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Autore: Kaimy_11    24/04/2016    2 recensioni
Continuo di “The reason to fight”
La guerra ha spezzato la città, i ribelli sono insorti, opponendosi al nuovo governo.
Nessuno sa di chi fidarsi. Nessuno conosce la verità.
Il giovane capofazione degli Intrepidi deve guidare la rivolta al fianco di Jeanine, per riportare ordine anche dopo la divisione della sua fazione. Ma le sue priorità sono cambiate, tutto ciò che vuole è proteggere la persona che ama. Nonostante tutte le avversità, dovrà mantenere fede alle sue promesse senza rischiare di compromettere sé stesso e perdere tutto ciò in cui crede.
[Dal testo]
Si morde il labbro. -Pensavo che lo avessi detto per la foga del momento…-
Inarco pericolosamente le sopracciglia. -Ti sembro forse uno che si fa prendere da un’ emozione momentanea e si lascia scappare parole che non sa nemmeno gestire?-
Mantiene il silenzio, sembra impaurita, almeno ha la decenza di capire quando sbaglia.
-Non sono un ragazzino in preda agli ormoni, se dico di amarti nonostante tu sia più piccola di me ed insopportabilmente arrogante, vuol dire che ti amo, mi hai capito?-
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The reason '
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44. Nebbia calda

 

 

 

 

 

 

 

Perché?

Mi hanno preso e portato nella sala congressi dei Candidi, mi hanno costretto a sedermi al centro e si sono divertiti a prendersi gioco di me. Volevano uccidermi, condannarmi e io ho preteso che fosse quella Rigida maledetta a elencarmi i miei crimini. Mi è bastato venire a sapere che Quattro era stato nominato capofazione, che alla fine aveva preso il mio posto, per smettere di lottare.

Lui era lì, davanti a me, con Harrison e aspettavano Tori. Che bel trio dei miei stivali a capo di un gruppo di invertebrati che si spacciano ancora per Intrepidi!

Ma io non potevo aspettare, volevo farla finita, voleva lasciare questo mondo avariato in cui non c’era più posto per me e volevo tornare a sognare. Quello che vedevo, il dolore che affliggeva il mio copro e mi confondeva la mente, gli insulti sussurrati attorno a me, era troppo.

Era insopportabile e mi stava distruggendo.

Volevo andarmene.

Ho chiesto a Quattro di spararmi, non potevo sopportare che tirassero a sorte per stabilire chi mi avrebbe definitivamente spedito all’altro mondo. Che fosse quel Rigido di Quattro a spararmi, quell’inutile usurpatore che mi aveva messo i bastoni fra le ruote da quanto era arrivato fra gli Intrepidi. Con il suo bassissimo numero di paure, Max lo aveva notato subito ed era pronto a dargli il mio posto, se quell’idiota non lo avesse rifiutato più volte.

Ed ero riuscito ad accettare di morire, se niente aveva più senso e se il mio rivale mi aveva sopraffatto, tanto valeva che fosse lui ad uccidermi una volta per tutte.

E Quattro ha accettato, mi ha detto che non avrebbe avuto rimpianti ad uccidermi e mi ha puntato la pistola alla testa. Ho visto il metallo contro di me, ho sentito il richiamo dell’oltretomba e ho chiuso gli occhi.

Poteva essere la mia fine, e invece non lo è stata.

Non riesco a spiegarmi perché, un secondo esatto prima dello sparo, la porta è stata spalancata con un boato e Tori ha fatto irruzione, seguita da alcuni soldati, ha parlato con Quattro e gli ha ordinato di fermarsi.

Tutti attorno a me hanno iniziato ad agitarsi, desideravano il mio sangue, ma non lo hanno avuto. Tori ha preso Quattro e lo ha portato via, a quanto ho sentito, doveva fargli assolutamente vedere una cosa, e non sono più tornati. A prendermi sono venuti dei soldati, mi hanno picchiato per stordirmi e mi hanno caricato su un treno e siamo ritornati tutti nella nostra residenza.

Ma perché?

Batto i pugni sulla ringhiera e guardo il tramonto, senza vederlo realmente, visto che non dovrei essere ancora qui a permettermi il lusso di ammirarlo.

Sono stato riportato nella mia camera da capofazione, quella ai piani alti. Quando siamo scesi dal treno e ho capito che non sapevano dove rinchiudermi, mi sono sgolato per farmi ascoltare e ho preteso che mi lasciassero marcire nel mio letto. Non so con quale pietà hanno accettato, forse sanno che ridotto così non posso scappare e per loro una cella vale l’altra. Da quanto ne so, due guardie sorvegliano la mia porta.

Mi passo una mano sulla fronte, imperlata di sudore e torno dentro la stanza, chiudendo dietro di me la porta a vetri.

Sono senza maglietta, sono accaldato e dolorante, ho addosso solo i pantaloni di una vecchia tuta. Mi gratto distrattamente il mento, dove la mia barba è cresciuta senza che mi sia abituato all’idea. Arranco verso il letto, ma non riesco a stare fermo, vorrei liberarmi del peso che mi opprime e poter fare qualcosa.

È tutto privo di senso.

Mentre mi porto una mano alle costole indolenzite, sento due tonfi secchi contro la mia porta e a poco non mi soffoco con la mia stessa saliva, quando cerco di trattenere un ringhio inferocito. Bussano ancora e serro i pugni, guardandomi intorno in cerca di una possibile arma da usare contro chiunque stia cercando di infastidirmi.

Credono forse di potersi prendere il diritto di presentarsi qui, ogni volta che gli passa per la testa? Sono un sopravvissuto, anche se ne ignoro il motivo, non un loro maledetto giocattolo da manovrare a piacimento.

Al mio silenzio, la porta si apre di scatto ed io non ci vedo più dalla rabbia. Rimango ai piedi del letto, minacciosamente piazzato davanti alla porta e gonfio il petto, che si alza e si abbassa quando respiro.

Sulla soglia c’è un ragazzo con una coda di cavallo dietro la nuca.

-Che diamine volete?- Sbraito, agitando le braccia. -Lasciatemi in pace!-

Digrigno i denti e attendo che l’Intrepido sparisca ma, a quanto pare, non risulto poi così spaventoso come speravo. Temo sia colpa dei miei lividi perché, invece di filarsela, il ragazzo rimane fermo a squadrarmi da capo a piede con una smorfia di sufficienza. Si concede un sorrisetto corrucciando le labbra e solleva il mento in segno di sfida.

Sto per avventarmi su di lui, senza considerare che sono in uno stato pessimo e che mi farei stendere al primo colpo, ma un suo gesto mi fa esitare. L’Intrepido si volta e fa segno con la mano a qualcuno di avanzare.

Mi aspetterei di vedere arrivare altri uomini pronti a torturarmi, immagino già i loro passi sicuri, ed invece un corpo esile viene letteralmente gettato oltre la mia porta.

La ragazzina è entrata barcollando, o meglio è stata lanciata dentro, e ha dovuto recuperare l’equilibrio sui proprio piedi dopo la spinta. Sarebbe logico vederla confusa e invece, come se per lei non contasse nient’ altro, i suoi occhi si sono agganciati ai miei e non si sono più spostati.

Neanche per sbaglio.

Tutto quello che succede dopo, è avvolto dalla nebbia.

Una nebbia calda.

Dovrei fare qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe meglio dell’immobilità che mi blocca, ma non saprei nemmeno da dove cominciare e anche solo pensare mi richiede troppa fatica. È come infilare una mano in una vasca piena di pesci nel tentativo di prenderne qualcuno, ma loro sono talmente piccoli e veloci che scivolano tra le dita, ed è impossibile afferrarne anche uno solo.

Aria è qui davanti a me, e non è un sogno, il suo corpo è reale e il colore dei suoi occhi è fin troppo vivido per essere frutto della mia immaginazione. Mi sforzo di non guardarla, non è logico il modo in cui sono attratto da lei, come se fosse la mia unica fonte di ossigeno.

Non ha senso, non avrei dovuto rivederla mai più e mi ero rassegnato all’idea. Per di più non ha affatto un bell’aspetto, ha un livido violaceo sotto lo zigomo, un taglio sopra un sopracciglio e il labbro spaccato. Il colorito della sua pelle tende al giallognolo, ha le guance scavate, i capelli arruffati e qualcosa nel suo modo di stare in piedi leggermente curva le dona un’aria fragile.

Una volta l’armonia dei suoi lineamenti era come una dolce melodia, adesso tutto stride fastidiosamente e guardarla è quasi una tortura per gli occhi.

Ed io, malconcio e ad un passo dal crollare, la guardo dritto negli occhi e non desidero altro che un suo semplice tocco.

Un assetato non vuole altro che bere, e non contano le condizioni dell’acqua che gli viene offerta se ha davvero bisogno di dissetarsi. Lei è la mia aria, ed io devo respirarla per sopravvivere.

È mia.

Le sue labbra gonfie sono bellissime e qui maledettissimi occhi per cui ho perso la testa sono talmente perfetti che sembrano falsi. Grandi ma dal taglio leggermente affilato, né celesti né neri.

Sono blu. Sono una notte priva di stelle, sono un manto scuro che ti avvolge con un battito di ciglia.

L’intrepido con i capelli raccolti mi osserva sogghignando, scuote la testa ed esce.

Quando sento il tonfo della porta chiudersi, riprendo coscienza di me stesso e capisco che non devo lasciarmi prendere dal senso di sollievo.

Lei non dovrebbe essere qui.

Questo posto non è più casa, è la mia prigione e Aria qui non è al sicuro. Non voglio nemmeno sapere come c’è arrivata, conta solo che se ne vada subito.

Sto per fare appello a tutte le mie forze per recuperare l’uso della parola e imporle di scappare, quando lei emette uno squittio soffocato ma straziante. È un lamento disperato che la scuote come un brivido, i suoi occhi si inumidiscono e il suo labbro inferiore trema.

-Eric!- Sussurra.

Il mio nome esce dalla sua bocca e per me è il suo più bello, mi entra dentro a forza, mi prende il cuore e lo costringe a battere.

Cerco di parlare, vorrei invocare il suo nome ma lei mi precede. Si lancia verso di me con le braccia tese e credo che voglia abbracciarmi, ma io non riesco a muovermi.

Tuttavia qualcosa non va come doveva, ed Aria inciampa sui suoi stessi piedi e cade. È vicinissima, e vederla scivolare in quel modo risveglia il mio istinto, così riesco ad allungarmi verso di lei e ad afferrarla prima che sbatta contro il pavimento.

Mi abbasso insieme a lei, ci ritroviamo in ginocchio proprio davanti ai piedi del letto, l’una difronte all’altro.

Le mie mani si muovano incerte attorno al suo viso, come se improvvisamente non sapessi più cosa farmene di due palami e ben diedi dita. I capelli le sono ricaduti ai lati delle guance, ha la fronte in avanti e non vedo più la sua espressione, ma capisco che qualcosa non va.

La sento singhiozzare, ma non sta semplicemente piangendo, il suo copro è scosso da forti sussulti e ha le dita serrate attorno alle orecchie. Sta soffocando, si lamenta mugugnando e per un attimo non so cosa fare, mi sento impotente.

Poi ricordo il suo test finale e tutte le sue paure, soprattutto l’ultima, quella che avevo ritenuto più bizzarra. Anche durante la sua allucinazione della paura, infatti, Aria si era accasciata tremante per terra e aveva combattuto una sorta di attacco di panico. Non capisco perché una come lei debba aver sofferto di un disturbo simile, ma questo che sta vivendo deve rappresentare un forte momento di shock per lei e non so se posso biasimarla.

Ho ancora le mani vicino alla sua testa, ricordo cosa le ho visto fare per riprendersi e devo almeno provare a darle aiuto. Le copro le orecchie con i miei polsi, affinché non senta altro che il battito del mio cuore, sperando che basti per tranquillizzarla.

Passano alcuni secondi, non faccio altro che guardarla piangere e vorrei che mi mostrasse il suo viso e che stesse bene ma, quando si riprende, intrufola le sue mani fra le mie e mi getta le braccia al collo. Lei mi stringe in un abbraccio e nasconde il viso sul mio petto nudo, ma mi urta malamente la ferita che ho sul collo e il bruciore mi costringe a lasciarmi sfuggire un guaito gutturale che le fa allentare la presa.

Si stacca appena da me, il suo sguardo vacilla pieno di lacrime, scova il cerotto che mi fascia il collo e lo accarezza con dita tremanti.

-Scusa.- Piagnucola dolcemente. -Stai bene?-

E come succede nella maggior parte delle volte, quanto la mia rabbia si risveglia, si impadronisce di me senza che io abbia modo di affrontarla, e senza che io sappia di preciso cosa l’ha scatenata.

Forse è il mio orgoglio ridotto a brandelli, forse sono impazzito del tutto oppure fatico ad accettare la sua compassione.

Sono stato umiliato e sconfitto, maltrattato e ferito sia fuori che dentro. Ma, per quanto in basso io possa essere caduto, non tollererò mai e poi mai che lei mi guardi come se fossi un animale in fin di vita.

Dovevo prendermi cura di lei, dovevo essere più forte, e invece siamo arrivati al punto in cui lei, che non è ridotta poi tanto meglio di me, mi guarda i lividi sparsi sul corpo e prova pietà per me.

È troppo.

Sono stanco di accettare situazioni che non voglio neppure considerare.

La nebbia che avvolge i miei pensieri mi brucia la pelle e accende un incendio nelle mie vene, mi si appanna perfino la vista e le mani di Aria su di me diventano un affronto.

Provo amore per lei, ma adesso non c’è niente di romantico nel sentimento che mi si risveglia nel petto. Non sarebbe mai dovuta venire fin qui, doveva restare al sicuro invece di gettarsi fra le braccia del mostro.

La voglio, sento il suo odore dolce e frizzante e perdo il controllo.

Scatto in piedi, sentendo i miei muscoli protestare per il gesto improvviso, l’afferro dalle spalle e la metto in piedi a sua volta. Abbasso la cerniera della giacca che indossa, gliela sfilo dalle spalle e me ne libero. Ha uno zaino con sé che cade a terra.

Ciò che trovo sotto, però, mi distrae. È una felpa decisamente troppo grande per lei, sgualcita e con qualche strappo qua a là, per di più non ha un buon profumo.

Strofino tra le dita una piega del tessuto della felpa, Aria mi guarda intimorita ma obbediente, rimane in silenzio e mi accarezza la mano che tengo su di lei. Osservo le sue dita come fossero avvelenate e scaccio via la sua mano, faccio scivolare anche la seconda cerniera e la costringo a togliersi la mia felpa.

Questo è uno schifoso segno di debolezza, non dovrebbe indossare qualcosa di mio solo per poterne trarre conforto mentre non c’ero. Nemmeno i Pacifici fanno sciocchezze simili, ed io trovo inammissibile che proprio lei abbia fatto una cosa così disgustosa.

Non lo sopporto, sono infastidito e alterato.

L’afferro dai fianchi e la sollevo, spingendola sul letto. Aria batte le palpebre, si solleva tenendo i gomiti appoggiati dietro e non sembra felice. Segue la mia avanzata su di lei, quando cerco di raggiungerla strisciando sulle ginocchia, ma scuote la testa e guarda la porta.

-No, no. Non possiamo!- Geme.

Le prendo il viso tra le mani, per tenerla ferma, e le bacio il collo per poi scivolare lungo la sua spalla. Ma lei insiste a muoversi, cerca di allontanarmi e dice di no. Decido di concederle un attimo per capire cosa accidenti voglia, così mi scosto da lei e vedo il modo in cui continua a lanciare occhiate spaventate alla porta.

Impreco mentalmente contro la mia stupidità e devo darle ragione. Fuori ci sono non so quante guardie e la porta non è chiusa a chiave. Scendo giù dal letto e raggiungo velocemente il comodino, da cui estraggo totalmente il cassettino. Potrei seriamente uccidere se venissi interrotto sul più bello, e non voglio certo che qualcuno veda la mia donna in certi momenti intimi.

Ruoto il cassetto fra le mie mani, fregandomene dei pochi oggetti al suo interno che cadono sul pavimento, e prendo la chiave di scorta che avevo attaccato con del nastro adesivo sul fondo. Faccio subito un passo verso la porta e, in una mossa fulminea, metto la chiave nella serratura e la faccio scattare per chiudere.

Credo proprio che da fuori abbiamo sentito i giri di chiave e abbiano capito che mi sono chiuso dentro, ma è troppo tardi. Qualcuno colpisce la porta, forse con un calcio, e l’Intrepido di prima inizia a sbraitare.

-Bastardo! Che stai facendo?-

Lo ignoro, balzo sul letto e mi risistemo su Aria mettendomi a cavalcioni attorno al suo bacino ma senza schiacciarla con il mio peso.

Tento di slacciarle i pantaloni ma lei non vuole saperne di starsene ferma e buona.

-Che fai?- Tenta. -No!-

Cerca di togliermi le mani dai bottoni dei suoi jeans ma riesce solo a farmi infuriare ancora di più, così le afferro malamente un polso e glielo sbatto sul letto. Lei si lamenta e si dimena sotto di me.

Sono stanco della sua opposizione, stanco di tutto questo trambusto e voglio mettere una pietra sopra a tutto. Ogni cosa sembra lottare contro di me, tutto mi sfugge o mi viene sottratto ma non può succedere proprio a me, che avevo gli Intrepidi in pugno. Sono passato dall’essere ad un passo dal prendermi l’intera città, al dover strisciare per sopravvivere. Nemmeno la mia ragazza ha più rispetto per me e mi respinge, ma è ora di riprendermi tutto quello che voglio.

Voglio spegnere l’incendio nel mio copro e fermare l’uragano nella mia testa.

E, primo fra tutto, voglio liberarmi del dolore che provo.

Posso gestire quello fisico, ma c’è qualcosa che mi sta togliendo il fiato e ho perso il controllo.

-Eric!-

I miei occhi scattano nei suoi, mi avvento su di lei e le tappo la bocca con la mano, facendo pressione sul suo viso, intenzionalmente.

-Devi stare zitta!-

Le ordino e, quando mi vedo riflesso nei suoi occhi, so per certo che non mi ha mai visto così. Sono fuori di me dalla rabbia, ho le orbite spalancate e lo sguardo stralunato, per non parlare delle narici allargate e i denti digrignati come una bestia.

Tengo ancora la mano premuta sulle sue labbra e la inchiodo con uno sguardo d’intesa. Inizia a piangere ma ha l’accortezza di farlo in silenzio, ricambia il mio sguardo e muove la testa in un cenno.

-Brava!- Sibilo contro il suo orecchio.

Tolgo la mano e inizio a baciarle il viso e la gola, e lei se ne sta finalmente ferma, addirittura immobile. È terrorizzata ma le sta bene, non doveva venire qui, a stuzzicarmi e a risvegliare la mia sete.

Desidero solo perdermi dentro di lei, spegnere tutto e fare silenzio tra i miei tormentati pensieri. Ma non voglio amore, voglio che lei soffra, che si penta di essere tornata da me quando doveva dimenticarmi.

Non sono più quello di prima e non sono mai stato quello giusto per lei.

Voglio il suo odio, lo voglio sentire su di me mentre piange, invece che sopportare il suo sguardo disperato o il modo in cui mi compatisce ad ogni occhiata.

Le tolgo i pantaloni a forza e lei si lascia scappare qualche singhiozzio, ma quello che mi interessa è che non tenti di scappare.

-Eric, aspetta, io…-

La sua voce mi infastidisce talmente tanto che divento una furia, mi spoglio, le strappo via quella canottiera che le è rimasta addosso e mi libero della sua biancheria in meno di un secondo. Sono violento e la maneggio senza alcuna cura, stringendo la presa sulle sue braccia per farle male di proposito.

Lei geme, scuote la testa, mi accarezza la fronte e cerca il mio sguardo.

Ormai sono ad un passo dall’averla e soddisfare il mio desiderio, ma i suoi occhi spaventati sono puntati su di me.

-Eric, ti prego, non così!-

Serro i pugni attorno alla coperta e faccio una smorfia terribile, se crede che le serva supplicarmi per fermarmi, non ha capito nulla di me.

Adesso voglio che sia tutto più brutto e doloroso, per lei.

Mi insinuo fra le sue gambe e mi tengo sollevato da lei puntando le mani ai lati della sua testa, poi mi cade l’occhio sulle sue labbra e devo accettare che non è così facile farlo con lei in questo modo.

La bacio, le accarezzo il viso con le dita e lascio che si illuda per un attimo che io stia aspettando il suo permesso. Aspetto che ricambi il bacio e poi le immobilizzo i polsi sopra la sua testa con una mano sola perché non voglio essere toccato, la faccio mia quando non se lo aspetta e soffoco il suo pianto con la mia bocca sulla sua. 

 

L’acqua scorre sui nostri corpi e lava via sudore e sofferenza, mentre il vapore ci avvolge in una nebbiolina che ci scalda fin dentro le ossa.

Siamo in piedi nella doccia, sorreggendoci a vicenda in un abbraccio muto ma vitale. Aria tiene la guancia premuta contro il mio petto e mi stringe le braccia attorno ai fianchi, serrandomi con tale intensità che non ho il coraggio di dirle che sta premendo sui lividi che mi sono stati causati dalle percosse che ho subito sull’addome. Perciò, anche se è fastidioso, resisto e la lascio aggrappata a me perché so che ne ha davvero bisogno.

Faccio scivolare le mie dita lungo i suoi capelli che, colmi d’acqua, sono ancora più setosi di come sarebbero normalmente, e risalgo poi fino alle sue spalle in una carezza che scende e ricomincia. Con l’altra mano le tengo il viso premuto contro di me e, di tanto in tanto, le poso qualche bacio sulla sommità della testa, per tranquillizzarmi quando i pensieri che faccio diventano troppo oscuri.

Non so da quanto andiamo avanti così, a confortarci con i nostri respiri e a trarre piacere l’uno dal calore corporeo dell’altra. Ma, poterla riavere in mio possesso e poterle sfiorare ancora la pelle, sta funzionando e sono riuscito a calmarmi. Ho ritrovato me stesso, almeno in parte, e sento che la tensione dei miei nervi è stata portata via dallo scorrere sereno dell’acqua.

Prendo il viso di Aria fra le mani, scostandola da me e la costringo a sollevare lo sguardo, ci guardiamo per qualche secondo e, quando sento che non posso più resistere, la bacio. Assaggio le sue labbra, le mordo piano e cerco un intreccio con la sua lingua, mentre il suo fiato caldo mi solletica e il suo sapore mi manda in estasi.

Le mie mani scorrono sul suo corpo e spingo maggiormente la sua schiena per averla più vicina, mentre lei fa passare timidamente le sue braccia fra le mie e me le intreccia dietro la nuca, attenta e non urtarmi la ferita sul collo. Sembra rimpicciolire nel mio abbraccio, mi tocca quasi con paura senza smettere di ricambiare il mio bacio. 

Però alla fine si stacca da me, è senza fiato, scuote la testa e sembra sul punto di rimettersi a piangere.

-Eric…-

Il modo in cui invoca il mio nome fa riaccendere quella scintilla pericolosa che minaccia di farmi perde ancora il controllo. Non sopporto la nota disperata che le fa vibrare la voce, né accetto che debba rompere così la bolla in cui ci stavamo rifugiando.

Tuttavia, anche se sono ad un soffio dalla follia, ricordo bene il mio atteggiamento di poco prima e so di averla ferita imponendomi con la forza su di lei, l’ho anche spaventata e voglio provare a non commettere ancora lo stesso errore. Chiamo a raccolta tutte le mie forze e faccio un respiro profondo, appoggiando la mia fronte alla sua. Ho ancora le mani ai lati delle sue guance e uso entrambi i pollici per bloccarle le labbra.

-Non parlare!- Le chiedo con calma, e in realtà la sto supplicando di non aprire più bocca.

Sono perfettamente in grado di capire che non possiamo fare finta che niente sia successo e comportarci come se fossimo realmente liberi di essere felici. È successo qualcosa che ha stravolto tutto e non ho idea di come lei sia arrivata qui, ma so benissimo che non dovrei essere ancora vivo.

Ma, proprio perché avrei dovuto perderla per sempre invece di ritrovarla, voglio pensare soltanto a lei e chiudere ogni problema fuori da questa camera almeno finché posso permettermi di farlo. Ho commesso molteplici errori, ma non può essere un crimine pretendere un momento di pausa fuori dalla bufera.

Le spiegazione possono aspettare, non vedo l’urgenza di chiarire la situazione quando sto così bene immerso nella nostra atmosfera.

Il mio corpo sembra rinvigorito, non sento più dolore e anche nella mia mente regna una pace assoluta. Poso le mie labbra sulla sua fronte, sulla punta del suo naso, poi sulle sue labbra e infine sul suo mento. L’abbraccio ancora una volta e chiudo i rubinetti della doccia, uscendo tenendo Aria per mano.

La lascio per prendere due asciugamani dal mobiletto vicino e me ne metto uno attorno al colo. Con l’altro avvolgo Aria e le strofino energicamente le spalle, poi la lascio finire di asciugarsi. Uso il mio per frizionarmi velocemente il corpo e, quando sono pronto, lo lancio dentro la vasca.

Aria non dice una sola parola, sembra assorta e anche un po’ intimorita, ma il modo in cui i suoi occhi da bambina mi fisso intensamente, senza perdersi un mio solo respiro, mi fa sentire come se avessi una coperta sulla spalle.

Torno a concentrarmi su di lei e utilizzo i lembi del suo asciugamano per strofinarle i capelli, cercando di togliere l’acqua in eccesso. Lei non si oppone, continua a tenermi gli occhi addosso ma io continuo il mio lavoro. Le asciugo il viso, le bacio ancora la fronte e le tolgo il telo da attorno alle spalle per passarlo ancora fra i suoi capelli umidi. Mi prendo il mio tempo, faccio tutto lentamente e solo quando sono soddisfatto lascio cadere l’asciugamano e prendo Aria per mano.

Arriviamo davanti alle ante del mio guardaroba, che apro per recuperare qualcosa da mettere. Lei si allontana e recupera da terra il suo zaino, che le è scivolato dalle spalle quando ho iniziato a spogliarla, e ci fruga dentro.

Mi vesto velocemente, optando per indumenti più pesanti e maglietta a maniche lunghe visto il freddo serale. Mi concedo uno sguardo ad Aria, che si copre con biancheria intima pulita e una canottiera. Ciò che mi disturba è il fatto che vada a recuperare dal pavimento la mia felpa che indossava quando è arrivata e, anche se la sta solo piegando, il pensiero che sia affezionata a quello straccio puzzolente mi fa contorcere lo stomaco. Forse il problema non è l’indumento in sé, quanto il malessere che mi causa sapere che le era rimasto solo quello come mio ricordo.

Torno al guardaroba, frugo nel ripiano invernale e prendo una felpa in pile senza cerniera né cappuccio, con le maniche lunghe nere e la parte del petto e delle spalle grigio scuro. Non sono uno che fa particolarmente caso all’abbigliamento, ma questa maglia mi è sempre piaciuta.

Raggiungo Aria, che rimane imbambolata a fissarmi, le infilo la felpa dalla testa e lei solleva le braccia per metterle dentro le maniche. Le copro i fianchi mentre lei si raccoglie i capelli su una spalla ed io intreccio le dita tre le sue ciocche ancora inumidite, incantato dal modo in cui insiste a tenermi incollato a sé con uno dei suoi sguardi più caldi.

Ora che ha i capelli all’indietro, la cicatrice che le squarcia la fronte e il livido sullo zigomo sono in bella vista, e il suo viso sembra ancora più scarno, eppure io vedo solo le sue labbra gonfie e per me è comunque bellissima. Anzi, con tutti i suoi traumi, sembra ancora più forte e non fragile, ed io adoro la sua tenacia.

La bacio ancora, accarezzandole la schiena e vorrei continuare a farlo in santa pace, ma lei ha evidentemente altro per la testa e mi sposta mettendomi le mani sulle spalle.

-Eric, io…-

Le prendo il mento fra le dita e le sollevo il viso, zittendola, le riservo uno sguardo intenso e scuoto la testa.

Lei comprende, si morde il labro ma rimane inquieta e devia il mio sguardo. Decido di posarle un bacio sulla testa per addolcire il mio divieto, perché non voglio che rovini tutto con parole inutili ma desiro pur sempre farla stare bene.

Senza che se lo aspetti la prendo in braccio, ignorando le proteste del mio copro ancora debilitato e aggiro il letto per depositarla dalla parte in cui di solito dormiva. Lei si sistema sotto le coperte e segue i miei movimenti in silenzio, con la sua espressione innocente e bollente che mi tenta fin troppo, raggiungo il mio lato e mi siedo sul materasso.

Una volta fra lenzuola mi sdraio e striscio vicino ad Aria, che si raggomitola contro il mio corpo e incastra la sua testa sotto il mio mento. La stringo, forte, e scopro che la stanchezza, il malessere e la rabbia mi hanno davvero sfinito.

Senza neanche sapere come, scopro che posso addormentarmi tranquillamente e, coccolato dal profumo della pelle di Aria che sa del mio bagnoschiuma, mi basta appoggiare la testa al cuscino e chiudere le palpebre per abbandonarmi ad un sonno privo di incubi.

O, al meno, all’illusione di pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Il ricongiungimento fra i due protagonisti è avvenuto. Lo immaginavate così? Opinioni diverse?
Grazie a tutti i lettori e a chi commenta, vi ricordo la mia pagina facebook dove potete trovare le anticipazioni dei capitoli:

https://www.facebook.com/Kaimy11/

 

Baci, al prossimo capitolo!

 

   
 
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