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Autore: BlackStone    22/04/2016    4 recensioni
Sherlock e John si ritrovano alle prese con un caso dalle mille sfumature del male, tutte pennellate in modo uniforme su una tela.
Sherlock dovrà affrontare una battaglia con i propri sentimenti, le proprie paure più profonde e guardare il suo mind palace andare in frantumi.
[Johnlock]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna si oscurò. Se non ci fossero stati i lampioni e tutte le altre luci artificiali, molto probabilmente l’oscurità più profonda avrebbe inghiottito tutta la capitale britannica, non lasciando intravedere nulla al di là del proprio naso.
L’atmosfera, però, era comunque sinistra, soprattutto sul famoso ponte londinese, il Tower Bridge, aperto senza alcuna funzione logica, a trenta metri dal Tamigi.
Nelle strade non c’era un’anima, per ordine del Governo Inglese, e ogni persona si riversava su finestre, balconi, terrazze, alla ricerca di qualche indizio su cosa stesse succedendo, ma l’ora era tarda e l’aria gelida, per cui rinunciarono quasi immediatamente. Delle macchine in doppia fila o dei ticket scaduti non se ne curava nessuno: i poliziotti erano bloccati tutti sul London Bridge, e di certo non avevano tempo da spendere a fare multe e sequestrare vetture.
Un gatto bianco e dall’aria annoiata si accinse a varcare la barriera del ponte, miagolando sonoramente. Sgattaiolò tra gli ordigni luminosi e si sedette sotto la galleria coperta della prima torre, leccandosi la zampa destra con zelo, mentre una mano gli accarezzava affettuosamente la testa.
 
-Voglio che però lei sappia una cosa, signor Holmes. Piccoli chiarimenti necessari. Non serbo rancore per lei, dato che ha sparato al mio genitore, poiché lei ha messo fine a un impero basato sul sangue e sulla cupidigia, nonché sul male nella sua forma più pura. Lei ha permesso che l’intelligenza di Magnussen e la sua conoscenza siano passate a me tramite il codice binario lasciatomi in eredità, che utilizzo per giustizia, innovazione e logica. Questo corpo, ricostruito nella perfezione, è nato grazie alle conoscenze di anatomia, di genetica e di chimica che mio padre riservava in Appledoor, le quali sono nelle mie mani solo grazie al suo proiettile. Quindi le sono eternamente grata per aver contribuito al progresso dell’intelletto britannico-
-Che scena patetica. Un’assassina che parla di giustizia! Colei che inseguì e ammazzò brutalmente l’uomo che uccise sua sorella, per vendetta personale- ammonì Willem, ridacchiando.
-Anche quella è giustizia. Giustizia per un uomo che fece solo due mesi di galera, con il pretesto dell’infermità mentale. Quell’uomo era un depravato completamente consapevole delle sue azioni-.
Sherlock sorrise, di fronte all’applicazione più giusta della materia grigia. Il corpo di Grace, reso di nuovo utilizzabile grazie a un sistema generante cellule, era la forma più pura della scienza e dell’anatomia: riusciva quasi a sentirlo, quell’olio scorrere nelle vene di plastica, così come il sangue dei globuli artificiali arrivare agli organi, in modo che non degenerino; le ossa metalliche costruite su quelle ancora utilizzabili, l’endoscheletro posto sulla spina dorsale, i dati dell’hard disk susseguirsi nel cervello.
Era quasi un orgasmo, per lui, come se si stesse drogando.
John, ancora in bilico tra la vita e la morte, guardò i riflessi dell’acqua scomparire, constatando che ora appariva solo come un’acqua scura e senza fondo, pronta a riceverlo tra le pieghe delle sue onde per poi inghiottirlo per sempre. Quei pochi centimetri di spessore dell’asfalto avevano, per lui, un valore quasi sacro, come il filo per il ragno sospeso nel vuoto.
-Dunque la bambina nel quadro di Bakker era Grace, già stata vittima della rete di pedofili- disse il detective, serio.
-Esattamente- rispose Victoria.
-Ora basta con le chiacchiere, la luna è andata via!- ruggì Willem, facendo diminuire la distanza dalla punta del coltello e il collo di John.
-È giunto l’epilogo di tutta la vicenda-.
Van Gogh prese un telecomando a distanza con un pulsante, mentre afferrò, con la mano del coltello, i capelli del dottore, che stava facendo uno sforzo immane per tenersi in equilibrio.
Il cuore di Sherlock mancò un battito. Non avrebbe potuto fare niente, dall’altra parte del ponte con un baratro di trenta metri davanti.
Era davvero l’ultima volta che avrebbe rivisto John?
 
Uno sparo infranse le tenebre, il silenzio, la tensione e il telecomando di Willem.
Così preciso, dall’alto, così calcolato.
Uno sparo che aveva colpito il telecomando, senza azionare le bombe ai confini del ponte.                                                                                                
A Sherlock bastò un’occhiata verso l’alto, per riconoscere, sulle passerelle luminose, Rose Johnson. I suoi lunghissimi capelli ondeggiavano al vento, un fucile di precisione tra le braccia esili.
Willem alzò la testa, alla ricerca del colpevole: era agitato, preso alla sprovvista.
John, in un nano secondo, sentì l’adrenalina pompargli le vene, una scarica di energia strana: la mano col coltello era ben lontana da lui, e l’altra oramai conteneva solo frammenti.
Era la sua occasione.
Si sbilanciò all’indietro, sfruttando la forza di gravità, per poi dare una violenta testata a Willem, che cadde con tutto il suo peso lungo la discesa della strada sollevata. Tuttavia quello gli costò a sua volta la caduta, e non poté ritrovare l’equilibrio a causa di gambe e polsi legati. Però era libero.
Victoria fece un salto poderoso dall’altra parte del ponte, e si gettò su Willem che, imprecando, si alzò agilmente e schivò il primo pugno di Victoria. Non si curò del pugnale che era volato lontano, mentre John lo cercava disperatamente, strisciando sull’asfalto, ignorando il dolore pulsante delle ferite, il sangue che gocciolava da esse.
Sherlock non poteva far altro che guardare, incapace di esercitare qualunque azione.
Victoria tentò nuovamente un attacco con un calcio, ma Willem era pronto: le bloccò il piccolo piede con la mano e la scaraventò a terra. Lei fece leva con le braccia e riuscì a colpirlo con l’altro piede, sfruttando la stessa forza con la quale lui la stava buttando per terra. Willem per un attimo fece per cadere, ma era robusto, e le sue tecniche combattive tenevano testa a quelle di Victoria: saltò sul posto, piegando bene le gambe e sollevando i gomiti, per poi caricare un pugno verso il viso di lei; la bambina lo schivò piegandosi in maniera disumana all’indietro, poi fece una giravolta e colpì nello stomaco il killer, facendolo indietreggiare di qualche passo.
Ebbe quei pochi secondi per prendere il pugnale e, con un lancio perfetto, tagliare in modo netto le corde ai polsi di John.
 
Il vento le sussurrava nelle orecchie, mentre la luminosa città londinese brillava sotto i suoi occhi, in tutto il suo splendore. Aveva salvato l’antico Tower Bridge. Finalmente aveva combinato qualcosa di buono, nella sua vita.
L’aria le accarezzava i capelli, come una mamma. In quel momento sentiva una libertà mai provata, come se fosse una rondine che volava nel cielo portando la primavera.
Rose respirò a pieni polmoni quell’aria, sorridendo a trentadue denti.
-Londra, mia amata, finalmente posso vederti come si deve-
-…per l’ultima volta- sentenziò dietro di lei una voce femminile, Lily, che le puntava contro una pistola.
Rose si girò un secondo, respirò ancora e poi tornò a guardare il panorama.
-È scarica, Drogata-.
Lily provò a sparare, e la pistola emise solo un leggero click.
Rose rise, deridendola.
-La ketamina ti ha impedito perfino di comprare una confezione di proiettili? Non sapevo che avesse anche questo tipo di effetti-
-Sta’ zitta, razza di schifosa puttana- urlò Lily, in preda all’agitazione. Rose, dopotutto, aveva un fucile d’assalto, e lei solo una pistola scarica.
-Voglio solo che tu mi dica…perché. Non ho voglia di ucciderti, ricapiterei nel circolo vizioso della morte, e non ho nessuna intenzione di tornare in quella casa di cura. Parlami, “Lily”. Siamo entrambe in una situazione poco piacevole. Io potrei cadere nel vuoto e tu…sparata-.
Lily esitò. Non aveva altra scelta che obbedire.
-Amavo John. Ok? Lo guardavo ogni giorno, a scuola. Ma lui era sempre con quel Martin, quel lurido finocchio da due soldi. Cosa potevo fare, se non distrarmi dalla constatazione che John non mi amava? Mi iniziai a drogare, a frequentare locali malfamati, a fare la spogliarellista. Poi incontrai Willem, che mi offrì la roba buona, come la ketamina, ma solo se lo avessi aiutato a fare alcuni servizi. Prima di fare il primo, mi ero presa una bella dose, e non capivo nulla di quello che facevo, così uccisi quel bambino prima di rendermene conto. E dopo due, tre, quattro omicidi, oramai era routine. A me bastava distrarmi. Poi riuscii a entrare nel gruppo di John grazie a Mike Stratford, e da lì iniziò l’amicizia, anche se John era ancora preso da Martin e non mi calcolava. Così decisi di fare fuori quel terzo incomodo, ma Mike mi scoprì, e dovetti uccidere lui. Poi John partì.
Quando lo incontrai nell’obitorio, per me fu come un fulmine a ciel sereno. Mi innamorai di nuovo di lui all’istante. Ma, morto Martin, ora l’ostacolo era Sherlock, troppo difficile da imbrogliare e da uccidere, così decisi di dare un’occasione a John: se m’avesse voluto, avrei rinnegato tutto il passato e sarei stata felice con lui, ma se non avesse scelto me, ma Sherlock, l’avrei offerto a Willem secondo i patti stabiliti per catturare Victoria-.
Rose rise forte, e la sua risata sguaiata echeggiò nel silenzio della notte, tra i rumori della città.
-In assoluto il metodo più assurdo e deficiente che io abbia mai sentito. C’è chi elabora congetture, dettagli meticolosi, probabilità, trappole e congegni, e poi ci sono gli assassini come te, che non possono essere definiti propriamente “assassini”, dato che è già tanto se fanno una vittima. Vivere sotto l’ombra di un serial killer per un po’ di droga è un’azione tanto vigliacca quanto comprensibile: le persone fanno cose pazze, quando sono innamorate [1]. Tuttavia non puoi prenderti tutta la gloria dell’omicidio di Stratford: dubito che tu l’avresti ucciso, se non avessi avuto l’aiuto di Van Gogh nel nascondere il corpo. Anche io ho ucciso, e con le mie mani. Non c’è stata soddisfazione più grande. Tu che soddisfazione potrai mai avere? Di essere stata la pedina di un uomo? La tua vita è stata svolta nel nulla. Sia nel bene, che nel male-.
Lily lasciò cadere la pistola, e sprofondò in un pianto disperato. Rose pensò alla calata adrenalinica, che magari poteva provocare quell’effetto, oppure, cosa più probabile, Lily aveva appena sentito, nella maniera più brusca, il peso complessivo della dura realtà.
Passarono pochi secondi, dove la donna si stringeva i capelli, accucciata sul tetto della passerella luminosa, per poi scagliarsi, in un improvviso moto di rabbia, verso Rose, che non si mosse di un millimetro dalla sua posizione.
Non le importava più nulla del fucile d’assalto, non le importava di scivolare e cadere nel vuoto di quasi cinquantacinque metri.
Voleva solo stringere le sue dita nodose sul collo di Rose, e premere, premere, premere.
Rose la accolse, buttando l’arma di sotto e bloccandola per i polsi. Per quanto Lily spingesse, la mora la riusciva a far strisciare l’altra all’indietro, e a schivare i suoi tentativi di calci.
Ad un tratto la rossa si lasciò andare, e non oppose più resistenza.
Rose la guardò piangere ancora, poi, molto affettuosamente, l’abbracciò.
-Non c’è più nulla da fare. Né per me, né per te. È finita, Lily. Tu eri Gwen, ora non sei più nulla. Io ero Rose, e adesso non sono più nulla. Liberati del passato, rinnegalo, annullati completamente. Andremo all’inferno insieme. Possiamo solo pentirci di ciò che abbiamo fatto-
-Pentirci? Credi sia facile?-
-Non abbiamo altra scelta- disse Rose, dando un’ultima occhiata a Londra.
Poi, nel vento gelido, tra le tenebre e le nuvole, la luna oscura e poche stelle solitarie in spiragli del cielo, le due donne si lasciarono trasportare dalla forza gravitazionale, abbracciate come vecchie sorelle.
“Mi pento di aver fatto vergognare la mia famiglia di me” pensò Rose, che vedeva Buckingam Palace sparire sempre più tra i palazzi.
“Mi pento di aver rovinato la mia vita” pensò Lily, sentendo gli occhi bruciare.
“Mi pento di aver ucciso l’unica persona che forse si preoccupava per me” pensò Rose, chiudendo le palpebre e lasciandosi cullare dal vento.
“Mi pento di averti reso triste, John, di averti ferito e torturato” pensò Lily, ricordando il sapore di una Coca Cola, seduta in un tavolo da quattro.
“Mi pento di non aver detto addio a mia sorella, Irina. Ti sto raggiungendo, e ti chiederò scusa per tutto” pensò Rose, vedendo il viso di sua sorella.
“Mi pento di aver fatto del male a bambini, famiglie, persone innocenti” pensò Lily, sentendosi libera.
“Mi pento di non essermi presa cura di Victoria e di Grace, come avrei dovuto. Addio, mia cara Londra” pensò Rose, mentre sentì l’improvvisa durezza dell’acqua devastarle il corpo e ucciderla.
“Mi pento della mia esistenza, delle mie colpe. Scusa, John. Spero potrai essere felice con chi ami, per chi sei davvero” pensò Lily, calandosi nelle braccia della morte.
Allo stesso tempo, un gatto bianco si accasciò sul ciglio della strada, dopo aver emesso un ultimo, doloroso, miagolio.
 
Sherlock sentì il tonfo, e capì. Per istinto guardò nelle pieghe del Tamigi, dove era avvenuto l’impatto, ma non riusciva a vedere nulla al di fuori di acque scure e piccoli schizzi.
Tuttavia non poteva cercare i corpi di persone già defunte. John era la preoccupazione principale.
Quest’ultimo tentava di liberarsi le caviglie il più velocemente possibile, ma le forze lo stavano abbandonando e tutte le nozioni che aveva imparato sui nodi erano diventate improvvisamente cenere.
Victoria teneva a bada un Willem furibondo, che stava usando tutta la sua potenza contro la bambina, che riusciva a schivare ogni colpo per il rotto della cuffia. Lui urlava grida di odio, sferrandole pugni velocissimi e carichi di forza, e lei li bloccava per poi scagliare Willem lontano da lei di almeno qualche metro, per guadagnare quei pochi secondi buoni a verificare lo stato di John.
Quando riuscì a liberarsi dall’ultima corda, vide che le sue caviglie erano in pessime condizioni: grosse bolle e piaghe costituivano una macabra cavigliera dolorosa e sanguinante. Ma non aveva tempo per quelle banali ferite, doveva aiutare Victoria.
Preso il pugnale, si buttò su Willem, mentre Victoria lo riempiva di pugni.
John lo bloccò da dietro, cercando di ignorare i lancinanti segnali di dolore che il corpo gli mandava, poi gli diede una testata sulla nuca, per distrarlo.
Ad un tratto uno spostamento d’aria catapultò tutti e tre sull’asfalto: le bombe dal lato di Sherlock erano esplose, demolendo una buona parte della strada e della torre più vicina.
Le volanti della polizia non avevano prestato attenzione agli ordigni luminosi, e molte macchine erano saltate in aria, lasciando, come superstite, solo la prima del gruppo. Tutte quelle salve e rimaste sulla Tower Bridge Street preferirono rimanere nella loro posizione.
Molly era riuscita a convincere Lestrade.
Sherlock, per lo spostamento d’aria, aveva perso l’equilibrio sul bordo del ponte e si era aggrappato, per non precipitare, su di esso, oscillando pericolosamente nel vuoto, lasciando cadere la pistola nel fiume, in modo da avere presa su entrambe le mani. Era per lui impossibile arrampicarsi sul bordo, non gli rimaneva che resistere. Il detective aveva una buona resistenza fisica, ma quanto tempo avrebbe resistito in quella posizione?
John, quando si rialzò barcollando da terra, vide l’amico in pericolo e non poté fare altro che urlare il suo nome, spaventato.
-Sherlock!-.
Il moro girò la testa fino a vederlo con la coda dell’occhio, per poi sorridergli, come a dirgli “posso farcela, John. Resisti”.
Per il dottore non ci fu tempo di organizzare un piano fulmineo per Sherlock: Willem lo aveva afferrato e lo aveva tirato talmente forte che era caduto rovinosamente all’indietro, ribellandosi dalla presa molto stretta del killer.
Poi strisciò nuovamente sull’asfalto, mentre vedeva Willem avanzare verso il bordo, armato di una piccola pistola tascabile, forse la sua ultima risorsa.
Victoria giaceva, immobile, molto lontano da loro, stesa per terra.
-Signor Holmes, sarà un piacere rincontrarla…nella sua bara!- urlò Van Gogh, accompagnando la frase con una risata malata, -Sarà il culmine della mia arte…il più grande genio inglese caduto nel Tamigi con una pallottola nella testa. La recupererò, non abbia timore: diventerà anche lei uno dei miei splendidi quadri-
-Io non credo proprio!- urlò John, aggrappandosi a un piede di Willem e facendogli perdere la mira sull’obiettivo.
-LEVATI!- sbraitò l’altro, tirandogli un calcio sulla testa, ma John non aveva nessuna intenzione di mollare. Stava sopportando tanti dolori e avrebbe sopportato anche quello.
Willem mirò nuovamente, ma ancora una volta John lo fermò, stavolta mordendogli un braccio con tutta la forza delle sue mascelle.
Aveva perso il pugnale, e tutto ciò che gli rimaneva per difendere chi amava erano appunto artigli e denti, nonché la poca energia rimastagli.
Willem, ancora più furibondo, lottò con lui, strattonandolo e tirandogli numerose testate, ma tutto era quasi vano: John non avrebbe mai mollato l’osso.
Non posso perderne un altro” pensò il dottore, sentendo il sapore dolciastro del sangue del killer.
Willem sapeva che lo avrebbe potuto sparare per liberarsi del problema, ma non sapeva che avrebbe dovuto usare quell’ultima, insignificante arma, per cui l’aveva caricata di un unico proiettile, che voleva riservare unicamente a Sherlock.
Dopo un po’ John non resistette più, e lasciò la presa. Willem lo spinse indietro, caricò l’arma verso il detective e si preparò al colpo decisivo.
Aveva oramai il dito sul grilletto, e pochi secondi per compiere l’atto.
John fece appello a tutte le scariche adrenaliniche, a tutto il suo coraggio, a tutta la sua calma e a tutta la sua energia.
Corse.
Non seppe come. Non seppe secondo quale forza divina le gambe reggevano ancora il peso del suo corpo.
Ma forse non era un dio a mandarlo avanti in quella corsa.
Era l’amore.
Aveva perso una persona che amava, e non avrebbe vissuto oltre se avesse perso anche Sherlock.
Dunque, era meglio salvare la vita del detective piuttosto che la propria.
 
Si gettò davanti al mirino, sul bordo del ponte, senza curarsi dell’appoggio per non cadere nelle acque scure.
-J…-.
Uno sparo echeggiò nell’aria, una pallottola squarciò la carne della spalla del dottore, nella stessa traiettoria percorsa da un’altra pallottola, molti anni prima.
Fu l’aria, e solo quella, ad accoglierlo.
John si abbandonò al nulla, precipitando, con il corpo ormai insensibile a qualunque dolore: l’ipotermia, le piaghe, le frustate, la trachea infiammata.
Aspettava solo di morire con la consapevolezza di aver fatto qualcosa.
Qualcosa per Sherlock.
 
Il detective, quando vide il corpo di John cadere nel vuoto, sentì chiaramente tanti vetri andare in frantumi, dentro di sé.
Muri crollare, stanze allagarsi.
Pensieri morire.

-JOHN! JOHN! NO!- riuscì a urlare, senza udirsi.
Tutto il mondo sembrava essere diventato un deserto, la sua mente era diventata improvvisamente ignorante, e il suo corpo non si opponeva più alla forza di gravità.
Cadde, anche lui, con John, nel Tamigi.
Per salvarlo.
 
 
[Nota dell’autrice: Salve, eccomi tornata! Oramai i miei capitoli hanno una pubblicazione irregolare, quindi non riesco più a stabilire una data precisa nella quale farvi leggere le mie opere. Ma tanto siamo al penultimo capitolo, quindi chissene!
È stato un po’ un trauma scriverlo, dato che piangevo e tremavo ad ogni singola parola, soprattutto nella parte della caduta di John. Forse per la musica che ascoltavo (Raein di Olafur Arnalds) o forse per la mia costante depressione che ha favorito le lacrime, non so.
Ma ho sofferto molto, sì sì.
Dovrei essere contenta perché è stata fissata la data della mia partenza a Londra, invece sono giù fisicamente e moralmente xD che bello.
Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la mia storia in qualche categoria e, come sempre, coloro che hanno recensito (siete stati davvero in tanti stavolta, bravi bravi bravi ) e anche tutti quelli che mi hanno sostenuto tramite mp. Vi voglio tanto bene!
Dunque al prossimo, decisivo, capitolo.
Ci vediamo all’epilogo!]
   
 
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