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Autore: DalamarF16    29/04/2016    5 recensioni
[SPOILER s2e02] Come sarebbe andata se Foggy fosse entrato in casa di Matt quel mattino, dopo che aveva perso l'udito?
Dal testo:
"C’era qualcuno in casa sua.
E, ovviamente, il suo udito era completamente fuori servizio, il che, automaticamente, toglieva dalle sue abilità anche il senso radar.
...
Foggy cercò di non andare in panico. Il panico non è la soluzione se il tuo migliore amico è in preda a un attacco di panico. “Matt” Foggy cercò di nuovo di parlargli “Ti prego… dimmi che succede… Matt!”
Nessuna risposta."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Foggy Nelson, Karen Page, Matt Murdock
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A/N: Questo era un prompt che ho trovato su una pagina americana, e non poteva trovarmi più d'accordo, perchè non puoi mandarmi Matt in panico e mollarlo lì da solo come un cane... *istitnti omicidi verso la produzione*
Anyway... questa è la mia versione dei fatti.
Buona lettura!

I can still hear you.

Matt era in ritardo. Di nuovo.
Anzi, no. Non era in ritardo. Non più. A dire il vero, era ormai da considerarsi un miracolo se ogni tanto si fosse degnato di arrivare puntuale, ma no, perchè mai farlo? Il suo migliore amico era un dannatissimo vigilante con delle ridicole corna che non più tardi di ieri mattina aveva dovuto recuperare da un tetto perchè qualcuno gli aveva sparato a bruciapelo sul casco, mancando per chissà quale fortuna il suo cervello.
Era stato un avvertimento?
Foggy non lo sapeva, e avrebbe davvero voluto essere una di quelle persone capaci di fregarsene e andare avanti con la propria vita, perchè, davvero, era stanco di tutto. Più che stanco. Ne aveva le palle completamente, e irrimediabilmente piene, cosa che non avrebbe avuto se avesse mandato al diavolo Matt quel giorno, dopo averlo trovato mezzo morto, o se, ancora meglio, quella sera si fosse ubriacato fino a svenire invece di andare a bussare alla porta del suo appartamento, con tutto ciò che ne era conseguito.
Foggy rimpiangeva la sua ignoranza soprattutto perchè, quando non lo sapeva, Matt era più cauto. Certo, arrivava a volte con qualche livido, o zoppicando, ma evitava di farsi malmenare a tal punto da non riuscire a venire al lavoro, e questo perchè detestava mentirgli, e Foggy lo sapeva bene, nonostante tutto. Sapeva bene che Matt rimpiangeva ogni singola bugia o mezza verità che gli aveva detto dal giorno in cui si erano conosciuti.
Certo, l’ignoranza aveva anche avuto un risvolto positivo: quando Foggy non sapeva della doppia vita di Matt, non doveva mentire a Karen ogni fottuta mattina, nè cercare di aggirare le sue domande sul perchè ogni due per tre aveva un occhio nero, o riuscisse a malapena ad appoggiare un piede a terra.
“Dov’è Matt?” Appunto.
“Doveva… ehm…” le parole gli morirono in gola. Porca puttana! Perchè Matt non poteva raccontare da solo le proprie bugie?
Poi, all’improvviso, tra l’irritazione e la preoccupazione, qualcosa fece breccia. Gli avevano sparato alla testa, a bruciapelo. Il proiettile, grazie al casco, lo aveva a malapena graffiato, ma l’impatto doveva essere stato comunque ingente, e se gli avesse provocato una commozione celebrale o Dio solo sapeva che altro?
Un rivolo di sudore freddo gli scese lungo la schiene, mentre paura e preoccupazione gli attanagliavano il cuore.
“Non mi ha ancora chiamato” rispose, cercando disperatamente di suonare normale “Vado al suo appartamento e vedo se sta bene” decise nell’istante in cui aprì bocca, perchè non aveva importanza quanto fosse incazzato, doveva assicurarsi che Matt stesse bene.
“Vuoi che venga con te?”
Certo, perchè sarebbe stato facile spiegarle l’intera situazione.
“No, Karen, grazie” corse ai ripari “Ti chiamo se mi serve aiuto, ok?”
Per un attimo gli sembrò ferita, i tre avevano ormai sviluppato uno stretto legame, e Foggy non aveva alcun dubbio che tra i due stesse nascendo qualcosa di più. Capiva che al momento si sentisse esclusa, ma, davvero, finchè Matt non si fosse deciso a dirle tutto, lui aveva le mani legate.
Uscì dall’ufficio di corsa e fermò il primo taxi che passava di lì, quasi facendosi investire, e gli offrì 50 dollari extra se avesse ignorato ogni limite di velocità. Pochi minutì dopo si ritrovò ad aprire la porta di casa del suo migliore amico con la chiave di scorta che lo aveva obbligato a dargli.
“Matt?” chiamò entrando e guardandosi intorno. Le sue scarpe e il bastone, così come gli occhiali da sole, erano appoggiati vicino alla porta, dove Matt li lasciava ogni sera prima di andare a dormire… o fuori in costume. Giusto per scrupolo, controllò dietro una pila di libri se ci fosse il cellulare usa e getta che Matt portava con sè in caso di bisogno quando usciva la notte. Era in carica, ben nascosto. Foggy lo aveva trovato solo perchè sapeva esattamente dove guardare. Se il telefono era lì, Matt era in casa. E allora perchè diamine non gli aveva ancora risposto?
“Matt?!” chiamò ancora, a voce più alta questa volta, cercando di ignorare la morsa di terrore che gli stringeva il cuore. Fece un passò ed entrò nel salotto… e finalmente lo vide. Era seduto contro una parete, con le ginocchia strette contro il petto e il volto nascosto contro di essere, e Foggy si chiese come fosse possibile che un uomo della sua statura potesse farsi cos’ piccolo, ma quello che lo sconvolse furono i singhiozzi che lo scuotevano. “Matt!”
Questa volta praticamente gridò il nome del suo amico, a pochi centimetri da lui, ma senza ricevere risposta. Non era possibile che non l’avesse sentito. Cavolo, probabilmente l’aveva perfino sentito ringraziare il tassista e pagargli la corsa!
C’era qualcosa che non andava. Per forza.
“Matt?” tentò di nuovo, facendo un passo avanti e riducendo ulteriormente la distanza tra di loro.
E finalmente ottenne una reazione, anche se non era quella che si aspettava.
L’intero corpo si tese e la sua testa scattò in alto. Gli occhi di Matt erano pieni di puro terrore.
“Matt?” cercò di rassicurarlo “Ehi, sono io. Sono Foggy. Che succede, amico?”

***
C’era qualcuno in casa sua.
Alla fine era successo: qualcuno aveva scoperto la sua vera identità e aveva fatto irruzione in casa sua, e ora si avvicinava sempre di più. Matt non riusciva a sentirne il battito cardiaco, e nemmeno i passi, ma la sua pelle recepiva il movimento dell’aria e i micro-terremoti procurat
I dai suoi passi.
Probabilmente l’intruso aveva anche un odore caratteristico, ma l’odore del caffè che si era fatto quella mattina, riempiva completamente l’aria, nascondendo ogni altro odore.
E, ovviamente, il suo udito era completamente fuori servizio, il che, automaticamente, toglieva dalle sue abilità anche il senso radar.
I suoi occhi non funzionavano ormai da anni, e ora era anche sordo, forse momentaneamente, o forse per sempre, non lo sapeva e non osava pensarci per non cadere completamente nel panico.
Era completamente cieco.
E c’era qualcuno in casa sua.
Forse era quel tizio che gli aveva sparato, quello che girava per Hell’s Kitchen e uccideva criminali in una propria idea di giustizia, ma che aveva di proposito risparmiato lui, limitandosi a un avvertimento.
Magari aveva semplicemente cambiato idea, e aveva deciso di venire a finire il lavoro per essere certo che Daredevil non gli rovinasse di nuovo i piani.
La cosa che lo terrorizzava a morte era però che se aveva trovato lui, allora anche Foggy e Karen erano in pericolo, senza contare che collegare con il suo socio anche Brett era un attimo.
Quasi tutti quelli a cui teneva erano in pericolo, e non poteva fare niente per evitarlo.
Sollevò la testa, sperando disperatamente che qualcosa sarebbe cambiato, che sarebbe stato in grado di sentire qualcosa, ma era tutto un grosso, terrificante, buco nero e silenzioso.
L’aria si stava ancora muovendo. L’uomo (era sicuramente un uomo, i passi delle donne erano, generalmente, più leggeri) si stava avvicinando.
Non poteva restare immobile. Doveva agire.
Cercò di rimettersi in piedi e raggiungere la porta, per poter correre giù dalle scale e poi in strada. Tra la folla, forse, sarebbe stato al sicuro. I pantaloni della tuta gli si infilarono sotto il tallone e scivolò di nuovo a terra. Non riuscì ad aggrapparsi a niente e cadde malamente, la testa che gli girava vertiginosamente. Non poteva fare nulla.
Il panico iniziò a crescergli in petto.
Respira. Medita.
Ricordava bene le parole di Stick sui metodi per calmarsi, ma non riusciva a metterli in pratica in quel momento. Riusciva solo a pensare a Foggy, che avrebbe pagato per la sua imprudenza, e a Karen, che sarebbe stata ugualmente in pericolo. E poi, ovviamente, c’era Claire.
Respira.
Provò a iniziare un respiro profondo, ma gli si bloccò in gola, e il senso di soffocamento lo oppresse. Non riusciva a respirare.
Qualcuno era a pochi centimetri da lui, in casa sua, e non poteva difendersi. Gli serviva aiuto.
Iniziò a gridare, più forte che poteva; anche se non poteva sentirsi, sapeva che la vote gli stava uscendo dalla gola, sentiva le corde vocali vibrargli in gola e l’aria uscirgli dalla bocca. In un giorno normale, un urlo del genere l’avrebbe ridotto in ginocchio, con le mani sulle orecchie, ma oggi, non c’era niente, nemmeno il suono della propria voce.
***
“AIUTO! AIUTO!”
Matt aveva iniziato a urlare come mai Foggy l’aveva sentito prima d’ora. Onestamente, non aveva mai pensato che la voce del suo amico potesse raggiungere un tale livello. Era una visione che lo stava uccidendo. Era un urlo quasi isterico, unito a un pianto disperato, il petto gli si gonfiava così tanto che sembrava gli dovesse esplodere prima di ogni grido.
Che cavolo stava succedendo?
Foggy cercò di non andare in panico. Il panico non è la soluzione se il tuo migliore amico è in preda a un attacco di panico.
Fece un respiro profondo e ece un altro passo verso di lui, cauto e lento. Non era nelle sue intenzioni venire attaccato e ucciso dal suo migliore amico cieco. Sarebbe stato imbarazzante. E difficile da spiegare.
Certo, perchè i morti passavano il loro tempo a spiegare alla polizia come erano state uccise.
“Matt” Foggy cercò di nuovo di parlargli “Ti prego… dimmi che succede… Matt!”
Nessuna risposta.
E, se fosse stato possibile, Matt sembrò più spaventato di prima, e questo lo spinse ad agire.
Decise che non gli importava che Matt reagisse e lo riducesse a un colabrodo, non poteva restare lì impalato e vedere il suo migliore amico accovacciato sul pavimento in quel modo, anche se la causa di tutto ciò era la sua attività notturna di cui Foggy non era proprio il più grande fan.
Era comunque Matt.
Era ancora quel ragazzo gentile che lo aveva aiutato al college, quando nessun altro credeva in lui, che aveva letteralmente e metaforicamente distrutto la sua madre naturale, Rosalind “Rasoio” Sharp, uno degli avvocati più temuti di New York, l’unica volta che gli aveva fatto visita, quando aveva commentato che adesso avrebbe potuto essere un salumiere con una laurea in giudisprudenza invece che un semplice salumiere.
Anche se il solo pensare a Daredevil e a tutte le bugie che gli aveva raccontato lo mandava ancora in bestia, non poteva abbandonarlo.
Rompendo ogni indugio, azzerò la distanza tra di loro e gli prese i polsi, stringendo la presa quando Matt cominciò a divincolarsi, l’addestramento e la tecnica azzerati da quanto stava tremando.
“Matt. Sono io. Sono io. Calmati. Sei al sicuro. Sono io”
***
L’uomo era passato all’attacco, e adesso lo stava tenendo intrappolato in quell’angolo usando solo le proprie mani. Non era nemmeno una vera e propria presa, non una di quelle efficaci di una persona con un certo addestramento. Gli stava solo bloccando i polsi.
Se solo fosse riuscito a uscire dalla morsa del panico, avrebbe potuto liberarsi anche fin troppo facilmente. Aprire di scatto le mani per indebolire la presa e poi un colpo di piatto sul collo. Tecnica di difesa standard. Perfino un ragazzino ci sarebbe riuscito… ma non riusciva a muovere un muscolo.
E anche se ci fosse riuscito, poi cos’altro avrebbe potuto fare?
Non era nemmeno riuscito ad alzarsi, e muoversi e orientarsi sarebbe stato difficile prefino in casa sua, fare parkour tra i tetti era fuori discussione, e combattere seriamente pure. Tuttavia, non poteva arrendersi. Più tempo riusciva a guadagnare, meglio era. Continuò a dimenarsi.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione.
L’uomo lo stava praticamente circondando, e il profumo di shampoo e dopobarba che riusciva a sentire, insieme all’odore di caffè che gli usciva a ogni respiro, avevano qualcosa di famigliare, anche se tra il panico e la sordità, era difficile dargli un nome.
Percepiva anche che l’uomo gli stava parlando, perchè l’aria umida e al profumo di caffè era variabile e a tratti si fermava del tutto, ma non riusciva a decifrare le parole. Non aveva mai imparato a leggere le labbra. Quasi gli venne da ridere. Un cieco che leggeva le labbra. Sarebbe stato un gran numero in un circo.
La presa sulle sue mani cambiò, l’uomo prese il pollice e lo mosse, ma non per romperlo, come si aspettava. Lo appoggiò su un polso, il suo. E finalmente riuscì ad avere un informazione utile. Poteva finalmente sentire il battito cardiaco dell’intruso. La sensazione era diversa dal sentirlo, perchè quello che veramente gli permetteva di riconoscere le persone era non tanto la frequenza a riposo, quando la risonanza dei battiti sulla pelle, più o meno come il modo in cui le corde pizzicate risuonavano nella cassa di una chitarra. Ogni persona aveva un “suono” caratteristico. Tuttavia, il battito cardiaco era comunque meglio di niente, e Matt si concentrò su quello.
Era come attutito, come se lo stesse ascoltando con indosso un paio di cuffie e l’uomo fosse all’altro capo della stanza, ma, concentrandosi solo su quello, era più che sufficiente.
Esalò un singhiozzo disperato e grato, e allo stesso tempo smise completamente di lottare, appoggiandosi contro Foggy in cerca di sostegno mentre il suo corpo si arrendeva, trascinandolo nel vortice di un pianto tremante.
“Fo… Foggy… io…” iniziò a spiegare, ma poi si bloccò, perchè sapeva che Foggy non l’avrebbe presa bene, e forse sarebbe stata la volta buona e l’avrebbe abbandonato per sempre. Non poteva dirglielo. Non sarebbe sopravvissuto a tutto questo senza Foggy, ma allo stesso tempo Foggy doveva sapere la verità. Mai più bugie a Foggy. “Io…” ricominciò tra i singhiozzi “Non… ci… sento”
***
Come cavolo era possibile? Nell’istante in cui era riuscito a riconoscerlo tramite il battito cardiaco, o chissà che altro, Matt era passato dal lottare per liberarsi di lui all’appoggiarsi a lui in meno di un secondo, piangendo e tremando come mai l’aveva visto prima.
“Non… ci… sento”
Un attimo. Cosa? No!
E allora Foggy lo abbracciò stretto, strofinandogli una mano sulla schiena per ribadire che era lì, accanto a lui, mentre la sua mente elaborava quello che aveva appena saputo. Matt non poteva essere diventato sordo, no. La vita non poteva fargli anche questo! Gli aveva tolto la vista, la famiglia, non poteva togliergli l’unica cosa che gli permetteva di comunicare col mondo!
Non andare in panico.
Doveva rimanere calmo, adesso che Matt era così spaventato. No, spaventato non si avvicinava nemmeno a descrivere il suo stato mentale. Era fuori di sè della paura, e questa volta toccava a Foggy aiutarlo a calmarsi e a entrare in uno stato di meditazione o qualunque altra cosa gli servisse per star meglio, incluso il chiamare un’ambulanza se la situazione non fosse tornata alla normalità in… qual era un tempo ragionevole in qeusti casi? Sei, dodici ore? Una giornata intera?
Non ne aveva la più pallida idea, era un avvocato, non un medico! Ad ogni modo, al momento non aveva il tempo di pensare alle tempistiche. Non potendo usare le parole, doveva trovare un altro modo per comunicare con lui.
Pensa, Foggy, pensa.
Sarebbe stato più facile se il suo migliore amico, una delle persone più toste che avesse mai conosciuto, quello che si era guadagnato il soprannome di Diavolo di Hell’s Kitchen, non fosse al momento una palla di carne singhiozzante sulla sua spalla. Cercando di escluderne il pianto dalla sua mente, fece scorrere lo sguardo lungo tutta la casa, cercando qualunque cosa potesse aiutarlo.
Si fermò su un oggetto piccolo e nero. Certo! La stampante braille portatile di Matt!
Cercò di alzarsi e andarla a prendere, ma la presa dell’altro su di lui si strinse compulsivamente sulla sua camicia.
“Foggy…” Matt lo stava praticamente implorando, con gli occhi spalancati e spaventati da cucciolo, e questo mandò in frantumi tutta la sua risolutezza. Non poteva lasciarlo, ma nemmeno trascinarlo per tutta la casa. “Non me ne sto andando, Matt, te lo giuro. Ma devo prendere la tua stampante così potremo com… ma che parlo a fare? Non mi senti!”
Si lasciò cadere di nuovo sulle ginocchia e mise entrambe le mani sulle spalle dell’amico. Matt si lanciò contro il suo petto, l’orecchio destro premuto contro il lato sinistro del suo petto, in corrispondenza del cuore.
Finora, egoisticamente, aveva sempre reputato la capacità di Matt di ascoltare i battiti cardiaci irritante e invasiva, ma ora si rendeva conto di quanto Matt avesse fisicamente bisogno della sua capacità esattamente quanto Foggy necessitava degli occhi per risconoscere qualcuno. Doveva ammettere di non averci mai pensato in questi termini, ma effettivamente Matt non aveva altro modo di relazionarsi col mondo.

***
Foggy non se ne era andato. Foggy era ancora qui, anche se poteva a malapena percepirlo. Premette l’orecchio contro il suo petto, in una disperata ricerca di qualcosa che non fosse solo oscurità e silenzio.
La sua pelle riusciva a registrare le vibrazioni trasmesse dal battito del cuore, ma non era accompagnato dal suo solito tono caratteristico, che l’aveva calmato e cullato in più notti insonni di quanto gli piacesse ammettere. Poi si ricordò che a Foggy non piaceva quando ascoltava il suo cuore, e a malincuore si spinse via da lui. Non voleva metterlo a disagio a tal punto da convincerlo ad andarsene come stava facendo un minuto prima.
Non voleva rimanere solo in quel momento.
La reazione di Foggy lo sorprese, e lo commosse profondamente: lo afferrò fermamente per la nuca e lo tirò di nuovo contro il suo petto, e il significato di quel gesto era tale da fargli perdere di nuovo il controllo di sè stesso. Ricominciò a piangere in ampi singhiozzi, tanto forti da mandarlo in iperventilazione.
Respira. Smetti di farti prendere dal panico. Aiutati.
La voce di Stick nella sua testa aveva ragione. Foggy non poteva fare nulla per lui se prima non fosse riuscito a calmarsi, se non gli dava modo di provare a comunicare con lui. Sentiva l’aria muoversi, gli stava parlando, ma quelle che sapeva essere onde sonore senza una voce non avevano significato.
Matt fece un respiro profondo, cautamente, senza fretta, e questa volta riuscì a non soffocare. L’aria riuscì finalmente a gonfiare i polmoni a dovere. Lo esalò, sempre molto lentamente e ricominciò la procedura, lentamente, contando i respiri e usando il respiro dell’amico per rimanere ancorato alla realtà. Non era solo. C’era Foggy con lui. Respirare adesso era più facile.
Un dito di Foggy iniziò a muoversi lungo il suo braccio, ora che era più calmo. Non era un movimento casuale. Sembravano… Lettere? Interessati, Matt si concentrò sui movimenti.
B-R-A-I-L-L… Ma certo! Geniale! Matt per un istante pensò che avrebbe anche potuto baciarlo in quel momento per essersi ricordato dell’oggetto. Ma dove l’aveva lasciata? In ufficio? Dio, ti prego, fa che non sia in ufficio… No. Non era in ufficio. Era in casa, da qualche parte. Magari dove aveva appoggiato il portatile? Si, ora ricordava di averla appoggiata lì.
“Sì. Sì… Fo… Foggy” implorò, la voce ancora rotta di pianto “Per fa… favore…”
Foggy stava di nuovo scrivendo sulla sua mano. Matt prestò attenzione.
DEVO ALLONTANARMI,
No. No. No.
Il panico strinse di nuovo le tenaglie sui suoi polmoni.
CALAMTI. RESPIRA.
“Fog…”
La mano di Foggy era di nuovo sulla sua schiena, ed era assolutamente strabiliante come quel contatto caldo fosse sufficiente a riportarlo sulla terra. L’altra si spostò sui suoi capelli, rassicurante e calmante. E Matt ritornò a respirare. Foggy voleva che respirasse. Finchè gli obbediva, non si sarebbe arrabbiato, e se non lo faceva arrabbiare, allora non se ne sarebbe andato. Gli stava di nuovo parlando, e Matt provò davvero a dare a quelle ondate d’aria un significato, ma nulla. “Foggy… non… ti sento. Scusa… scusa… mi… dispiace tanto”
La mano nei suoi capelli si spostò di nuovo sulla sua mano e ricominciò a scrivere. Il messaggio sembrava molto lungo, e fu estenuante decifrarlo lettera dopo lettera. Se solo Foggy avesse imparato il codice morse...
PRENDO LA TUA STAMPANTE. TORNO SUBITO.
Ci fu una pausa che sembrò lunghissima. Foggy non stava scrivendo, ma non si era nemmeno allontanato. Matt non mosse un muscolo, la sua mano sempre stretta attorno alla camicia dell’amico. Non voleva che si allontanasse da lui. Senza Foggy era completamente solo al mondo, e senza l’udito, senza il mondo in fiamme, era totalmente isolato.
NON ME NE VADO. Scrisse Foggy dopo un po’. PROMESSO.
E Matt annuì, sentendo uno strano calore salirgli alle guance. Si stava comportando da completo idiota, e lo sapeva.
DIVANO?
Che? Ah, già, Erano ancora sul pavimento.
“Mi aiuti?” Chiese, perchè l’attacco di panico l’aveva lasciato sfinito, le gambe e le braccia gli dolevano dal tanto tremare, e non pensava di avere le forze per alzarsi, senza dimenticare la faccenda cecità, ovviamente.
CERTO.
Foggy cambiò posizione, e Matt lo sentì alzarsi in piedi riuscendo, non sapeva esattamente come, a non staccarsi mai da lui. Gli prese le mani e lo fece alzare quasi di peso. Come previsto, le ginocchia gli cedetterò nell’istante esatto in cui gli appoggiò sopra il peso, ma per fortuna Foggy riuscì a prenderlo al volo e un po’ lo trascinò e un po’ lo accompagnò fino al divano, dove lo fece stendere. Matt chiuse gli occhi; si sentiva sfinito.
PRENDO LA STAMPANTE.
Il contatto svanì e Matt ripiombò in quel buco nero. La paura tornò ad assalirlo e ricominciò a tremare.
“Foggy!” gridò disperato.
***
La disperazione e il terrore nella voce di Matt erano tali da spezzargli il cuore, ma Foggy si costrinse a ignorarlo. Sarebbero stati solo pochi secondi e avevano assolutamente bisogno
Foggy’ di quella stampante. Corse subito a prenderla e tornò al suo fianco il più in fretta possibile.
Matt era di nuovo sull’orlo delle lacrime, e aveva ricominciato a tremare. Gli prese subito la mano.
“Sono qui, Matty. Sono qui”
Matt si rilassò e aprì gli occhi, voltandosi verso di lui. Foggy scrisse velocemente sulla stampante, posando poi la stringa di carta sotto le sue dita, che si mossero subito a leggere il messaggio.
Finalmente, un sorriso genuino comparì sulle labbra del suo amico, e in quel momento Foggy decise che forse sarebbe sopravvissuto a questa crisi senza avere un infarto.
“Ciao, Foggy…”
CHE E’ SUCCESSO? SEI FERITO?
“No… è stato il rumore, credo. Lo sparo. Mi ha… incasinato i sensi. Riesci a sentirmi bene? Sto urlando? Sussurrando?”
VA TUTTO BENE. STAI ANDANDO BENISSIMO. SONO QUI. STA CALMO. RESPIRA.
Ora che riuscivano a comunicare in maniera efficiente, Matt stava riacquistando il controllo. Tenenva stretta la sua mano, e ansimava, ma sembrava un po’ più lucido, e il pianto sembrava ormai dimenticato. Foggy tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e lo utilizzò per asciugargli la fronte imperlata di sudore e le lacrime. Matt sussultò, come sorpreso, ma non accennò nemmeno a difendersi.
Foggy prese di nuovo la stampante.
ACQUA?
Era una domanda retrorica. Matt continuava a cercare di umettarsi le labbra come faceva sempre quando aveva sete, ma scosse ugualmente la testa.
“Non lasciarmi, ti prego” lo implorò.
NON VADO DA NESSUNA PARTE, AMICO.
Matt a quel punto mosse la mano libera di scatto, e come se fosse disperato per un contatto annaspò alla cieca fino a quando non riuscì ad afferrare un lembo della sua giacca e a tirarlo verso di sè con una tale forza da farlo urlare per la sorpresa. Lo slancio gli fece anhe perdere l’equilibrio, e riuscì a malapena ad allungare le braccia dietro le spalle dell’amico e a frenare la caduta prima di cadergli sopra a peso morto.
“Cosa è successo? Foggy?”
“Riesci a sentirmi?”
Nessuna risposta. Ok, l’udito ancora non gli era tornato, ma probabilmente l’improvviso peso su di sè l’aveva allarmato.
CAVOLO, SEI FORTE. Scrisse sulla stampante.
“Scusa. Oh, mio Dio. Ti ho fatto male? Sei ferito?”
SOLO NELL’ORGOGLIO.
Matt si lasciò andare a una risata.
“Mi stai dicendo la verità?”
Giusto. Niente battito cardiaco, niente poligrafo integrato.
NO. Rispose. IN REALTA’ MI STO DISSANGUANDO E PROBABILMENTE MORIRO’, MA NON VOGLIO PERDERE L’OCCASIONE DI MENTIRTI.
Se non altro, questo lo fece ridere di nuovo, e gli sciolse un po’ di tensione.
“Il mio naso lavora ancora bene. Non stai sanguinando. Sai di caffè”
SAI CHE HO PIU’ CAFFE’ CHE SANGUE IN CORPO. MI STO DISSANGUANDO.
“Grazie, Foggy”
Foggy si limitò a dargli un paio di pacche amichevoli sul braccio.
SARO’ SEMPRE QUI PER TE. SEMPRE.
ALla fine, dopo una quantità spropositata di tempo, almeno secondo Foggy, Matt si decise ad allentare la presa su di lui e lasciarlo alzare. Gli portò un po’ d’acqua e preparò dei sandwich per entrambi. Aiutò l’amico a bere e a mangiare, poi, per distarlo dalla sua condizione per un po’, lo convinse a leggergli qualcosa, proposito che andò quasi al diavolo quando si accorse che in casa Murdock praticamente non esistevano libri in braille che non riguardassero la giudisprudenza; alla fine riuscì a trovare una copia de: “Il miglio verde” di Stephen King, non esattamente il massimo dell’allegria, ma sempre meglio dei loro libri dell’università.
Per il resto del pomeriggio Matt cercò di meditare e dormire un pochino accoccolato sul divano, mentre Foggy lavorava accanto a lui, mantenendo il contatto fisico in ogni momento.
Quella notte, il cieco rimase a dormire sul divano, con una mano intrecciata a quella dell’amico, e Foggy si ritrovò costretto a trovare una posizione confortevole per dormire  a metà tra il seduto e lo sdraiato sul tappeto. Sapeva che l’indomani l’avrebbe rimpianto, ma non gli importava. Per nessun motivo l’avrebbe lasciato solo, nemmeno per sdraiarsi nella stanza accanto su un letto.
***
Foggy iniziò a russare più forte, e lo svegliò. Il calore del sole stava già iniziando a scaldare le finestre, e i raggi gli arrivavano sul braccio e sul viso, scaldandoli.
Un attimo.
Foggy stava russando. E riusciva a sentirlo. E insieme a lui i suoi vicini che si godevano del sano sesso mattutino prima di svegliare i figli e portarli a scuola. Ed ecco anche i clacson delle auto, sei piani più sotto sulla strada, con i rispettivi autisti che si insultavano a vicenda nel traffico mattutino. E… eccolo, finalmente. Il battito del cuore del suo migliore amico. Non era ancora un suono ben definito come gli altri, segno che l’udito non si era ancora ristabilito del tutto, ma era lì, e gli importava solo di quello al momento.
Sentiva di nuovo.
Rise, e la risata si trasformò subito in un pianto di sollievo, mentre il mondo in fiamme tornava al suo posto forma dopo forma.
Ci sentiva.
Il ritmo del respiro di Foggy cambiò mentre si svegliava, e sussultò quando lo sentì piangere.
“Matt?” Cavolo, quanto gli era mancata la voce logorroica del suo migliore amico.
“F...Foggy!”
“Mi senti?”
“Sì… sì, Foggy…”  E all’improvviso Foggy era tutto intorno a lui, e lo sovrastava, abbracciandolo così stretto da fargli mancare il fiato, e Matt si ritrovò di nuovo con l’orecchio premuto contro il suo petto, ad ascoltarne il battito cardiaco. Foggy era felice, ma allo stesso tempo era anche terrorizzato, e Matt non riusciva a dargli torto.
Due giorni prima aveva dovuto recuperarlo sul tetto di un palazzo, ieri l’aveva trovato sordo in salotto in preda a un attacco di panico. Doveva aver reso realtà tre quarti degli incubi peggiori di Foggy in meno di 48 ore…
“Scusami, Foggy… scusami tanto”
“Sta zitto, idiota. Sono sono felice che tu stia bene”
Sì… stava bene,
Sarebbero stati bene.

A/N: grazie per aver letto fin qui! Fatemi sapere cosa ne pensate!








   
 
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