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Autore: Noel11    24/04/2016    1 recensioni
Una ragazza. Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
[Dal Capitolo 1:
Si alza in piedi e si mette ai margini del cornicione. Guarda la città svegliarsi, quella città completamente diversa da quella in cui viveva prima. Scuote la testa energicamente "No" disse "è inutile pensare a un passato che non esiste" e vorrebbe convincersi che non esiste, perché sa che sarebbe tutto più semplice se non fosse esistito. Sospira guardando le prime luci dell'alba facendosi investire dalla fresca brezza mattutina di un giorno di ottobre "è ora di andare, si va in scena" .]
Quanto siete disposti a pagare per la libertà?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 11
Noelle


 

Appena arrivò a destinazione scese alla sua fermata. Sentì le porte dell’autobus chiudersi dietro di lui e quel vecchio rottame ripartì con un rumore infernale che infranse il silenzio di quel luogo.
Chiuse gli occhi ed inspiro profondamente. L’odore della salsedine si insinuò all’interno delle sue narici, facendo rilassare tutti i muscoli. Sorrise.
Riaprì gli occhi per osservare il mare davanti a lui, non cristallino come si presentava di giorno, ma scuro e misterioso, l’unica macchia chiara era creata dalla schiuma che si formava all’infrangersi di quelle piccole e deboli onde. Gli piaceva quel lato del mare. Quel lato che era troppo scuro da studiare, troppo buio, troppo profondo e troppo pericoloso. Un aspetto che solo pochi riuscivano ad apprezzare, perché le cose pericolose e buie piacciono solo a quelli che non hanno paura di immergersi nel vuoto.
Si infilò le mani nelle tasche del giacchetto e iniziò a camminare verso il suo posto segreto.
Il lungomare era quasi deserto, durante il tragitto avrà incontrato si e no una decina di persone, ma con l’inverno che si stava facendo strada non pretendeva di incontrarne di molta. Ed era meglio così.
Continuò la sua camminata fischiettando o canticchiando qualche motivetto di una canzone sentita in radio di recente, anche se la musica migliore era quella dell’infrangersi delle onde e il silenzio interrotto solamente da qualche gabbiano ancora sveglio. Entrò all’interno di una spiaggia libera e lo vide illuminato da una sola luce di un lampione: il pontile.
Quel pontile una volta era l’orgoglio di quella cittadina, il punto che ti metteva a stretto contatto con il mare. Era sempre pieno di persone o di turisti, quindi lui aveva smesso di andarci per il troppo casino che la gente creava. Tutti impegnati sui propri cellulari o a chiacchierare per contemplare in silenzio quello che la natura gli aveva donato. Un giorno una mareggiata aveva spaccato a metà il ponte, rendendo impossibile il passaggio dall’altra parte. Il comune non voleva sprecare soldi per ricostruire un ponte che molto probabilmente sarebbe stato di nuovo distrutto da Madre Natura, così lo abbandonarono. Un vero peccato pensò Matteo.
Arrivato al margine del pontile guardò verso il basso. Le tavole del vecchio pontile erano ancora lì sotto, alcune puntate verso l’alto, spaventose e minacciose con quell’oscurità.
Prese le due tavole di legno, che nascondeva sempre accanto al parapetto, e le appoggiò all’estremità. Erano abbastanza lunghe da poter raggiungere l’altra parte del ponte ed abbastanza solide e robuste da poter reggere lui senza che rischiasse di cadere. Mise un piede davanti all’altro, allargando le braccia come un equilibrista e, una volta raggiunta la meta, ritirò le tavole per non rischiare che cadessero.
Un sorriso spontaneo nacque sul suo volto. Era arrivato nel suo posto speciale, non poteva non sentirsi bene.
Continuò a camminare volendo raggiungere il grande spiazzo che si affacciava al mare, ma più si avvicinava e più aveva un brutto presentimento. La luce del lampione antico posizionato alla fine del pontile illuminava, con la sua fioca luce, una figura. Strinse gli occhi cercando di capire chi fosse, e come avesse fatto ad arrivare lì, ma tutto quello che vedeva era una forma indistinta e nera.
Rallentò la sua camminata, cercando di essere il più silenzioso possibile, ma una volta al limite decise di fermarsi e soddisfare la sua curiosità.
<< Ehi!>> urlò per farsi sentire bene. La figura davanti a lui sembrò irrigidirsi di colpo, quasi avesse paura di muoversi. << Come hai fatto ad arrivare qui? Il ponte è rotto.>> gli fece notare, avvicinandosi sempre con lentezza e cautela.
Dalla figura misteriosa nacque una leggera risatina, quasi come se non fosse riuscita a trattenerla, << Facile, ci ho volato sopra.>> rispose, come se fossero ovvie e ragionevoli le parole che aveva pronunciato.
Lui si fermò. Aveva appena detto che ci aveva volato sopra? No, non se l’era immaginato, aveva detto proprio così. Ma perché tutti i matti capitavano a lui?
Si mise una mano alla tasca, tastando il cellulare, pronto a chiamare i soccorsi se necessario.
Non sapendo cosa fare, decise di assecondare la misteriosa figura. D’altronde i pazzi vanno sempre assecondati, giusto?
Si lasciò sfuggire una risata nervosa, per poi << Ah, davvero? E come hai fatto? Hai tipo uno di quei zaino jet tipici degli agenti segreti?>> chiedere, non riuscendo a nascondere il sarcasmo di quella domanda.
La figura rise ancora, quasi come se tutta quella situazione fosse esilarante.
<< Vuoi davvero saperlo?>> gli domandò, una volta finita la ridarella.
<< Certo.>> si ritrovò a rispondere lui << Illuminami.>> ghignò.
La figura restò un po’ in silenzio, per poi << D’accordo>> dire e scendere dalla balaustra, girandosi completamente verso di lui. Fece alcuni passi, abbastanza perché la luce del lampione potesse illuminarla e si fermò, mostrando i suoi denti bianchissimi in un leggero sorriso di scherno.
Fu in quel momento che la vide.
Sgranò gli occhi, indietreggiando lentamente e con passi incerti, cercando di allontanarsi il più possibile da lei. Non credeva a quello che stava vedendo, non era possibile che quell’essere fosse vero.
Inciampò su un asse di legno non fissata bene, ritrovandosi con il sedere per terra. Si dipinse una smorfia di dolore sul suo viso e portò la mano dalla tasca alla zona colpita con l’intento di allievare il dolore. Lei rise a quella scena, una risata strana, a tratti quasi troppo alta per i suoi gusti.
Ritornò a studiare l’essere davanti a lui.
Poteva essere considerata una normale ragazza se non fosse stato per le due enormi ali nere che le uscivano dalla schiena. La faccia era coperta da una maschera nera, con decorazioni di pizzo intorno agli occhi e che gli arrivava fino a coprirgli la fronte, lasciando così la bocca scoperta. I suoi capelli erano legati in una treccia che partiva dall’inizio della cute e gli cadeva leggera su una spalla. L’abbigliamento era semplice. Indossava un gilet di pelle nera, che metteva in mostra le sue braccia esili ma allo stesso tempo muscolose, con la zip chiusa quel tanto necessario per coprirsi. Aveva degli anfibi neri ai piedi e i leggings neri si confondevano con il tutto. La cosa che lo fece trasalire era il cinturino attaccato alla coscia sinistra dove si poteva vedere benissimo il fodero di un pugnale. E la cintura legata larga alla vita che vantava quattro dardi cinesi su un fianco e un coltello, molto più piccolo rispetto al pugnale, posizionato sul fianco destro.
Deglutì a vuoto davanti a tutto quello. Improvvisamente l’aria si fece più rarefatta e il rumore del mare sembrava essere diventato troppo distante.
Lei si avvicinò a lui, con il ghigno ancora stampato sul volto, per poi accovacciarsi alla sua altezza.
Da quella posizione, Matteo poté vedere meglio il suo viso anche se ricoperto dalla maschera. Notò come gli occhi di lei fossero scuri. Un marrone scuro, intenso, però con qualche scaglia dorata intorno alla pupilla, come una sorta di fonte luminosa in quel marrone così tendente al nero.
Lei si alzò di scatto.
Lui trasalì a quell’azione improvvisa ma cercò di non farlo vedere. Lei mosse una mano verso di lui, offrendogliela.
Non sapeva se poteva fidarsi di lei, ma visto che fino a quel momento non lo aveva attaccato decise comunque di accettare il gesto gentile. Gli afferrò la mano e lei lo tirò su con uno strattone.
<< Grazie.>> disse in un sussurro quasi inudibile. Lei sorrise ancora.
Lui concentrò il suo sguardo sulle sue ali. Gli sembrava impossibile quello che stava vedendo. Eppure, anche se pauroso, tutto quello gli pareva bellissimo. Alzò una mano nella sua direzione, provando a toccare quelle ali così magnetiche per lui, ma lei si ritrasse in fretta mettendosi in posizione di difesa, scrutandolo con uno sguardo quasi offeso per aver anche solo pensato di poterla toccare.
Rimase per qualche secondo con la mano nel vuoto, ma quando si accorse di quello che aveva fatto la riabbassò, puntando poi lo sguardo per terra.
<< Scusa.>> mormorò. Lei sembrò ancora sulla difensiva, tesa e pronta all’attacco.
Aveva sbagliato a fare quella mossa azzardata. Era stato come avvicinarsi ad un animale bellissimo ma selvaggio e pretendere di toccarlo quando quest’ultimo non lo conosceva. Doveva trovare il modo di tranquillizzarla, di farle capire che non le avrebbe fatto niente. Anche perché quello disarmato era lui non lei.
Si sedé per terra di nuovo, incrociando le gambe e guardandola sorridendo. Lei lo guardò con una faccia stranita, non capendo le sue intenzioni, ma almeno non era più tesa come prima. Le sue spalle si rilassarono e lentamente riunì i piedi, abbandonando quella posizione di difesa, che era pronta a scattare in qualsiasi momento.
<< Mi chiamo Matteo.>> si presentò lui, cercando di conquistare la sua fiducia. Lei annuì, però continuò a stare in silenzio.
Lui rise << Sai>> iniziò << In questi casi le persone si presentano, dicendo i loro rispettivi nomi, e poi tipo si parla di cose a caso come: Qual è il tuo film preferito? Preferisci mare o montagna? O—>>
<< Mare.>> rispose lei subito.
Lui sorrise << Buono a sapersi.>>
Rimase ad osservarla ancora per un po’. E dopo aver capito che la maggior parte della conversazione doveva farla lui si mise all’opera, cercando di trovare le domande giuste (o almeno così crede che siano).
<< Allora>> batté i palmi delle mani sulle sue ginocchia << Se non mi vuoi dire il tuo nome, posso almeno sapere cosa sei? Sono abbastanza sicuro che l’ultima volta che mi sono controllato la schiena questa non aveva delle gigantesche ali nere ad abbellirla.>>
Lei ridacchio, scuotendo la testa, lo guardò dritto negli occhi << Sono un angelo.>> disse seria.
Lui apri la bocca a formare un Oh silenzioso, sorpreso da quella risposta.
<< Ma tu hai le ali nere. Essendo un angelo non dovresti avere, tipo che ne so, ali bianche e pure come la neve e un aureola?>> chiese stupidamente.
<< E magari dovrei avere anche un arpa e una tunica bianca, giusto?>> chiese, prendendolo in giro per i suoi stereotipi.
Matteo arrossì vigorosamente. Cosa ne poteva sapere lui? Per quanto riguardava la sua conoscenza sulle creature soprannaturali (cioè il niente assoluto) poteva benissimo scambiarla per un arpia. Peccato che sembrasse più una ragazza che una creatura per metà donna e per metà uccello.
<< Sono un angelo caduto.>> rispose semplicemente.
<< Quindi… Non sei un vero e proprio angelo.>> osservò.
<< Non ho mai detto di esserne uno.>>
La faccia di Matteo fu ricoperta da un’espressione di pura confusione. Non stava capendo più niente.
Lei sospirò << Sono un angelo, ma non quello che tu pensi. Non sono al servizio di ‘Dio’, anzi tutto il contrario, ho disubbidito, ribellandomi contro di lui. Per questo le mie ali non sono bianche ma nere. Ed è per questo che sono un angelo caduto, perché sono decaduta dal suo stato di grazia.>> spiegò, cercando di essere il più chiara possibile.
Era la frase più lunga che gli avesse sentito dire da quando l’aveva incontrata. Notò come la sua voce fosse profonda e roca, come se non fosse abituata a parlare così spesso, ma la trovava allo stesso tempo armoniosa e a tratti delicata.
Voleva chiedergli cosa avesse fatto per non rientrare nelle grazie di Dio, ma la risposta lo colpì in faccia quando riguardò con attenzione le sue piume.
Erano molto simili, se non identiche, a quella trovata in quel vicolo. L’uomo era stato aperto con una precisione chirurgica sorprendente, e lei aveva un coltello e un pugnale capace di fare questo.
Iniziò a sudare freddo, passando lo sguardo freneticamente dalle sue ali ai pugnali che si ritrovava sul corpo, deglutì, cercando di inumidirsi la bocca ormai secca.
<< Sei tu che hai ucciso quell’uomo quella notte?>> chiese, sperando che non si notasse il tremolio nella sua voce.
Lei rimase in silenzio per un po’, osservandolo, per poi piegare il capo di lato e sorridere, mostrando i suoi denti bianchi.
<< Si.>> rispose semplicemente, come se non fosse niente. << Hai paura ora?>> chiese sempre mostrando il suo sorriso, quasi a segno di sfida.
Lui chiuse le mani in due pugni, cercando di fermarne il tremolio, facendo diventare le nocche quasi bianche per la forza messa e ignorando il simbolo delle mezze lune che si sarebbe formato sul suo palmo.
Aveva davanti a lui l’assassino di quell’uomo. Davanti a lui c’era la causa delle sue notti insonni
, per non parlare del fatto che fosse una creatura pericolosa capace di fare le stesse cose anche a lui.
Prese un respiro profondo.
<< Mentirei se ti dicessi che non ne ho.>> sorrise nervosamente << Ma so che tu non mi farai niente, quindi posso stare tranquillo.>> finì, guardandola dritto negli occhi cercando di reggere il suo sguardo.
<< Ne sei sicuro?>> chiese avvicinandosi lentamente a lui.
Lui trattenne il respiro ma si costrinse comunque a parlare << Si. Altrimenti non starei ancora qui a parlare con te ma sul fondale del mare a fare compagnia ai pesci.>>
Lei rise di gusto << Giusto.>> si fermò davanti a lui << Hai molta fantasia, oltre che fegato.>>
Lui rilassò le spalle, sentendo tutto lo stress e l’adrenalina abbandonare tutti i muscoli del suo corpo.
Lei si inumidì le labbra, raggiungendolo alla sua altezza. << È un vero peccato, mi sarebbe piaciuto parlare ancora con te. Ma ormai sai troppo.>>
Lui sgranò gli occhi e non fece in tempo ad aprire la bocca per chiedere spiegazioni che lei gli avvinghiò una mano dietro al collo e l’altra si strinse in una presa ferrea sul mento. Matteo cercò in tutti i modi di ribellarsi, ma sembrava che lei avesse una forza sovraumana, non riusciva a muoversi neanche di un centimetro. Si fece uscire un verso di lamento dalla bocca, dato da quella impotenza, e poi tutto successe in fretta.
Lei gli infilò quello che a lui sembravano artigli dietro al collo, scavando sotto la pelle, e poi lo costrinse a guardare i suoi occhi, che in quel momento erano diventati di colore oro brillante. Cercò di distogliere lo sguardo ma lei lo teneva troppo stretto a se, decisa a completare quello che aveva iniziato.
Un gemito di dolore uscì dalla sua bocca quando gli artigli di lei abbandonarono il suo collo. Abbassò la testa, non avendo le forze per reggerne il peso, e si portò istintivamente la mano verso la zona colpita. Quando se la mise davanti agli occhi notò come questa fosse ricoperta da strisce di sangue. A quella visione alzò di scatto la testa verso di lei, guardandola con espressione impaurita.
<< Cosa mi hai fatto?!>> chiese nel panico.
Lei sbuffò infastidita da tutta quella melodrammaticità << Tranquillo, non è niente. Ho solo cancellato la memoria del nostro incontro.>>
<< Cosa?!>>
<< Appena ti addormenterai la mattina dopo non ti ricorderai di questa serata e non ti ricorderai di me.>> spiegò, pulendosi il sangue dalle dita.
<< Ma io non voglio dimenticare. Non puoi farlo!>> disse alzandosi in piedi e avanzando qualche passo verso di lei.
<< Si che posso. E tu non hai scelta.>> lo guardò per poi aprire le ali e con uno slancio andare via da lì volando, confondendosi con l’oscurità della notte.
<< Aspetta!>> urlò aggrappandosi all’estremità del pontile << Merda.>>
Si passò ancora una volta la mano dietro al collo per poi lasciarla lì.
Se si fosse addormentato avrebbe dimenticato tutto, quindi tutto quello che doveva fare era restare sveglio.
La domanda era: Quanto avrebbe resistito prima di crollare a terra?
 
 
La centrale era in subbuglio.
Fogli che volavano da una parte all’altra, persone che correvano per andare da stanza a stanza ignorando e spingendo ogni individuo che si trovava nel loro cammino, telefoni che non la smettevano di squillare.
Tutto questo perché era successo di nuovo.
Si massaggiò le tempie con le dita per allievare, almeno di poco, quel grande mal di testa che le era venuto. Rinchiusa nel suo ufficio, Marta stava ricontrollando per la milionesima volta il verbale della stazione di polizia nella provincia dove era stato trovato il cadavere.
Sospirò pesantemente, abbandonandosi allo schienale della poltrona guardando il soffitto e pensando.
La vittima questa volta era una ragazza, giovane da quanto aveva potuto costatare. L’assassino aveva usato lo stesso Modus Operandi* anche per questa vittima. Niente tracce lasciate nel luogo del delitto, niente segni di corde intorno ai polsi o alle caviglie della vittima. Anche lei aveva seguito il suo assassino di sua spontanea volontà. Si coprì gli occhi con i palmi delle mani, premendo più forte del dovuto. Quella ragazza stava per essere identificata di lì a poco grazie all’aiuto del suo collega e della sua squadra, eppure non capiva come le vittime potessero essere così sciocche da fidarsi del loro assassino. Che il colpevole sia una persona di loro conoscenza e di cui si fidano ciecamente? No, non era possibile. Le due vittime non avevano rapporti di nessun genere, e il delitto è avvenuto in due posti abbastanza lontani fra loro.
La porta si aprì di scatto facendola trasalire sul posto per la sorpresa.
<< Non si usa più bussare?!>> sputò acida lei.
Paolo arresto la sua marcia all’interno dell’ufficio e si fece piccolo fra le sue spalle, pentendosi di quello che aveva fatto.
Marta scosse la testa, esausta da tutta quella situazione << Avanti, parla. Cosa c’è?>>
Paolo si riscosse immediatamente sfoderando un sorriso eccitato << Ho delle novità sull’omicidio.>>
Marta si alzò di scatto, e si incamminò verso la porta superandolo << Voglio tutta la squadra in sala riunioni. Adesso!>> disse prima di abbandonare il suo ufficio.
Si ritrovarono dopo cinque minuti nella minuscola sala riunioni. I due agenti, Camilla ed Antonio, si erano già sistemati intorno al tavolo con le loro tazze di caffè. Camilla, persona precisa ed ordinata quale era, si era portata un block notes per prendere appunti, più due penne stilografiche nere (nel caso la prima si fosse scaricata di colpo oppure non scrivesse nel modo perfetto che esigeva lei) posizionate ai lati, nella posizione perfetta, allineate con la direzione del block notes e con i tappi ancora inseriti.
Dall’altra parte Antonio si stava gustando il suo caffè tranquillamente, accompagnandolo con un pasticcino guarnito di cioccolato fondente e posizionato sulla sedia in una posa quasi da spiaggia.
Quei due era gli opposti l’uno dell’altro, ed era per questo che insieme funzionavano bene.
Paolo aprì di nuovo la porta, per poi poggiare i fogli che aveva precedentemente visto nel suo ufficio e posarli sul tavolo per prendere la sua tazza di caffè.
<< Ci siamo tutti?>> chiese Marta, ricevendo un muto assenso << Bene. Cominciamo.>> disse sedendosi a capotavola e lasciando la parola al suo collega.
Paolo si schiarì la voce << Come sappiamo sono successi due omicidi in questo periodo che hanno attirato la nostra attenzione e quella dei media. La prima vittima, Carmine Nitti, come sapete non aveva una buona reputazione. È stato ucciso in un vicolo, non ci sono segni di aggressione quindi supponiamo che la vittima abbia seguito il suo aggressore, fatto ciò gli è stato aperto il petto ed estratto il cuore. Non si sono trovate tracce di DNA e l’unico indizio trovato sulla scena del crimine è stata una piuma nera.>> attaccò delle foto che raffiguravano il cadavere di una ragazza giovane << Il secondo omicidio è avvenuto poco tempo fa in una provincia abbastanza lontana da qui. Anche in questo caso il Modus Operandi è stato lo stesso, la vittima è stata trovata di nuovo senza cuore.>>
<< Sono state lasciate tracce questa volta?>> chiese ingenuamente Antonio.
Paolo scosse la testa << Anche questa volta l’unica cosa che è stata trovata è stata la piuma nera, rinvenuta nel primo omicidio.>>
<< Abbiamo un’identità per questa nuova vittima?>> chiese Marta, assorta con lo sguardo a studiare le foto attaccate al tabellone.
<< Il nome è Simonetta Giuseppini. Studentessa di 20 anni. Ha avuto qualche guaio con la legge per furtarelli nei negozi e guida in stato di ebbrezza. Ma la cosa più grave è la denuncia fatta da parte di una famiglia nei confronti della ragazza per istigazione al suicidio. A quanto pare lei e altre ragazze, ma soprattutto lei, se la prendevano con una ragazza più piccola torturandola sia psicologicamente che fisicamente. Si dice che più volte la ragazza abbia dato alla povera sfortunata strumenti per aiutarla a commettere il suicidio come pillole, taglierini e dandogli anche consigli su come e dove farlo.>> Paolo rabbrividì per un secondo, chiudendo gli occhi per togliersi quell’immagine dalla mente << Inutile dire che la ragazza ci ha provato ma fortunatamente è stata soccorsa prima che fosse troppo tardi. L’accusa però è stata archiviata per mancanza di prove e quindi la ragazza se l’è cavata senza andare in prigione.>>
<< Abbiamo una sorta di giustiziere.>> rise Antonio.
Marta lo fulminò con lo sguardò << Qui non si parla di giustizia, qui si sta parlando di vendetta e massacro.>> sibilò, facendo rimpicciolire Antonio nella sua sedia.
<< Per quanto riguarda la piuma.>> continuò Marta rivolgendo l’attenzione di nuovo su Paolo << Che mi dici su quella, la scientifica ha trovato qualcosa?>>
Paolo si riscosse dal suo stato di trance e si mosse per prendere il telefono << Ehm, diciamo di sì. Ti metto in comunicazione con Patrick, sta sull’altra linea.>> disse alzando la cornetta e premendo il tasto del vivavoce così che tutti potessero sentire la sua voce.
<< Salve, signori. Ottimo giorno per catturare cattivi, non trovate?>> la voce metallica di Patrick prodotta dal telefono si disperse nella stanza.
<< Lo dico tutti i giorni anche io Patrick.>> disse Marta sorridendo << Allora, che novità sai darmi su questa fantomatica piuma?>> chiese appoggiando le mani sul tavolo, in trepidante attesa della scoperta.
<< Ho il nulla.>> rispose semplicemente Patrick.
Marta trattenne il respiro per poi << Cosa significa?!>> chiedere agitata.
<< Che ho analizzato la piuma più e più volte, in diverse posizioni e modi e tutto quello che mi è uscito è il nulla. Non appartiene ad un uccello e non appartiene neanche ad un capo sintetico. Il nulla.>> disse sottolineando il concetto.
Marta sospirò << Okay, grazie lo stesso. Ottimo lavoro.>>
<< Di nulla, Capo>>
<< Tienimi aggiornata in caso scoprissi qualcosa in più sul nuovo cadavere.>>
<< No problem.>> rispose per poi attaccare ed interrompere la comunicazione.
Nella sala piombò di nuovo il silenzio, interrotto a volte solo dall’incessante scrivere di Camilla.
<< Ci sono testimoni per il secondo cadavere?>> chiese, dopo aver finito di scrivere sul suo block notes.
Paolo la guardò per poi scuotere la testa << Nessuno ha visto niente. Le uniche chiamate ricevute sono state quelle per l’avvistamento del cadavere.>> finì, sconsolato di non avere niente tra le mani. Neanche uno straccio di prova.    
Marta batté la mano sul tavolo con forza << Cosa sono questi musi lunghi?! È vero che non sappiamo ancora chi è stato ma almeno abbiamo qualche indizio. Sappiamo come opera l’assassino e sappiamo che le vittime prescelte sono quelle che hanno dei peccati nelle loro vite.>> disse per poi rivolgersi a Camilla << Voglio che mi tu mi dia un iniziale tratto psicologico dell’assassino, voglio sapere come pensa e perché sceglie proprio quelle vittime. So che ti sto’ chiedendo tanto visto le scarse informazioni che abbiamo, ma credo che tu ce la possa fare.>> le sorrise, ottenendo così un cenno di assenso da parte di Camilla.
Spostò il suo sguardo poi verso i due uomini << Voi due! Voglio una lista delle persone con la fedina penale più sporca che esista. Una volta è un caso, due è una coincidenza e la terza volta è una pista, e noi non ci possiamo permettere un altro omicidio. Dobbiamo giocare di anticipo.>> i due annuirono, decisi e speranzosi in quella nuova carica data dal loro capo << La ricerca deve coprire questa citta e le province più vicine. Chiunque potrebbe essere il prossimo, quindi state attenti.>>
Guardò di nuovo le foto di quella ragazza, soffermandosi sul viso ormai pallido e privo di vita << Io mi occuperò di tenere buona la stampa. Voglio tutte le energie concentrate su questo caso, intesi?>>
<< Si, Capo.>> risposero all’unisono.
<< Perfetto.>> disse alzandosi << La caccia è iniziata.>>
 
 
<< Perché hai due tazze giganti di caffè fra le mani?>> chiese Giorgio studiando l’amico.
Aveva evitato quella domanda il più possibile, e cioè due giorni.
48 ore di veglia continua, senza chiudere occhio.
Le cose sembravano facili le prime ore, non sentiva uno straccio di sonno e i suoi occhi non erano aperti ma spalancati. La sua mente lavora ancora più in fretta di prima e poteva o non poteva aver pensato di poter correre anche una maratona in quelle condizioni.
Ma ora che era Martedì ed erano quasi tre giorni che non dormiva, iniziava a sentire sul suo corpo l’assenza delle ore di sonno.
<< Perché non posso dormire.>> rispose svogliato Matteo a Giorgio.
Giorgio lo guardò con un cipiglio strano.
<< Perché non puoi— No, non voglio saperlo. Fai come ti pare, basta che non ti ammazzi.>> disse Giorgio alzando le mani e arrendendosi davanti alla pazzia del suo amico.
Da una parte era sollevato che non gli avesse chiesto il perché. Non poteva raccontargli di quell’incontro, altrimenti tutta quella fatica sarebbe stata vana.
Un dubbio gli assali in quel momento e non poté tenere a bada la sua lingua.
<< Secondo te quanto tempo si può stare senza dormire?>> chiese a Giorgio.
<< Teo… non ne ho la minima idea, non mi sono mai fatto queste domande! È così importante questa cosa per te?>>
Matteo annui lentamente, prendendo un sorso di caffè e implorandolo con lo sguardo di aiutarlo.
Giorgio emise un verso frustato << Non fare quella faccia da cucciolo con le occhiaie che ti ritrovi! Non funziona!>> Matteo abbassò il capo guardando il suo caffè, abbattuto da quella risposta.
Giorgio sospirò << Ohh, e va bene! Andiamo in sala informatica, su Internet troveremo qualcosa.>>
Matteo si risvegliò di scatto e si precipitò a buttare le braccia intorno al collo di Giorgio con i caffè ancora in mano, pronunciando una serie infinita di grazie.
<< Teo, basta! Guarda cosa guadagno ad aiutarti.>> disse fingendosi scocciato.
Matteo mollò la presa, finì i suoi due caffè in un unico sorso e si diressero insieme verso la sala d’informatica.
 
<< Hai trovato qualcosa?>> chiese Matteo mentre si stropicciava gli occhi, cercando di non chiuderli.
<< Beh>> iniziò Giorgio << Qui dice che il record raggiunto da una persona senza dormire è stato 11 giorni. Tu a che giorno sei?>>
<< Quasi al quarto.>> disse con una pizzico di speranza alla scoperta di quella notizia.
<< Oh, quindi stai solo all’inizio.>> rise Giorgio, ricevendo una spinta dal suo amico.
<< Cercami i modi per rimanere sveglio mentre io vado in bagno, tutto quel caffè mi sta facendo scoppiare la vescica.>> si portò una mano allo stomaco.
<< D’accordo. Vedi di non addormentarti sulla tazza del cesso!>> gli urlò Giorgio mentre stava uscendo.
Percorse tutto il corridoio alla ricerca di un bagno decente e con la porta funzionante. Mentre camminava si mise a fissare le mattonelle, perso nei suoi pensieri.
Erano passati tre giorni dall’incontro con quella creatura. I segni dietro al collo erano spariti già la mattina dopo, non lasciando neanche una cicatrice. Era tornato al pontile quella sera e la sera dopo, cosa inutile visto che non l’aveva trovata. Ma lui non voleva mollare, non voleva dimenticare quella creatura, però non sapeva quanto sarebbe potuto resistere. E con lei che non si faceva trovare sicuramente poco tempo. O almeno fino ad 11 giorni. Crede.
Assorto nei suoi pensieri andò contro a qualcosa, ritrovandosi presto a terra.
Si massaggiò la schiena dolorante per poi alzarsi per vedere contro cosa era andato a sbattere. O meglio chi.
<< Alice!>> esclamò, sbarrando gli occhi per la sorpresa. La vide massaggiarsi il collo e vagare con lo sguardo intorno a lei, tra tutti i fogli che la ricoprivano.
Si affrettò ad inginocchiarsi e ad aiutarla a raccoglierli << Mi dispiace, non stavo guardando dove camminavo ed ero sovrappensiero e—>>
Lei rise << Tranquillo Matteo, gli incidenti capitano.>> disse raccogliendo gli ultimi fogli.
Lui sorrise. Era da tanto che non sentiva la sua risata e non si rivolgeva a lui con così tanta naturalezza, senza astio. Passò i fogli che aveva raccolto alle sue mani << Che cosa ci devi fare con tutta questa roba?>> chiese notando la montagna di fogli che aveva in mano.
<< Oh, la prof. di Italiano. Mi ha detto di fare tutte queste fotocopie e di mettere a posto i compiti della scorsa settimana. Credo mi odi.>> constatò alla fine.
<< Cavolo, deve essere una rottura. E fidati io ne so qualcosa.>> l’immagine del prof. Mazzi gli si manifestò davanti agli occhi, facendolo rabbrividire.
<< Nah, il sentimento è reciproco.>> ghignò, per poi << Grazie di avermi aiutato a raccogliere i fogli.>> dire indicandoli con un cenno del capo.
Matteo diventò rosso, ricordandosi della figura appena fatta << Di niente. Anzi scusa ancora per esserti venuto addosso.>>
<< Ci vediamo, allora.>> lo salutò per poi continuare il suo cammino verso l’aula professori.
Lui restò lì impalato per qualche secondo, indeciso sul da farsi, per poi << Fanculo!>> dire e seguirla << Alice, aspetta.>> la chiamò per attirare la sua attenzione << Posso aiutarti?>> chiese
<< E in che modo, di grazia?>> chiese con un sopracciglio alzato.
<< Fidati, ho le mie conoscenze.>> rispose, facendole un occhiolino.
 
<< Tu sei in debito con me a vita.>> sussurrò Betta mentre stava ancora lavorando con la fotocopiatrice.
<< Lo so, lo so. Però non ti faccio annoiare, no?>> sorrise passandogli un altro foglio.
<< Taci! Piuttosto>> si avvicinò ancora di più a lui per non farsi sentire da Alice che si trovava poco distante da loro << Chi è quella ragazza? E perché la stai aiutando?>> chiese indicandola con un cenno del capo.
<< Oh, lei è Alice. È nuova di qui.>> disse guardando la ragazza << E la sto aiutando perché sono una persona altruista, che aiuta sempre il prossimo in questa società di egoisti.>>
Betta sbuffò fuori una risata << Certo, e io sono la regina d’Inghilterra Elisabetta. Non sarà una delle tue bravate da una notte e via vero? Ne voglio restare fuori da queste cose.>>
<< Assolutamente no, vostra maestà.>> disse inchinandosi al suo cospetto.
<< Piantala. E sparisci dalla mia vista.>> gli diede una leggera botta con il pacco di fogli per poi consegnarglieli.
Matteo li prese e lasciò un bacio sulla guancia a Betta << Sei sempre la migliore!>> urlò per avvicinarsi ad Alice e consegnargli le ultime fotocopie.
Alice lo guardò con gratitudine e sollievo << Grazie mille. Ci avrei impiegato tutta la giornata se non fosse stato per te.>> sorrise.
<< Di niente. Almeno ora tu non ce l’hai più con me per quel fatto.>> disse gongolandosi sul posto.
La faccia di Alice si tramutò completamente da felice a pensierosa, e lui fu sicuro di rivedere innalzarsi quel muro. Provò a dire qualcosa ma Alice lo bloccò sul nascere << Scusa, ora devo andare. Ti consiglio di dormire un po’ hai un aspetto terribile.>> e se ne andò via, dritta verso la sua classe.
Matteo rimase lì a guardarla impotente, non sapendo cosa fosse successo o dove avesse sbagliato.
Betta gli si avvicinò studiando meglio la sua faccia << Non ha tutti i torti la ragazza.>> le fece notare.
Matteo sospirò. Era stanco.
 
Giorgio aveva trovato degli utili consigli su Internet. Come quello di ascoltare musica metal o vedere film horror così da essere sicuri di non poter chiudere occhio nemmeno un secondo per la paura. A scuola era Giorgio a guardarlo, a tenerlo occupato e a scuoterlo se per caso stava per addormentarsi. Erano passati sette giorni senza sonno e lui voleva solamente morire, perché almeno così avrebbe dormito (per un bel po’ almeno). Era andato tutti le notti al pontile, senza trovarla. Ogni volta restava lì fino a tardi finché non sentiva le palpebre farsi pesanti e allora doveva muoversi per tornare di nuovo sveglio.
Dopo tutto quel tempo aveva deciso che se neanche quella sera si fosse presentata, avrebbe mollato. Non sapeva se lo intendeva veramente perché non gliela voleva dare vinta, ma di questo passo sarebbe stato il suo corpo a decidere per lui.
Così, arrivata la sera, prese chiavi, portafoglio e iPod e si avviò verso il suo posto segreto, che ormai non era più solo suo.
Durante il viaggio giurò di aver sentito delle persone chiamarlo più volte e di aver visto la coda di una sirena tra le onde del mare, ma arrivati a quel punto doveva aspettarsele le allucinazioni date alla mancanza di sonno. O almeno sperava fossero allucinazioni e non fosse diventato matto tutto insieme.
Arrivato al pontile mise le tavole di legno in riga e le attraversò con non poca difficoltà, rischiando di cadere sotto più di una volta.
Attraversò il resto del pontile a testa bassa, sicuro di non trovarci niente come le altre sere. Ma appena vide delle piume toccare terra iniziò a correre pregando che non fosse un’allucinazione.
<< Ehi!>> urlò, come la priva volta.
La creatura si girò di scatto, portandosi una mano verso i dardi, per poi sbarrare gli occhi riconoscendo la persona.
<< Tu…>> sussurrò così piano che sembrò essere solo il rumore del vento per pochi secondi.
Matteo scoppiò a ridere, una risata isterica, un misto tra felicità e pianto << Non posso crederci! Ti ho trovata, dopo tutte queste notti. E non sei neanche un’allucinazione!>> iniziò ad ululare come i lupi per la gioia, saltando da una parte all’altra.
Lei scese dalla balaustra avvicinandosi lentamente a lui, scioccata da quella scena << Tu ti ricordi di me?>> chiese incredula, con un tremolio presente nella sua voce.
<< Oh Dio, certo che sì!>> le sorrise.
<< Come puoi—>>
<< Non ho dormito per sette giorni! Non ho chiuso occhio perché non volevo dimenticare.>> rise nervosamente, non credendo ancora ai suoi occhi.
<< Tu sei matto.>>
<< No, sono solo un ragazzo che vuole conquistare la tua fiducia.>> si fermò per poi << Che potrebbe essere considerato anche un sinonimo di matto, ora che ci penso.>> continuare, passandosi una mano nervosa tra i ricci biondi.
<< Perché?>> chiese semplicemente stupita. Poche parole, ma quelle giuste.
Lui si guardò intorno per poi sorridere << Non lo so. Forse sono solo curioso di scoprire il tuo mondo o forse sono semplicemente matto o forse non ho niente da perdere o forse voglio solo conoscerti meglio perché sei una creatura meravigliosa.>> si accorse solo dopo di cosa aveva detto, arrossì scosse la testa e continuò deciso a convincerla << Non ho detto a nessuno di te e del nostro incontro, non sono andato dalla polizia e cavolo, non ho dormito per sette giorni pur di ricordarmi di te. Dici che adesso sono degno della tua fiducia? Posso avere il mio ricordo indietro?>> la pregò, guardandola negli occhi con sincerità e una muta richiesta di accettarlo dopo tutto quello che aveva fatto.
Lei chiuse gli occhi per poi inspirare ed espirare pesantemente. Iniziò a percorrere avanti e indietro quel pezzo di pontile, portandosi le mani a stringere le braccia spasmodicamente alcune volte. Sembrava stesse affrontando una battaglia interiore e tutte e due le fazioni sembravano essere abbastanza forti.
<< Ti prego…>> sussurrò, non riuscendo più a reggere quella tensione, e magari aiutandola a prendere la decisione giusta.
Lei si fermò di colpo, abbandonando le braccia lungo i fianchi con i pugni serrati e le spalle rigide dalla tensione. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per rilassarsi.
Puntò di nuovo gli occhi verso di lui e si avvicinò lentamente.
Matteo non si mosse, era pronto, qualsiasi fosse stata la sua decisione. Si fermò a poca distanza da lui. Lo guardò, ed aprì le ali di scatto. Prese una piuma nera staccandola, facendo nascere un gemito di dolore e poi la chiuse fra i due palmi delle mani in una presa stretta a pugno. Chiuse gli occhi, e dopo un tempo che parve infinito, li riaprì mostrando l’oro che ormai si era impadronito dell’iride come la prima volta. Fissò il palmo della mano, per poi aprirlo scoprendo un piccolo cumolo di polvere nera, somigliante quasi alla cenere. Lo guardò negli occhi e glielo soffiò in faccia.
In un primo momento si ritrovò spaesato, ma la polvere non gli diede fastidio. Anzi sembrava fargli più che bene.
<< Fatto. Ti ho ridato il ricordo del nostro incontro. Non farmene pentire.>> finì.
Lui sorrise mostrando tutti i denti << Grazie…>> mormorò, prima di cadere sulle sue ginocchia e vedere tutto nero. Il suo corpo non aveva retto più.
 
Si risvegliò la mattina dopo, con il sole abbastanza alto nel cielo e con la schiena poggiata al freddo legno del pontile. Aprì gli occhi lentamente, schermandoli con la mano a causa della luce del sole troppo forte. Si alzò lentamente sentendo ogni osso scricchiolare, producendo dei sonori pop a mano a mano che si metteva in piedi.
Si guardò intorno riconoscendo il pontile. Portò una mano alla faccia per strofinarsi gli occhi e immediatamente si rese conto di quello che era successo. Aveva dormito, ma si ricordava ancora tutto.
Sorrise, alzando le braccia al cielo in segno di vittoria. E fu in quel momento che notò che un bigliettino era rinchiuso fra le sue mani.
Lo aprì trovandoci dentro una sola parola, scritta con una calligrafia molto elegante e raffinata.
Noelle





 
*Modus Operandi (a volte usato nella sua forma abbreviata M.O.) è una locuzione latina, traducibile
approssimativamente come "modo di operare" o "modalità operativa".
Il termine, il cui plurale è modi operandi, viene utilizzato in numerosissimi contesti, in particolare lavorativi, per indicare delle specifiche modalità operative relative a procedure o a generiche operazioni di lavoro, oppure a modi di agire.L'espressione viene a volte usata ad esempio nel lavoro dei poliziotti per descrivere i tratti caratteristici e lo stile di operazione di un criminale.

 
Angolo autrice
Salve, è da un po' che non ci si vede. 
Oltrepassando le scuse per lo spaventoso ritardo, spero che il capitolo sia di vostro gradimento perchè a me in primis soddisfa molto. Finalmente abbiamo il primo incontro fra l'angelo e Matteo e inoltre veniamo a conoscenza del suo nome.
Perdonatemi nel caso troviate errori di distrazione o simili, ho avuto poco tempo per riguardarlo.
Ringrazio tutti quelli che legeranno o recensiranno la storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo.
A presto.
E. xx
  
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