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Autore: Adeia Di Elferas    30/04/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ La mattina era fresca, resa frizzante dal temporale che si era protratto per tutta la notte.
 Forlì si era risvegliata sotto a un sole tranquillo, un po' pallido, unico re di un immenso cielo di un azzurro tenerissimo e leggero.
 Caterina non aveva chiuso occhio per tutta la notte e così, alle prime luci dell'alba, aveva cominciato a vagare come un'anima in pena per la rocca. Aveva così potuto vedere il momento preciso in cui la pioggia aveva smesso di cadere, anche se la fine del temporale non aveva placato la tempesta che le si agitava nell'anima.
 Non riusciva a credere di essere stata tanto avventata da baciare il fratello del suo castellano. E poi era anche scappata. Senza una parola, una spiegazione. Senza nemmeno chiedergli di mantenere il riserbo.
 Non c'era stato nulla di male, ma se una voce del genere fosse uscita dalla rocca, lei sarebbe subito stata travolta da una nuova ondata di malignità. Avrebbero detto che un solo amante non le bastava, che il castellano era evidentemente troppo vecchio e che il fratello minore le era sembrato un degno sostituto...
 La sua posizione era ancora precaria e i pettegolezzi l'avrebbero screditata presso tutte le corti italiane, rendendole più difficile trovare alleati e interlocutori in caso di bisogno.
 Con queste agitazioni, appena la rocca cominciava a rianimarsi per dare inizio a una nuova giornata, Caterina uscì per dirigersi alla barberia di Andrea Bernardi. Non ci era più andata e non sapeva spiegarsi il perché.
 Con il grande servizio che il Novacula le aveva reso durante i giorni della ribellione, avrebbe dovuto andare a visitarlo molto prima, per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei, visto che senza il suo aiuto di certo la rivolta degli Orsi sarebbe finita molto diversamente.
 Così approfittò di quell'espediente per lasciare Ravaldino, evitando così a prescindere un fortuito incontro con Giacomo Feo.

 “Oh, ma dove hai la testa, oggi?!” sbottò Tommaso Feo, guardando il fratello che stava con gli occhi fissi verso il muro.
 Giacomo deglutì e spostò lo sguardo sul castellano: “Niente... Stavo solo pensando a una cosa...”
 Tommaso scosse il capo, innervosito e contrariato. Giacomo era stato promosso senza motivo e dimostrava giorno dopo giorno di non avere nessuna attitudine per il compito, né di nutrire alcuna aspirazione per il futuro.
 Era inaudito che uno stalliere si facesse dire continuamente le stesse cose, prendendo ordini dal castellano, anche quando avrebbe dovuto sapere da solo cosa fare e quando.
 Giacomo avrebbe voluto dar retta al fratello maggiore, ma era quello il punto preciso in cui la sera prima la sua signora lo aveva preso per un braccio, per poi baciarlo.
 Che ne poteva sapere, Tommaso, dei pensieri e dei ricordi che lo stavano attraversando in quel momento?
 “Vedi di finire il lavoro entro mezzogiorno, chiaro?” fece Tommaso, esasperato dallo sguardo perso del fratello: “Ora devo andare a parlare con il bargello, ma tu fa' il tuo lavoro, va bene?”
 Giacomo annuì appena, ben felice di lasciar andare Tommaso dal bargello. Non aveva più voglia di sentire la sua voce. Gli dava ordini, lo rimproverava, gli intimava di tornare presente a se stesso.
 Ma che ne sapeva lui? Che poteva saperne, di quello che Giacomo si sentiva addosso? Che poteva saperne di quel sapore e di quel profumo che non lo volevano lasciare? Che ne poteva sapere lui di quel calore che gli bruciava le viscere e gli infiammava il cuore? Che ne sapeva lui...

 Andrea Bernardi aveva aperto la barberia di buon'ora, come sempre. Non si aspettava di avere il pieno di clienti, ma sperava di poter intercettare qualche forlivese particolarmente mattiniero che, non trovando nessun altro barbiere disponibile a quell'ora, decidesse di fermarsi da lui.
 Così si era messo sulla porta, giocherellando con il rasoio e annusando l'aria che sapeva di terra bagnata.
 Trasecolò, nel vedere una donna che si avvicinava a passo rapido alla sua bottega. Era la Contessa e sembrava diretta proprio alla sua barberia.
 Anche i pochi passanti che transitavano in quel momento guardavano incuriositi Caterina, riconoscendola ormai senza alcun problema. Se anche prima della rivolta degli Orsi il suo viso era noto quasi a tutti per le sue numerose passeggiate in città, la sua scenetta sulle mura di Ravaldino l'aveva resa definitivamente un volto noto a tutti.
 “Mia signora.” salutò Andrea Bernardi, stando un pochino sul sostenuto.
 Ormai non se l'aspettava più, una visita della Contessa. Anche se ci aveva sperato tanto, quel ritardo di oltre due mesi dalla fine della ribellione gli fece pensare che sotto a quella decisione della sua signora si nascondesse qualcosa.
 “Caro Bernardi...” rispose Caterina, con un sorriso che le moriva sulle labbra, davanti alla freddezza del barbiere.
 L'uomo fece un breve cenno con il capo, quasi a dire che per lui la chiacchierata poteva concludersi anche subito, senza alcun problema.
 Caterina fece finta di non notare quel gesto e chiese: “Disturbo? Possiamo entrare un momento?”
 Il Novacula sospirò, mantenendo un atteggiamento molto sostenuto e le indicò la porta, lasciando che entrasse per prima: “Prego.”
 Caterina entrò nella barberia e attese con pazienza che Andrea chiudesse la porta e le arrivasse al fianco.
 “Come vanno gli affari?” chiese la Contessa, guardandosi in giro e ricordandosi come, anche a quell'ora, di solito la barberia del Novacula fosse sempre piena di gente.
 Andrea alzò un po' le spalle e disse, semplicemente: “Come sempre.”
 Quella palese bugia, buttata lì con tanta noncuranza, fece capire a Caterina che aveva davvero aspettato troppo per far visita a quel suo prezioso amico.
 “Non mentitemi, Andrea.” provò a dire la donna, a voce bassa: “Tra noi siamo sempre stati sinceri.”
 Il Novacula strinse i denti, annuendo leggermente: “Avete ragione. Ebbene, ho avuto una leggera flessione degli introiti.”
 “Di quanto?” domandò la Contessa, improvvisamente preoccupata per la stabilità economica del barbiere.
 “Difficile dirlo. Diciamo che mi va bene quando sbarbo cinque persone in un giorno.” rispose Andrea, con un sorrisetto amaro che la diceva più lunga di mille altre parole.
 “E come mai?” fece Caterina, accigliandosi.
 “Non saprei.” disse Bernardi, incrociando le braccia sul petto: “Vedete, spesso ad alcune cose non si trova un senso, perchè, banalmente, il senso non c'è. Certe cose capitano e basta.”
 Caterina ascoltò quelle parole con un trasporto molto particolare. Per lei non era una regola che si applicava bene solo agli affari, ma a tutto. Lei stessa aveva provato a trovare un senso a quello che aveva fatto la sera precedente. Ci aveva speso dietro una notte intera, eppure il senso non l'aveva trovato.
 “Oh, quanto avete ragione...” sospirò, mettendosi a sedere laddove avrebbe dovuto esserci un cliente.
 Bernardi non diceva nulla, restava ritto in piedi, rigido, il volto inespressivo e gli occhi impassibili.
 “Comunque vi farò avere del danaro con cui bilanciare le perdite che avete subito.” fece Caterina, rialzandosi in piedi, improvvisamente a disagio: “Se questo crollo degli affari è stato in concomitanza con la congiura degli Orsi, il minimo che posso fare è farmi carico dei vostri ammanchi...”
 “Ma che state dicendo...?” bisbigliò il Novacula, incredulo: “Voi non c'entrate assolutamente nulla.”
 “Non vi ho mai ringraziato per quello che avete fatto per me e per la mia famiglia quando al governo c'era Savelli.” proseguì Caterina, come se non lo avesse sentito: “Questo è il minimo che posso fare. Siete stato un amico prezioso e non sono ancora stata in grado di ripagarvi per il rischio che vi siete accollato in quei giorni. Senza di voi, io sarei morta in quella cella, su questo non ho dubbi.”
 “Non credo che vi avrebbero uccisa.” rispose Andrea, il cui tono principiava a sciogliersi un pochino.
 “E invece dovreste. Fallite tutte le trattative, alla fine mi avrebbero uccisa, magari fingendo che fossi morta per un tragico incidente.” spiegò Caterina: “Se non mi aveste dato il vostro appoggio, se non aveste messo a repentaglio la vostra stessa vita, ora io sarei sotto terra, come mio marito.”
 Andrea Bernardi tossicchiò un paio di volte, in parte lusingato da quelle parole e in parte ancora guardingo.
 Caterina gli appoggiò con delicatezza una mano sulla spalla: “So che torneremo a essere buoni amici.” gli disse: “Lo siamo sempre stati.”
 Il Novacula annuì con forza, e, solo quando intuì che la Contessa stava per andarsene, trovò il coraggio di chiedere: “Avremo modo di rivedere ancora spesso il signor Ordelaffi in città?”
 Caterina riconobbe nel suo sguardo quella luce che lo animava quando si trattava di andare a caccia di notizie fresche per le sue cronache forlivesi. Decise di stare al gioco e di dargli quel contentino, sicura che quell'uomo non avrebbe mai usato quella notizia contro di lei.
 “Per un po', ma sempre più di rado.” disse.
 “Vuole sposarvi?” indagò Andrea, mentre il suo viso si rianimava e la sua voce tornava allegra come sempre.
 Caterina alzò un sopracciglio: “Credo di sì, ma non ha nessuna possibilità.”
 “Come mai? Il posto è già occupato?” sorrise Andrea, credendo di fare una battuta di spirito alla quale entrambi avrebbero riso.
 Invece Caterina si fece appena più seria e rispose: “In un certo senso.”
 Il Novacula stava per porre altri quesiti, più precisi e mirati, quando la porta della barberia si aprì ed entrò un uomo di una certa età. Questi si bloccò, nel vedere la Contessa e farfugliò qualcosa sul fatto che sarebbe tornato più tardi.
 “Assolutamente no. Il miglior barbiere di Forlì è pronto a servirvi, io tolgo subito il disturbo.” si affrettò a esclamare Caterina, salutando Andrea con un cenno della mano.
 Appena si fu liberato dell'anziano cliente, il Novacula si affrettò ad andare nel retrobottega. Prese le sue cronache forlivesi e tirò una rigaccia su tutta una pagina, scritta appena la sera prima. In quelle righe condannava aspramente la Contessa e la sua intenzione si sposarsi con Antonio Maria Ordelaffi, accusandola di non voler rispettare il periodo di lutto e di volersi sottomettere a un uomo incapace e prepotente.
 Era stato il rancore a dettargli quella pagina, perciò doveva farla sparire. Riscrisse il tutto con un tono più pacato, aggiungendo qualche dubbio in più e giustificando alla bell'e meglio le visite dell'Ordelaffi in Forlì. Non fece cenno a un possibile rivale del pretendente, ripromettendosi di riscrivere anche una terza versione dei fatti, appena il quadro gli fosse stato più chiaro.

 Caterina tornò alla rocca di Ravaldino che era quasi sera. Era stata fuori tutto il giorno per sfuggire all'istinto insano che la voleva trascinare nelle stalle, a cercare di nuovo Giacomo.
 Quando il sole stava calando, Tommaso Feo la vide mentre attraversava lentamente il ponte levatoio. La tenne d'occhio fino a che non fu dentro alla rocca e poi si mosse per riuscire a scambiare con lei due parole, prima che si ritirasse nella sua stanza di buon'ora, come faceva spesso, da quando i figli erano a Imola.
 “Mia signora!” la chiamò, per farla voltare.
 Caterina riconobbe la voce del castellano e si fermò, sperando che si trattasse di una cosa veloce. Di tutti gli uomini che vivevano a Ravaldino, Tommaso era l'ultimo che desiderava incontrare quel giorno.
 Il castellano la raggiunse e le disse, rapidamente: “Pare che il papa si stia per decidere a concedere a vostro figlio la carica, ma prima vuole un atto di buona volontà da parte vostra.”
 “Non rilascerò Savelli solo perchè il papa promette di firmare qualche foglio di pergamena.” ribattè subito Caterina, scartando l'idea sul nascere.
 “Basterà una vostra parola, lo potrete liberare anche dopo aver ricevuto i documenti.” precisò Tommaso, cercando di farsi tornare in mente le esatte parole della lettera arrivata quel pomeriggio.
 Caterina aggrottò la fronte, sorpresa dal fatto che il papa cedesse improvvisamente così facilmente, ma non era il caso di stupirsene troppo. Dietro Innocenzo VIII doveva esserci qualcuno, magari Ascanio o anche quel maledetto Borja...
 Nel primo caso, si trattava sì di un piacere interessato, ma comunque interno alla famiglia, mentre nel secondo...
 Caterina scosse il capo, e schiuse le labbra, ma dei passi la distrassero.
 Alla spalle di Tommaso, da uno degli alloggi della truppa era appena uscito Giacomo. Spettinato, coi vestiti sporchi di polvere e fango e dei finimenti nella mano.
 Tommaso aveva visto che la Contessa di era come paralizzata, così si girò per vedere cosa o chi fosse la causa di quella reazione repentina. Si trovò davanti suo fratello, Giacomo, che teneva gli occhi fissi sulla Contessa, senza nemmeno vederlo.
 Tommaso si sentì improvvisamente di troppo.
 Quando tornò a spiare le reazioni della Contessa, la trovò rossa in viso, gli occhi bassi e le mani strette l'una nell'altra. Un secondo sguardo anche a Giacomo e Tommaso vide un quadro molto simile.
 Cos'era successo tra quei due?
 “Ci... Ci penserò e vi farò sapere la mia decisione, così potrete scrivere a Roma.” rispose in fretta Caterina, girando sui tacchi, cominciando a camminare senza una meta, perchè ciò che contava era allontanarsi da quella temibile tentazione.

 Innocenzo VIII appose la sua firma sul dodicesimo sottilissimo foglio di pergamena con cui conferiva a Ottaviano Sforza Riario il titolo di Conte e di signore di Imola e Forlì, estendendo quel privilegio a tutti i suoi successori, fino all'estinzione della sua linea di sangue.
 Era il 18 luglio del 1488, erano passati tre mesi dalla morte di Girolamo Riario. Era buon tempo di mettere a tacere ogni illazione e ogni recriminazione a Forlì. Con quei dodici fogli, Innocenzo VIII sentiva di aver pacificato per molti anni una città che gli aveva fatto passare terribili notti insonni.
 Era arrivata anche una lettera scritta dal castellano di Ravaldino su ordine della Contessa Sforza Riario con cui ella si impegnava a rilasciare Monsignor Savelli appena ricevuti i preziosi documenti che legittimavano sia lei sia suo figlio.
 “Avete fatto la cosa giusta.” commentò Rodrigo Borja, raggruppando le pagine e controllando che tutto fosse in ordine: “Farò avere presto questo prezioso incartamento alla Contessa e ne invierò una copia anche al Cardinale Sansoni Riario, che al momento è a Imola con il Conte Ottaviano.”
 Innocenzo VIII annuì, con scarso interesse. Da quel momento lui se ne lavava le mani. Che di Forlì si occupasse quella donna, non lui.
 “Paolo Orsini?” chiese il papa a Rodrigo.
 Borja fece un breve sorriso: “Si è stanziato a Piardo. Si assicurerà che non ci siano ritorni di fiamma dei Bentivoglio a Faenza e poi tornerà a Roma, credo.”
 Innocenzo VIII annuì di nuovo, con appena un po' più di vigore: “Sono molto sodisfatto dal servizio che ci ha reso contro Giovanni Bentivoglio. Senza di lui, Faenza sarebbe caduta in mano ai milanesi...”
 Rodrigo Borja guardò un momento il papa, chiedendosi se quell'uomo dal pronunciato doppio mento avesse avuto il suo stesso pensiero, nel sentire come Paolo Orsini si era scagliato contro le ultime rappresaglie bolognesi a Faenza. Quel mercenario era stato al fianco della Contessa Riario, durante i difficili giorni della presa di Castel Sant'Angelo e poi, nel giro di pochi anni, si era trovato a combattere contro i Bentivoglio, fedeli araldi degli Sforza...
 “Sa fare il suo mestiere.” disse semplicemente Rodrigo, in risposta al commento del papa.
 Innocenzo VIII sospirò e pregò una serva di portargli qualcosa da mangiare.
 'Ingozzati pure – pensò Borja, mentre lasciava il papa con un ossequioso inchino – che ti vada di traverso qualcosa, così finalmente potrò sedermi al tuo posto, vecchio rottame...'
 
 “Genova cadrà. Le truppe di tuo zio sono troppo forti. Tuo zio è troppo potente...” disse Fregosino, mettendosi a sedere sul letto, le mani sulla fronte e lo sguardo perso nel vuoto: “Anzi, magari è già caduta e noi ancora non lo sappiamo...”
 Chiara Sforza si avvicinò al marito, massaggiandogli premurosamente la schiena: “Non dire così. Non puoi saperlo. I genovesi non si lasceranno conquistare tanto facilmente.”
 Fregosino la guardò di sottecchi: “Lo sai che la metà delle famiglie nobili di Genova sono già in suo pugno. Solo mio padre e pochi altri vogliono resistere. Ma è una guerra persa in partenza.”
 Chiara sospirò, rimettendosi coricata. Il caldo di quelle notti le toglieva il fiato. Per chiudere fuori le cattivissime zanzare dell'Oltrepò, poi, tenevano tutte le finestre chiuse e così non potevano rinfrescarsi nemmeno un po' con la brezza della notte.
 Fregosino si passò una mano sul collo, si grattò la barba scura e poi si mise accanto alla moglie, stringendola con forza a sé. Malgrado il caldo, non riusciva a starle lontano. Dipendeva completamente da lei, non gli importava se stando così abbracciati avrebbero sentito di più il morso rovente dell'estate. Se il suo destino era sciogliersi tra le braccia della sua donna, l'avrebbe accettato con gioia.
 “Tu vuoi stare accanto a tuo padre, vero?” chiese piano Chiara, mentre Fregosino cominciava a baciarle lentamente il collo.
 L'umo si fermò un istante, poi sussurrò: “Non posso chiederti di tradire la tua famiglia per seguire me.”
 “Sei tu la mia famiglia, adesso.” controbatté Chiara, afferrando il marito per le spalle: “Daremo battaglia a mio zio e se dovessimo essere sconfitti, scapperemo. Andremo in capo al mondo, non mi interessa dove. Basterà stare insieme.”
 Fregosino le sorrise e ricominciò a baciarla e sfiorarle la pelle sottile e imperlata di sudore, chiedendosi come mai era stato tanto fortunato da incontrare quella donna sul suo cammino.

   
 
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