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Autore: MyAceIsMe_    27/04/2016    0 recensioni
"Non so perché sai, ma, quando guardo nei tuoi occhi riesco a leggere gli stessi sentimenti che esprimono queste Anemone."
Ed è così che incontrai Kim Himchan.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Himchan, Yongguk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Yongguk! Yongguk! Su corri, corri! Dobbiamo arrivare in tempo, la Mechbeth ci uccide per davvero sta volta!” urlò Himchan trascinandomi di qua e di là per portarmi nella sala principale.
Quel giorno una famiglia aveva fissato un appuntamento per un’adozione e dovevamo farci trovare alle 12.00 precise nel salone principale, ovviamente io ed Himchan eravamo in ritardo.
Personalmente odiavo i giorni dove c’erano dei volontari per le adozioni.
Dovevamo stare lì in riga rigidi come dei soldati, mentre le coppie passavano guardandoci come un esperto d’arte che scruta un dipinto e rimane lì a decidere se si merita oppure no di stare in quel museo, ed era così che mi sentivo, ogni volta.
Gli altri ragazzi erano già in posizione, quindi io ed Himchan ci mettemmo di corsa sistemati affianco agli altri, pensavamo di avercela fatta, pensavamo.
“Voi mocciosi! Io vi odio così tanto! Cosa avevo detto,è ?! Vi avevo percaso detto di venire in ritardo e farmi fare una brutta figura?! No, io non credo proprio.”
Non avevo mai visto la Mechbeth così arrabbiata da quando ero qui, se ti avvicinavi potevi perfettamente vedere i rivoli di saliva uscire dalla sua bocca mentre ci urlava, ma sinceramente io non ci tenevo ad avvicinarmi, nessuno si avvicinerebbe mai ad un cane a cui è stato tolto l’osso di bocca e che adesso ti ringhia contro e secondo si stava già avvicinando lei a noi, con passo molto veloce mentre ci puntava il dito contro alzandolo e abbassandolo su e giù ripetutamente. Vedevo quel dito rugoso avvicinarsi sempre di più e più si avvicinava più sentivo il mio cuore battere talmente forte da esplodere, questa fu la prima volta che provai puro terrore.
“Adesso, venite con me e giuro non ve la faccio passare liscia, non stavolta.
Spero sinceramente, che voi due siate religiosi, perché vi farò invocare tutti i santi.”
Era la fine sia per me che per Himchan, le mani raggrinzite della Mechbeth si erano disposte sulle nostre magliette, con presa ferrea, strascicandoci verso le scale.
“Signora, si fermi. Ed io che pensavo che questo fosse un bel posto per adottare dei poveri bambini! Ma a quanto pare io e mio marito ci siamo sbagliati. Sono intorto, Signora?”
La voce di una donna fece fermare ogni azione della Mechbeth, pietrificandola.
La persona che aveva parlato era una donna elegante, bel trucco, bei vestiti, era accompagnata da un altrettanto uomo ben vestito, ipotizzai che fosse suo marito visto che l’ aveva accompagnata.
“I-Io…no, questi ragazzi erano in ritardo quindi… quindi dovevano essere puniti, ma, ma non gli avrei mai torto un capello!...”
Non solo quella era stata la prima volta che avevo visto la Mechbeth così arrabbiata, ma anche la prima volta che vedevo la Mechbeth intimidita da qualcuno! Quella doveva essere, non solo una donna piena di soldi, ma apparentemente anche con un po’ di puzza sotto il naso, e forse se è riuscita a tener testa alla Mechbeth, era anche una donna molto sicura di se.
“Certo, ci credo, come credo che non diate una pulita a questo posto dal lontano 1830…”  affermò sarcasticamente mentre passava un dito sulla superficie di uno dei tavolini della sala, ritrovandosi poi il dito pieno polvere.
Inutile descrivere l’espressione schifata che aveva i volto prima di prendere un fazzolettino dalla sua borsa e pulirsi.
Non ebbi più dubbi, lei sì che era una donna con la puzza sotto il naso.
“Comunque…quel ragazzino dietro di lei come si chiama?” chiese.
“Intende… questo?” rispose indicando uno dei bambini in fila che nel sentire quella frase i suoi occhi si illuminarono gli occhi di speranza, voleva andarsene da quel posto e come biasimarlo in fondo?
“ No, non lui…” vidi io stesso, gli occhi di quel ragazzino spegnersi chiaramente nell’udire quelle dure parole, si spensero come un interruttore della luce, mi sorprende ancora vedere come si può passare da un momento di gioia ad uno di profonda tristezza… così, da un momento all’altro.
“ Quel ragazzo che stava trascinando su per le scale prima.”
“Oh, allora intende lui! Si chiama Bang Yongguk,”
In quell’istante provai sulla mia stessa pelle come ci si sente ad essere super felici ad essere super tristi, non è una bella sensazione ti senti il mondo cadere addosso pesantemente.
Lo so, sarei dovuto essere felice che qualcuno mi voleva adottare, ma la mia famiglia era Himchan, forse era per questo che non mi piaceva che qualche coppia di genitori venisse per l’adozione, anche se nessuno mi aveva mai scelto, io avevo sempre l’ansia si essere allontanato da Himchan.
“No, no, io non intendo lui! Il ragazzo affianco”
Dimenticatevi tutto, l’ansia c’è l’avevo non perché avevo paura che qualcuno mi allontanasse da Himchan. Io avevo paura che Himchan venisse allontanato da me, nessuno mi sceglieva e davvero non mi importava.
E’ vero, ogni volta che una famiglia sceglieva Himchan lo riportavano sempre indietro, con frasi del tipo:” E’ strano!” “Si comporta male risponde sempre, non è ben educato” o perfino “Parla troppo, di cose che noi non capiamo per giunta”.
Quindi non mi dovevo preoccupare, perché poi Himchan tornava, tornava sempre, ma ogni volta avevo paura, come mi aveva detto Himchan “La vita è complicata, possono succedere molte di cose.”
“Lui è Kim Himchan.” l’informò la Mechbeth.
“Mi piace! Dove posso firmare i documenti?”
“Ma… n’è sicura?  Questo ragazzo è stato rimandato indietro molte volte, ci sarà un motivo, no? Lui; Bang Yongguk è meglio! E’ tranquillo, nessuno lo ha mai adottato prima d’ora.”
“Se nessuno lo ha mai adottato, ci sarà un motivo, no?” appena finì quella frase gli comparve sul volto un sorriso beffardo, uno dei peggiori.
Un imbarazzato silenzio avvolse quel momento, la Mechbeth era stata messa a tacere di nuovo.
“Allora? Questi documenti?”
“Hmm..sì, giusto… mi segua, tu Himchan vai a preparare le tue cose e fatti trovare qui tra circa 15 minuti.” Lo informò avviandosi verso la scrivania con i documenti insieme alla coppia.
I ragazzi che erano in fila pochi secondi fa se ne erano già andati delusi, mentre io ed Himchan rimanemmo lì. Himchan era come bloccato in mezzo alla stanza con lo sguardo puntato su un punto indefinito del pavimento, conoscevo l’espressione sul suo volto, o per meglio dire quella non-espressione visto che non esprimeva nulla. Stava pensando ed anche profondamente, era meglio non interromperlo, Himchan non si arrabbiava facilmente, ma odiava davvero essere interrotto quando pensava, diceva che così facendo perdeva ”L’illuminazione”  quindi era meglio non disturbarlo. Mi misi seduto su una delle poltrone ed aspettai.
Passo qualche minuto ma poi Himchan si riprese dal suo stato “di pausa”  e si avviò verso le scale, nel frattempo io ancora accucciato sulla poltrona non mi ero quasi accorto del risvegliò di Himchan, quindi mi prese un colpo quando lo vidi muoversi.
“Su, Yongguk, sbrigati! Devo andare a preparare le mie cose.”
Mi sbrigai ad alzarmi dal divanetto e ad affiancarmi a Himchan.
“E prima che tu me lo chieda, perché so che me lo chiederai. No, non stavo pensando a niente di così importante.” Ed invece sì che stava pensando a qual cosa di importante, ed è anche vero che voleva proprio chiederglielo, ma non gli diede importanza conosceva  Himchan. Si fidava di lui e se non me lo voleva dire c’era un motivo.
In silenzio ci avviammo su per le scale, per la prima volta da quando stavo con Himchan, trovai che quel silenzio fosse pesante, asfissiante, di certo non il genere di silenzio che io ed Himchan condividevamo.
Non aveva molte cose da impacchettare, qualche vestito, un paio di scarpe per giunta rotte, il suo libro dei fiori e basta.
Prese lo zainetto e ce ne scendemmo giù.
Sentivo da lontano le voci della Mechbeth e dei futuri genitori di Himchan avvicinarsi.
“Yongguk, lo sai che adesso me ne vado…”
“Ritornerai.”
“… prima di andarmene volevo darti una cosa.” Appoggiò un attimo lo zainetto a terra e ne estrasse il suo libro dei fiori.
“Perché me lo dai? Ritornerai, quindi che me lo dai a fare?”
“Certo che tornerò, ma tu devi proteggerlo è come un tesoro per me e quelle persone non mi piacciono, quindi te lo affido a te. Visto che ne hai l’occasione  imparati i nomi dei fiori ed i loro significati!”
“Ma, non c’è l’ha farò mai ad impararlo tutto quando tornerai!”
“Yongguk, fidati di tempo ce n’è tanto di tempo. Quando ritornerò voglio che tu li sappia a memoria!”
“Okay, ci proverò.”
La voce della Mechbeth interruppe quel momento. Himchan, si girò di scatto era il momento di andare.
“Himchan, questi sono i tuoi nuovi genitori. Sono la Signora e il Signor Flawell.” Disse trascinando Himchan vicino alla coppia e più lontano da me.
“Su, Himchan! Saluta i tuoi genitori!”
“Ciao. Fatto.” Concluse ritornando a guardare la Mechbeth.
“Questo ragazzino, è così spacciato!” s’intromise la Signor Flawell. “Mi piace!”
Non me ne accorsi subito, ma dopo capii che avrei tanto voluto che dicesse che non gli piaceva più, così Himchan sarebbe rimasto.
“Caro, andiamo a casa.” Prese per mano Himchan mentre si avviavano verso il portone; Io rimasi lì a guardarli andare via, Himchan non mi aveva salutato.  Per un attimo i nostri occhi si incontrarono, dopo Himchan abbassò lo sguardo sulla mano che lo teneva stretto alla donna.
Fu uno scatto veloce e mi ritrovai avvolto dal profumo della persona a cui tenevo più al mondo. Himchan riuscì a fuggire dalla presa della donna, correndo poi ad abbracciarmi l’ultima volta prima di andare. Non mi lasciò andare prima di avermi sussurrato una frase che sinceramente non compresi al volo.
“Abbi il potere di attendere e la forza per sperare, mia bellissima Anemone”
Dopo si staccò, sorridendomi, mi sentii all’improvviso stranamente felice ma la tristezza mi cadde addosso nel preciso momento in cui vidi Himchan oltrepassare la soglia di quel maledetto portone, queste due emozioni recidevano dentro di me creando un mix letale, senza via si scampo.
 
Nei giorni successivi grazie all’assenza di Himchan erano poche le cose che potessi fare, in verità, praticamente zero. Quando andavo in camera cercavo imparare più fiori possibili, mentre, quando andavo in giardino… mi imparavo altri fiori.. già, quindi le cose che facevo, anzi la cosa  che facevo era sempre e soltanto im pararmi più fiori e significati possibili. Himchan mi aveva dato un compito ed io avevo intenzione di svolgerlo alla grande. Ovviamente ogni tanto mi fermavo per mangiare, per dormire, o… per pensare.
Sì, pensare, perché non c’era un solo momento in cui non pensavo a lui.
Alzavo gli occhi, guardavo il cielo e pensavo ad Himchan, siamo sotto lo stesso cielo, no? Quindi in un certo senso non mi sentivo solo.
Ero steso lì sull’erba in giardino, vicino al cespuglio con i fiori, stavo lì, ad ascoltare il vento soffiare, mi rilassai lasciandomi accarezzare i capelli dai piccoli soffioni che tirava. Guardai il cespuglio affianco a me, i fiori sono davvero belli, bellissimi, tutti quanti, gambo e foglie verdi, molto verdi, petali colorati di tutti i colori, molto meglio dell’arcobaleno.
L’occhio mi cadde sulla mia Anemone, il gambo e le foglie erano di un verde più spento, non dritto come una volta , si stava afflosciando e con se si portava anche i bellissimi petali ormai flosci anche loro.
Mi alzai subito, inginocchiandomi vicino ad essa, cosa avevo sbagliato? Forse non gli avevo dato abbastanza acqua? Non lo so, ma non potevo lasciarla così, gli avevo fatto una promessa, non l’avrei lasciata muorire.
Presi un piccolo ramoscello che stava tra la terra lo avrei legato affianco al gambo così da tenerlo dritto, era il minimo che potessi fare.
Mi serviva solo qualcosa per legarlo.
Guardai in giro per il grande giardino, per terra, tra i cespugli, ma l’unica cosa che pensai potesse servirmi furono i lacci delle scarpe di un ragazzino che tentava in tutti i modi di farsi un laccio. Sfortunatamente le mie scarpe vecchie avevano perso i lacci già da tempo, l’unica cosa che i rimaneva era chiederle a lui.
Le uniche persone con cui parlavo erano Himchan e la dama, anche se con la dama non ero io a parlarle ma Himchan, ma potevo considerarla un’amica in un certo senso, oppure l’amica del mio unico amico, ma essendo amica del mio amico la rendeva mia amica, no? Rimaneva c comunque il fatto che a me servivano quei lacci e l’unico modo per averli era chiederglieli, di certo non glie li avrei rubati perché non si fa, dovevo semplicemente andare lì a parlargli gentilmente, doveva essere facile! Ma no, non lo era. Era spaventato, gli altri ragazzi non lo accettavano e gli facevano paura, Himchan no, lui era buono.
Mi avvicinai a passo felpato verso la mia preda, il ragazzo non si accorse della mia presenza troppo concentrato sui suoi lacci.  Feci un bel respiro e provai a dire qualcosa, sperando di non fallire.
“S-scusi. Io.. i-io volevo..” presi di nuovo un bel respiro prima di continuare, stavo iniziando a sentirmi male, mi sembrava di non poter respirare, come se un sasso si fosse fermato nel mio esofago.
“Volevo..c-chiederti, se,se p-potevi… quei l-lacci!” mi sbrigai a concludere indicando le sue scarpe con il dito che tremava senza sosta. Se si fosse arrabbiato? Senza Himchan la vita sembrava più difficile.
Il ragazzo rimase lì a guardarmi, sembrava confuso dalla situazione. Osservò prima i suoi lacci delle scarpe e poi passò il suo sguardo confuso su di me.
“Perché vorresti i miei lacci?” mi chiese innocente prima di continuare. “ Sembra che stai per avere un infarto! Vieni a sederti vicino a me.” La sua voce non incuteva timore, lui non incuteva timore, allora di che cosa aveva paura?
Mi sedetti sull’erba affianco al ragazzo, ma comunque abbastanza lontano, ero a disagio… lui non era Himchan.
“Perché vuoi i miei lacci?” ripetè con occhi curiosi e faccia innocente.
“M-Mi …mi servano e b-basta.” Non lo guardai neanche in faccia, non so perché gli risposi così, era un ragazzo adorabile ma non era lo stesso. Lui non era Himchan.
“Oh.. Okay… allora tieni, tanto non me li so fare i lacci, mi metterò queste scarpe come se fossero pantofole.” Sorrise timido, adorabile, ma… lui non era Himchan.
Si sfilò i lacci dalle scarpe e me le porse gentilmente, le presi e mi incominciai ad alzare già pronto ad andare verso il mio cespuglio di fiori e dalla mia Anemone.
Era tutto finito.
“Comunque… io mi chiamo Moon Jongup! Piacere!” Si presentò felice, allungando il suo braccio per una stretta di mano. Cosa dovevo fare? Aveva detto il suo nome perché voleva essere mio amico, giusto? Ho sempre voluto un amico, il destino era stato gentile e gli aveva dato Himchan e di quello ero felice, ma avrei voluto un altro amico, uno con cui scherzare o confidarmi.
 Ma riuscivo a sentire solo due vocine nella mia testa; La prima sussurrava flebile :”Allungagli lamano e presentati, basta un piccolo passo per una grande amicizia, non ti farà del male, non ti abbandonerà, devi solo dargli fiducia.”  Ma l’altra voce urlava, urlava con tutta la voce che possedeva :”Corri, vattene via da lì, ho paura, ti prego corri. Hai Himchan e lui e tutto quel che ti serve, lui non fa parte della tua bolla, non lasciarlo entrare, corri.”  Una voce che urla sovrasta sempre una voce che sussurra. Seguii la via più marcata nella mia mente e corsi via da lì, lasciando quel povero ragazzo seduto sul prato bagnato dalla rugiada ancora con il braccio teso verso di me e con gli occhi che mi guardavano mentre mi allontanavo, mi dispiaceva. Chissà cosa avrà pensato, forse anche lui era solo e voleva un amico come me, ma lo avevo abbandonato come tutti avevano abbandonato me, ero stato cattivo, Jongup non se lo meritava… che ne so io, ma forse quell’azione l’avrà toccato nel profondo, chiedendosi perché ero scappato così, lasciandolo col dubbio sul fatto che la colpa era sua o no, perché  forse non era stato gentile abbastanza, o perché era brutto… non lo so il punto e che mi dispiaceva.
Lui voleva un amico, anch’io volevo un amico, lui era abbastanza forte da chiederne uno, io no.
 
Ritornai dalla mia Anemone, non dovevo lasciarmi sovrastare dal senso di colpa, il mio compito era quello di prendermi cura di quell’Anemone; Himchan mi aveva dato un compito ed io lo avrei fatto.
Presi il ramoscello e lo infilai nel terreno affianco al fiore, poi presi i lacci ed avvicinando delicatamente il gambo al ramoscello, ci feci un nodo.
Non era più così curvo, almeno adesso aveva un sostegno su cui appoggiarsi.
Un sostegno, il sostegno della mia Anemone era quel ramoscello, il mio sostegno invece era Himchan, era lui il mio sostegno, ma in quel momento il mio sostegno non c’era ed io mi sentivo afflosciarmi sotto il peso della gravità.
Dovevo solo aspettare, perché Himchan sarebbe tornato…vero?
 
Erano passate due settimane da quando Himchan era stato adottato, di solito sarebbe già dovuto tornare.
Ormai, la mia Anemone anche con il suo sostegno si stava lasciando andare fino al pavimento. Avevo provato di tutto, dovevo solo sperare . Non era quello che voleva Himchan infondo? Voleva che io avessi speranza, ed è quello che ho adesso, speranza. Questo era uno dei suoi insegnamenti?
Passarono altri  giorni, poi altre settimane e credo proprio che passò anche qualche mese, ma io ero ancora lì, sul nostro prato, quello mio e di Himchan, quello vicino al cespuglio dei fiori, ero ancora lì steso su quell’erba fresca piacevole al contatto, a guardare al cielo.
Il vero insegnamento non era quello di avere speranza tramite la mia Anemone, ma tramite Himchan stesso. Ho capito Himchan, ti aspetterò ed avrò la speranza che un giorno ti incontrerò.
A presto Himchan.
 
Yongguk si alzò dal prato verde del giardino, oggi sarebbe stato l’ultimo giorno all’orfanotrofio.
Erano passati sei anni da quando Himchan se n’era andato era ormai un 18enne, ma non aveva continuato ad attendere e sperare, Himchan sarà orgoglioso di lui.
Prese la lettera che aveva appena finito di scrivere, quella in cui raccontava tutto ciò che è successo da quando ne ha memoria, la lettera in cui raccontava la storia sua e di Himchan. Non avrebbe mai dato quella lettera a nessuno, era solo un modo per sfogarsi.
Da quando Himchan se n’era andato aveva iniziato a parlare solo con la dama, non ci parlava quanto ci parlava con Himchan, ma era già un passò avanti, la dama gli insegnò a scrivere, e dal quel giorno non smise più.
Ogni tanto si ferma e pensa :” E se quando ero muto fossi stato capace di scrivere e ad interagire con le persone che cosa sarebbe successo?”  ma poi si scrollava da dosso quei pensieri, perché sa che se avesse saputo scrivere, forse, non avrebbe conosciuto Himchan e per Yongguk è uno dei peggiori incubi.
Salì le scale di quell’edificio che per lui era stata la cosa che più si avvicinava alla definizione di “casa”.
Aprì la porta della sua stanza sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista ed in un certo senso era felice, perché quel letto era scomodissimo.
Non aveva molte cose da preparare, prese i suoi vestiti, tutte le lettere che aveva scritto da quando aveva imparato a scrivere e poi raccolse le due cose più importanti che aveva, il suo amatissimo libro dei fiori e la mappa che gli diede Himchan 6 anni fa. Lui non si era dimenticato di ricorda ciò che aveva promesso ad Himchan, avrebbe seguito quella mappa alla perfezione, partendo dall’orfanotrofio.
Non aveva per niente la certezza che Himchan fosse lì i quel posto che aveva tracciato con la X sei anni fa, ma Yongguk si fidava di lui.
Si mise il suo zaino in spalla e incominciò a scendere le scale, passò per i vari corridoi fino a trovarsi d’avanti al portone, lì ad aspettarlo c’era la dama, che oramai era diventata più matura, aveva preso lei l’orfanotrofio, adesso non si faceva comandare più dalla Mechbeth, anzi era lei che comandava.
Del Signor Choi e della Mechbeth non si sapeva più niente, ma anche se erano sempre stati cattivi o per meglio direfreddi , Yongguk sperava che avessero trovato la felicità, infondo, se quello che si diceva era vero e cose sono peggiorate tra loro solo perché volevano aprire un orfanotrofio per fare del bene a dei ragazzini, quindi se la meritavano.
“Yongguk, da ora in poi passa la tua vita in felicità, non combinare casini e se hai bisogno di qualcosa vieni pure da me. Sei come un figlio per me! Sii felice!” concluse la dama abbracciandoselo stretto.
Yongguk non era abituato agli abbracci o a qualunque altro tipo di contatto fisico, ma in quel momento ricambiare quell’abbraccio gli risultò spontaneo, non sentiva quel tipo di calore da anni.
Il momento di andare, però, era giunto, anche se non voleva si staccò dall’abbraccio e saluto a dama… anzì salutò Kathri; Ha sempre odiato quel soprannome.
Si avviò verso il lungo viale, mentre da dietro di se sentiva il grande portone venir chiuso, chiuso come quella parte della sua vita, letteralmente.
Era il momento di continuare la sua vita.
Si fermò d’avanti all’orfanotrofio per poi estrarre dalla tasca dello zaino la vecchia mappa di Himchan.
Adesso, tutto ciò che doveva fare era cercare di capire una mappa vecchia di 6 anni fa scritta da un 12enne. Facile,no?  No,veramente era facile, non era sarcasmo,Yongguk ha passato il resto di quei 6 anni a guardare quella mappa chissà quante volte, aspettava quel momento ardentemente ed ora quel momento era arrivato. Innanzitutto aprì la mappa che era piegata in quattro parti. Quelle linee tracciate su quel foglio ormai giallognolo , quante volte le aveva contemplate? Le sapeva a memoria, non gli serviva la mappa, ma dicerto non la buttò era un ricordo importante. Fece un respiro profondo e prima di chiuderla definitivamente gli diede un ultima occhiata ed incominciò a seguire quelle linee che erano impresse nella sua mente.
    Un linea a sinistra, una dritta, una a destra e poi una linea verso il basso , di nuovo a destra, in avanti, due a sinistra, una in alto.
Poi un cerchio con in mezzo un quadrato ed affianco una croce, era arrivato.
Il cerchio non era latro che un’enorme piazza con una statua a base quadrata in mezzo ad essa.
Era appena pomeriggio, ma nella piazza c’erano molte persone, c’era di tutto, bambini, adulti, adolescenti, anziani ed intere famiglie.
E lì Yongguk si accorse che c’erano troppe persone, diverse l’una dall’altra. Gli vennero in mente i suoi primi giorni dopo l’incidente, quando stava in ospedale,il giorno in cui uscì dalla sua stanza per la prima volta e vide tutte quelle persone e la donna che piangeva.
Si ricordava ancora cosa provò in quel momento, paura. Aveva paura del mondo al dì fuori della sua stanza ma allo stesso  tempo n’era curioso, adesso non era più nel giardino dell’orfanotrofio, adesso era fuori nel mondo vero, quello che vedeva sempre dalla finestra della sua stanza. Proprio quando era piccolo provava gli stessi sentimenti, paura e curiosità, ma la paura prevaleva è sempre stato così.
Si sentiva circondato, tutte quelle nuove facce, non conosceva nessuno, si sentiva solo di nuovo.
“Ho 18 anni non 7, perché tremi Yongguk?”
In quel momento Yongguk sapeva di non potersi far prendere dalla paura, non poteva, non doveva, avrebbe incontrato Himchan. Si continuava a chiedere quanto fosse diventato bello Himchan in questi anni, queste erano le tipo di domande che gli passavano nella mente. Ma c’era un’altra domanda che cercava prepotentemente spazio per entrare nei suoi pensieri, quella domanda era lì e premeva contro il suo cranio, per farsi accorgere della sua presenza, ma puntualmente… Yongguk la ignorava.
Yongguk ignorava quella vocina che gli ricordava un possibile avvenire… ” E se Himchan non c’è?”
Non voleva pensarci, ok… Himchan non gli ha dato un giorno preciso o un orario per incontrarlo, ma Yongguk non si perdeva d’animo, Himchan gli aveva chiesto di fidarsi ed era questo che avrebbe fatto, doveva fidarsi.
Ma la sua fiducia si stava affievolendo pian piano.
Ormai erano già ore da quando Yongguk era in quella piazza vicino a quella statua di quel tizio di cui non sapeva neanche il nome, il sole stava tramontando lentamente colorando il cielo di sfumature violacee.
Tutte le persone che prima affollavano la piazza se ne stavano andando a casa per cenare. Non pensiate che Yongguk è rimasto tutto il tempo fermo lì, vicino a quella statua! Appena vedeva una persona con i capelli neri, gli si avvicinava e tirandola per il braccio la faceva girare rivelandone il volto, ma l’unica cosa che vedeva erano degli occhi neri ma spenti in confronto a quelli di Himchan. Ma non vedeva solo quello sulle facce di quelle persone, vedeva anche confusione e paura perché loro non conoscevano Yongguk, quindi per loro era un tizio, molto probabilmente pazzo, che in mezzo ad una piazza prendeva le persone dal polso.
E subito, Yongguk si ritrovava a chiedere scusa e ritornarsene vicino alla statua e più faceva ciò e più nella sua mente si faceva spazio quella vocina insopportabile “Himchan non verrà.”
Era tardi la speranza che Yongguk aveva fatto crescere dentro di sé per tutti questi anni si era all’improvviso prosciugata. La piazza era completamente vuota, i negozi che la circondavano  erano ancora aperti, ma erano poche le persone dentro adesso.
“Cosa farò adesso?” “Dovrò iniziare una vita senza Himchan?”
Non aveva mai pensato ad una cosa del genere, mai una volta gli era passata in mente l’idea di una vita senza di lui, mai, ma forse era arrivato il momento di farlo.
Si staccò da quella statua, Kathrin gli aveva dato alcuni soldi per riuscire a  mantenersi da solo, ma non è tutto; gli aveva anche comprato un monolocale nei dintorni di cui aveva scritto la via su di un foglio messo in una delle tasche del suo zaino. Kathrin vedeva Yongguk davvero come un figlio… e un madre farebbe di tutto per il proprio figlio.
Si tolse lo zaino dalle spalle ed incominciò a frugare nelle varie tasche finché non trovò il bigliettino datogli da Kathrin, al suo fianco c’era una busta bianca contenente abbastanza soldi per riuscire a vivere fino a quando non avrà trovato un lavoro. C’era giusto, giusto un problemino a cui non aveva pensato, come faceva a trovare la via? Era la prima volta che metteva un piede fuori dall’orfanotrofio e non aveva la minima idea di che cosa fare. L’unica cosa che gli venne in mente era di chiedere a qualcuno, ma a chi?
Il suo sguardo cadde su … indovinate un po’ cosa? Un negozio di fiori, non ci pensò due volte a voler entrare lì dentro, i fiori erano la cosa più vicina a Yongguk in quel momento le uniche cose che potevano fargli avere conforto; già gli mancava il cespuglio dell’orfanotrofio.
Avrebbe potuto chiedere la via al commesso e poi chi lo sa! Forse si sarebbe comprato una piccola Anemone per inaugurare la casa! Poi si sarebbe messo sul divano a guardare quel fiore e a pensare ad i bei momenti con Himchan, alle ultime parole che gli ha detto… e forse, forse prenderebbe, poi, quel fiore e lo butterebbe sul pavimento facendolo rompere in mille pezzettini, facendone uscire tutta la terra da fuori sporcandogli il pavimento, ma lo farebbe davvero perché è arrabbiato, ha atteso ed avuto speranza, ma Himchan … lo ha tradito.
E con queste intenzioni si avviò al negozio.
Appena aprì la porta, si poté sentire il tintinnio dei campanellini appesi sull’entrata.
 D’avanti a lui si espandeva un corridoio abbastanza lungo su cui ai lati erano esposti i fiori dei più svariati colori.
E’ inutile dire che Yongguk ne rimase rapito, nella sua vita aveva sempre visto gli stessi fiori ogni giorno, questo non significa però che non gli piacevano i fiori del suo cespuglio ma… vederne così tanti, di diversi tipi, diversi colori, diverse forme… poté solo esserne più che felice, alla fine il mondo non era così brutto come pensava.
Collocato al fondo del corridoio c’era una bancone compreso di computer, carte e varie penne. Ma cosa non poteva sul bancone di un negozio di fiori? Bè, ovviamente… un fiore, un piccolo vaso con una sola margherita rossa dentro.
Il commesso era dietro al bancone, ma non si era accorto di Yongguk, troppo affaccendato a sistemare gli altri fiori riporsi sulle mensole dietro di lui.
Era il momento di andare avanti con la propria vita, con passi forti si avvicinò al bancone con in mano il suo bigliettino.  Non doveva avere paura di chiedere delle informazioni, ormai era grande,doveva diventare autonomo.
Si schiarì la gola, attirando l’attenzione del commesso che si girò verso di lui, doveva andare avanti con la sua vita.
Tutto accadde come una scena a rilenty.
Neanche un secondo fa aveva detto che sarebbe andato avanti con la sua vita, ma BAM, era come se il destino volesse riportarlo prepotentemente indietro, il passato di una persona non si stacca da essa, ed era questo il caso.
Ma infondo, infondo, Bang Yongguk non voleva staccarsi dal suo passato.
“Himchan…”
 
  
 
                                                                           
ANEMONE: THE END

 

                                   irjuj

 

 


 

 

“Yongguk! Yongguk! Su corri, corri! Dobbiamo arrivare in tempo, la Mechbeth ci uccide per davvero sta volta!” urlò Himchan trascinandomi di qua e di là per portarmi nella sala principale.

Quel giorno una famiglia aveva fissato un appuntamento per un’adozione e dovevamo farci trovare alle 12.00 precise nel salone principale, ovviamente io ed Himchan eravamo in ritardo.

Personalmente odiavo i giorni dove c’erano dei volontari per le adozioni.

Dovevamo stare lì in riga rigidi come dei soldati, mentre le coppie passavano guardandoci come un esperto d’arte che scruta un dipinto e rimane lì a decidere se si merita oppure no di stare in quel museo, ed era così che mi sentivo, ogni volta.

Gli altri ragazzi erano già in posizione, quindi io ed Himchan ci mettemmo di corsa sistemati affianco agli altri, pensavamo di avercela fatta, pensavamo.

“Voi mocciosi! Io vi odio così tanto! Cosa avevo detto,è ?! Vi avevo percaso detto di venire in ritardo e farmi fare una brutta figura?! No, io non credo proprio.”

Non avevo mai visto la Mechbeth così arrabbiata da quando ero qui, se ti avvicinavi potevi perfettamente vedere i rivoli di saliva uscire dalla sua bocca mentre ci urlava, ma sinceramente io non ci tenevo ad avvicinarmi, nessuno si avvicinerebbe mai ad un cane a cui è stato tolto l’osso di bocca e che adesso ti ringhia contro e secondo si stava già avvicinando lei a noi, con passo molto veloce mentre ci puntava il dito contro alzandolo e abbassandolo su e giù ripetutamente. Vedevo quel dito rugoso avvicinarsi sempre di più e più si avvicinava più sentivo il mio cuore battere talmente forte da esplodere, questa fu la prima volta che provai puro terrore.

“Adesso, venite con me e giuro non ve la faccio passare liscia, non stavolta.

Spero sinceramente, che voi due siate religiosi, perché vi farò invocare tutti i santi.”

Era la fine sia per me che per Himchan, le mani raggrinzite della Mechbeth si erano disposte sulle nostre magliette, con presa ferrea, strascicandoci verso le scale.

“Signora, si fermi. Ed io che pensavo che questo fosse un bel posto per adottare dei poveri bambini! Ma a quanto pare io e mio marito ci siamo sbagliati. Sono intorto, Signora?”

La voce di una donna fece fermare ogni azione della Mechbeth, pietrificandola.

La persona che aveva parlato era una donna elegante, bel trucco, bei vestiti, era accompagnata da un altrettanto uomo ben vestito, ipotizzai che fosse suo marito visto che l’ aveva accompagnata.

“I-Io…no, questi ragazzi erano in ritardo quindi… quindi dovevano essere puniti, ma, ma non gli avrei mai torto un capello!...”

Non solo quella era stata la prima volta che avevo visto la Mechbeth così arrabbiata, ma anche la prima volta che vedevo la Mechbeth intimidita da qualcuno! Quella doveva essere, non solo una donna piena di soldi, ma apparentemente anche con un po’ di puzza sotto il naso, e forse se è riuscita a tener testa alla Mechbeth, era anche una donna molto sicura di se.

“Certo, ci credo, come credo che non diate una pulita a questo posto dal lontano 1830…”  affermò sarcasticamente mentre passava un dito sulla superficie di uno dei tavolini della sala, ritrovandosi poi il dito pieno polvere.

Inutile descrivere l’espressione schifata che aveva i volto prima di prendere un fazzolettino dalla sua borsa e pulirsi.

Non ebbi più dubbi, lei sì che era una donna con la puzza sotto il naso.

“Comunque…quel ragazzino dietro di lei come si chiama?” chiese.

“Intende… questo?” rispose indicando uno dei bambini in fila che nel sentire quella frase i suoi occhi si illuminarono gli occhi di speranza, voleva andarsene da quel posto e come biasimarlo in fondo?

“ No, non lui…” vidi io stesso, gli occhi di quel ragazzino spegnersi chiaramente nell’udire quelle dure parole, si spensero come un interruttore della luce, mi sorprende ancora vedere come si può passare da un momento di gioia ad uno di profonda tristezza… così, da un momento all’altro.

“ Quel ragazzo che stava trascinando su per le scale prima.”

“Oh, allora intende lui! Si chiama Bang Yongguk,”

In quell’istante provai sulla mia stessa pelle come ci si sente ad essere super felici ad essere super tristi, non è una bella sensazione ti senti il mondo cadere addosso pesantemente.

Lo so, sarei dovuto essere felice che qualcuno mi voleva adottare, ma la mia famiglia era Himchan, forse era per questo che non mi piaceva che qualche coppia di genitori venisse per l’adozione, anche se nessuno mi aveva mai scelto, io avevo sempre l’ansia si essere allontanato da Himchan.

“No, no, io non intendo lui! Il ragazzo affianco”

Dimenticatevi tutto, l’ansia c’è l’avevo non perché avevo paura che qualcuno mi allontanasse da Himchan. Io avevo paura che Himchan venisse allontanato da me, nessuno mi sceglieva e davvero non mi importava.

E’ vero, ogni volta che una famiglia sceglieva Himchan lo riportavano sempre indietro, con frasi del tipo:” E’ strano!” “Si comporta male risponde sempre, non è ben educato” o perfino “Parla troppo, di cose che noi non capiamo per giunta”.

Quindi non mi dovevo preoccupare, perché poi Himchan tornava, tornava sempre, ma ogni volta avevo paura, come mi aveva detto Himchan “La vita è complicata, possono succedere molte di cose.”

“Lui è Kim Himchan.” l’informò la Mechbeth.

“Mi piace! Dove posso firmare i documenti?”

“Ma… n’è sicura?  Questo ragazzo è stato rimandato indietro molte volte, ci sarà un motivo, no? Lui; Bang Yongguk è meglio! E’ tranquillo, nessuno lo ha mai adottato prima d’ora.”

“Se nessuno lo ha mai adottato, ci sarà un motivo, no?” appena finì quella frase gli comparve sul volto un sorriso beffardo, uno dei peggiori.

Un imbarazzato silenzio avvolse quel momento, la Mechbeth era stata messa a tacere di nuovo.

“Allora? Questi documenti?”

“Hmm..sì, giusto… mi segua, tu Himchan vai a preparare le tue cose e fatti trovare qui tra circa 15 minuti.” Lo informò avviandosi verso la scrivania con i documenti insieme alla coppia.

I ragazzi che erano in fila pochi secondi fa se ne erano già andati delusi, mentre io ed Himchan rimanemmo lì. Himchan era come bloccato in mezzo alla stanza con lo sguardo puntato su un punto indefinito del pavimento, conoscevo l’espressione sul suo volto, o per meglio dire quella non-espressione visto che non esprimeva nulla. Stava pensando ed anche profondamente, era meglio non interromperlo, Himchan non si arrabbiava facilmente, ma odiava davvero essere interrotto quando pensava, diceva che così facendo perdeva ”L’illuminazione”  quindi era meglio non disturbarlo. Mi misi seduto su una delle poltrone ed aspettai.

Passo qualche minuto ma poi Himchan si riprese dal suo stato “di pausa”  e si avviò verso le scale, nel frattempo io ancora accucciato sulla poltrona non mi ero quasi accorto del risvegliò di Himchan, quindi mi prese un colpo quando lo vidi muoversi.

“Su, Yongguk, sbrigati! Devo andare a preparare le mie cose.”

Mi sbrigai ad alzarmi dal divanetto e ad affiancarmi a Himchan.

“E prima che tu me lo chieda, perché so che me lo chiederai. No, non stavo pensando a niente di così importante.” Ed invece sì che stava pensando a qual cosa di importante, ed è anche vero che voleva proprio chiederglielo, ma non gli diede importanza conosceva  Himchan. Si fidava di lui e se non me lo voleva dire c’era un motivo.

In silenzio ci avviammo su per le scale, per la prima volta da quando stavo con Himchan, trovai che quel silenzio fosse pesante, asfissiante, di certo non il genere di silenzio che io ed Himchan condividevamo.

Non aveva molte cose da impacchettare, qualche vestito, un paio di scarpe per giunta rotte, il suo libro dei fiori e basta.

Prese lo zainetto e ce ne scendemmo giù.

Sentivo da lontano le voci della Mechbeth e dei futuri genitori di Himchan avvicinarsi.

“Yongguk, lo sai che adesso me ne vado…”

“Ritornerai.”

“… prima di andarmene volevo darti una cosa.” Appoggiò un attimo lo zainetto a terra e ne estrasse il suo libro dei fiori.

“Perché me lo dai? Ritornerai, quindi che me lo dai a fare?”

“Certo che tornerò, ma tu devi proteggerlo è come un tesoro per me e quelle persone non mi piacciono, quindi te lo affido a te. Visto che ne hai l’occasione  imparati i nomi dei fiori ed i loro significati!”

“Ma, non c’è l’ha farò mai ad impararlo tutto quando tornerai!”

“Yongguk, fidati di tempo ce n’è tanto di tempo. Quando ritornerò voglio che tu li sappia a memoria!”

“Okay, ci proverò.”

La voce della Mechbeth interruppe quel momento. Himchan, si girò di scatto era il momento di andare.

“Himchan, questi sono i tuoi nuovi genitori. Sono la Signora e il Signor Flawell.” Disse trascinando Himchan vicino alla coppia e più lontano da me.

“Su, Himchan! Saluta i tuoi genitori!”

“Ciao. Fatto.” Concluse ritornando a guardare la Mechbeth.

“Questo ragazzino, è così spacciato!” s’intromise la Signor Flawell. “Mi piace!”

Non me ne accorsi subito, ma dopo capii che avrei tanto voluto che dicesse che non gli piaceva più, così Himchan sarebbe rimasto.

“Caro, andiamo a casa.” Prese per mano Himchan mentre si avviavano verso il portone; Io rimasi lì a guardarli andare via, Himchan non mi aveva salutato.  Per un attimo i nostri occhi si incontrarono, dopo Himchan abbassò lo sguardo sulla mano che lo teneva stretto alla donna.

Fu uno scatto veloce e mi ritrovai avvolto dal profumo della persona a cui tenevo più al mondo. Himchan riuscì a fuggire dalla presa della donna, correndo poi ad abbracciarmi l’ultima volta prima di andare. Non mi lasciò andare prima di avermi sussurrato una frase che sinceramente non compresi al volo.

“Abbi il potere di attendere e la forza per sperare, mia bellissima Anemone

Dopo si staccò, sorridendomi, mi sentii all’improvviso stranamente felice ma la tristezza mi cadde addosso nel preciso momento in cui vidi Himchan oltrepassare la soglia di quel maledetto portone, queste due emozioni recidevano dentro di me creando un mix letale, senza via si scampo.

 


Nei giorni successivi grazie all’assenza di Himchan erano poche le cose che potessi fare, in verità, praticamente zero. Quando andavo in camera cercavo imparare più fiori possibili, mentre, quando andavo in giardino… mi imparavo altri fiori.. già, quindi le cose che facevo, anzi la cosa  che facevo era sempre e soltanto im pararmi più fiori e significati possibili. Himchan mi aveva dato un compito ed io avevo intenzione di svolgerlo alla grande. Ovviamente ogni tanto mi fermavo per mangiare, per dormire, o… per pensare.

Sì, pensare, perché non c’era un solo momento in cui non pensavo a lui.

Alzavo gli occhi, guardavo il cielo e pensavo ad Himchan, siamo sotto lo stesso cielo, no? Quindi in un certo senso non mi sentivo solo.

Ero steso lì sull’erba in giardino, vicino al cespuglio con i fiori, stavo lì, ad ascoltare il vento soffiare, mi rilassai lasciandomi accarezzare i capelli dai piccoli soffioni che tirava. Guardai il cespuglio affianco a me, i fiori sono davvero belli, bellissimi, tutti quanti, gambo e foglie verdi, molto verdi, petali colorati di tutti i colori, molto meglio dell’arcobaleno.

L’occhio mi cadde sulla mia Anemone, il gambo e le foglie erano di un verde più spento, non dritto come una volta , si stava afflosciando e con se si portava anche i bellissimi petali ormai flosci anche loro.

Mi alzai subito, inginocchiandomi vicino ad essa, cosa avevo sbagliato? Forse non gli avevo dato abbastanza acqua? Non lo so, ma non potevo lasciarla così, gli avevo fatto una promessa, non l’avrei lasciata muorire.

Presi un piccolo ramoscello che stava tra la terra lo avrei legato affianco al gambo così da tenerlo dritto, era il minimo che potessi fare.

Mi serviva solo qualcosa per legarlo.

Guardai in giro per il grande giardino, per terra, tra i cespugli, ma l’unica cosa che pensai potesse servirmi furono i lacci delle scarpe di un ragazzino che tentava in tutti i modi di farsi un laccio. Sfortunatamente le mie scarpe vecchie avevano perso i lacci già da tempo, l’unica cosa che i rimaneva era chiederle a lui.

Le uniche persone con cui parlavo erano Himchan e la dama, anche se con la dama non ero io a parlarle ma Himchan, ma potevo considerarla un’amica in un certo senso, oppure l’amica del mio unico amico, ma essendo amica del mio amico la rendeva mia amica, no? Rimaneva c comunque il fatto che a me servivano quei lacci e l’unico modo per averli era chiederglieli, di certo non glie li avrei rubati perché non si fa, dovevo semplicemente andare lì a parlargli gentilmente, doveva essere facile! Ma no, non lo era. Era spaventato, gli altri ragazzi non lo accettavano e gli facevano paura, Himchan no, lui era buono.

Mi avvicinai a passo felpato verso la mia preda, il ragazzo non si accorse della mia presenza troppo concentrato sui suoi lacci.  Feci un bel respiro e provai a dire qualcosa, sperando di non fallire.

“S-scusi. Io.. i-io volevo..” presi di nuovo un bel respiro prima di continuare, stavo iniziando a sentirmi male, mi sembrava di non poter respirare, come se un sasso si fosse fermato nel mio esofago.

“Volevo..c-chiederti, se,se p-potevi… quei l-lacci!” mi sbrigai a concludere indicando le sue scarpe con il dito che tremava senza sosta. Se si fosse arrabbiato? Senza Himchan la vita sembrava più difficile.

Il ragazzo rimase lì a guardarmi, sembrava confuso dalla situazione. Osservò prima i suoi lacci delle scarpe e poi passò il suo sguardo confuso su di me.

“Perché vorresti i miei lacci?” mi chiese innocente prima di continuare. “ Sembra che stai per avere un infarto! Vieni a sederti vicino a me.” La sua voce non incuteva timore, lui non incuteva timore, allora di che cosa aveva paura?

Mi sedetti sull’erba affianco al ragazzo, ma comunque abbastanza lontano, ero a disagio… lui non era Himchan.

“Perché vuoi i miei lacci?” ripetè con occhi curiosi e faccia innocente.

“M-Mi …mi servano e b-basta.” Non lo guardai neanche in faccia, non so perché gli risposi così, era un ragazzo adorabile ma non era lo stesso. Lui non era Himchan.

“Oh.. Okay… allora tieni, tanto non me li so fare i lacci, mi metterò queste scarpe come se fossero pantofole.” Sorrise timido, adorabile, ma… lui non era Himchan.

Si sfilò i lacci dalle scarpe e me le porse gentilmente, le presi e mi incominciai ad alzare già pronto ad andare verso il mio cespuglio di fiori e dalla mia Anemone.

Era tutto finito.

“Comunque… io mi chiamo Moon Jongup! Piacere!” Si presentò felice, allungando il suo braccio per una stretta di mano. Cosa dovevo fare? Aveva detto il suo nome perché voleva essere mio amico, giusto? Ho sempre voluto un amico, il destino era stato gentile e gli aveva dato Himchan e di quello ero felice, ma avrei voluto un altro amico, uno con cui scherzare o confidarmi.

 Ma riuscivo a sentire solo due vocine nella mia testa; La prima sussurrava flebile :”Allungagli lamano e presentati, basta un piccolo passo per una grande amicizia, non ti farà del male, non ti abbandonerà, devi solo dargli fiducia.”  Ma l’altra voce urlava, urlava con tutta la voce che possedeva :”Corri, vattene via da lì, ho paura, ti prego corri. Hai Himchan e lui e tutto quel che ti serve, lui non fa parte della tua bolla, non lasciarlo entrare, corri.”  Una voce che urla sovrasta sempre una voce che sussurra. Seguii la via più marcata nella mia mente e corsi via da lì, lasciando quel povero ragazzo seduto sul prato bagnato dalla rugiada ancora con il braccio teso verso di me e con gli occhi che mi guardavano mentre mi allontanavo, mi dispiaceva. Chissà cosa avrà pensato, forse anche lui era solo e voleva un amico come me, ma lo avevo abbandonato come tutti avevano abbandonato me, ero stato cattivo, Jongup non se lo meritava… che ne so io, ma forse quell’azione l’avrà toccato nel profondo, chiedendosi perché ero scappato così, lasciandolo col dubbio sul fatto che la colpa era sua o no, perché  forse non era stato gentile abbastanza, o perché era brutto… non lo so il punto e che mi dispiaceva.

Lui voleva un amico, anch’io volevo un amico, lui era abbastanza forte da chiederne uno, io no.

 


Ritornai dalla mia Anemone, non dovevo lasciarmi sovrastare dal senso di colpa, il mio compito era quello di prendermi cura di quell’Anemone; Himchan mi aveva dato un compito ed io lo avrei fatto.

Presi il ramoscello e lo infilai nel terreno affianco al fiore, poi presi i lacci ed avvicinando delicatamente il gambo al ramoscello, ci feci un nodo.

Non era più così curvo, almeno adesso aveva un sostegno su cui appoggiarsi.

Un sostegno, il sostegno della mia Anemone era quel ramoscello, il mio sostegno invece era Himchan, era lui il mio sostegno, ma in quel momento il mio sostegno non c’era ed io mi sentivo afflosciarmi sotto il peso della gravità.

Dovevo solo aspettare, perché Himchan sarebbe tornato…vero?

 


Erano passate due settimane da quando Himchan era stato adottato, di solito sarebbe già dovuto tornare.

Ormai, la mia Anemone anche con il suo sostegno si stava lasciando andare fino al pavimento. Avevo provato di tutto, dovevo solo sperare . Non era quello che voleva Himchan infondo? Voleva che io avessi speranza, ed è quello che ho adesso, speranza. Questo era uno dei suoi insegnamenti?

Passarono altri  giorni, poi altre settimane e credo proprio che passò anche qualche mese, ma io ero ancora lì, sul nostro prato, quello mio e di Himchan, quello vicino al cespuglio dei fiori, ero ancora lì steso su quell’erba fresca piacevole al contatto, a guardare al cielo.

Il vero insegnamento non era quello di avere speranza tramite la mia Anemone, ma tramite Himchan stesso. Ho capito Himchan, ti aspetterò ed avrò la speranza che un giorno ti incontrerò.

A presto Himchan.

 


Yongguk si alzò dal prato verde del giardino, oggi sarebbe stato l’ultimo giorno all’orfanotrofio.

Erano passati sei anni da quando Himchan se n’era andato era ormai un 18enne, ma non aveva continuato ad attendere e sperare, Himchan sarà orgoglioso di lui.

Prese la lettera che aveva appena finito di scrivere, quella in cui raccontava tutto ciò che è successo da quando ne ha memoria, la lettera in cui raccontava la storia sua e di Himchan. Non avrebbe mai dato quella lettera a nessuno, era solo un modo per sfogarsi.

Da quando Himchan se n’era andato aveva iniziato a parlare solo con la dama, non ci parlava quanto ci parlava con Himchan, ma era già un passò avanti, la dama gli insegnò a scrivere, e dal quel giorno non smise più.

Ogni tanto si ferma e pensa :” E se quando ero muto fossi stato capace di scrivere e ad interagire con le persone che cosa sarebbe successo?”  ma poi si scrollava da dosso quei pensieri, perché sa che se avesse saputo scrivere, forse, non avrebbe conosciuto Himchan e per Yongguk è uno dei peggiori incubi.

Salì le scale di quell’edificio che per lui era stata la cosa che più si avvicinava alla definizione di “casa”.

Aprì la porta della sua stanza sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista ed in un certo senso era felice, perché quel letto era scomodissimo.

Non aveva molte cose da preparare, prese i suoi vestiti, tutte le lettere che aveva scritto da quando aveva imparato a scrivere e poi raccolse le due cose più importanti che aveva, il suo amatissimo libro dei fiori e la mappa che gli diede Himchan 6 anni fa. Lui non si era dimenticato di ricorda ciò che aveva promesso ad Himchan, avrebbe seguito quella mappa alla perfezione, partendo dall’orfanotrofio.

Non aveva per niente la certezza che Himchan fosse lì i quel posto che aveva tracciato con la X sei anni fa, ma Yongguk si fidava di lui.

Si mise il suo zaino in spalla e incominciò a scendere le scale, passò per i vari corridoi fino a trovarsi d’avanti al portone, lì ad aspettarlo c’era la dama, che oramai era diventata più matura, aveva preso lei l’orfanotrofio, adesso non si faceva comandare più dalla Mechbeth, anzi era lei che comandava.

Del Signor Choi e della Mechbeth non si sapeva più niente, ma anche se erano sempre stati cattivi o per meglio direfreddi , Yongguk sperava che avessero trovato la felicità, infondo, se quello che si diceva era vero e cose sono peggiorate tra loro solo perché volevano aprire un orfanotrofio per fare del bene a dei ragazzini, quindi se la meritavano.

“Yongguk, da ora in poi passa la tua vita in felicità, non combinare casini e se hai bisogno di qualcosa vieni pure da me. Sei come un figlio per me! Sii felice!” concluse la dama abbracciandoselo stretto.

Yongguk non era abituato agli abbracci o a qualunque altro tipo di contatto fisico, ma in quel momento ricambiare quell’abbraccio gli risultò spontaneo, non sentiva quel tipo di calore da anni.

Il momento di andare, però, era giunto, anche se non voleva si staccò dall’abbraccio e saluto a dama… anzì salutò Kathri; Ha sempre odiato quel soprannome.

Si avviò verso il lungo viale, mentre da dietro di se sentiva il grande portone venir chiuso, chiuso come quella parte della sua vita, letteralmente.

Era il momento di continuare la sua vita.

Si fermò d’avanti all’orfanotrofio per poi estrarre dalla tasca dello zaino la vecchia mappa di Himchan.

 


Adesso, tutto ciò che doveva fare era cercare di capire una mappa vecchia di 6 anni fa scritta da un 12enne. Facile,no?  No,veramente era facile, non era sarcasmo,Yongguk ha passato il resto di quei 6 anni a guardare quella mappa chissà quante volte, aspettava quel momento ardentemente ed ora quel momento era arrivato. Innanzitutto aprì la mappa che era piegata in quattro parti. Quelle linee tracciate su quel foglio ormai giallognolo , quante volte le aveva contemplate? Le sapeva a memoria, non gli serviva la mappa, ma dicerto non la buttò era un ricordo importante. Fece un respiro profondo e prima di chiuderla definitivamente gli diede un ultima occhiata ed incominciò a seguire quelle linee che erano impresse nella sua mente.

 


Un linea a sinistra, una dritta, una a destra e poi una linea verso il basso , di nuovo a destra, in avanti, due a sinistra, una in alto. 
Poi un cerchio con in mezzo un quadrato ed affianco una croce, era arrivato.

 


Il cerchio non era latro che un’enorme piazza con una statua a base quadrata in mezzo ad essa.

Era appena pomeriggio, ma nella piazza c’erano molte persone, c’era di tutto, bambini, adulti, adolescenti, anziani ed intere famiglie.

E lì Yongguk si accorse che c’erano troppe persone, diverse l’una dall’altra. Gli vennero in mente i suoi primi giorni dopo l’incidente, quando stava in ospedale,il giorno in cui uscì dalla sua stanza per la prima volta e vide tutte quelle persone e la donna che piangeva.

Si ricordava ancora cosa provò in quel momento, paura. Aveva paura del mondo al dì fuori della sua stanza ma allo stesso  tempo n’era curioso, adesso non era più nel giardino dell’orfanotrofio, adesso era fuori nel mondo vero, quello che vedeva sempre dalla finestra della sua stanza. Proprio quando era piccolo provava gli stessi sentimenti, paura e curiosità, ma la paura prevaleva è sempre stato così.

Si sentiva circondato, tutte quelle nuove facce, non conosceva nessuno, si sentiva solo di nuovo.

“Ho 18 anni non 7, perché tremi Yongguk?”

In quel momento Yongguk sapeva di non potersi far prendere dalla paura, non poteva, non doveva, avrebbe incontrato Himchan. Si continuava a chiedere quanto fosse diventato bello Himchan in questi anni, queste erano le tipo di domande che gli passavano nella mente. Ma c’era un’altra domanda che cercava prepotentemente spazio per entrare nei suoi pensieri, quella domanda era lì e premeva contro il suo cranio, per farsi accorgere della sua presenza, ma puntualmente… Yongguk la ignorava.

Yongguk ignorava quella vocina che gli ricordava un possibile avvenire… ” E se Himchan non c’è?”

Non voleva pensarci, ok… Himchan non gli ha dato un giorno preciso o un orario per incontrarlo, ma Yongguk non si perdeva d’animo, Himchan gli aveva chiesto di fidarsi ed era questo che avrebbe fatto, doveva fidarsi.

Ma la sua fiducia si stava affievolendo pian piano.

Ormai erano già ore da quando Yongguk era in quella piazza vicino a quella statua di quel tizio di cui non sapeva neanche il nome, il sole stava tramontando lentamente colorando il cielo di sfumature violacee.

Tutte le persone che prima affollavano la piazza se ne stavano andando a casa per cenare. Non pensiate che Yongguk è rimasto tutto il tempo fermo lì, vicino a quella statua! Appena vedeva una persona con i capelli neri, gli si avvicinava e tirandola per il braccio la faceva girare rivelandone il volto, ma l’unica cosa che vedeva erano degli occhi neri ma spenti in confronto a quelli di Himchan. Ma non vedeva solo quello sulle facce di quelle persone, vedeva anche confusione e paura perché loro non conoscevano Yongguk, quindi per loro era un tizio, molto probabilmente pazzo, che in mezzo ad una piazza prendeva le persone dal polso.

E subito, Yongguk si ritrovava a chiedere scusa e ritornarsene vicino alla statua e più faceva ciò e più nella sua mente si faceva spazio quella vocina insopportabile “Himchan non verrà.”

Era tardi la speranza che Yongguk aveva fatto crescere dentro di sé per tutti questi anni si era all’improvviso prosciugata. La piazza era completamente vuota, i negozi che la circondavano  erano ancora aperti, ma erano poche le persone dentro adesso.

“Cosa farò adesso?” “Dovrò iniziare una vita senza Himchan?”

Non aveva mai pensato ad una cosa del genere, mai una volta gli era passata in mente l’idea di una vita senza di lui, mai, ma forse era arrivato il momento di farlo.

Si staccò da quella statua, Kathrin gli aveva dato alcuni soldi per riuscire a  mantenersi da solo, ma non è tutto; gli aveva anche comprato un monolocale nei dintorni di cui aveva scritto la via su di un foglio messo in una delle tasche del suo zaino. Kathrin vedeva Yongguk davvero come un figlio… e un madre farebbe di tutto per il proprio figlio.

Si tolse lo zaino dalle spalle ed incominciò a frugare nelle varie tasche finché non trovò il bigliettino datogli da Kathrin, al suo fianco c’era una busta bianca contenente abbastanza soldi per riuscire a vivere fino a quando non avrà trovato un lavoro. C’era giusto, giusto un problemino a cui non aveva pensato, come faceva a trovare la via? Era la prima volta che metteva un piede fuori dall’orfanotrofio e non aveva la minima idea di che cosa fare. L’unica cosa che gli venne in mente era di chiedere a qualcuno, ma a chi?

Il suo sguardo cadde su … indovinate un po’ cosa? Un negozio di fiori, non ci pensò due volte a voler entrare lì dentro, i fiori erano la cosa più vicina a Yongguk in quel momento le uniche cose che potevano fargli avere conforto; già gli mancava il cespuglio dell’orfanotrofio.

Avrebbe potuto chiedere la via al commesso e poi chi lo sa! Forse si sarebbe comprato una piccola Anemone per inaugurare la casa! Poi si sarebbe messo sul divano a guardare quel fiore e a pensare ad i bei momenti con Himchan, alle ultime parole che gli ha detto… e forse, forse prenderebbe, poi, quel fiore e lo butterebbe sul pavimento facendolo rompere in mille pezzettini, facendone uscire tutta la terra da fuori sporcandogli il pavimento, ma lo farebbe davvero perché è arrabbiato, ha atteso ed avuto speranza, ma Himchan … lo ha tradito.

E con queste intenzioni si avviò al negozio.

Appena aprì la porta, si poté sentire il tintinnio dei campanellini appesi sull’entrata.

 D’avanti a lui si espandeva un corridoio abbastanza lungo su cui ai lati erano esposti i fiori dei più svariati colori.

E’ inutile dire che Yongguk ne rimase rapito, nella sua vita aveva sempre visto gli stessi fiori ogni giorno, questo non significa però che non gli piacevano i fiori del suo cespuglio ma… vederne così tanti, di diversi tipi, diversi colori, diverse forme… poté solo esserne più che felice, alla fine il mondo non era così brutto come pensava.

Collocato al fondo del corridoio c’era una bancone compreso di computer, carte e varie penne. Ma cosa non poteva sul bancone di un negozio di fiori? Bè, ovviamente… un fiore, un piccolo vaso con una sola margherita rossa dentro.

Il commesso era dietro al bancone, ma non si era accorto di Yongguk, troppo affaccendato a sistemare gli altri fiori riporsi sulle mensole dietro di lui.

Era il momento di andare avanti con la propria vita, con passi forti si avvicinò al bancone con in mano il suo bigliettino.  Non doveva avere paura di chiedere delle informazioni, ormai era grande,doveva diventare autonomo.

Si schiarì la gola, attirando l’attenzione del commesso che si girò verso di lui, doveva andare avanti con la sua vita.

Tutto accadde come una scena a rallenty.

Neanche un secondo fa aveva detto che sarebbe andato avanti con la sua vita, ma BAM, era come se il destino volesse riportarlo prepotentemente indietro, il passato di una persona non si stacca da essa, ed era questo il caso.

Ma infondo, infondo, Bang Yongguk non voleva staccarsi dal suo passato.


“Himchan…”

 

 

 lella lello lolla lollo lallo lullo lollu lallu lello lulle lulla

 

                                                                           

 

ANEMONE: THE END 

 

 

   
 
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