire il nervoso, cosa che non le capitava frequentemente, sopratutto con le persone a lei care. Lui, però, era un vero mistero. Un secondo ti voleva, il secondo dopo ti rifuggiva, quello ancora successivo ti trattava come l’ultimo mojo vileda prodotto dall’industria, e l’attimo seguente per lui eri una dea. Per un solo giorno, le sarebbe piaciuto da impazzire entrare nella mente del più brillante affarista di New York, solo per vedere come stridevano tutti quegli ingranaggi. 

Pensò di non entrare subito col sacchetto delle ciambelle, decise di aspettare un attimo, per farsi attendere un poco. Ogni tanto gettava qualche occhiata fugace alla porta, aspettando un qualche segnale che le suggerisse di farsi avanti; inspirò di colpo quando sentì delle urla potenti provenire da dentro: era la voce di Ryuga, furente, imperiosa, tonante. Imprecava e sbraitava contro un tizio di nome Steve, Lila lo capì dalle parole del suo capo che, saltuariamente, per ribadire il concetto di “non farlo incazzare”, chiamava il suo interlocutore di nome. Dopo minuti passati ad ascoltare attentamente quella conversazione, cercando di carpirne i dettagli, Lila non udì più alcun suono provenire dall’interno dell’ufficio e cominciò ad allarmarsi. Perché si era bloccato tutto così all’improvviso? Credendo fosse giusto non interferire, rimase comunque fuori, ma prese a spellarsi le mani. Infine, quando da dentro si sentì un tonfo sordo, la ragazza non si tenne più, entrò senza neppure bussare, preoccupata e ansiosa, e domandò:”Signore, va tutto bene?” Non appena lo vide che si teneva la testa e camminava a stento, inspirò di colpo, ma cercò di mantenere la lucidità sufficiente a sorreggerlo. Lo fece sedere sulla poltrona, e lo fissò con aria smarrita e terrorizzata:”Ryuga, si sente bene?” Il suono soave della voce di lei che pronunciava il suo nome, fu un balsamo alle orecchie dell’albino, che riuscì a guardarla negli occhi:”Sì… Tutto a posto. Nella… Nella cartella alla sua destra potrà trovare la cartina d’alluminio di un farmaco. Me la passi, per piacere” Rispose lui, ancora ansante.

La ragazza annuì ed obbedì immediatamente, passandogli la pillola di forma oblunga trovata nella ventiquattr’ore assieme alla bottiglietta d’acqua gasata posizionata sulla scrivania. Ryuga ingoiò la pastiglia e bevve una lunga sorsata, per poi trarre un respiro profondo. Lila era lì, imbambolata, non osava domandargli cosa gli fosse accaduto, anche perché temeva profondamente la risposta, e non aveva neppure la forza di chiedergli come stesse; l’unica azione che compì, fu quella di stringere la camicia, all’altezza del petto, nella mano destra, nel vano tentativo di bloccare il suo cuore spaventato, che batteva all’impazzata. 

Quasi intercettando i suoi pensieri, il trentacinquenne posò gli occhi sul suo viso, confuso e in preda al panico, tentando di tranquillizzarla con parole pronunciate dolcemente:”Va tutto bene, non si preoccupi” Sul volto di lui comparve un mezzo sorriso. Nonostante ciò, il fatto di non sapere cosa gli fosse accaduto e, di conseguenza, come poterlo evitare in futuro e come agire nel caso si fosse riverificato, la atterriva:”Cosa… Le è successo? Sempre che lei voglia dirmelo” Balbettò, provando ad assumere un tono di voce risoluto, ma con scarso successo. Ryuga, leggendole negli occhi una forte preoccupazione, fece spallucce:”Nulla di che, solo un piccolo capogiro” Lei, però, non era tipo da lasciarsi abbindolare così facilmente, incrociò le braccia e lo fissò in tralice:”Allora a cosa le è servita la pillola che ha appena preso?” L’albino sospirò, capendo che quella ragazza non era certo tipo da accontentarsi facilmente. Perché tutto quel dannato interesse? Meglio non porsi questa domanda, pensò; inoltre, ormai sapeva di potersi fidare di lei, almeno in parte, sarebbe stato meglio confessarle la verità e chiudere la faccenda:”E va bene, e va bene, vuoto il sacco. Ma lei mi deve promettere che terrà la bocca chiusa, nessuno al di fuori dei miei fratelli sa ciò che sto per dirle” Lila annuì, portandosi una mano alle labbra e premendocela sopra, come a confermare l’affermazione di Ryuga, sicché lui proseguì:”Soffro di ipertensione, ho forti sbalzi di pressione, sopratutto quando mi arrabbio” Apprendere questa notizia fu uno schock per la povera ragazza, la quale, in verità, sperava con tutto il cuore si trattasse davvero di una banalità. Come avrebbe dovuto comportarsi di lì in poi?

Di certo avrebbe dovuto mantenere la calma lei per prima, e cercare di non alimentare polemiche e discussioni. Certamente, però, non sarebbe stata capace di tacere nel caso in cui avesse visto un’ingiustizia, non era nei suoi geni. 

Sospirò:”Lei non dovrebbe fare sport, lo sa?” Ryuga scosse la testa:”Lo sport giova alla mia salute, impedisce al mio cuore di impigrirsi e, di conseguenza, invecchiare prematuramente” Lo fissò angosciata:”Il suo lavoro, però, non aiuta…” L’albino, percependo la sua agitazione crescente, le posò entrambe le mani sulle spalle e piantò lo sguardo dorato nel suo color nocciola:”Lila, va tutto bene. Sono anni che vado avanti così e non è mai accaduto nulla. Non si angosci, intesi?”

Erano così vicini, che Lila poteva sentire il respiro di lui sul naso. Quegli occhi così meravigliosamente intensi che la penetravano e la scrutavano nel profondo la facevano sentire minuscola, e lei si domandò se facesse questo medesimo effetto a tutti. Un unico pensiero, però, la faceva da padrone nella sua mente: chiudere la distanza tra di loro e posare le labbra sulle sue. Avvampò visibilmente, che diavolo le saltava in testa?! Fare simili voli pindarici non era da lei, sopratutto con il suo capo che aveva ben diciassette anni più di lei. 

Tuttavia, capirete bene che, con Ryuga come superiore, non era facile trattenersi. Abbassò la testa per non mostrare l’evidente rossore che le imporporava le gote, e lui sorrise teneramente, posandole una mano sulla testa e facendole una carezza:”Grazie per l’interessamento” Si alzò e si sistemò la giacca. Lila alzò il capo e il suo viso si illuminò, l’aveva appena ringraziata! Era così euforica che quasi non ci credeva. Si mise in piedi di colpo e zampettò fino alla sua scrivania, guadagnandosi lo sguardo confuso dell’albino, che la seguì con gli occhi per tutto il tragitto… O meglio, osservò il fondoschiena di lei, cosa che lui trovava particolarmente interessante. Scosse la testa, allontanando quel pensiero, quando lei rientrò con in mano un sacchetto piuttosto sospetto. Lei glielo porse, soavemente sorridendo, e cercò di trattenere l’ansia del responso. 

Il trentacinquenne lo esaminò, dopodiché lo aprì… Rimase sconcertato. Vedendolo così, Lila cercò di giustificarsi e prese a tormentarsi le unghie:”Ecco… Io non… Sapevo quale fosse il suo gusto preferito, così… Li ho presi tutti e tre” Ryuga prese quella alla crema di nocciole e la addentò, per poi leccarsi le dita:”Come faceva a sapere che stamane non ho fatto colazione? Davvero deliziosa. Dove le prende?” La ragazza sentiva di non riuscire più a trattenere l’eccitazione per tutti i complimenti che stava ricevendo, infatti sorrideva come un’ebete:”Da un vecchio amico di famiglia, ha un bar vicino a dove abito io” Il trentacinquenne annuì:”Gradirei che lei mi comprasse un caffè e una di queste tutte le mattine, potremmo mangiare insieme, sempre che le va, è ovvio” Con eccessiva euforia, rispose, usando il tono di voce più alto e stridulo che possedesse:”Ovvio che mi va!” Ryuga inarcò un sopracciglio, come se lei avesse oltrepassato i limiti, facendola ricomporre immediatamente. Si schiarì la voce:”Volevo dire… Mi piacerebbe molto fare colazione assieme a lei, signore” Rettificò con deferenza, guadagnandosi l’ennesimo sorriso sghembo da parte del suo avvenente capo:”D’accordo” 

Il loro momento di tenerezza idilliaca fu interrotto da Abigail, che entrò dopo aver bussato una volta. Senza neppure rivolgere un saluto alla sua collega, la biondona sorrise al suo capo e ammiccò:”Signore, la aspettano in sala riunioni per il meeting” Sbattè due o tre volte le lunghe ciglia intinte nel mascara, facendo sbuffare sonoramente Lila, la quale riempì anche le guance, vizio che si portava dietro da quando era bambina. A stento, vedendola in quella posa tanto puerile quanto simpatica, l’albino trattenne una risata; poi, tuttavia, cercò di darsi un tono, e con aria autorevole rispose:”Sì, sto arrivando.” Abigail annuì, e fece dietrofront con la camminata più sexy che potesse ostentare. 

La diciottenne fece per commentare, ma in quel momento le arrivò una chiamata da parte di sua cugina Julie, guardò Ryuga come a chiedergli il permesso, implicita domanda che ricevette subito consenso da parte del trentacinquenne. Lila si allontanò un poco, solo per evitare che lui sentisse cose… Magari imbarazzanti, ma lui non poté fare a meno di notare il rudere che la sua segretaria personale teneva attaccato all’orecchio, e che magari aveva anche il coraggio di chiamare cellulare! Tamburellò le dita sulla scrivania, attendendo che lei finisse, cosa che accadde pochi minuti dopo. Quando tornò davanti a lui, si mordeva il labbro per trattenersi, ma non stava più nella pelle: Julie stava venendo da lei per una visitina fuori programma. A quanto pareva, era riuscita a dare gli esami finali all’Università prima del previsto, e non vedeva l’ora di riabbracciare la sua adorata cuginetta che non vedeva da quasi sei mesi; già, tra il trasferimento, l’inizio dei corsi e tutto il resto, si erano perse un po’ di vista. Ma questa sarebbe stata l’occasione perfetta per ritrovarsi ancora una volta, e dividere tutte le emozioni dell’ultimo periodo insieme, come avevano sempre fatto.

Notando i denti conficcati nel labbro e il roteare ritmato della caviglia, fu Ryuga a porre la fatidica domanda:”Chi era? Se posso permettermi, ovviamente” La ragazza si ravviò i capelli, cercando di contenere l’allegria che scalpitava in ogni fibra del suo essere per venire a galla:”Entro questa sera dovrebbe arrivare mia cugina da Harvard. E’ una vita che non ci vediamo, mi mancava molto” Come al solito, rifletté lui, non aveva avuto problemi ad essere sincera e a rivelare quel particolare così intimo di sé, al contrario di lui, restio ad aprirsi su qualunque argomento non riguardasse il lavoro. Vedendola così, solare e sorridente, non poté fare a meno di intenerirsi un poco:”Allora sarà il caso che lei torni a casa. Insomma, di sicuro avrà diversi preparativi da fare. Se non erro, sua cugina è una persona alla quale lei tiene molto. Deve fare in modo che sia tutto perfetto, questo è il suo compito di oggi” Lei non si sarebbe mai sognata di chiederglielo, neppure le era venuto in mente di staccare così presto per organizzarsi, anche se, in verità, avrebbe proprio dovuto agire in questo modo. Doveva fare la spesa, riordinare un po’, lavare in terra e approntare un giaciglio per Julie. Non convinta che lui fosse serio e non credendo troppo a tutta quella grazia in un sol giorno, azzardò una domanda:”E’ proprio sicuro? Se vuole rimango” Ryuga sospirò e inarcò il sopracciglio:”Le ho detto che può andare, obbedisca, prima che io cambi idea” Le rispose con tono imperioso, quasi minaccioso, ma che nascondeva, molto in fondo, una soave dolcezza che, lentamente, stava iniziando a radicarsi nel gelido cuore di lui. Presa com’era dall’entusiasmo, senza neppure pensarci, gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia, per poi trotterellare allegra verso la sua scrivania e recuperare le quattro cose che aveva con sè

Ryuga, dal canto suo, rimase con un palmo di naso, immobile, con la mente fissa sul contatto che avevano appena avuto, un fugace momento, un rapido flash che l’aveva abbagliato, un fulmine a ciel sereno. Come poteva un solo singolo bacino a stampo sulla guancia renderlo confuso e senza parole? Sbatté un paio di volte le palpebre, tentando di scacciare via quell’immagine dalla mente, tuttavia sorrise, perché sapeva benissimo che non ci sarebbe riuscito.

 

Quella riunione, che si protraeva ormai da due ore, lo stava sfinendo da tutti i punti di vista. Si massaggiò le tempie, cercando invano sollievo dal mal di testa martellante che gli trapanava la scatola cranica da parte a parte. L’occhio, stanco e affaticato, gli ricadde sul suo smartphone, posato sulla cartella color beige davanti a lui. Un angolo della sua bocca si piegò all’insù, ripensando al vecchissimo Nokia che Lila portava appresso. Quella ragazza era… Meravigliosa e stramba allo stesso tempo, e forse era proprio il suo essere fuori dal comune a renderla meravigliosamente… Imbranata. Sì, imbranata e testarda. Scosse la testa e afferrò l’Iphone: era ora di cambiare un po’ lo status quo.

 

Per quella sera, Lila terminò tutti i preparativi, non senza una consistente dose di fatica e angoscia. Tutto sommato, però, le andava bene: conosceva a menadito Julie, perciò non dovette neppure interpellarsi sui suoi gusti. Inoltre, sua cugina e lei si assomigliavano moltissimo per carattere e per preferenze, avevano quasi tutto in comune, portavano perfino la medesima taglia. Non c’era cosa sulla quale si trovassero in disaccordo. Per Lila era stata come una sorella, durante il difficile periodo infantile. Una delle parti che la diciottenne amava di più, era di sicuro aspettare che lei suonasse al campanello: era un’emozione unica, tutte le volte che accadeva. 

Finalmente! Ecco il “ding dong” tanto anelato. Si precipitò ad aprire la porta, tirandola con forza quando questa, ovviamente, oppose resistenza. Con suo sommo rammarico, tuttavia, non si trovò davanti Julie, bensì il postino, che aveva da consegnarle un pacco a suo nome. La ragazza firmò e lo prese, leggermente confusa e frastornata, non aveva ordinato nulla da internet, di questo era sicura, e i suoi parenti non si sarebbero mai sognati di inviarle qualcosa di utile. Non sapeva che fare, aprirlo o non aprirlo? Beh, qualunque cosa fosse stata, si disse, non vi era altro modo per scoprirlo se non quello di recidere il nastro isolante con un taglio netto. Così fece, naturalmente, ma… Quello che vi trovò al suo interno la lasciò a bocca spalancata per attimi interminabili. 

Dentro, vi era un’altra scatoletta bianca, più piccola, contenente un Iphone 6s di color argento, le cuffiette e il bugiardino con istruzioni e garanzia    . Inoltre, un bigliettino di bella e fine carta color celeste spiccava sulla confezione plasticata. Lo prese e lo aprì, leggendo con una certa ansia. Era scritto in una grafia bellissima e assai arzigogolata, un corsivo così pulito e preciso da passare per un libro antico, il testo recitava:”Mi scuso per non averci pensato prima, tenga con cura quello smartphone, le servirà per lavorare. Cordiali saluti” E sotto vi era la firma di un nome che lei, ormai, conosceva meglio del suo: Ryuga Kishatu. Non poteva e non voleva assolutamente crederci: lui le aveva appena fatto un regalo da più di mille dollari.

Si inginocchiò a terra, stringendo al petto il foglio, perché l’aveva fatto? Sicuramente non per il lavoro, come invece millantava lui. Forse per poterle scrivere e mandare mail anche al di fuori dell’ambito lavorativo? Un milione e più di domande affollavano la povera mente di Lila, perennemente in movimento. E presto, molto prima di quanto lei si sarebbe mai aspettata, avrebbero trovato risposte.

   
 
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