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Autore: Darkrystal Sky    30/04/2016    1 recensioni
MULTI-CROSSOVER FIC Conoscete tutti la storia di Edward e Alphonse Elric, ma quanto cambierebbe questa se le persone che hanno incontrato durante il loro viaggio non fossero le stesse? Se il Viaggio tra Dimensioni parallele fosse di dominio pubblico e il Multiverso fosse al centro di una faida millenaria?
La storia di Fullmetal Alchemist come non l'avete mai vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6 - Percorsi

Many times I've been alone and many times I've cried,
Anyway you'll never know the many ways I've tried.
And still they lead me back to the long and winding road.
You left me standing here a long, long time ago.
Don't leave me waiting here, lead me to your door.

The Beatles - ‘The Long and Winding Road’
 
“È stato davvero Mustang a reclutarvi, allora...” rifletté Oriel. “Cosa gli è saltato in mente di proporre a due ragazzini di diventare Alchimisti di Stato, poi?” continuò, sfogliando il libro che Al le aveva restituito. Per essere il loro “primo libro di alchimia” era piuttosto avanzato, constatò tra sé e sé.
“Eri una ragazzina anche tu quando hai fatto l’esame, o sbaglio?” ribatté Edward aspramente.
“Sì, ma ero già un soldato. Cadetto dell’accademia militare, per la precisione” replicò lei. “Ed ero arrabbiata con la biblioteca di Central City”.
Central City, capitale di Amestris, Shambala. Anno 1911.
Oriel sapeva che, con il suo comportamento, stava facendo preoccupare il giovane bibliotecario di Central City. Aveva sempre evitato di guardarlo direttamente, per il timore che lui le si avvicinasse e attaccasse bottone, ma con la coda dell’occhio aveva notato che l’uomo si fermava spesso a osservarla, la maggior parte delle volte da dietro un libro per non farsi vedere. Forse era sorpreso dal fatto che lei si fosse praticamente trasferita nell’ala consultazione della Biblioteca, visto che restava lì dall’ora di apertura fino all’ora di chiusura. Forse era irritato dal fatto che, da sola, occupava un intero tavolo, disseminandolo di decine di volumi aperti. Magari era confuso dal fatto che dimostrasse solo 15 anni, ma che dedicasse tutte le sue giornate alla lettura di libri di storia o alchimia decisamente troppo avanzati per la sua età, e che divorava pagine su pagine con un’espressione quasi maniacale. Oppure si preoccupava perché ultimamente era dimagrita molto e, a furia di restare al chiuso, era diventata pallidissima, e perciò non sembrava molto in salute. Il bibliotecario la seguiva con lo sguardo anche quando lei si incamminava verso il dormitorio presso il quale alloggiava, forse aspettandosi che venisse qualcuno a prenderla, invece la ragazza era sempre sola.
Un pomeriggio, il giovane entrò nell’ala consultazione per rimettere al loro posto una pila di libri che erano appena stati restituiti. La catasta di volumi che portava tra le braccia era molto alta e gli copriva parzialmente la visuale, così non si accorse che una sedia era stata rimessa a posto in malo modo e ci inciampò. Tutti i libri caddero a terra, seguiti dal bibliotecario. Oriel fu riscossa dal trambusto e si voltò a guardare la persona a terra, intento a massaggiarsi un ginocchio. Non poteva avere più di venti, venticinque anni, era magro, non troppo alto e ben vestito. Aveva lunghi capelli color rosso scuro che gli erano ricaduti davanti alla faccia e un paio di occhiali da lettura tondi, chiusi ed infilati nel taschino del gilet. Scostò una ciocca di capelli, scoprendo due intelligenti  occhi a mandorla con l’iride grigia. Questo particolare la colpì: era la prima persona che incontrava in quel Paese che non avesse gli occhi verdi o azzurri. Forse fu quello il motivo che la spinse ad alzarsi per aiutarlo.
“Lei non è di Amestris, vero?” gli chiese, accovacciandosi accanto a lui e cominciando a impilare i libri su un angolino libero del tavolo.
“Cosa?” fece lui, sorpreso dal fatto che quella strana ragazza gli avesse rivolto la parola. Oriel gli ripeté la domanda. “Ah, no. I miei antenati provenivano da Xing” rispose lui.
“Sa, sto leggendo un libro molto interessante che menziona le etnie sparse per il mondo” proseguì Oriel.  “È una storia affascinante, mi chiedo se abbia un fondo di verità.” Quando tutti i libri furono di nuovo in una pila ordinata, la ragazza tornò a sedersi al suo tavolo e indicò un passaggio sul libro aperto davanti a sé.  “Sapeva che il Saggio dell’Est, colui che ha portato l’Alchimia e fondato Amestris, è considerato l’uomo perfetto?”
“L’uomo perfetto?” ripeté il bibliotecario.
La ragazza annuì.
“In tempi antichi, i popoli dell’Est, in particolare quelli che abitavano a Xerxes, consideravano l’oro il metallo perfetto. Le antiche leggende descrivono il Saggio come un uomo fatto d’oro”.
Il bibliotecario si appoggiò al tavolo senza sedersi.
“Ricordo quella leggenda: avere gli occhi e i capelli color dell’oro era una caratteristica delle genti di Xerxes. Gli Ishbaliani hanno la pelle olivastra e le iridi rosse, gli Amestriani hanno gli occhi blu o verdi e la pelle chiara, i popoli di Xing hanno capelli neri e occhi a mandorla...” Inclinò la testa da un lato, e una singola ciocca di capelli rossi gli ricadde sul volto. Se la mise dietro l’orecchio. “Negli ultimi secoli le caratteristiche si sono fuse. Se ci fossero ancora persone che possono vantare antenati Xerxiani, sarebbero immediatamente riconoscibili.”
“Che peccato che siano scomparsi, dovevano essere un popolo meraviglioso” commentò Oriel, lo sguardo perso nel vuoto.
Il bibliotecario attese che la ragazza proseguisse, ma lei sembrava essere sprofondata nei suoi pensieri, e lui cominciò a sentirsi un po’ fuori luogo. Aspettò ancora qualche secondo, poi, in silenzio, recuperò i suoi libri e lasciò la sala di lettura per andare a riporli al loro posto, in altre ali della biblioteca.
Oriel lo seguì con lo sguardo, quasi pentita di aver usato quel trucco per farlo allontanare, poi tornò a dedicarsi ai suoi libri.
Qualche giorno dopo le capitò per le mani un’informazione molto interessante a proposito di un’opera del famoso alchimista Theophrastus sulle rune utilizzabili nei cerchi alchemici. Il libro era apparentemente disponibile presso la biblioteca, ma per quanto lo avesse cercato, la ragazza non era stata in grado di trovarlo. Decise di andare a chiedere informazioni al bibliotecario, così ne avrebbe approfittato anche per scusarsi con lui per il suo comportamento. Quando arrivò alla biblioteca, però, dietro al bancone di ricevimento non c’era il giovane coi capelli rossi, ma un ragazzo della sua età coi capelli neri, gli occhi scuri e gli occhiali. Aveva la tipica aria del secchione, e stava cucendo impassibilmente quello che aveva tutto l’aspetto di un abitino per bambole.
“Salve” salutò la ragazza, un po’ incerta.
“Buongiorno” rispose il ragazzo, senza alzare lo sguardo dal suo lavoro.
“Il suo collega non c’è?”
“Oggi arriva un po’ più tardi. Ha bisogno di aiuto?”
Oriel era quasi tentata di dirgli che sarebbe passata dopo, ma la curiosità per il libro la stava divorando.
“Sì. Sto cercando Il Museo delle Immagini di Theophrastus...”
“Non è in possesso dei requisiti per consultare questo libro” disse lui, seccamente.
Oriel sollevò un sopracciglio.
“Questa è una biblioteca pubblica...” fece.
“Indubbiamente” replicò il ragazzo con tono piatto.
“Avete Il Museo delle Immagini di Theophrastus nel vostro catalogo...”
“Innegabilmente.”
“Allora, in quanto cittadina di Amestris e soldato dell’esercito, direi che ho il diritto di consultarlo!”
Il ragazzo smise per un attimo di ricamare e le lanciò un’occhiata di sufficienza.
“Grado Militare?”
“…Allievo Ufficiale” rispose lei a bassa voce dopo un attimo di silenzio.
 “La consultazione di quel testo è riservata ai soli ufficiali militari e Alchimisti di Stato” disse il ragazzo, tornando al suo lavoro.
“Accidenti alla privatizzazione culturale di questo paese!” mugugnò la ragazza, sporgendosi sul bancone. “Scher dich zum Teufel, hauptdick!” aggiunse, parlando in uno strano dialetto incomprensibile.
In quel momento fece il suo ingresso il bibliotecario coi capelli rossi, ma Oriel era troppo arrabbiata per fermarsi parlare con lui, perciò girò sui tacchi, lo superò e si diresse verso l’uscita della biblioteca.
-
 “Fammi capire bene” balbettò Edward, incredulo. “Sei diventata Alchimista di Stato per consultare un libro?!”
“Per consultare dei libri“ precisò la ragazza. “Hai idea di quanti testi sono accessibili solo ai ‘cani dell’esercito’? È ridicolo!”
Qualcosa di piccolo e bianco si mosse ai piedi dei tre ragazzi in quel momento e Alphonse trillò di eccitazione, sollevando da terra un grosso gatto bianco. Oriel si sistemò nel suo sedile a disagio, e ad Edward non fuggì il fatto che la mano della ragazza era subito andata verso la pistola di ordinanza.
“Tutto bene?” le chiese.
“Non mi piacciono i gatti” mugugnò lei.
“Ma sono così morbidi e adorabili!” ribatté Alphonse.
“Al, mettilo giù, non è tuo” gli intimò il fratello. Al obbedì, sebbene con riluttanza, e mise a terra il gatto, che torno trotterellando dai suoi padroni, qualche posto più in là. Oriel gli lanciò un ultima occhiata diffidente, prima di tornare a scarabocchiare strani simboli sul suo taccuino. “E così ti sei preparata per l’esame studiando alla Biblioteca di Central City...” Edward riprese il discorso. “Ma dai, non ti facevo topo di biblioteca.”
“Non sono un topo di biblioteca” ribatté lei con tono offeso. “La biblioteca di Central è molto più fornita dei dormitori ad Ovest, tutto qui”. Con un sospiro, chiuse il taccuino: ormai era evidente che non sarebbe riuscita a concludere il suo rapporto durante il viaggio. “Voi invece dove avete studiato?”
I fratelli Elric si scambiarono un’occhiata complice.
-
Quartier Generale di Central City, capitale di Amestris, Shambala. Anno 1911.
Roy Mustang spinse un fascicolo verso Edward e Alphonse, seduti dall’altra parte della scrivania del suo ufficio di Central City.
“Ho fatto in modo che possiate prepararvi alla prova per diventare Alchimisti di Stato studiando nell’ambiente più adatto a voi” disse senza preamboli.
Ed prese il fascicolo e lo sfogliò.
“Chi sarebbe Sewing-Life Alchemist?” chiese incuriosito.
Roy incrociò le braccia sul tavolo.
“Si chiama Shou Tucker, ed è il più grande esperto di trasmutazione organica. Il secondo nome da Alchimista non viene mai dato per caso: Sewing-Life Alchemist, l’Alchimista Intrecciavite.”
“Trasmutazione Organica? Il Secondo Livello?”
“Ho pensato che le sue ricerche avrebbero potuto interessarvi” commentò Mustang con un sorrisino beffardo, prima di continuare a spiegare. “È considerato un’autorità nel campo dell’Alchimia Organica di Secondo Livello: l’alterazione o fusione di uno o più organismi viventi. Due anni fa è stato in grado di creare un essere artificiale, una chimera, in grado di parlare.”
Edward fece tanto d’occhi.
“In grado di parlare? E che cosa ha detto?”
“Solo una cosa: ‘voglio morire’. Dopodiché si è rifiutata di mangiare ed è morta in pochi giorni.” Le parole di Mustang aleggiarono nell’aria, che improvvisamente sembrò diventare più fredda, e i due ragazzi rimasero in silenzio, senza sapere che cosa rispondere. “Sarete ospiti del signor Tucker fino al giorno dell’esame” continuò Mustang, quando capì che i due non avrebbero continuato a fare domande. “Prendete le vostre cose, vi porto subito a casa sua.”
Dopo un breve viaggio in macchina, i tre giunsero all’enorme villa di Tucker. Quando suonarono il campanello furono letteralmente travolti da un enorme cane color crema sbucato da dietro un cespuglio, che smise di fare le feste agli ospiti solo quando la porta di casa si aprì e ne spuntarono fuori Tucker in persona e la figlia Nina, di soli quattro anni.
“Vi chiedo scusa per Alexander” esclamò l’uomo, mentre la figlia bloccava il cane. “Prego, entrate.”
La casa era ancora più grande di quanto sembrasse da fuori, anche se molto in disordine: c’erano libri sparsi ovunque, in particolare sul pavimento. L’uomo si chinò a raccoglierne alcuni con aria imbarazzata.
“Si vede che manca una mano femminile...” commentò.
Edward si guardò intorno incuriosito.
“Ehm... La signora Tucker dov’è?”
L’alchimista smise di raccogliere libri per un momento e il suo sguardo si perse nel vuoto.
“Se n’è andata un paio d’anni fa” disse piano. Subito dopo alzò di nuovo lo sguardo sui fratelli e sorrise. “Ma non voglio rattristarvi con questi discorsi. Prego, venite, vi mostro la biblioteca.”
-
 “Abbiamo viaggiato in lungo e in largo e visto decine di biblioteche, ma quella di Tucker era incredibile” commentò Alphonse. “Studiare da lui è stato utile: abbiamo imparato entrambi moltissimo.”
“Sì, ma non dimenticarti di Nina e Alexander” aggiunse il fratello. “Anche passare il tempo con loro era fantastico...”
-
Il giorno del compleanno di Edward ci fu la prima nevicata della stagione. Il ragazzino, che nei giorni precedenti non si era mai preso un giorno di riposo, decise che non avrebbe studiato e passò tutta la giornata a giocare in giardino con suo fratello, Nina e Alexander. La bambina gli si era affezionata molto e aveva cominciato a chiamarlo “fratellone”, cosa che lo rendeva felicissimo.
Nel pomeriggio si presentò alla villa un soldato in uniforme. Era piuttosto alto, aveva i capelli neri tirati indietro con un singolo ciuffo che gli ricadeva sulla fronte, la barba non troppo curata e occhiali squadrati.
“Ehilà, ragazzi!” li salutò l’uomo con aria amichevole. “Sono venuto a prendervi! Se non sbaglio, oggi è il tuo compleanno, Edward!”
Ed era confuso.
“Mi scusi, ma... lei chi è? E come fa a sapere che oggi compio gli anni?”
L’uomo sorrise.
“Non ti ricordi di me, eh? Ci siamo visti di sfuggita al Quartier Generale qualche giorno fa. Sono il maggiore Maes Hughes, e anche se non sembra sono del reparto investigazioni: sapere tutto di tutti è il mio mestiere!”
I fratelli si lanciarono un’occhiata scettica.
“Non è molto rassicurante…” fece Edward con schiettezza.
Dopo un attimo di sorpresa, l’uomo scoppiò a ridere, scavalcò la recinzione come se avesse la metà dei suoi anni e, avvicinandosi a Edward gli batté una manata sulla schiena.
“Bando alle ciance!” esclamò gioiosamente. “Mia moglie Gracia ci sta aspettando! Ha preparato una buonissima torta di mele. La mia adorata mogliettina ha un talento straordinario in cucina. Giuro che tutto quello che prepara ha un sapore delizioso.” L’uomo estrasse dal proprio taschino la foto di una donna con i capelli biondo paglia e gli occhi verdi, evidentemente incinta a giudicare dal pancione che aveva nella foto. “Non è semplicemente deliziosa?” gongolò l’uomo. “E dal vivo è ancora più bella. Forza, venite con me.” Così dicendo afferrò Edward per entrambe le spalle e lo spinse verso la propria macchina. Quando Al si alzò per seguirli, però, sentì una piccola resistenza e vide Nina aggrappata al lembo di stoffa che faceva parte dell’armatura.
“Dove andate?” domandò la bambina con gli occhi spalancati.
“Ovviamente è invitata anche la piccola Nina Tucker!” esclamò Hughes accorgendosi della scena. “Non preoccuparti, il tuo papà ha già detto di sì!”
Sul viso della bambina si dipinse il più radioso dei sorrisi.
-
“La figlia di Hughes venne alla luce proprio quel giorno” raccontò Alphonse. “Abbiamo rinunciato ai festeggiamenti per accompagnare Gracia all’ospedale. Non ho mai visto Hughes tanto felice quanto mentre teneva la piccola Elicia tra le braccia.”
“Avete visto Elicia nascere… Che cosa strana” mormorò Oriel con tono sognante. “I membri della mia squadra conoscono tutti più o meno bene il signor Hughes e riceviamo periodicamente delle cartoline con fotografie della moglie e della figlia: sono adorabili!”
“Io trovo il suo comportamento leggermente seccante” aggiunse Edward, stizzito, ma con una nota divertita nella voce.
“Avete entrambi studiato per l’esame, ma alla fine l’hai sostenuto solo tu, Edward, non è vero?” fece Oriel. “Mi ricorderei se avessi visto un’armatura gigantesca!”
“Ehm, no, io non ho potuto sostenerlo per via della visita medica” spiegò Alphonse. “Io, ecco...”
“Al...” lo fermò Edward, lanciando un’occhiata di traverso a Oriel. “Non è né il momento né il luogo” aggiunse a bassa voce.
“Ha ragione Ed, ne parleremo con calma quando saremo da soli” disse la ragazza con lo stesso tono.
Al annuì. Per qualche minuto cadde il silenzio.
“Perciò voi due vi siete incontrati alla prova scritta?” domandò Al, incuriosito.
Ed aggrottò la fronte, pensieroso.
“È possibile, ma ero talmente agitato che mi sono seduto, ho svolto l’esame e sono andato via senza guardarmi intorno.”
“Anche io!” rise la ragazza. “Però alla prova orale c’era questo bimbetto con un vistoso cappotto rosso che attirava l’attenzione ed era impossibile da ignorare...”
-
Oriel uscì dalla stanza dove una commissione di anziani alchimisti e generali, incluso il Comandante Supremo King Bradley, l’aveva appena, per mancanza di un termine migliore, interrogata. Non era mai stata così sollevata dall’avere tutte le carte in regola: non avevano trascurato nulla. Referti medici, allenamenti, dichiarazioni e certificati vari erano stati analizzati e confrontati attentamente, roba che nemmeno alla frontiera sarebbero stati così puntigliosi. Le avevano fatto domande di alchimia, ovviamente, come anche domande personali, domande mirate a capire se possedeva le qualità psicologiche per diventare Alchimista di Stato. Per questo motivo, dopo essere uscita dalla stanza, non tornò subito al suo alloggio al dormitorio, crollando a sedere invece su uno dei divanetti insieme agli altri alchimisti che aspettavano di essere convocati. C’erano militari di diversi gradi, come anche alcuni civili, ma erano perlopiù persone anziane o comunque adulte: la ragazza non riusciva a non sentirsi fuori luogo.
“Edward Elric” chiamò una donna dalla stanza dell’esame.
Accompagnato da un mormorio di voci incuriosite, un ragazzino col cappotto rosso camminò a grandi passi verso la porta. Oriel, come il resto della folla, lo seguì con lo sguardo: perché ad un bambino era permesso sostenere l’esame? L’età minima per diventare Alchimista di Stato era 16 anni e anche a lei avevano notevolmente complicato la vita mentre svolgeva le procedure necessarie a svolgere l’esame, perché soddisfaceva appena questa richiesta. Il piccoletto non poteva già avere 16 anni, no? Doveva assolutamente saperne di più.
Quando il ragazzino uscì dalla stanza, però, sembravano essere passare ore, e Oriel si era addormentata sul divanetto. Si svegliò di soprassalto sentendo la porta chiudersi e vide che il ragazzino si stava allontanando verso l’uscita.
 “Ehi! Ehi, scusa, Edward!” chiamò, saltando su dal divanetto e correndogli dietro.
Il ragazzino si fermò.
“Ci conosciamo?” fece lui, perplesso.
Oriel stava per rispondere che aveva solo sentito chiamare il suo nome dall’attendente, ma non uscì alcun suono dalla sua bocca: il ragazzino la stava guardando con due incredibili occhi dall’iride dorata.
“Xerxes…” si trovò a mormorare lei, prima che le apparisse un enorme sorriso in volto. “Sei un discendente di gente di Xerxes, vero? Credevo non ce ne fossero ancora in giro!”
Edward la guardò con gli occhi sgranati, come se alla ragazza fossero appena spuntate delle aragoste al posto delle orecchie.
“Cosa?”
“Insomma, Xerxes! ...Il grande regno che sorgeva a Est, dove oggi c’è il deserto?” continuò lei, sperando di ottenere un qualche tipo di reazione. Invece, il ragazzino continuava a guardarla basito. “Scusa” ridacchiò nervosamente. “Sono Oriel Eckhart, ho fatto il colloquio orale prima di te.” I due si strinsero la mano. “Scusa per il discorso strano. Il fatto è che sei un tipo che non passa inosservato. Voglio dire, non sei un po’ bassino per avere sedici anni?”
Alla menzione della sua statura, Edward diventò tutto rosso in faccia.
“CHI SAREBBE IL FAGIOLINO TANTO MINUSCOLO DA ESSERE INVISIBILE?!” gridò, accaparrandosi delle occhiate infastidite e sorprese dai presenti.
Oriel lo osservo sbigottita per qualche istante prima di sorridere.
Mein Gott. Du bist lustig” esclamò con tono divertito.
“Cosa?” fece Edward, senza capire una parola di quello che la ragazza aveva detto.
“Nulla...”
Il ragazzino la squadrò.
“Comunque non ho sedici anni, ne ho dodici” disse con voce più calma.
“Dodici anni?” esclamò Oriel sorpresa. “Ma l’età minima per svolgere l’esame è sedici anni…” Sorrise. “O meglio, se hai superato la prova scritta a dodici anni, devi essere una specie di prodigio!”
Edward raddrizzò la schiena e non poté fare a meno di gonfiarsi d’orgoglio al complimento.
-
“E quindi? Vi siete salutati così?” domandò Alphonse, affascinato dal sentire raccontare di suo fratello da un altro punto di vista.
“Più o meno, in realtà abbiamo girovagato un po’ nelle sale del Laboratorio Uno, l’edificio dove si tenevano gli esami” raccontò la ragazza.
“Non svolgono ricerche interessanti, ma il posto è fantastico!” esclamò Edward, interrompendo il racconto. “La prossima volta che siamo a Central ti ci devo assolutamente portare, Al! È il Laboratorio Alchemico più vecchio di Amestris, e ciascuna delle sale più importanti è in tema con le varie branche di studio o tecniche alchemiche sviluppatesi negli ultimi secoli...”
Edward fu interrotto da una leggera ma decisa botta in testa da parte di Al.
“Non ci posso credere, fratellone!” esclamò il fratello, offeso. “Sei stato in un posto così bello e non me ne hai mai parlato prima!”
“Avevamo altro a cui pensare” replicò il ragazzo massaggiandosi la testa.
Oriel osservò i due fratelli bisticciare con un sorriso sul volto, ma presto perse il filo del discorso e si mise a guardare fuori dal finestrino del treno, ripensando a come proprio quel giorno, entrando nella sala dedicata all’Alchimia di Fuoco, aveva finalmente rivisto un volto che cercava da molto tempo. Il volto di una persona che, senza saperlo, presto avrebbe rincontrato faccia a faccia.
  
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