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Autore: Sethmentecontorta    30/04/2016    1 recensioni
Camminava muta, come chiusa in una bolla che la separava dal resto del mondo: i suoni e le immagini la toccavano solo a metà, qualunque gioia, volontà, felicità era scivolata via da tempo. Era solo una dodicenne, quanto tempo avrebbe resistito sola a quel modo? Che motivo aveva per andare avanti? Ah, lei lo sapeva eccome quale motivo la convinceva a continuare, seppur così.
Nonostante la sua mente fosse così offuscata da oscuri pensieri, l’animo appesantito, il suo passo incedeva leggero, invariato; attraversava strade, superava semafori, negozi, parchi, case, persone. Quel mondo che le appariva così distante, in cui i bambini ridevano giocando insieme, le ragazze come lei chiacchieravano dei loro amori adolescenziali o di qualunque cosa interessasse loro, gli adulti affannavano dietro al lavoro, ai figli, a mogli e mariti. Mentre la vita scorreva frenetica, lei camminava lentamente per la sua via; lo sguardo nel vuoto, la treccia ondeggiante lungo la schiena con un ritmo quasi ipnotico. Era così estranea.
~
|Remake di "The dreamer girl|OC, Kidou Yuuto, Goenji Shuuya, Fubuki Shirou, Fudou Akio|triste|
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seth's corner: Salve di nuovo, miei cari lettori. Mi scuso immensamente per il ritardo di una settimana, ma questi ultimi giorni sono stati davvero devastanti, questo è stato il mio primo giorno completamente libero da ogni impegno da tipo quattordici giorni. Ed io sono una persona pigra. Comunque, dato che non volevo prolungare ancora il mio ritardo, non ho speso il tempo che impiego di solito nella revisione, per cui potrebbero esserci degli errori. Se li trovate, fatemeli pure notare, ne sarò più che felice.
Angolino di spam, entro sabato prossimo pubblicherò anche una one shot originale fantascientifica, se vi piace il genere, che è anche uno dei motivi che ha aggravato il mio ritardo con questo capitolo. Se vi andrà di venirmi a fare una visitina, ne sarei davvero felice!
Questo capitolo è più corto del precedente, ma sono riuscita a renderlo almeno della lunghezza minima che mi ero prefissata, per cui sono fiera di me. Ci saranno un paio di rivelazioni un po' piccantelle, ahah, e diversi fattacci. Ma ora basta anticipazioni, andiamo con la solita burocrazia di rito. La canzone del capitolo è Divide, ancora una volta dal mio amato RWBY, vi chiedo scusa. Per l'immagine, invece, non ho crediti da darvi, perché è stata scattata da me, con l'aiuto della cara Selena, che è una delle buone anime che sopporta i miei continui dubbi da scrittrice. Oh, e mi scuso per le mie mani abbastanza femminili e le unghie con lo smalto più che evidente.
Per il prossimo capitolo, non so se riuscirò ad averlo pronto per sabato e riprendere così il ritmo iniziale di pubblicazione, dipenderà tutto da quanto tempo mi prenderà la revisione e perfezionamento della one shot sopracitata. Farò del mio meglio. 
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, sarei davvero felice se mi lasciaste un vostro parare, positivo o negativo che sia! 
~Seth

 
Chapter 4  Tenshi's affections

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Strinse le ginocchia al petto, poggiandovi le labbra, gli occhi fissi sulle acque di fronte a sé. Non sarebbe dovuta finire al fiume, come si ripeteva da ormai un quarto d'ora, eppure una strana curiosità le suggeriva di tentare di conoscere la magia che sembrava impregnare quelle sponde. Scrutava lo specchio placido, in cerca di risposte che forse non avrebbe mai avuto. 
– Sei davvero tu.
Quelle parole, mormorate a mezza voce da una persona alle sue spalle, la riscossero dai suoi fitti pensieri, facendola sussultare. Si voltò di scatto, rabbrividendo nell'inchiodare lo sguardo in quello blu scuro di Haruna Otonashi. Scattò in piedi, come colta in fallo, sussurrando il suo nome. Si mosse come per fare un passo avanti, ma subito si immobilizzò nel mezzo di tale atto, non sapendo cosa fare. Le dita iniziarono a tremarle mentre veniva assalita da fantasmi del passato, le pose fra le pieghe della gonna, strette intorno alla stoffa.
Per la seconda volta, il suo nome le aleggiò sulle labbra, in un sussurro talmente flebile che assai probabilmente non l'aveva potuto udire. 
– Sei rimasta accanto a mio fratello per tutto questo tempo, non è così? Grazie. – sorrise, Tenshi ebbe l'impressione che il suo cuore si fosse stretto e contorto su se stesso per un'istante. 
– Ti sbagli, io non sono la persona forte che credi. – un lieve sorriso stanco adornò le sue labbra pallide. – È stato Kidou a salvare me. 
– Credo sia stata più una cosa reciproca. – mosse un passo nella sua direzione, portandola a fremere per una frazione di secondo. 
– Aveva più bisogno di te di quanto non ne avesse di me, tu sei sua sorella.
Haruna scosse la testa, guardandola teneramente, come fosse ancora la bambina di una volta e lei fosse stata l'unica ad essere cresciuta. – Tenshi, tu sei importante per lui, lo sento. Ti voleva bene già quando eravamo tutti e tre insieme, in quell'orfanotrofio, ora non mi stupirei se avessi un posto ancor più grande del mio, nel suo cuore. 
– Non è passato giorno che lui non abbia pensato a te, Haruna. – i suoi tremori erano ormai flebili, ma la sua voce era incerta. 
Il sorriso dolce della ragazza dai capelli color oceano si estese ancor più, gli occhi le brillavano, mentre le si avvicinava. Alzò le braccia, ponendole intorno al suo collo ed attirandola contro di sé, in un caldo abbraccio, di quelli che non riceveva da anni. Sentiva il suo cuore battere contro il proprio petto, il mento poggiato sulla propria spalla, il suo respiro sul collo, percepiva il suo calore riscaldare la sua pelle fredda come neve. 
– E tu, ci hai pensato mai a me?
Tenshi nascose il viso tra i suoi capelli, morbidi ancor più di quanto non ricordasse, e si aggrappò alla sua schiena, stringendo fra le dita il tessuto leggero della sua camicetta. Si premette contro di lei, soffocando un gemito di frustrazione, e la strinse forte, in cerca di un affetto e di un calore che da troppo tempo ormai non riceveva. Sentì la sua mano posarsi sul retro della sua testa ed accarezzarle lentamente i capelli. Le ginocchia le tremarono e sembrarono cederle per un secondo, ma Haruna la tenne a sé. 
Non sono poi così sola, dopotutto. 
Passarono diversi istanti, prima che allentasse la presa intorno al suo corpo minuto - ma mai quanto il suo -, rivolgendole un piccolo sorriso, in gesto di silenzioso ringraziamento. Nella mente le sembravano rimbombare gli echi delle prime parole che si erano scambiate, da bambine. 

Tu sei quella che non piange mai.
E tu quella che piange sempre.
Perché sei qui da sola?
Noi siamo tutti soli, noi siamo i bambini sbagliati, quelli che nessuno vuole. Tu perché stai sorridendo?


Piegò la testa da un lato, allontanandosi da Haruna di un passo. 
– Prenditi cura di Kidou, quando io non potrò farlo. – raccattò la borsa da terra e, rivoltole un ultimo sorriso, si allontanò di corsa, prima che potesse fermarla per chiedere spiegazioni. 

Il vociare dei tifosi le sembrava quasi ferirle le orecchie, come la stessero graffiando, quello stadio era decisamente troppo pieno. L'aura di allegria che si espandeva ovunque non faceva altro che alimentare la sua agitazione, ogni volta che udiva uno strepitio più forte degli altri o che qualcuno la sfiorava. Strinse la borsa fra le mani, con forza, quando vide un bambino schizzare in piedi con un urlo, proprio accanto a lei. Odiava essere lì, in mezzo a tutta quella folla, odiava essere lì da sola. 
Gli altri studenti della Teikoku che si erano presentati erano parecchie file più indietro rispetto a lei, e necessitava di una posizione strategica per poter studiare i futuri avversari della loro squadra. Si sarebbe dovuta sorbire tutta la cerimonia di inizio dei nazionali completamente da sola. Tutto questo perché era volutamente arrivata lì molto prima del tempo per non trovarsi costretta nel bel mezzo della calca all'ingresso. Decise, per ingannare il tempo, di estrarre dalla borsetta il suo piccolo quaderno nero e lucido, sfogliando le pagine su cui aveva frettolosamente segnato tutte le informazioni sulle altre squadre. Il suo lavoro era stato minuzioso, di ciascuna scuola aveva scritto i punti di forza e quelli invece deboli, le strategie maggiormente usate, oltre ad eventuali dati aggiuntivi sui singoli giocatori. Il tutto ordinatamente trascritto sui fogli bianchi come il latte.
Quando finalmente la cerimonia ebbe inizio, sentì di poter tirare un sospiro di sollievo, sebbene la folla iniziò, prevedibilmente, ad essere ancor più chiassosa ed esaltata. Sollevò lo sguardo sui ragazzi che sfilavano, in file compatte e perfette, correlando ciascuno di essi alle informazioni in suo possesso. Era estremamente interessante per lei poterli vedere, studiare il loro fisico per provare a delineare molto sommariamente le loro abilità generali, come intensità di tiro o velocità. Era completamente assorta nel suo lavoro, i suoi occhi continuavano a saettare dallo stadio all'inchiostro impresso nelle pagine poggiate sulle sue gambe, la penna le roteava fra le dita di una mano, la fronte lievemente aggrottata.
Tutto proseguì senza intoppi, almeno fin quando non si giunse alla proclamazione dell'ultima squadra, la Zeus, iscritta all'ultimo momento, su cui non era riuscita ad ottenere alcun dato. Era davvero curiosa nei loro confronti, era la prima volta che le capitava di non trovare neppure alcuna traccia di una squadra, nonostante le sue accurate ricerche. Inoltre, aveva una strana sensazione; ultimamente quel genere di sensazioni sembravano non volerla abbandonare. Alzò gli occhi bigi per osservare come potessero essere dei ragazzi dalla forza, presumibilmente, tanto devastante da essere stati invitati a partecipare alle nazionali, pur non avendo partecipato ad alcun torneo regionale. Eppure, quando terminò di compiere quel gesto, incontrò solo l'erba del campo. Non si erano potuti presentare, annunciarono.
Nell'attimo di silenziosa confusione che si era creato tra gli spettatori, sorpresi di tale avvenimento, ne approfittò per riporre quaderno e penna e schizzare verso l'uscita. Voleva dirigersi all'esterno dell'edifizio ed attendere la sua squadra lì, al riparo da ulteriori masse, prima che queste ultime potessero iniziare ad avviarsi fuori a loro volta. Odiava la sensazione di essere pigiata fra altre persone, quasi soffocata da esse.
– Staresti molto meglio se ti sciogliessi i capelli. 
Si voltò, all'udire una voce a lei sconosciuta. Si aspettava di incontrare lo sguardo di un ragazzo di quelli tipici, che si credono al centro del mondo, che volesse approcciarla. Rimase, invece, stupita di incontrare quello color cremisi di una figura dai tratti tanto eleganti da ingannarla per un istante, facendole credere appartenessero ad una ragazza. I muscoli più che evidenti oltre le maniche della maglia da calcio, però, smentirono questo iniziale errore. 
– Non seguo consigli di bellezza da un ragazzo che ha i capelli più lunghi perfino dei miei. – ribatté, osservando la chioma bionda che morbidamente ricadeva sulla schiena del suo interlocutore, fino a poco sopra il termine delle natiche, pochi centimetri più lunghi dei suoi, di colore invece argenteo.
– Touché. – il ragazzo sorrise, ma nella curva delle sue labbra sottili e piene vi era un che di inquietante.
– Chi sei? – mosse un passo nella sua direzione, portando nuovamente lo sguardo sul suo volto, con decisione. 
– Se il mio nome è tanto importante, ebbene è Afuro Terumi; se preferisci, però, puoi chiamarmi Aphrodite. – esibì un occhiolino fin troppo magnetico, uno di quelli che avrebbe fatto tremare le ginocchia a qualunque ragazzina della sua età, ma con lei ciò non avvenne. 
Alzò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto e spostando il peso sulla gamba sinistra. Il suo atteggiamento aveva ottenuto in tutto e per tutto un tono di sfida.
 – Sono il capitano della Zeus.
– Capisco, così le cose si fanno interessanti. – sulle sue labbra si estese un sorriso provocatorio. – Dunque, chi ti manda da me, Aphrodite?
– Kageyama Reiji. 
Sbattè le palpebre, per poi scoppiare in una risatina, coprendosi la bocca con la mano in maniera quasi frivola. Assottigliò le palpebre, l'espressione che campeggiava sul suo viso aveva un che di vittorioso, e poteva dirsi persino più inquietante di quella della persona di fronte a sé.
– Ah, così siete voi l'arma segreta di Kageyama? Andiamo, allora, Aphrodite, sono davvero curiosa di scoprire come siete e come giocate. 

Disumano. Tutto ciò che poteva pensare, guardando quei ragazzi giocare, era ciò. Disumano ciò a cui avevano costretto quei poveri ragazzi di tredici o quattordici anni, disumana la forza con cui riuscivano a scagliare i palloni contro qualsivoglia obbiettivo, disumano il modo in cui i loro muscoli erano costantemente in tensione. La rabbia e lo sconcerto erano tali che si era ritrovata ad infilzare le unghie nella stessa carne delle sue minute braccia, nonostante il suo viso rimanesse impassibile. 
– Che cosa ne pensi dei miei ragazzi, Tenshi? – una figura allampanata si fece avanti al suo fianco, non aveva bisogno di alzare lo sguardo per capire a chi appartenesse quella voce viscida e dal tono così malsanamente soddisfatto. 
– Mi chiedo come tu possa continuare a vivere senza un cuore, Kageyama. 
Una risata roca si sparse nell'aria densa di tensione e sudore, che non fece altro che alimentare la fredda rabbia nel suo cuore. 
– Chi pensi me l'abbia tolto? 
– Tu. – si voltò verso di lui, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, fissando con ostilità quelle lenti scure che nascondevano lui stesso da tutto il mondo, più che solo i suoi occhi, come fossero uno scudo con cui si riparasse. 
Una seconda risata.
– Sei davvero unica, piccoletta. 
– Dunque è questo ciò che vuoi? Sfruttare questi ragazzi per le tue egoistiche manie di vittoria? Portarli a distruggersi pur di soddisfare il tuo ego? – lo attaccò, ferendo la propria carne per la pressione che le sue stesse unghie esercitavano sulle sue mani, nel tentativo di reprimere l'istinto di colpirlo.
– Tu non puoi capirmi. – ribattè egli prontamente, i muscoli delle sue braccia ebbero un guizzo.
– Posso, invece, ma ciò che fai va oltre il comprensibile e non può essere scusato. La prima partita della Zeus sarà con la Teikoku, cosa vuoi fare, eh, schiacciare la tua stessa squadra, i ragazzi che tu stesso hai allenato e cresciuto?
– Loro mi hanno voltato le spalle, non mi hanno voluto più come loro allenatore, non sono più la mia squadra ora, solo una come un'altra. Li schiacchieremo come faremo con tutti gli altri. 
Tenshi represse un urlo, serrando le labbra e fremendo per alcuni istanti, ogni tendine teso. Si lasciò sfuggire un verso inarticolato, voltandosi di scatto verso il campo, incrociando le braccia al petto in un irrefrenabile moto di stizza. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma a frenarla era principalmente il fatto che il suo fisico esile contro il suo di uomo maturo non avrebbe potuto nulla. Prese un profondo respiro, socchiudendo gli occhi, poi un altro, tentando di calmarsi.
Riportò lo sguardo sul campo, su Afuro che con una sicurezza ed un'eleganza disarmante sfrecciava sull'erba verde e curata. Se pensava a come si stava distruggendo per il volere di quel vecchio pazzo le veniva voglia di prendere a pugni entrambi. Serrò le dita intorno ad una bottiglietta d'acqua, notando che si allenavano senza sosta da quasi un'ora. Si avvicinò con calma al capitano della squadra, tenendo la mano con cui la teneva verso il suo petto, fissando gli occhi nei suoi, interrogativi e confusi. 
– Avete bisogno di rimanere idratati, state andando avanti da troppo tempo. – mentre pronunciava quelle parole la sua espressione rimase immutata, le pupille fisse e neutre. 
– Come siamo affettuosi, bambolina. – disse egli, sorridendo e prendendo la bottiglia, poggiandovi le labbra ed inclinandola. – Quando vuoi sai essere adorabile. 
Tenshi recuperò la bottiglia dalle sue mani, muovendosi per andarla a riporre, ma venne fermata nuovamente dalla voce di Terumi.
– Non preoccuparti tanto degli altri, quando trascuri te stessa.
– Ti sbagli. – si voltò, guardando nuovamente in quegli occhi cremisi. – Io non posso far nulla per me stessa più di quanto non stia già facendo, tutto il mio tempo andrebbe sprecato se non mi preoccupassi per gli altri.
Una risata si liberò dalla gola del ragazzo, una risata limpida, melodiosa. Pensò che avrebbe avuto una voce meravigliosa, se si fosse dato al canto, ma poi ricordò che la sua ambizione era quella di dominare un campo da calcio, non un palcoscenico.
– Già, adorabile. 
Ripose la bottiglia da cui egli aveva bevuto, distribuendone altre agli altri giocatori. Non si sorprese nel notare che Kageyama era scomparso, probabilmente si era allontanato silenziosamente, col suo solito ghigno irritante ad adornargli le labbra scarne. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, lievemente tremanti di rabbia. Le strinse in una morsa serrata, mentre tornava a bordo campo, a scrutare con impotenza e compassione quei ragazzi che davano tutto loro stessi, perfino la loro salute, per i desideri di quell'uomo ingrato e crudele.

Sbloccò in maniera quasi maniacale lo schermo del telefono, corrucciando la fronte nel notare che non aveva ricevuto messaggi. Scorse la rubrica, fece partire una chiamata. Non raggiungibile. Scagliò il telefono accanto a sé sul letto, con stizza, poggiando la mano destra sul proprio ventre e e fissando il soffitto nella penombra. Erano passati due giorni dalla cerimonia di inizio del torneo nazionale, quel giorno stesso si era giocata la prima partita, fra Raimon e Senbayama. Di Tenshi si era persa ogni traccia. Avrebbero dovuto incontrarsi fuori dallo stadio, al termine della parata, ma lei non era lì. L'avevano chiamata, le avevano mandato messaggi, nulla. Scomparsa. Era così preoccupato.
Sospirò, afferrando un cuscino ed affondandoci le unghie, stringendolo fin quasi a strapparlo. Doveva vederla, doveva sapere che stava bene. Quell'attesa impotente lo devastava. Per un solo istante gli sfuggì un sorriso amaro quando gli volò per la mente il pensiero che ora sapeva cosa provasse la sua amica. 
Scagliò verso l'alto il pezzo di stoffa imbottita che teneva fra le mani, facendolo ricadere sul proprio viso. Se lo premette contro la bocca soffocando un grido di frustrazione. C'erano due persone in particolare per cui avrebbe dato la sua vita: Haruna e Tenshi, non riusciva a sopportare che una di loro potesse essere in pericolo e di non poter far nulla.
Il cellulare, accanto a lui, emise il flebile squillo che annunciava l'arrivo di un messaggio. Il cuore gli salì in gola, mentre a tentoni arrivava ad afferrarlo. Quase temette un colpo al cuore, quando lesse il nome che campeggiava sullo schermo.
Tenshi.
Lo sbloccò con dita tremanti. 
"Non ti preoccupare."


 
   
 
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