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Autore: LadyLigeia07    29/04/2016    1 recensioni
Una storia d'amore e un mistero nella Londra vittoriana ai tempi del processo ad Oscar Wilde. Che cosa si nasconde nel passato del visconte Asami Ryuichi?
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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II Parte

Ormai era giugno a Londra e un giorno come tanti al ritorno dal lavoro il giovane giornalista Akihito ricevette dalle mani di Ida, la cameriera di casa, una lettera che proveniva, questa volta, dalla Russia.

Una volta da solo nella sua camera, il giovane aprì la busta della lettera per leggere il contenuto. Era molto incuriosito dal fatto che era la prima volta che riceveva qualcosa dal figlio del conte russo, Mikhail. Si ricordava ancora delle circostanze che glielo avevano fatto conoscere. Era successo poco più di un anno prima al ballo di Lady Westenra, proprio il giorno in cui aveva conosciuto il visconte Ryuichi Asami. Allora il giovane non sapeva che il biglietto che quest’ultimo aveva allungato al figlio del conte conteneva l’indirizzo di Alfred Taylor. Anche Mikhail Arbatov faceva parte dello stesso giro di amicizie che li vedeva tutti coinvolti nei recenti avvenimenti di Oscar Wilde. Era strano, però, che il giovane russo avesse deciso di scrivere a lui piuttosto che a qualcuno degli altri.

Il giovane lesse la lettera. Essa era scritta in quello stile un po’canzonatorio che il giovane russo usava per parlare abitualmente. In quelle righe fece presente ad Akihito il perché del suo improvviso viaggio. ‘Come se fosse stato un segreto per qualcuno’, pensò il giovane. Anche se, a ben vedere, c’erano dei motivi validi che avrebbero dovuto spingere molti di loro ad un allontanamento temporaneo dalla città. Dopo lo scandalo ed il processo dello scrittore, molte delle persone che in passato avevano provato un po’di pietà per le persone che conducevano un altro stile di vita, adesso parlavano della faccenda come di qualcosa di riprovevole e indegno. La situazione era molto cambiata, le idee delle persone appartenenti alla loro cerchia sociale si erano molto inasprite. In quel momento il giovane si ricordò delle parole del visconte: “Non ti preoccupare, se io arrivo ad avere dei problemi, tu sarai l’ultima persona che verrà coinvolta. Non vorrei che tu pagassi per qualche mio errore.” L’espressione del visconte si era fatta cupa e seria in quel momento, senza che Akihito capisse bene il perché. Erano nello studio del suo appartamento a Chelsea e il giovane, intanto che il visconte gli accarezzava la guancia per rassicurarlo, aveva fissato quel suo ritratto appeso alla parete e si era chiesto che cosa si nascondesse nel passato del suo compagno.

Nella sua lettera, dopo aver raccontato alcuni avvenimenti della sua famiglia- sua sorella si stava per sposare con un ricco nobiluomo- Mikhail Arbatov aveva chiesto al giovane di informare gli altri suoi amici che pensava di ritornare a Londra appena finito di sistemare i suoi affari, comunque non prima di sei mesi. Alla fine della lettera aveva scritto: “Mi scuso di essermi rivolto a Lei per fare arrivare le mie notizie ai nostri comuni amici, dopotutto Lei, con la sua discrezione e i suoi modi amabili, risulta il più affidabile tra noi tutti, nonché la persona meno compromessa e che ha meno da rischiare.”

Akihito non seppe come interpretare le linee del giovane russo: lo lusingava l’idea di essere stato scelto per fare arrivare le sue notizie agli altri, ma nello stesso tempo non gli piaceva l’idea che il russo lo ritenesse meno coinvolto degli altri negli ultimi avvenimenti. E se qualcuno avesse scoperto qualcosa lo stesso?

Il giorno seguente il giovane giornalista si recò nel suo ufficio come al solito. Era un po’assonnato quella mattina. Dall’ufficio del direttore del giornale, Abbott Neill, Akihito sentì arrivare delle voci concitate. Si trattava del commissario di polizia di Scotland Yard: James Briggs. Di solito l’uomo, una persona che aveva la fama di essere alquanto prepotente, faceva visita a tutti i direttori dei giornali della città, per avvertirli, come se ci fosse bisogno, delle regole di condotta che i giornalisti dovevano rispettare quando si eseguivano delle indagini su sanguinosi fatti di cronaca. Briggs odiava i giornalisti. Secondo il suo punto di vista, essi tendevano ad impicciarsi troppo di certe faccende e ostacolavano la polizia quando c’erano dei casi da portare avanti. Akihito lo vide uscire furibondo dall’ufficio di Neill, quasi aveva investito il giovane al suo passaggio, ma era riuscito ad evitarlo all’ultimo secondo e gli era passato di fianco guardandolo di sbieco con disprezzo.

Akihito lo vide andar via, aggiustandosi la giacca e mettendosi il cappello sulla testa rossiccia. Appena lo vide chiudere la porta, andò nell’ufficio del suo capo per chiedergli come stava. Abbott si stava aggiustando i capelli brizzolati e mettendosi a posto il panciotto. Akihito si chiese come faceva il commissario di polizia a portare la giacca quel giorno, fuori incominciava a fare caldo sul serio.

Con gentilezza chiese al suo capo se aveva bisogno di qualcosa: un bicchiere d’acqua, una bibita. Neill gli sorrise: “Non ti preoccupare, non sei mica la cameriera. Quel tizio, Briggs, mi ha fatto arrabbiare sul serio questa volta. Come fa a comportarsi in quel modo con le persone? Dopotutto questo è un giornale, non può dirmi come devo trattare i miei impiegati! Se non fosse che quell’uomo ha ottenuto il suo posto tramite alcuni appoggi politici, l’avrei già mandato a quel paese da tempo... razza di bastardo prepotente.”

Neill si riprese, comunque, in fretta e invitò Akihito a continuare il suo lavoro. Il giovane uscì dall’ufficio del suo capo e tornò nell’ufficio che condivideva con gli altri impiegati: una lunga sala con due file di scrivanie- tutte provviste di risme di carta, penne, inchiostro e alcune di macchine da scrivere di recente produzione.

I giorni passavano, il giovane giornalista era preoccupato per non aver ricevuto ancora qualche notizia dal visconte. In genere si sentivano più di una volta alla settimana per decidere come passare le giornate libere, se andare in gita da qualche parte oppure andare a cena fuori insieme. Alcuni giorni dopo il processo il visconte aveva fatto sapere ad Akihito che, secondo lui, era meglio se evitavano di vedersi in luoghi pubblici per un po’di tempo, almeno finché la situazione non si fosse calmata. Il nobiluomo era alquanto preoccupato e non voleva correre dei rischi. Essendo una persona appartenente all’aristocrazia anche se scoppiava uno scandalo per via delle sue frequentazioni, poteva contare- in via ipotetica- sull'aiuto della sua ambasciata. Non sapeva, però, se gli sforzi che essa sarebbe stata disposta a fare per tenerlo fuori dai guai potevano valere anche per tenere fuori dai guai il figlio di un mercante, anche se ben posizionato socialmente.

Una di quelle notti, dopo che erano passate due settimane dall’ultima volta in cui aveva avuto notizie dal visconte, il giovane giornalista si decise a fare qualcosa. Il visconte gli aveva fatto avere una copia della chiave del suo appartamento di Chelsea con la precisa indicazione che venisse usata solo in caso di emergenze. Akihito era preoccupato, era arrivato a pensare che il nobile stesse passando per qualche guaio giudiziario del quale voleva tenerlo all’oscuro. Non riusciva a trovare un’altra ragione. Peraltro, non era tipico da lui sparire senza fare avere le sue notizie a qualcuno. Aveva parlato con alcuni dei loro conoscenti, nessuno l’aveva visto in giro in quelle due settimane.

Il giorno seguente, ormai verso la fine di giugno, Akihito si recò dopo il lavoro nell’appartamento del visconte. Salutò il portiere che era un uomo retto e discreto e salì al primo piano dove si trovava l’elegante abitazione del nobiluomo.

Fece girare la chiave nella serratura ed entrò. Una volta dentro chiamò il visconte per nome, senza ottenere alcuna risposta. Le stanze erano in penombra e si vedevano bicchieri vuoti un po’ dappertutto e un posacenere rovesciato in salotto. Il giovane ebbe un brutto presentimento. Di solito il visconte era un uomo molto ordinato e faceva venire spesso la cameriera nel suo appartamento per metterlo in ordine. “E se fosse partito all’improvviso?” si chiese il giovane. Era molto strano, aveva visto la sua giacca sull’attaccapanni all’entrata e aveva sentito il suo profumo alla lavanda nell’aria.

Gli sembrava di essere in una casa disabitata dove aleggiava solo lo spirito di qualcuno. Il giovane non era una persona superstiziosa, ma quel luogo gli fece una strana impressione trovandolo in quelle condizioni.

All’improvviso sentì un rumore provenire dallo studio. In un attimo aprì la porta e un senso di spavento seguito da un senso d’infinita pietà si aprì strada dentro in lui. Sulla chaise-longue preferita del visconte giaceva lui stesso, senza giacca, quasi al buio. Dentro la stanza c’erano bottiglie di liquore vuote rovesciate per terra, e c’era uno strano odore nell’aria. Akihito vide, sull’ampia scrivania, un contenitore vuoto di laudano e dovette trattenersi per non urlare.

Si precipitò dal visconte, per un attimo credette che fosse morto. Toccò il suo viso e le sue spalle, ma l’improvviso tossicchiare dell’uomo lo mise in allerta e dopo lo fece sorridere sollevato. Egli era ancora vivo! Akihito incominciò a piangere dalla felicità.

Il visconte aprì gli occhi e sorpreso nel vederlo gli chiese cosa stava facendo lì. Il giovane lo guardò con le lacrime agli occhi e rispose: “Ti sorprende? È da molti giorni che non ho tue notizie, ho pensato che fosse accaduto qualcosa e sono venuto da te subito.”

Il nobiluomo si mise seduto e lisciandosi il panciotto e i pantaloni disse, “Faccio orrore messo in queste condizioni. Potresti accendere la luce, per favore?”

Il giovane assentì e fece quanto gli era stato richiesto. Una volta di ritorno al fianco del nobiluomo gli chiese che cosa era successo. Fu in quell’istante che si accorse del ritratto sulla parete. Era il ritratto che, qualche anno prima, il visconte aveva commissionato a John Gray. Esso aveva dei profondi squarci- fatti probabilmente con un tagliacarte- che l’avevano del tutto rovinato. In esso il viso di Asami Ryuichi non era più riconoscibile. “Cosa è successo?” chiese il giovane. “Qualcuno è entrato e ha combinato questo disastro in casa tua?”

Il visconte cercò di apparentare sicurezza senza riuscirci:

“L’ho fatto io stesso, non volevo più vedere la mia faccia dopo quello che ho fatto in passato. Adesso le mie azioni mi si sono rivoltate contro!”

“Di che cosa si tratta?”

“Tu ti fidi di me?”

“Assolutamente!”

“Sono sicuro che dopo che ti racconterò quello che ho fatto, non sarai tanto sicuro delle tue parole.”

***

Verso la fine dell’anno’92, gli affari della fumeria d’oppio gestita dai fratelli Yan Tsui e Feilong Liu andavano a gonfie vele. L’arrivo di un nuovo cliente, un nobiluomo giapponese, aveva innalzato la categoria del locale. Esso era diventato un luogo di ritrovo per molte persone importanti, non solo artisti. Yan Tsui aveva chiuso un occhio di fronte all’interesse che il visconte Ryuichi Asami, o per dirlo alla maniera giapponese- anteponendo il cognome al primo nome- Asami Ryuichi, aveva dimostrato verso il proprio fratello, ancora giovane e inesperto. Yan Tsui sopportava, con calma apparente, le continue visite del nobiluomo al giovane Feilong. All’inizio era sembrato qualcosa di simile a quanto era già accaduto con altri clienti: essi avevano guardato con curiosità il giovane uomo, avevano parlato qualche volta con lui, gli avevano fatto dei gran sorrisi e alla fine il tutto si era concluso con un nulla di fatto.

L’interesse del visconte verso il fratello minore era diverso. Il nobiluomo poteva contare con la atmosfera discreta del locale per fare delle avance al giovane senza temere uno scandalo. Si vedeva che il visconte era abituato a frequentare degli uomini in altri luoghi di ritrovo, forse si era stufato di pagare qualcuno, almeno così la pensava Yan Tsui, soprattutto quando contava il denaro in cassa dopo che aveva chiuso il negozio.

Con un sorriso di soddisfazione il fratello maggiore si ritirava nella sua stanza dopo aver controllato, attraverso la serratura, che suo fratello non stesse combinando qualcosa con qualche cliente nella sua camera da letto. Yan Tsui non l’avrebbe mai permesso, solo con il visconte sarebbe stato disposto a chiudere un occhio perché portava dei benefici al loro locale e anche perché, grazie alla sua presenza e a quella di altra gente altolocata, la polizia tendeva a fare meno controlli.

Ad un certo punto, verso la fine di febbraio dell’anno ’93, Yan Tsui aveva deciso di concedere un po’di solitudine a suo fratello e al suo spasimante perché potessero avere dei momenti d’intimità. Usando una scusa qualsiasi spesso si assentava dal negozio, oppure s’inventava degli impegni quando il visconte si trovava nei paraggi. Qualche volta, quando stavano per chiudere il negozio ed era rimasto il nobiluomo come unico cliente, si ritirava nella sua stanza adducendo un’incredibile stanchezza… e così via.

Alla fine dei conti il fratello maggiore pensava che Feilong era nato per fare la prostituta, anche se ancora non se ne rendeva conto. Meglio che si vendesse a un membro dell’aristocrazia, anche se straniero, che non prostituendosi per strada o qualcosa di simile.

La situazione era ormai maturata così tanto, per la gioia del fratello maggiore, che una volta vide arrivare il visconte in compagnia di un giovane alto e fulvo con uno strano accento. Si trattava del figlio di un nobile austriaco. Yan Tsui aveva lasciato da solo il fratello nel negozio per un bel po’ di tempo, ed era uscito fuori a notte fonda inventandosi che doveva andare a riscuotere dei pagamenti arretrati da parte di alcuni clienti.

Forse il visconte si era portato l’altro ragazzo appresso per fare una cosa a tre e non voleva disturbare.

Due ore dopo, al suo ritorno, aveva trovato il visconte che parlava con Feilong ed erano da soli nel locale, e non c’era alcuna traccia dell’altro giovane. “Chissà cos’è successo?” si era chiesto Yan Tsui. Nel frattempo non erano arrivati altri clienti. Il fratello maggiore aveva visto il visconte accigliato e non gli ci volle molto per capire la situazione. A quanto pare il visconte non aveva mai avuto l’intenzione di condividere le grazie del suo giovane amante con qualcun altro, e una volta che aveva capito che le intenzioni dell’austriaco non erano altrettanto pure, aveva congedato quest’ultimo.

Il giorno dopo Yan Tsui chiese, con la dovuta precauzione, al fratello cosa fosse successo la notte precedente e questo, un po’ titubante, gli aveva spiegato che la notte prima il visconte aveva avuto una discussione con l’altro giovane, Wilhelm Franz, e che infine gli aveva chiesto di andarsene.

“Come mai?” chiese Yan Tsui.

“Non si stava comportando in maniera molto consona e il visconte sembra fissato con le buone maniere.” Yan Tsui guardò il giovane fratello con sospetto mentre pensava: ‘Quindi, sei riuscito ad intortare il visconte per bene, buon per noi. Speriamo che la tua tresca con quel tizio ci porti fortuna’.

Siccome il tempo passava e le visite del visconte si facevano più assidue, Yan Tsui decise di incominciare ad indottrinare il fratello con qualche bel sermone in modo che traesse il massimo vantaggio dalla sua situazione.

Tutto era incominciato in maniera molto discreta con qualche piccolo accenno alla loro situazione. Yan Tsui, per la prima volta, aveva trattato suo fratello con un minimo di riguardo e gli aveva fatto credere di essere interessato alla sua vita personale. Gli chiese, in maniera cortese, come stava andando tutto con il visconte. “Ti ha mai detto qualcosa riguardo alle sue attività oppure qualcosa sulla sua famiglia?”

A Feilong sembrava indecoroso porre tante domande ad un nobiluomo. Secondo quello che il suo amante gli aveva riferito, egli aveva studiato a Londra e poi era rimasto in città per poter portare avanti degli affari che avevano a che fare con l’esportazione di merci e così via.

“Merci?” chiese Yan Tsui, “Ti ha detto di che tipo di merci si occupa? Sembra interessante… non ti ha mai detto qualcosa riguardo ai piani che la sua famiglia ha per lui? Dovrebbe essere sposato alla sua età.”

Feilong lo guardò come se cercasse di rimproverargli la sua indiscrezione. “Mi sembra di cattivo gusto che tu parli di lui in quel modo, non lo conosci nemmeno! Cosa ti fa pensare che la sua famiglia intenda farlo sposare?”

Yan Tsui sorrise beffardo: “Non ti sarai mica illuso che quell’uomo tenga a te veramente? Dovresti incominciare a pensare al nostro…anzi al tuo avvenire, qualora quel tizio si stufi di te e ti metta da parte. Non hai mai pensato a questa possibilità?”

L’unica cosa che venne in mente a Feilong in quel momento, furono le parole gentili e le carezze del visconte. Egli gli stava insegnando a parlare bene in inglese, gli aveva portato pure un libro di poesie di un autore francese con il testo in inglese a fianco. Era un buon esercizio, in quel modo poteva imparare sia l’inglese sia un po’di francese. Sognava di andare a vivere a Parigi un giorno e glielo aveva detto, mentre il visconte -accarezzandogli i lunghi capelli- gli aveva risposto, parafrasando una delle poesie che avevano letto: “Vieni, mio bel ragazzo, sul mio cuore innamorato.” Feilong non poteva immaginare che i sentimenti che l’altro uomo provava per lui non fossero sinceri.

Il modo di parlare di Yan Tsui aveva offeso il giovane. Lui non voleva usare l’influenza che aveva sul visconte per trarre un vantaggio di tipo materiale, non gli piaceva l’idea di sfruttare qualcuno.

Suo fratello, vedendolo in pensiero, lo guardò accigliato: “Non ti vergogni di fare quello che fai con quell’uomo senza ricavarci nulla? Vuol dire che ti piace che quell’uomo ti tocchi in maniera perversa, e pensare che io ti avevo immaginato diverso dagli altri.”

Le parole del fratello oltraggiavano terribilmente l’orgoglio del giovane.

“È incredibile che tu sappia così poco di me. Come puoi trattarmi come se io fossi solo un corpo da mettere in vendita?!”

“Perché ti ho visto l’altra volta insieme a lui nella tua camera. Io avevo detto che andavo a dormire e voi ne avete approfittato per spassarvela. Non raccontarmi frottole adesso, il tuo corpo gioisce quando un uomo ti accarezza, non è vero? Almeno cerca di essere una puttana più furba la prossima volta.”

A momenti le parole del fratello maggiore lo facevano urlare dalla rabbia, egli era offensivo e indecoroso. Come si era permesso di guardarli mentre stavano insieme? Il suo sguardo era furibondo.

“Non mi guardare con quella faccia e metti a posto il locale, tra poco arriveranno i primi clienti.”

In quel momento Yan Tsui, che si trovava vicino alla cassa, si girò per mettere a posto alcuni assegni e non si accorse del colpo in arrivo. Si girò sorpreso e vide l’ira negli occhi del fratello minore.

“Come ti permetti, razza di puttanella impetuosa?! Fammi ancora una volta quello che hai appena fatto e te la farò pagare!”

Yan Tsui si allontanò imprecando e si diresse verso il bagno. Quel colpo l’aveva colto di sorpresa. Una volta dentro si mise un asciugamano bagnato sulla zona in cui suo fratello l’aveva colpito. ‘Puttanella bastarda!’ pensò, e dopo disse a se stesso che doveva tenerlo d’occhio e che doveva trovare il modo giusto per fargli imparare le buone maniere.

La situazione prese una strana piega durante la primavera di quell’anno. Feilong continuava a ricevere le visite del visconte con la riluttante complicità del proprio fratello, ma, incuriosito da alcune delle insinuazioni che quest’ultimo gli aveva fatto, aveva incominciato a sondare un po’ il terreno: voleva capire cosa poteva aspettarsi dal visconte in modo da non essere preso alla sprovvista. Lo stesso Asami incominciò a guardarlo con sospetto quando si sentì rivolgere delle domande sulla sua famiglia o riguardo i suoi affari. Non gradiva quell’improvvisa intromissione. Di quel giovane gradiva la compagnia silenziosa e la sensualità, c’era ben poco altro che lo interessasse veramente. Aveva incominciato ad abbreviare le sue visite, i giorni in cui rimaneva a dormire con il giovane nella sua stanza si fecero più rari, in generale le sue visite diminuirono. Ad un certo punto il giovane incominciò a convincersi che il fratello, nonostante i modi bruschi, avesse solo cercato di metterlo in guardia e che avesse ragione su quanto aveva affermato riguardo al visconte.

Feilong, quasi sempre vestito in maniera tradizionale, coi suoi abiti di seta ed il suo portamento felino, aveva incominciato ad attirare seriamente l’attenzione di altri clienti, probabilmente si era sparsa la voce sulla sua ‘natura’, come diceva suo fratello.

Il giovane, non sapendo bene come reagire alle risposte elusive del visconte, non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Ormai non risparmiava al visconte occhiate di rimprovero e scenate di gelosia ingiustificata. Il nobiluomo aveva incominciato a trovare tediose quelle visite. In cuor suo, comunque, si era promesso di aiutare il giovane ad uscire dalla sua situazione. Sapeva che non correva buon sangue tra lui e il fratello, e stava già escogitando un piano per portare il giovane fuori di lì senza che Yan Tsui protestasse troppo. Per fare quello, però, bisognava aspettare il resoconto sull’andamento dei suoi affari oltremare ai quali teneva molto.

Per cercare di dimenticare i motivi della sua tristezza e cercare di prendere lentamente le distanze da qualcuno che non sembrava essere più di tanto interessato a lui, Feilong aveva incominciato a fumare oppio. Già in passato l’aveva fatto, ma solo sporadicamente. Yan Tsui vedendolo fumare, non aveva neppure mosso un sopracciglio in segno di disapprovazione, anzi l’aveva guardato compiaciuto. Se il fratello minore diventava del tutto dipendente dalle droghe, lui avrebbe potuto manovrarlo meglio e fargli fare tutto quello che desiderava.

Il pomeriggio di una domenica Yan tsui era uscito di casa per andare a riscuotere alcuni pagamenti arretrati, dentro la tasca interna della giacca aveva una pistola, già gli era servita alcune volte quando qualcuno aveva cercato di fare il furbo, risultava comoda da usare nei momenti opportuni. L’unica cosa che lo faceva imbestialire a riguardo era il fatto di aver dovuto sganciare del denaro per i poliziotti della zona affinché chiudessero un occhio. Quei bastardi! pensava Yan Tsui quando si ricordava delle pretese di alcuni di loro. C’erano più poliziotti corrotti a Londra che avvocati, era questa l’idea che aveva.

Quando stava per lasciare la casa aveva visto il fratello, profumato e ben vestito, che fumava oppio nella grande sala. ‘Di sicuro aspetta quel tizio’, aveva pensato Yan Tsui.

***

Feilong, senza neanche accorgersi, si era svegliato in una delle stanze dell’ospedale più vicino. Qualche volta era già venuto in quel posto quando si era ammalato e si ricordava bene di quell’edificio vetusto dagli stretti corridoi. In quella stanza anonima, egli si accorse di avere il braccio sinistro fasciato, probabilmente era stato operato e gli avevano dato alcuni punti di sutura. Una lacrima scivolò sul suo viso nel momento in cui incominciò a ricordare qualcosa di quello che era successo. Le lacrime non fecero in tempo ad asciugarsi sulla sua pelle, che un’infermiera aprì la porta e fece entrare suo fratello con l’aria preoccupata e il cappello in mano.

“Ti ricordi di quello che è successo?” gli chiese.

Il giovane si ricordava di una discussione, ricordava di aver sgridato il visconte per qualcosa quando egli era venuto a fargli visita. Si ricordava di una colluttazione, si ricordava di avere spinto il visconte… e poi più nulla.

“Ringrazia che sia arrivato in tempo a casa, altrimenti avresti potuto morire dissanguato. Ho dovuto portarti in fretta, qui, in ospedale. Che cosa è successo? Avete litigato come due gatti? Il visconte ti ha scaricato?”

Feilong avrebbe voluto rispondere a quella domanda, ma non si ricordava nulla, era strafatto di oppio quando era successo. Suo fratello continuò:

“Mi sono dovuto inventare che un ladro era entrato nella nostra casa per non avere noie in ospedale. Capisci la situazione in cui stavi per cacciarci tutti e due per via dei tuoi amorazzi con il visconte?”

Feilong avrebbe solo voluto che suo fratello tacesse per sempre e che un’improvvisa catastrofe li colpisse tutti e due. Voleva smettere di soffrire. In quel momento avrebbe voluto solo mettere a tacere il suo dolore. La testa gli faceva male mentre cercava di ricordare come era avvenuto tutto quanto. Si ricordava di avere avuto tra le mani una pistola, probabilmente era una di quelle che si trovavano nella stanza di suo fratello, si ricordava di avere ricevuto un botta sul avambraccio. In quel momento pensò:

'Asami, perché hai sbagliato la mira? Sarebbe stato tutto più facile per me…e forse anche per te.'

   
 
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