44. Nebbia
calda
Perché?
Mi hanno preso e
portato nella sala congressi dei Candidi, mi hanno costretto a sedermi al
centro e si sono divertiti a prendersi gioco di me. Volevano uccidermi,
condannarmi e io ho preteso che fosse quella Rigida
maledetta a elencarmi i miei crimini. Mi è bastato venire a sapere che Quattro
era stato nominato capofazione, che alla fine aveva preso
il mio posto, per smettere di lottare.
Lui era lì, davanti
a me, con Harrison e aspettavano Tori. Che bel trio dei miei
stivali a capo di un gruppo di invertebrati che si spacciano ancora per
Intrepidi!
Ma io non potevo
aspettare, volevo farla finita, voleva lasciare questo mondo avariato in cui non c’era più posto per me e volevo
tornare a sognare. Quello che vedevo, il dolore che affliggeva il mio copro e
mi confondeva la mente, gli insulti sussurrati attorno a me, era
troppo.
Era insopportabile e
mi stava distruggendo.
Volevo andarmene.
Ho chiesto a Quattro
di spararmi, non potevo sopportare che tirassero a sorte per stabilire chi mi
avrebbe definitivamente spedito all’altro mondo. Che fosse quel Rigido di
Quattro a spararmi, quell’inutile usurpatore che mi aveva messo i bastoni fra
le ruote da quanto era arrivato fra gli Intrepidi. Con il suo bassissimo numero
di paure, Max lo aveva notato subito ed era pronto a dargli
il mio posto, se quell’idiota non lo avesse rifiutato più volte.
Ed ero riuscito ad
accettare di morire, se niente aveva più senso e se il mio rivale mi aveva
sopraffatto, tanto valeva che fosse lui ad uccidermi
una volta per tutte.
E Quattro ha
accettato, mi ha detto che non avrebbe avuto rimpianti ad
uccidermi e mi ha puntato la pistola alla testa. Ho visto il metallo contro di
me, ho sentito il richiamo dell’oltretomba e ho chiuso gli occhi.
Poteva essere la mia
fine, e invece non lo è stata.
Non riesco a
spiegarmi perché, un secondo esatto prima dello sparo, la porta è stata
spalancata con un boato e Tori ha fatto irruzione, seguita da alcuni soldati,
ha parlato con Quattro e gli ha ordinato di fermarsi.
Tutti attorno a me
hanno iniziato ad agitarsi, desideravano il mio sangue, ma non lo hanno avuto. Tori ha preso
Quattro e lo ha portato via, a quanto ho sentito, doveva fargli assolutamente
vedere una cosa, e non sono più tornati. A prendermi sono venuti dei soldati,
mi hanno picchiato per stordirmi e mi hanno caricato su un treno e siamo
ritornati tutti nella nostra residenza.
Ma perché?
Batto i pugni sulla
ringhiera e guardo il tramonto, senza vederlo realmente, visto
che non dovrei essere ancora qui a permettermi il lusso di ammirarlo.
Sono stato riportato
nella mia camera da capofazione, quella ai piani alti. Quando siamo scesi dal
treno e ho capito che non sapevano dove rinchiudermi, mi sono sgolato per farmi
ascoltare e ho preteso che mi lasciassero marcire nel mio letto. Non so con
quale pietà hanno accettato, forse sanno che ridotto così
non posso scappare e per loro una cella vale l’altra. Da quanto ne so, due guardie sorvegliano la mia porta.
Mi passo una mano
sulla fronte, imperlata di sudore e torno dentro la stanza, chiudendo dietro di
me la porta a vetri.
Sono senza
maglietta, sono accaldato e dolorante, ho addosso solo i pantaloni di una
vecchia tuta. Mi gratto distrattamente il mento, dove la mia barba è cresciuta
senza che mi sia abituato all’idea. Arranco verso il letto, ma non riesco a
stare fermo, vorrei liberarmi del peso che mi opprime e poter fare qualcosa.
È tutto privo di
senso.
Mentre mi porto una
mano alle costole indolenzite, sento due tonfi secchi contro la mia porta e a
poco non mi soffoco con la mia stessa saliva, quando cerco di trattenere un
ringhio inferocito. Bussano ancora e serro i pugni, guardandomi intorno in
cerca di una possibile arma da usare contro chiunque
stia cercando di infastidirmi.
Credono forse di
potersi prendere il diritto di presentarsi qui, ogni volta che gli passa per la
testa? Sono un sopravvissuto, anche se ne ignoro il motivo, non un loro
maledetto giocattolo da manovrare a piacimento.
Al mio silenzio, la
porta si apre di scatto ed io non ci vedo più dalla rabbia. Rimango ai piedi
del letto, minacciosamente piazzato davanti alla porta e gonfio il petto, che
si alza e si abbassa quando respiro.
Sulla soglia c’è un
ragazzo con una coda di cavallo dietro la nuca.
-Che diamine
volete?- Sbraito, agitando le braccia. -Lasciatemi in pace!-
Digrigno i denti e
attendo che l’Intrepido sparisca ma, a quanto pare, non risulto
poi così spaventoso come speravo. Temo sia colpa dei miei lividi perché, invece
di filarsela, il ragazzo rimane fermo a squadrarmi da capo a piede con una
smorfia di sufficienza. Si concede un sorrisetto corrucciando le labbra e
solleva il mento in segno di sfida.
Sto per avventarmi
su di lui, senza considerare che sono in uno stato
pessimo e che mi farei stendere al primo colpo, ma un suo gesto mi fa esitare.
L’Intrepido si volta e fa segno con la mano a qualcuno di avanzare.
Mi aspetterei di
vedere arrivare altri uomini pronti a torturarmi, immagino già i loro passi
sicuri, ed invece un corpo esile viene letteralmente
gettato oltre la mia porta.
La ragazzina è
entrata barcollando, o meglio è stata lanciata dentro, e ha dovuto recuperare
l’equilibrio sui proprio piedi dopo la spinta. Sarebbe
logico vederla confusa e invece, come se per lei non contasse nient’ altro, i suoi occhi si sono agganciati ai miei e non
si sono più spostati.
Neanche per sbaglio.
Tutto quello che
succede dopo, è avvolto dalla nebbia.
Una nebbia calda.
Dovrei fare
qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe meglio dell’immobilità che mi blocca, ma non
saprei nemmeno da dove cominciare e anche solo pensare mi richiede troppa
fatica. È come infilare una mano in una vasca piena di pesci nel tentativo di
prenderne qualcuno, ma loro sono talmente piccoli e
veloci che scivolano tra le dita, ed è impossibile afferrarne anche uno solo.
Aria è qui davanti a
me, e non è un sogno, il suo corpo è reale e il colore dei suoi occhi è fin
troppo vivido per essere frutto della mia immaginazione.
Mi sforzo di non guardarla, non è logico il modo in cui sono attratto da lei,
come se fosse la mia unica fonte di ossigeno.
Non ha senso, non
avrei dovuto rivederla mai più e mi ero rassegnato all’idea. Per di più non ha affatto un bell’aspetto, ha un livido violaceo sotto
lo zigomo, un taglio sopra un sopracciglio e il labbro spaccato. Il colorito
della sua pelle tende al giallognolo, ha le guance scavate, i capelli arruffati
e qualcosa nel suo modo di stare in piedi leggermente curva le dona un’aria
fragile.
Una volta l’armonia
dei suoi lineamenti era come una dolce melodia, adesso tutto stride
fastidiosamente e guardarla è quasi una tortura per gli occhi.
Ed io, malconcio e
ad un passo dal crollare, la guardo dritto negli occhi e non desidero altro che
un suo semplice tocco.
Un assetato non
vuole altro che bere, e non contano le condizioni dell’acqua che gli viene offerta se ha davvero bisogno di dissetarsi. Lei è la
mia aria, ed io devo respirarla per sopravvivere.
È mia.
Le sue labbra gonfie
sono bellissime e qui maledettissimi occhi per cui ho perso la testa sono
talmente perfetti che sembrano falsi. Grandi ma dal
taglio leggermente affilato, né celesti né neri.
Sono blu. Sono una
notte priva di stelle, sono un manto scuro che ti avvolge con un battito di
ciglia.
L’intrepido con i
capelli raccolti mi osserva sogghignando, scuote la testa ed esce.
Quando sento il
tonfo della porta chiudersi, riprendo coscienza di me stesso e capisco che non
devo lasciarmi prendere dal senso di sollievo.
Lei non dovrebbe
essere qui.
Questo posto non è
più casa, è la mia prigione e Aria qui non è al sicuro. Non voglio nemmeno
sapere come c’è arrivata, conta solo che se ne vada subito.
Sto per fare appello
a tutte le mie forze per recuperare l’uso della parola e imporle di scappare,
quando lei emette uno squittio soffocato ma straziante. È un lamento disperato
che la scuote come un brivido, i suoi occhi si inumidiscono
e il suo labbro inferiore trema.
-Eric!- Sussurra.
Il mio nome esce
dalla sua bocca e per me è il suo più bello, mi entra dentro a
forza, mi prende il cuore e lo costringe a battere.
Cerco di parlare,
vorrei invocare il suo nome ma lei mi precede. Si lancia verso di me con le braccia tese e credo che voglia abbracciarmi, ma io non
riesco a muovermi.
Tuttavia qualcosa
non va come doveva, ed Aria inciampa sui suoi stessi
piedi e cade. È vicinissima, e vederla scivolare in quel modo risveglia il mio
istinto, così riesco ad allungarmi verso di lei e ad afferrarla prima che
sbatta contro il pavimento.
Mi abbasso insieme a lei, ci ritroviamo in ginocchio proprio davanti ai piedi
del letto, l’una difronte all’altro.
Le mie mani si
muovano incerte attorno al suo viso, come se improvvisamente non sapessi più
cosa farmene di due palami e ben diedi dita. I capelli le sono ricaduti ai lati
delle guance, ha la fronte in avanti e non vedo più la sua espressione, ma
capisco che qualcosa non va.
La sento
singhiozzare, ma non sta semplicemente piangendo, il suo copro è scosso da
forti sussulti e ha le dita serrate attorno alle orecchie. Sta soffocando, si
lamenta mugugnando e per un attimo non so cosa fare, mi sento impotente.
Poi ricordo il suo
test finale e tutte le sue paure, soprattutto l’ultima, quella che avevo
ritenuto più bizzarra. Anche durante la sua allucinazione della paura, infatti,
Aria si era accasciata tremante per terra e aveva combattuto una sorta di
attacco di panico. Non capisco perché una come lei
debba aver sofferto di un disturbo simile, ma questo che sta vivendo deve
rappresentare un forte momento di shock per lei e non so se posso biasimarla.
Ho ancora le mani
vicino alla sua testa, ricordo cosa le ho visto fare per riprendersi e devo
almeno provare a darle aiuto. Le copro le orecchie con i miei polsi, affinché
non senta altro che il battito del mio cuore, sperando che basti per
tranquillizzarla.
Passano alcuni
secondi, non faccio altro che guardarla piangere e vorrei che mi mostrasse il
suo viso e che stesse bene ma, quando si riprende, intrufola le sue mani fra le
mie e mi getta le braccia al collo. Lei mi stringe in un abbraccio e nasconde
il viso sul mio petto nudo, ma mi urta malamente la ferita che ho sul collo e
il bruciore mi costringe a lasciarmi sfuggire un
guaito gutturale che le fa allentare la presa.
Si stacca appena da
me, il suo sguardo vacilla pieno di lacrime, scova il cerotto che mi fascia il
collo e lo accarezza con dita tremanti.
-Scusa.- Piagnucola
dolcemente. -Stai bene?-
E come succede nella
maggior parte delle volte, quanto la mia rabbia si risveglia, si impadronisce di me senza che io abbia modo di
affrontarla, e senza che io sappia di preciso cosa l’ha scatenata.
Forse è il mio
orgoglio ridotto a brandelli, forse sono impazzito del tutto oppure fatico ad
accettare la sua compassione.
Sono stato umiliato
e sconfitto, maltrattato e ferito sia fuori che
dentro. Ma, per quanto in basso io possa essere
caduto, non tollererò mai e poi mai che lei mi guardi come se fossi un animale
in fin di vita.
Dovevo prendermi
cura di lei, dovevo essere più forte, e invece siamo
arrivati al punto in cui lei, che non è ridotta poi tanto meglio di me, mi
guarda i lividi sparsi sul corpo e prova pietà per me.
È troppo.
Sono stanco di
accettare situazioni che non voglio neppure considerare.
La nebbia che
avvolge i miei pensieri mi brucia la pelle e accende un incendio nelle mie
vene, mi si appanna perfino la vista e le mani di Aria su di me diventano un
affronto.
Provo amore per lei,
ma adesso non c’è niente di romantico nel sentimento che mi si risveglia nel
petto. Non sarebbe mai dovuta venire fin qui, doveva
restare al sicuro invece di gettarsi fra le braccia del mostro.
La voglio, sento il
suo odore dolce e frizzante e perdo il controllo.
Scatto in piedi,
sentendo i miei muscoli protestare per il gesto improvviso, l’afferro
dalle spalle e la metto in piedi a sua volta. Abbasso la cerniera della giacca
che indossa, gliela sfilo dalle spalle e me ne libero. Ha uno zaino con sé che
cade a terra.
Ciò che trovo sotto,
però, mi distrae. È una felpa decisamente troppo
grande per lei, sgualcita e con qualche strappo qua a là, per di più non ha un
buon profumo.
Strofino tra le dita
una piega del tessuto della felpa, Aria mi guarda intimorita
ma obbediente, rimane in silenzio e mi accarezza la mano che tengo su di lei. Osservo
le sue dita come fossero avvelenate e scaccio via la sua mano, faccio scivolare
anche la seconda cerniera e la costringo a togliersi la mia felpa.
Questo è uno
schifoso segno di debolezza, non dovrebbe indossare qualcosa di mio solo per
poterne trarre conforto mentre non c’ero. Nemmeno i Pacifici fanno sciocchezze
simili, ed io trovo inammissibile che proprio lei abbia fatto una cosa così
disgustosa.
Non lo sopporto,
sono infastidito e alterato.
L’afferro dai fianchi e la sollevo, spingendola sul
letto. Aria batte le palpebre, si solleva tenendo i gomiti appoggiati dietro e
non sembra felice. Segue la mia avanzata su di lei, quando cerco di raggiungerla
strisciando sulle ginocchia, ma scuote la testa e guarda la porta.
-No, no. Non
possiamo!- Geme.
Le prendo il viso
tra le mani, per tenerla ferma, e le bacio il collo per poi scivolare lungo la
sua spalla. Ma lei insiste a muoversi, cerca di
allontanarmi e dice di no. Decido di concederle un attimo per capire cosa
accidenti voglia, così mi scosto da lei e vedo il modo in cui continua a
lanciare occhiate spaventate alla porta.
Impreco mentalmente
contro la mia stupidità e devo darle ragione. Fuori ci sono non so quante
guardie e la porta non è chiusa a chiave. Scendo giù dal letto e raggiungo velocemente
il comodino, da cui estraggo totalmente il cassettino. Potrei seriamente
uccidere se venissi interrotto sul più bello, e non
voglio certo che qualcuno veda la mia donna in certi momenti intimi.
Ruoto il cassetto
fra le mie mani, fregandomene dei pochi oggetti al suo interno che cadono sul
pavimento, e prendo la chiave di scorta che avevo attaccato con del nastro
adesivo sul fondo. Faccio subito un passo verso la porta e, in una mossa
fulminea, metto la chiave nella serratura e la faccio scattare per chiudere.
Credo proprio che da
fuori abbiamo sentito i giri di chiave e abbiano
capito che mi sono chiuso dentro, ma è troppo tardi. Qualcuno colpisce la
porta, forse con un calcio, e l’Intrepido di prima inizia a sbraitare.
-Bastardo! Che stai
facendo?-
Lo ignoro, balzo sul
letto e mi risistemo su Aria mettendomi a cavalcioni
attorno al suo bacino ma senza schiacciarla con il mio peso.
Tento di slacciarle
i pantaloni ma lei non vuole saperne di starsene ferma e buona.
-Che fai?- Tenta.
-No!-
Cerca di togliermi
le mani dai bottoni dei suoi jeans ma riesce solo a farmi infuriare ancora di
più, così le afferro malamente un polso e glielo sbatto sul letto. Lei si
lamenta e si dimena sotto di me.
Sono stanco della sua
opposizione, stanco di tutto questo trambusto e voglio mettere una pietra sopra
a tutto. Ogni cosa sembra lottare contro di me, tutto
mi sfugge o mi viene sottratto ma non può succedere
proprio a me, che avevo gli Intrepidi in pugno. Sono passato dall’essere ad un
passo dal prendermi l’intera città, al dover strisciare per sopravvivere.
Nemmeno la mia ragazza ha più rispetto per me e mi respinge, ma è ora di riprendermi
tutto quello che voglio.
Voglio spegnere
l’incendio nel mio copro e fermare l’uragano nella mia testa.
E, primo fra tutto,
voglio liberarmi del dolore che provo.
Posso gestire quello
fisico, ma c’è qualcosa che mi sta togliendo il fiato e ho perso il controllo.
-Eric!-
I miei occhi
scattano nei suoi, mi avvento su di lei e le tappo la bocca con la mano,
facendo pressione sul suo viso, intenzionalmente.
-Devi stare zitta!-
Le ordino e, quando
mi vedo riflesso nei suoi occhi, so per certo che non mi ha mai visto così.
Sono fuori di me dalla rabbia, ho le orbite spalancate e lo sguardo stralunato,
per non parlare delle narici allargate e i denti digrignati come una bestia.
Tengo ancora la mano
premuta sulle sue labbra e la inchiodo con uno sguardo d’intesa. Inizia a
piangere ma ha l’accortezza di farlo in silenzio, ricambia il mio sguardo e
muove la testa in un cenno.
-Brava!- Sibilo
contro il suo orecchio.
Tolgo la mano e
inizio a baciarle il viso e la gola, e lei se ne sta finalmente ferma, addirittura
immobile. È terrorizzata ma le sta bene, non doveva venire qui,
a stuzzicarmi e a risvegliare la mia sete.
Desidero solo
perdermi dentro di lei, spegnere tutto e fare silenzio tra i miei tormentati
pensieri. Ma non voglio amore, voglio che lei soffra,
che si penta di essere tornata da me quando doveva dimenticarmi.
Non sono più quello
di prima e non sono mai stato quello giusto per lei.
Voglio il suo odio,
lo voglio sentire su di me mentre piange, invece che sopportare il suo sguardo
disperato o il modo in cui mi compatisce ad ogni
occhiata.
Le tolgo i pantaloni
a forza e lei si lascia scappare qualche singhiozzio, ma quello che mi interessa è che non tenti di scappare.
-Eric, aspetta, io…-
La sua voce mi infastidisce talmente tanto che divento una furia, mi
spoglio, le strappo via quella canottiera che le è rimasta addosso e mi libero
della sua biancheria in meno di un secondo. Sono violento e la maneggio senza
alcuna cura, stringendo la presa sulle sue braccia per farle male di proposito.
Lei geme, scuote la
testa, mi accarezza la fronte e cerca il mio sguardo.
Ormai sono ad un
passo dall’averla e soddisfare il mio desiderio, ma i suoi occhi spaventati
sono puntati su di me.
-Eric, ti prego, non
così!-
Serro i pugni
attorno alla coperta e faccio una smorfia terribile, se crede che le serva supplicarmi per fermarmi, non ha capito nulla di
me.
Adesso voglio che
sia tutto più brutto e doloroso, per lei.
Mi
insinuo fra le sue gambe e mi
tengo sollevato da lei puntando le mani ai lati della sua testa, poi mi cade
l’occhio sulle sue labbra e devo accettare che non è così facile farlo con lei
in questo modo.
La bacio, le
accarezzo il viso con le dita e lascio che si illuda
per un attimo che io stia aspettando il suo permesso. Aspetto che ricambi il
bacio e poi le immobilizzo i polsi sopra la sua testa con una mano sola perché
non voglio essere toccato, la faccio mia quando non se lo aspetta e soffoco il
suo pianto con la mia bocca sulla sua.
L’acqua scorre sui
nostri corpi e lava via sudore e sofferenza, mentre il vapore ci avvolge in una
nebbiolina che ci scalda fin dentro le ossa.
Siamo in piedi nella
doccia, sorreggendoci a vicenda in un abbraccio muto ma vitale. Aria tiene la
guancia premuta contro il mio petto e mi stringe le braccia attorno ai fianchi,
serrandomi con tale intensità che non ho il coraggio di dirle che sta premendo
sui lividi che mi sono stati causati dalle percosse che ho subito sull’addome.
Perciò, anche se è fastidioso, resisto e la lascio
aggrappata a me perché so che ne ha davvero bisogno.
Faccio scivolare le
mie dita lungo i suoi capelli che, colmi d’acqua, sono ancora più setosi di
come sarebbero normalmente, e risalgo poi fino alle sue spalle in una carezza
che scende e ricomincia. Con l’altra mano le tengo il viso premuto contro di me
e, di tanto in tanto, le poso qualche bacio sulla
sommità della testa, per tranquillizzarmi quando i pensieri che faccio
diventano troppo oscuri.
Non so da quanto
andiamo avanti così, a confortarci con i nostri respiri e a trarre piacere
l’uno dal calore corporeo dell’altra. Ma, poterla riavere in mio possesso e
poterle sfiorare ancora la pelle, sta funzionando e
sono riuscito a calmarmi. Ho ritrovato me stesso, almeno in parte, e sento che
la tensione dei miei nervi è stata portata via dallo scorrere sereno dell’acqua.
Prendo il viso di
Aria fra le mani, scostandola da me e la costringo a sollevare lo sguardo, ci
guardiamo per qualche secondo e, quando sento che non posso più resistere, la
bacio. Assaggio le sue labbra, le mordo piano e cerco un intreccio con la sua
lingua, mentre il suo fiato caldo mi solletica e il suo sapore mi manda in
estasi.
Le mie mani scorrono
sul suo corpo e spingo maggiormente la sua schiena per averla più vicina,
mentre lei fa passare timidamente le sue braccia fra le mie e me le intreccia
dietro la nuca, attenta e non urtarmi la ferita sul collo. Sembra rimpicciolire
nel mio abbraccio, mi tocca quasi con paura senza smettere di ricambiare il mio
bacio.
Però alla fine si stacca da me, è senza fiato, scuote la
testa e sembra sul punto di rimettersi a piangere.
-Eric…-
Il modo in cui
invoca il mio nome fa riaccendere quella scintilla pericolosa che minaccia di
farmi perde ancora il controllo. Non sopporto la nota disperata che le fa
vibrare la voce, né accetto che debba rompere così la bolla in cui ci stavamo
rifugiando.
Tuttavia, anche se
sono ad un soffio dalla follia, ricordo bene il mio
atteggiamento di poco prima e so di averla ferita imponendomi con la forza su
di lei, l’ho anche spaventata e voglio provare a non commettere ancora lo
stesso errore. Chiamo a raccolta tutte le mie forze e faccio un respiro
profondo, appoggiando la mia fronte alla sua. Ho ancora le mani ai lati delle
sue guance e uso entrambi i pollici per bloccarle le labbra.
-Non parlare!- Le
chiedo con calma, e in realtà la sto supplicando di non aprire più bocca.
Sono perfettamente
in grado di capire che non possiamo fare finta che niente sia successo e
comportarci come se fossimo realmente liberi di essere
felici. È successo qualcosa che ha stravolto tutto e non ho idea di come lei
sia arrivata qui, ma so benissimo che non dovrei
essere ancora vivo.
Ma, proprio perché avrei dovuto perderla per sempre
invece di ritrovarla, voglio pensare soltanto a lei e chiudere ogni problema
fuori da questa camera almeno finché posso permettermi di farlo. Ho commesso
molteplici errori, ma non può essere un crimine pretendere un momento di pausa
fuori dalla bufera.
Le spiegazione possono aspettare, non vedo l’urgenza di
chiarire la situazione quando sto così bene immerso nella nostra atmosfera.
Il mio corpo sembra
rinvigorito, non sento più dolore e anche nella mia mente regna una pace
assoluta. Poso le mie labbra sulla sua fronte, sulla punta del suo naso, poi
sulle sue labbra e infine sul suo mento. L’abbraccio ancora una volta e chiudo
i rubinetti della doccia, uscendo tenendo Aria per mano.
La lascio per
prendere due asciugamani dal mobiletto vicino e me ne metto uno attorno al
colo. Con l’altro avvolgo Aria e le strofino energicamente le spalle, poi la lascio finire di asciugarsi. Uso il mio per frizionarmi
velocemente il corpo e, quando sono pronto, lo lancio dentro la vasca.
Aria non dice una
sola parola, sembra assorta e anche un po’ intimorita, ma il modo in cui i suoi
occhi da bambina mi fisso intensamente, senza perdersi un mio solo respiro, mi
fa sentire come se avessi una coperta sulla spalle.
Torno a concentrarmi
su di lei e utilizzo i lembi del suo asciugamano per strofinarle i capelli,
cercando di togliere l’acqua in eccesso. Lei non si oppone, continua a tenermi
gli occhi addosso ma io continuo il mio lavoro. Le asciugo il viso, le bacio
ancora la fronte e le tolgo il telo da attorno alle spalle per passarlo ancora
fra i suoi capelli umidi. Mi prendo il mio tempo, faccio tutto lentamente e
solo quando sono soddisfatto lascio cadere l’asciugamano e prendo Aria per
mano.
Arriviamo davanti alle ante del mio guardaroba, che apro per recuperare qualcosa
da mettere. Lei si allontana e recupera da terra il suo zaino, che le è
scivolato dalle spalle quando ho iniziato a spogliarla, e ci fruga dentro.
Mi vesto
velocemente, optando per indumenti più pesanti e
maglietta a maniche lunghe visto il freddo serale. Mi concedo uno sguardo ad
Aria, che si copre con biancheria intima pulita e una canottiera. Ciò che mi
disturba è il fatto che vada a recuperare dal
pavimento la mia felpa che indossava quando è arrivata e, anche se la sta solo
piegando, il pensiero che sia affezionata a quello straccio puzzolente mi fa
contorcere lo stomaco. Forse il problema non è l’indumento in sé, quanto il
malessere che mi causa sapere che le era rimasto solo quello come mio ricordo.
Torno al guardaroba,
frugo nel ripiano invernale e prendo una felpa in pile senza cerniera né cappuccio,
con le maniche lunghe nere e la parte del petto e delle
spalle grigio scuro. Non sono uno che fa
particolarmente caso all’abbigliamento, ma questa maglia mi è sempre piaciuta.
Raggiungo Aria, che
rimane imbambolata a fissarmi, le infilo la felpa dalla testa e lei solleva le
braccia per metterle dentro le maniche. Le copro i fianchi mentre lei si
raccoglie i capelli su una spalla ed io intreccio le dita tre
le sue ciocche ancora inumidite, incantato dal modo in cui insiste a
tenermi incollato a sé con uno dei suoi sguardi più caldi.
Ora che ha i capelli
all’indietro, la cicatrice che le squarcia la fronte e il livido sullo zigomo
sono in bella vista, e il suo viso sembra ancora più scarno,
eppure io vedo solo le sue labbra gonfie e per me è comunque bellissima. Anzi,
con tutti i suoi traumi, sembra ancora più forte e non fragile, ed io adoro la
sua tenacia.
La bacio ancora,
accarezzandole la schiena e vorrei continuare a farlo in santa pace, ma lei ha
evidentemente altro per la testa e mi sposta mettendomi le mani sulle spalle.
-Eric, io…-
Le prendo il mento
fra le dita e le sollevo il viso, zittendola, le riservo uno sguardo intenso e
scuoto la testa.
Lei comprende, si
morde il labro ma rimane inquieta e devia il mio sguardo. Decido di posarle un
bacio sulla testa per addolcire il mio divieto, perché non voglio che rovini
tutto con parole inutili ma desiro pur sempre farla stare bene.
Senza che se lo
aspetti la prendo in braccio, ignorando le proteste del mio copro ancora
debilitato e aggiro il letto per depositarla dalla parte in cui di solito
dormiva. Lei si sistema sotto le coperte e segue i miei movimenti in silenzio,
con la sua espressione innocente e bollente che mi tenta fin troppo, raggiungo
il mio lato e mi siedo sul materasso.
Una volta fra
lenzuola mi sdraio e striscio vicino ad Aria, che si raggomitola contro il mio
corpo e incastra la sua testa sotto il mio mento. La stringo, forte, e scopro
che la stanchezza, il malessere e la rabbia mi hanno davvero sfinito.
Senza neanche sapere
come, scopro che posso addormentarmi tranquillamente e, coccolato dal profumo
della pelle di Aria che sa del mio bagnoschiuma, mi basta appoggiare la testa
al cuscino e chiudere le palpebre per abbandonarmi ad
un sonno privo di incubi.
O, al meno,
all’illusione di pace.
Continua…
Il ricongiungimento
fra i due protagonisti è avvenuto. Lo immaginavate così? Opinioni diverse?
Grazie a tutti i lettori e a chi commenta, vi ricordo la mia pagina facebook dove
potete trovare le anticipazioni dei capitoli:
https://www.facebook.com/Kaimy11/
Baci, al prossimo
capitolo!