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Autore: Feathers    28/04/2016    5 recensioni
/Cockles Au in Russia!/
Dopo che la sua vita cambia per sempre a causa di una matrioska, Jensen Ackles è costretto a vivere nella Russia del 1955, un'epoca difficile per un americano moderno. Per fortuna, un affascinante e misterioso scrittore di nome Misha Krushnic decide di ospitarlo nel suo appartamento al centro di Mosca. Cosa succederebbe se la loro iniziale diffidenza si trasformasse in una passione incontenibile?
Questa è la storia di un amore clandestino, di quelli tanto intensi da sembrare irreali, ma continuamente messo in grave pericolo dall'omofobia della Russia Sovietica. Riusciranno i due ad uscire dalla terribile situazione in cui si trovano ed a stare insieme senza rischiare la vita?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~~I'm sorry



La prima cosa che avvertii svegliandomi fu il bruciore sui palmi graffiati, e subito dopo la sensazione di umidità sui polsi fradici del sangue che si spargeva sul cemento sporco.

 Il mio corpo tremò leggermente. Freddo, faceva un freddo spaventoso - e pioveva ancora, più forte di prima. Cercai di sollevare il collo intorpidito e scricchiolante per poi pentirmene - mi fece un male che mi costrinse a tornare alla posizione originale. Gemetti stringendo gli occhi, e mi accasciai di nuovo, il corpo a pezzi. Il braccio mi faceva male, avevo l'impressione di star ricevendo tante coltellate sull'osso; le tempie mi pulsavano.

 Durante i primi secondi non capii molto, a stento ricordavo cosa diavolo potesse essermi accaduto - avevo sbattuto la testa, di questo ero certo - ma poi ebbi come una sorta di orribile flash, ed ogni cosa mi tornò in mente.

 Quei tre bastardi, il pestaggio, il dolore allo stomaco che mi opprimeva, la rabbia delle loro parole. Il loro odio infinito per l'amore che provavo io.

 E Misha. Il suo nome mi piombò in mente come un fulmine in piena testa. Dov'era finito? Avevo una paura immensa per quello che poteva essergli successo. E tremavo, tremavo come non avevo mai fatto in vita mia.

 Riprovai ad alzarmi, ed ottenni lo stesso penoso risultato di prima.

 Sentivo perfino la voce di Misha che mi chiamava in lontananza; dovevo star delirando seriamente. Magari avevo una commozione cerebrale, o qualcosa del genere - non ero esperto in materia e non conoscevo i sintomi.

 Eppure la sua voce c'era. Strozzata, lontana, confusa. Ma era la sua. Una versione lacerata della sua voce. E mi chiamava ancora, disperatamente. E se fossi morto?

 "Jensen!" sentii urlare; la pioggia era diminuita notevolmente. "Jensen!"

 Aprii l'occhio gonfio a fatica, sentendomi distrutto e sollevato allo stesso tempo. L'unica cosa che riuscii a distinguere fu un lampione dalla luce fioca e intermittente circondato da un alone di nebbia, e l'acqua che scrosciava e rimbalzava a terra insieme alla grandine, di fronte al mio naso.

 "Jensen!"

 Sorrisi mentalmente. Il mio Misha era vivo, e stava tornando da me. Finalmente vidi a fatica la sua familiare ombra che si avvicinava e si accovacciava accanto al mio corpo, esaminandolo ansiosamente.

 Era lui, non era una visione, quello era proprio Misha. Quelli erano i suoi meravigliosi occhi blu, anche se arrossati dal pianto. Misha rimase immobile per un attimo, la bocca aperta, come distrutto da ciò che stava vedendo. Mi accarezzò il viso sporco, le dita calde e bagnate tremavano come foglie sul mio zigomo.

 "Misha... " iniziai a mugolare, la voce inesistente, gli occhi semichiusi.

 Misha mi guardò, la sua mano ancora sul mio volto, i lineamenti del viso appena contratti, le labbra semiaperte. "Jensen... " disse come un lamento, e scoppiò in singhiozzi convulsi.

 Misi a fuoco i suoi capelli scuri inzuppati, il viso bagnato. Misha piangeva a dirotto, come se fino a quel momento avesse temuto che fossi morto. "Dio mio, c-che ti hanno fatto?" gracchiò, le dita poggiate sulla mia guancia.

 Io desideravo solo tirarmi su, buttargli dolcemente le braccia al collo, baciarlo come prima per fargli capire che andava tutto bene - non sopportavo di vederlo in quelle condizioni - ma non ne avevo la forza. Avevo l'impressione di star morendo. Mi mossi a stento, aggrappandomi al suo cappotto con una mano, stringendo le palpebre per lo sforzo.

 Ma Misha mi bloccò, premuroso. "No no no... stai fermo... stai fermo. Ci penso io, per l'amor del cielo! Potresti avere qualcosa di rotto." farfugliò, sfiorandomi la spalla. Prese delicatamente la mia testa fra le mani e la sollevò appena, sistemando qualcosa di morbido per terra e adagiandomi lì. Lacrimai contro quel piccolo pezzo di stoffa.

 Misha si abbassò, in modo da far incontrare i nostri occhi. Mi sfiorò il dorso della mano, accarezzandolo lievemente con il pollice. "Non temere... ti, ti prometto che si sistemerà tutto... okay?" sussurrò.

 "Io... "

 "Che cosa?" mi chiese Misha, precipitosamente. "Dì qualcosa."

 "Io credevo tu fossi... " mormorai, la voce spezzata. "Credevo che tu... " Le lacrime sgorgavano copiose dai miei occhi. Misha assunse un'espressione triste, e me le asciugò con due dita, scuotendo la testa. Mi baciò accanto all'occhio, schiudendo pian piano le labbra sulla mia pelle.

 "Immagino cosa ti hanno detto. Sono qui, amore - andrà tutto bene. Ti amo, Jensen... m-mi dispiace così tanto." sussurrò.

 Schiusi le labbra, e allungai la mano, cercando di raggiungere la sua. "Per... cosa ti dispiace?" dissi, ma poi il dolore alle tempie mi zittì.

 "Per tutto questo... è stata colpa mia... io... " Si bloccò per un attimo, portandosi una mano sulla bocca.

 Capii subito cosa intendesse. Si era ricordato di Ivan. Ivan era morto dopo essere stato pestato a sangue dal suo stesso padre, e Misha si sentiva colpevole come se fosse stato lui l'assassino. Forse, in quel preciso istante, stava addirittura vedendo la stessa traumatizzante immagine - con me al posto di Ivan.

 "N-non è affatto colpa tua... " dissi. "Non dirlo... non dirlo nemmeno per scherzo." mormorai, la voce roca. Allungai il braccio buono verso il suo viso umido, e percorsi teneramente la linea della sua guancia, senza guardarlo.

 "Sì che lo è... non avrei dovuto lasciarti da solo... avrebbero potuto ridurti molto peggio e... io non me lo sarei mai-"

 "L'hai fatto per me." risposi. "Hai fatto tutto per me... sono io che non sono stato capace di apprezzarlo." aggiunsi; cominciavo a vedere il suo viso come sfocato, e non sapevo se fosse colpa delle lacrime o del dolore alla testa.

 Misha distolse gli occhi, sospirando, e rifletté un momento. "Aspetta... conosco le regole del primo soccorso. So come aiutarti ad alzarti. Dobbiamo andarcene di qui, Jensen... "

 "... ma io non riesco a... "

 "Te l'ho detto. Ci sono io." disse Misha, tentando di mantenere una voce ferma. "Ti fidi di me?"

 "Oh, certo. Ne dubitavi?"

 Misha sorrise fra le lacrime, e si alzò. Si tolse in fretta il cappotto beige, avvolgendomelo addosso con delicatezza. Pian piano, mi aiutò a tirarmi su, tenendo il braccio rotto nella giusta posizione. "Ti fa male?"

 Roteai gli occhi, appoggiando la mano al suo petto, quasi cadendo. "Un male cane... "

 "Spero non sia grave. Non penso... " Misha si sistemò sotto il cappotto con me, in modo che la stoffa ci coprisse completamente le teste. La pioggia intanto era aumentata nuovamente.

 "Accidenti... " mormorò Misha.

 Camminammo per un tratto fra vicoli vuoti e scuri; il braccio mi mandava delle scosse di dolore. I muscoli delle nostre gambe erano come congelati dall'aria vetrosa e fredda.

 "Oddio... sei tutto fradicio... " sussurrai, sbirciando il suo profilo.

 Misha sorrise appena. "Lo so. Ti ho cercato per ore - Donald non mi ha potuto dare delle indicazioni così precise... "

 Strabuzzai gli occhi. "Cosa!? È stato Donald a dirti che ero qui?"

 Misha mi fissò da sotto il cappotto gocciolante, gli occhi ingenui a fessura. "Sì, mi ha detto che aveva avuto l'impressione di vedere uno che ti assomigliava, mentre era a bordo della metro, e mi ha avvertito subito. Se non fosse stato per lui... "

 Un tuono rimbombò nel cielo nero come la pece.

 Io mi rabbuiai. "A proposito di Donald... " feci, il tono nervoso. "Quando ero a Leningrado mi ha inviato una lettera in cui... mi diceva che tu eri in seri guai. Mi ha pregato lui di venire qui... "

 Misha si voltò di scatto, fissandomi con sgomento negli occhi. "Cosa?! Ma che cazzo gli passa per... " Si fermò, costringendo anche me a farlo. Ogni cosa adesso quadrava in modo preoccupante. I nostri occhi si spalancarono nello stesso istante.

 Un fulmine violaceo.

 Un altro tuono.

 "È una trappola... " sibilai con voce fioca, sentendomi morire. Il sangue mi andò alla testa.

 Misha scosse il capo. "Andiamocene. Andiamocene immediatamente."

 Non me lo feci ripetere più volte. Affrettammo il passo più che potemmo, incespicando ogni tanto su qualche pozzanghera, impegnandoci per non scivolare. Cercammo di scappare il più lontano possibile da quel quartiere periferico abbandonato, e ci ritrovammo in un luogo campagnolo e disseminato da alberi. C'era solo una casetta scura in lontananza.

 "Potremmo andare lì... non credo che le voci siano giunte anche in campagna... "

 "Quali voci?" chiesi; la lingua mi si era già attaccata al palato.

 Dal suo viso capii che a Mosca era cambiato qualcosa da quando eravamo partiti. "Che il poco celebre ed egregio autore Misha Krushnic ha una relazione con un uomo."

 Non osai dire una sola parola. Abbassai il capo, cercando di scrollarmi di dosso il senso di colpa che mi consumava, e proseguii verso quella casetta isolata.

 Arrivammo lì di fronte sfiniti, il fiato perso, le scarpe piene di fango. Ci chiesimo se chiunque abitasse lì dentro sarebbe stato tanto gentile da ospitarci in quelle condizioni. Misha bussò gentilmente. Nell'attesa, mi sistemò il cappotto sulla schiena, restando con la sola giacca addosso.

 "Tanto ora entriamo," mi rispose non appena lo guardai.

 Aspettammo un minuto. Non venne ad aprirci nessuno. Le luci erano anche spente, e le finestre parevano tutte chiuse.

 Bussai a mia volta. Niente.

 "Aspetta un momento." mi disse Misha. Tese l'orecchio, e lo appoggiò alla porta in legno. La spinse, ma non si apriva. "Accidenti."

 "Lascia stare Misha. Magari non vogliono... "

 "No... " Scosse la testa. "Non c'è nessuno qui dentro. Guarda l'erba attorno... è tutta cresciuta. E la serratura è arrugginita. Si aprirà... è questione di tempo - fidati di me."

 Misha fece qualche passo indietro, e si preparò per cercare di aprire la porta. Si riavvicinò di scatto, dandoci un'energica spallata e quasi sfondandola.

 "Wao... " mormorai con tono di approvazione, e Misha ridacchiò con un pizzico di orgoglio.

 "Entriamo su,"

 La prima cosa che notai fu la vecchia cucina abbandonata. Faceva freddo pure lì dentro; la temperatura ricordava quella di un igloo, ma era accettabile, e soprattutto confortevole se paragonata alla tempesta che infuriava là fuori.

 "Siediti qui." mi disse Misha, indicandomi una seggiola vicino al tavolo.

 Obbedii, e lo guardai affascinato mentre bloccava la porta meglio che poteva. Andò a cercare dei chiodi, delle assi abbandonate, e qualcos'altro che potesse tornargli utile.

 Appena finì di metterci al sicuro si asciugò il viso e mi guardò con un lievissimo sorriso. Prese un'altra sedia e la fece stridere vicino alla mia, mettendosi comodo lì e portandosi i capelli arruffati all'indietro. Anche conciato in quel modo, Misha era straordinariamente bello.

 Mi tolse parte dei vestiti che indossavo, con calma, e poi esaminò le mie ferite una per una.
 "Cerca di non urlare se senti dolore. Non è prudente." mi sussurrò, carezzandomi i capelli bagnati.

 "Okay... il braccio è rotto?"

 "Probabilmente. Ma credo si tratti di una frattura poco importante." disse, mesto. "Il resto sembrano tutti ematomi, a meno che tu non avverta qualche altro dolore o fastidio. Non preoccuparti."

 Chiusi gli occhi, sollevato. Lo stomaco aveva pure smesso di bruciarmi. Era rimasto solo il nervosismo e la paura che me lo scombussolavano. Gemetti appena, ed appoggiai il palmo sul petto di Misha, fissandolo negli occhi vuoti e spaventati che ancora conservavano una piccola scintilla di lui.

 'Non perdere quella scintilla, amore mio... non perderla mai, qualunque cosa accada.' pensai, senza avere il coraggio di dirglielo in faccia.

 Ebbi un sussulto.

 Un pensiero, un lontano - lontanissimo - ricordo mi travolse, prendendomi alla sprovvista, e mi fece spalancare gli occhi.

 Misha mi prese il viso fra le mani, preoccupato. "Che c'è?"

 Io guardai dentro le sue pupille dilatate, in quell'iride dai colori incredibili, e lo vidi. Mi ricordai di tutto, e fu come un uragano, una tempesta di immagini, parole, sguardi dentro di me.

 Io e Misha ci eravamo già incontrati in passato. Era lui quel ragazzo che mi aveva difeso dai miei bulli storici quando andavo al liceo. Era lui il primo che mi aveva chiesto cosa non andasse, sebbene fosse stato solo uno sconosciuto. Era proprio lui il ragazzo che aveva cercato di baciarmi, carezzandomi i fianchi, lasciando scivolare le labbra calde sulla mia mascella.

 Ed avevo la certezza che anche Misha in fondo se ne ricordasse.

 "Jensen... che ti prende?" mi domandò, scuotendomi dolcemente affinché tornassi in me.

 Mi ripresi.

 "N-noi due... " farfugliai, abbassando lo sguardo. "Noi due ci conoscevamo già... o almeno credo... io... "

 Misha all'inizio mi fissò perplesso, poi rise gentilmente. "Oh, no... stai dicendo cavolate... vieni qui." Mi strinse a sé, baciandomi sui capelli. "Dev'essere stato il trauma."

 Io mi staccai cocciutamente. Volevo che si ricordasse di me.

 "No no no... Misha, ascolta... tu... mi conoscevi... ti sei trasferito in Russia a ventuno anni, giusto?"

 Misha ridusse gli occhi a due fessure, confuso. "S-sì ma... che c'entra questo?"

 La pioggia aumentò nuovamente d'intensità fuori.

 "Prima di partire... hai incontrato un adolescente di circa diciassette anni, biondo, il viso delicato, molto insicuro... e l'hai quasi baciato... non ti dice nulla?" chiesi, speranzoso.

 Misha mi osservò bene, tentò di riflettere. Poi strabuzzò gli occhi per la sorpresa, ed il suo viso si illuminò del tutto. "Tu... f-forse... forse... sì! Dio mio... non dirmi che... "

 Io gli sorrisi, sollevato dal fatto che non se ne fosse dimenticato. "Sì... ero io quel povero piccolo sfigato." dissi in un sussurro, la voce quasi commossa.

 Misha scosse la testa, e sorrise a sua volta. "Roba da matti... io avevo solo ventuno anni. Non ho parole... sembra un segno del destino... "

 Risi. Gli appoggiai la testa alla spalla, facendomi guidare dalle sue coccole. Rimasimo per vari minuti in quella posizione, tremando un po' per il freddo, ma rilassati come se fossimo stati a casa di fronte ad un camino acceso, durante la notte di Natale. Non perché fossimo realmente tranquilli, ma perché eravamo stanchi di sentirci terrorizzati, e volevamo anche solo immaginare di essere al sicuro per un po'.

 Misha mi coprì la guancia sinistra col palmo, e mi posò le labbra sulla tempia destra, tenendomi attaccato a lui. Chiusi gli occhi.

 "Ora dobbiamo scappare. Una pausa qui - il tempo che smette di tuonare così - e poi ce ne andiamo immediatamente. Bisogna cambiare città... "

 "Già... " sussurrai piano sul suo collo, spostandomi. Intrecciai le dita alle sue.

 Ci fu un tuono vicinissimo. Altro rumore di pioggia intensa.

 "Hai mai avuto paura dei temporali?" mi domandò Misha, scherzando per distrarmi.

 Risi appena. "Non se mi trovo in una catapecchia di legno - è isolante."

 "Allora qualcosa la sai." rispose con un dolce ghigno.

 "Ti spingerei se non fossi a pezzi." dissi affettuosamente, e mi protesi di più verso di lui, facendo strofinare i nostri nasi e sfiorare le nostre bocche. Misha si avvicinò alle mie labbra insanguinate, le baciò pian piano, alleviando il bruciore ed appoggiò la fronte calda sulla mia. Sarei rimasto a farmi baciare in quel modo così dolce per sempre.

 Ad un certo punto sentimmo un rumore sordo, e riaprimmo gli occhi, separandoci bruscamente.

 "Cos'er-"

 Misha mi tappò la bocca in tempo. "Sshh,"

 Un altro rumore tremendo. I nostri sguardi puntarono verso la stessa direzione. Era stato un colpo alla porta.

 "Oh, merda... " sibilò Misha, e si alzò di scatto. "Andiamo via."

 "Dove?" chiesi, gli occhi enormi. Barcollai.

 "Sul retro... magari... oh Dio mio... " La voce di Misha si alterò nel giro di pochi secondi. Perfino lui era nel panico, e ciò contribuiva a farmi perdere le speranze. Misha aveva sempre mantenuto la calma in qualsiasi situazione. Correvo accanto a lui, mentre le stanze vuote parevano distorcersi ed ingrigirsi ancora di più.

 "Santo cielo, ma chi cazzo è così matto da andare in giro a cercarci con questi tuoni?" mormorò Misha, il tono disperato, mentre percorrevamo quell'antico corridoio scricchiolante.

 Non c'era nessuna porta sul retro.

 Guardammo il muro, inespressivi; gocce di sudore freddo ci colarono sulle tempie.

 Un altro colpo violento ci fece fremere. I nostri occhi lucidi si incontrarono.

 Era la fine, e lo sapevamo.

 Sentivamo i colpi alla porta che si confondevano coi tuoni. E ad entrambi venne in mente lo stesso pensiero.

 "Mi dispiace." mugolò Misha, il capo basso.

 Gli poggiai una mano tremante sulla spalla e lo abbracciai, scoppiando in singhiozzi. "Dispiace a me."

 Misha mi sfiorò il collo con le dita, e mi diede un ultimo meraviglioso bacio, stringendomi a sé.

 Mi coccolò per due secondi l'ultima volta, prima che quelli rompessero la porta e facessero irruzione lì dentro.

   
 
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