N/A: ed eccoci qua con grande e sommo ritardo. Come dicevo
alla collega, il suo scherzo è stato talmente bello che ho cambiato idea tre
volte per trovare una degna risposta e, ad essere sincera, dubito di esserci
riuscita. Mi rimetto al vostro giudizio.
-
Umbrella
Figure
di….
Quando
l’orologio della cucina trillò, Gregory si infilò i guanti da forno ed estrasse
dall’elettrodomestico una teglia di crostini fumanti, appena tostati. Li dispose
in un piatto che poi mise su un vassoio sul quale aveva già posizionato alcune
fette di formaggio, due scodelle di zuppa calda, una brocca piena d’acqua,
posate e bicchieri. Dopo essersi assicurato che tutto fosse ben stabile, sollevò
il vassoio con entrambe le mani e si diresse verso la camera da letto al piano
superiore. Se c’era un lato positivo nello scherzo di gusto alquanto cattivo che
Sherlock aveva giocato a suo fratello, era il fatto che, finalmente, aveva
potuto mostrare a Mycroft che anche lui, nonostante avesse sempre poco tempo,
sapeva cavarsela in cucina. Anzi, stando ai commenti del suo imbronciato e
malato compagno, era anche piuttosto bravo. Sorridendo sornione, aprì con la
spalla la porta della camera ed entrò.
“Ehi,
è ora di cena”. Annunciò, vedendo che Mycroft, seduto sul letto, stava ancora
lavorando. Passati i primi giorni di febbre alta e influenza, l’uomo aveva
ritrovato abbastanza forza da mettersi a discutere sia con l’Ispettore che con
la sua assistente per farsi dare quantomeno il lavoro burocratico da poter
svolgere senza muoversi da casa, ottenendolo con la condizione che avrebbe
accettato tutte le cure senza brontolare. L’accordo era risultato favorevole a
entrambe le parti, così Mycroft aveva ottenuto il portatile sul quale stava
scrivendo giusto in quel momento. Quando Gregory si sedette sul letto, posando
con estrema cura il vassoio sul materasso, però, il politico chiuse lo schermo e
spostò il computer sul comodino accanto al letto.
“Come
ti senti?” gli chiese l’Ispettore, guardandolo scoprire una delle scodelle e
portarsela più vicina.
“Sempre
meglio” fu la risposta, accompagnata da un colpetto di tosse. “Se le mie stime
sono corrette, tra circa due giorni, tre al massimo, la febbre sarà passata del
tutto e potrò tornare al lavoro.”
“Ah.”
Rispose Gregory, cominciando a bere la sua zuppa e cercando di ignorare quel
sopracciglio così altezzosamente inarcato che gli era appena stato
rivolto.
“Come
sarebbe a dire ‘ah’?” gli chiese infatti Mycroft, prima di prendere un sorso di
minestra. L’Ispettore sospirò.
“Non
fraintendermi, sono contento che tu stia meglio e che tu torni al lavoro, però
siamo stati molto insieme e non posso dire che mi sia dispiaciuto.” Confessò,
voltandosi a guardarlo. “Lavoriamo molto entrambi e alle volte non ci vediamo
per giorni, quindi sono stato contento di potermi occupare di te. Mi prenderai
per un idiota sentimentale, ma per me è stato così.” Concluse, prendendo
un’altra cucchiaiata e riportando lo sguardo sul piatto. Tra i due calò
momentaneamente il silenzio, rotto dal rumore delle stoviglie mentre mangiavano.
“Sai”
cominciò Mycroft, posando la sua scodella ormai vuota sul vassoio “la tua cucina
in queste settimane è stata molto buona, ti ringrazio” concluse, rivolgendo un
sorriso all’uomo accanto a lui, ricevendone uno sorpreso e a trentadue denti in
risposta. Entrambi sapevano che quelle parole sarebbero state tutto ciò che
avrebbe detto riguardo a quel periodo e per Gregory era sufficiente. Finì la
zuppa a sua volta, poi cominciò a preparare i crostini con il
formaggio.
“Ho
avuto modo di riflettere in questi giorni.” Gli disse a un certo punto il
politico, appoggiandosi meglio contro il cuscino alle sue
spalle.
“Hai
intenzione di dare un taglio a questa stupida guerra contro Sherlock?” gli
chiese Gregory, porgendogli un crostino.
“Au contraire” rispose Mycroft, prendendo
il pane. “Lo sto tenendo d’occhio da un po’ e credo di aver trovato l’occasione
per rispondere che fa proprio al caso nostro.”
“Tuo,
non nostro. E non guardarmi così: questa è una cosa tra voi e io non voglio
entrarci.” Gli disse Gregory, prima di addentare il suo crostino, stando attento
a non sbriciolare sul copriletto. “Secondo me, però, dovresti darci un taglio.
Sherlock ci sta andando giù molto pesante e mi pare che non si faccia problemi a
causarti danni fisici anche gravi. Se continuerete qualcuno potrebbe farsi male
davvero.”
“Non
arriverebbe a tanto.” Replicò Mycroft, prendendo un morso a sua volta.
“A
me sembra che stia un po’ esagerando, ma se dici di saperlo gestire allora fai
pure, sei tu quello che lo conosce di più.” Gli ripose ancora Gregory, finendo
il suo crostino e stendendosi su un lato per guardarlo.
“Gregory,
non preoccuparti. Stiamo semplicemente giocando.”
“Oh,
davvero un bel gioco!” esclamò l’Ispettore, sospirando “Tanto è come parlare a
un muro, so che continuerai, che lui risponderà e che prima o poi qualcun altro
resterà coinvolto.” Concluse e, vedendo che Mycroft aveva finito di mangiare,
mise di nuovo piatti e stoviglie sul vassoio, prima di alzarsi dal
letto.
“Lavo
i piatti e torno. Non ti azzardare a metterti a lavorare di nuovo, stasera devo
farti vedere quel film che ti dicevo.”
“Ah
sì, com’era che si intitolava? Qualcosa a che fare con i servizi segreti e i
cavalieri della Tavola Rotonda?1”
“Più
o meno. Aspettami.”
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La
mattina seguente, dopo aver avuto il permesso di scendere in salotto, aver fatto
colazione con Gregory e averlo salutato, Mycroft, seduto sul divano, prese il
portatile e lo accese. Alla fine era riuscito a trovare un’idea che, magari, si
allontanava un po’ dagli standard che si era dato all’inizio di tutta quella
storia, ma Sherlock aveva dimostrato di non avere misura, dichiarando guerra
aperta e, questo lui lo sapeva bene, in guerra ogni mossa era lecita per
raggiungere il proprio scopo.
Dopo
aver digitato la password, riprese il lavoro da dove l’aveva lasciato la sera
prima, accedendo ad alcuni dispositivi sparsi per Londra e preparandosi ad
attendere pazientemente che il suo caro fratellino avesse uno dei suoi colpi di
genio per risolvere il caso a cui stava lavorando (alle volte si chiedeva se
fossero davvero fratelli, perché Sherlock era così lento quando si trattava di
fare deduzioni?)
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Frattanto,
a qualche chilometro di distanza….
“John,
ci sono, ho trovato!”esclamò l’unico consulente investigativo del mondo,
balzando in piedi dalla sedia della scrivania. “Mettiti la giacca, forza,
dobbiamo andare!”
Il
dottore sbucò dal bagno, la faccia ancora coperta per metà dalla schiuma da
barba. Aprì la bocca per protestare e chiedere di poter almeno avere il tempo
per terminare, ma la richiuse subito, conscio del fatto che protestare sarebbe
stato del tutto inutile. Sbuffando, tornò in bagno per pulirsi la faccia
velocemente prima di uscire di nuovo e infilarsi la giacca, seguendo il
coinquilino che era già in strada per fermare un taxi.
“Hai
la soluzione del caso, immagino.” Gli chiese con un po’ di fiatone, mentre un
taxi si fermava davanti a loro.
“Beh,
mi sembra ovvio” fu la risposta di Sherlock, una volta saliti a bordo. “Ai
Docks, il più in fretta possibile.” Disse all’autista, picchiettando poi le
lunghe dita sul ginocchio in un chiaro segno di impazienza. Da circa due
settimane si stava occupando di un caso affidatogli da Lestrade che lo aveva
messo sulle tracce di alcuni trafficanti internazionali di droga. Gli ci era
voluto un po’, ma alla fine era riuscito a capire come si muovevano e come
svolgevano la loro attività: un piano ingegnoso, doveva ammetterlo. Sperava solo
che John, per una volta, riuscisse a renderlo come si doveva, senza troppe
figure retoriche e licenze poetiche. All’inizio, a dire la verità, aveva temuto
che dietro quelle manovre così ben architettate, quel caso così ben costruito,
ci fosse lo zampino di Mycroft, di cui ancora attendeva la vendetta dopo lo
scherzo della doccia, ma alla fine si era tranquillizzato: suo fratello era
troppo corretto e maturo per mettere a repentaglio un’operazione di Scotland
Yard a capo della quale c’era il suo compagno solo per ripicca nei suoi
confronti. Lungo il tragitto, chiamò Lestrade per comunicargli che aveva risolto
il caso e che lo avrebbe aspettato ai Docks per concluderlo, sottintendendo
ovviamente che glielo avrebbe fatto trovare concluso. Ciò che però udì in
risposta lo lasciò di stucco.
“Come
sarebbe a dire che siete già là?” esclamò, facendo sobbalzare John accanto a
lui. “Ho appena trovato la soluzione, come fai a…” cominciò a domandare, prima
di irrigidirsi. “È
stato Mycroft, vero? È
stato mio fratello a dirti dove andare per vendicarsi! Che razza di idiota!”
sbottò, battendosi una mano sul ginocchio, mentre il dottore si schiariva la
voce, indeciso su come comportarsi per calmarlo.
“Sono
alla South Bank, sto venendo in taxi. Aspettatemi. E togliti quel ghigno dalla
faccia!” gli gridò, prima di interrompere bruscamente la telefonata. Si sarebbe
anche messo a inveire contro l’autista per incitarlo ad andare più in fretta, ma
John lo fermò appena in tempo, spiegandogli che non sarebbe stato saggio
insultare l’unico uomo che poteva portarli a destinazione in un lasso di tempo
ragionevole. Fu così che, circa dieci minuti dopo, i due giunsero ai Docks e si
trovarono davanti alcuni agenti di Scotland Yard che conducevano via degli
uomini in manette. Poco lontano, Lestrade stava discutendo con il sergente
Donovan e con l’Ispettore Dimmock. Appena uscito dalla vettura, lasciando a John
l’incombenza di pagare la corsa, Sherlock si diresse a grandi falcate verso il
terzetto.
“E
così adesso devi affidarti anche a lui per risolvere i casi. Siete proprio
penosi.” Esordì, senza riuscire a tenere a freno la stizza. Lestrade alzò gli
occhi al cielo.
“Sherlock,
non è come credi tu, abbiamo avuto una soffiata da un nostro uomo che stava qui
di guardia al porto, Mycroft non mi ha chiamato.” Gli disse, mettendosi le mani
nelle tasche del cappotto. “Abbiamo anche noi dei metodi di indagine e forse ti
sorprenderà, ma qualche volta funzionano anche senza bisogno del tuo
intervento.”
Sherlock
si stava infuriando sempre di più e John, che intanto si era avvicinato, stava
pensando di trascinarlo via per evitare che facesse qualcosa di sconsiderato,
quando di colpo lo vide fermarsi, come se gli fosse appena venuta un’idea.
L’espressione furibonda scomparve dal viso del consulente, sostituita da una che
poteva essere sia ansiosa che speranzosa.
“Lestrade”
cominciò infatti in tono molto più calmo. “Esattamente voi cosa avete fatto
ora?” chiese, guadagnandosi l’occhiata sbalordita dei due Ispettori, del
sergente e dello stesso John. Gregory, dopo un attimo di smarrimento, riuscì a
riprendersi.
“Abbiamo
arrestato la banda con le mani nel sacco, mi pare ovvio. Li abbiamo presi dal
primo all’ultimo e abbiamo requisito la droga.” Gli
rispose.
“Tutta
la droga?” chiese ancora Sherlock, incalzandolo.
“Come
sarebbe a dire ‘tutta’? C’erano delle casse da cui avevano recuperato le dosi da
scambiare con gli acquirenti e le abbiamo prese.” Replicò Lestrade, sempre più
costernato.
“Quindi
non avete… oh!” esclamò il consulente, battendo le mani come un bambino la
mattina di Natale, prima di scattare verso uno dei capannoni con gli altri che
lo seguivano.
“Non
abbiamo cosa? Sherlock, fermati un attimo!” gli gridò dietro l’Ispettore,
cercando di raggiungerlo.
“Il
resto, Lestrade! Come avete fatto a non trovarlo? Oh, adesso vedrete!” gli
rispose Sherlock che, raggiunto uno dei capannoni, stava armeggiando con il
portello. “L’aspetto geniale di questa vicenda era che tenevano la droga sotto
gli occhi di tutti, in questo capannone.”
“Ma
siamo venuti tante volte a ispezionare con i cani, anche in incognito, e non
abbiamo mai trovato niente!” replicò Lestrade, stando un po’ dietro di lui e
osservandolo insieme agli altri.
“Certo
che non avete trovato niente! Era stata nascosta in modo che i cani non
potessero fiutarla.”
Con
un cigolio, il portone si aprì e tutti si portarono immediatamente una mano a
tappare le narici, tossendo.
“Puah,
che odore!” gemette Sally. “Ma che diavolo ci tengono qui dentro?”
“Beh,
Donovan, come dovresti capire usando il tuo senso dell’olfatto, ammesso che
funzioni a dovere, questo è un deposito di concime animale, comunemente
definito..”
“Sì,
Sherlock, sappiamo che si tratta di letame, grazie.” Lo interruppe John. “E dici
che la droga è qua dentro?”
“Esatto”
replicò il consulente, entrando nel capannone, seguito dal dottore. All’interno,
c’erano molti scatoloni di legno piuttosto alti e grossi, sul cui contenuto,
ormai, non era più necessario indagare. Almeno, non su quello di tutti. “Ora, se
le mie informazioni sono corrette, dovremmo cercare il lotto 43 R” borbottò
infatti Sherlock tra sé, cercando di ignorare l’odore e leggendo le targhe
affisse sopra gli scatoloni.
Frattanto,
Gregory, Sally e l’Ispettore Dimmock erano rimasti sulla porta a guardare i due
aggirarsi per il capannone.
“Greg”
cominciò la donna. “Non che me ne importi, ma secondo te dovremmo dirgli degli
uomini che sono venuti prima a spostare uno degli scatoloni e l’hanno messo nel
capannone accanto, sostituendolo?” chiese, guardando l’Ispettore, che parve
pensarci un po’ su, mentre, piano piano, un’idea di quanto stava per accadere
cominciava a formarsi nella sua testa.
“No,
anche perché non credo che ci ascolterebbe. L’unico per il quale mi dispiace è
John. Spero che abbia i riflessi pronti.” Commentò, senza riuscire a trattenere
un sorrisetto divertito. “Suggerirei comunque di battere discretamente e
silenziosamente in ritirata e di lasciare la conclusione all’antidroga. Tanto
abbiamo comunque finito qui?”
“Spero
che tu stia scherzando Greg!” esclamò Dimmock, prendendo il suo telefono. “Se ci
troviamo di fronte ad un’occasione come quella delle altre volte a Scotland Yard
non ho intenzione di perdermela.” Disse, selezionando l’opzione ‘videocamera’
dal display e cominciando a puntarla verso Sherlock e John, solo per essere
fermato dal suo collega.
“Tim,
se la punti ora, si insospettirà.” Gli disse Lestrade. “Abbi pazienza e vedrai
che…”
“John,
ci siamo, prendi un piede di porco!” la voce di Sherlock giunse amplificata
dall’acustica del capannone, attirando l’attenzione dei tre agenti. Poco più
avanti, illuminati soltanto dalla luce del sole che filtrava fuori, c’erano il
consulente e il dottore fermi di fronte a uno scatolone.
“Sherlock,
tu sei sicuro che sia questa, vero?” chiese John, portando comunque il piede di
porco richiesto. “Perché mi sembra che l’odore sia comunque molto
forte”
“Ne
sono assolutamente certo, John. Non fidarti dell’olfatto, è stato contaminato
dall’ambiente.” gli rispose Sherlock, prendendo il piede di porco e spezzando il
lucchetto che chiudeva il cassone con un colpo preciso. John sospirò e si voltò,
notando così il terzetto rimasto sulla porta. Lo colse un terribile sospetto e,
anche se conscio del fatto che probabilmente era già troppo tardi, cercò di
avvertire il consulente.
“Sherlock,
non sono sicuro che…ATTENTO!”
Preso
dalla foga, Sherlock aveva aperto lo scatolone e i due avevano avuto solo un
istante prima di venire travolti da un’ondata di “concime animale” così come
Sherlock l’aveva definito.
Gregory,
Sally e Tim, che avevano ovviamente visto – e filmato accuratamente – la scena,
rimasero fermi e immobili per qualche secondo, vedendo i due uomini sparire
sotto la melma maleodorante e stavano giusto decidendo di andare ad aiutarli in
qualche modo, quando una mano, poi un’altra, sbucarono da sotto l’ammasso,
seguite dai corpi dei due uomini che, tossendo e sputacchiando, cominciarono a
cercare di liberarsi.
“Tim,
hai ripreso abbastanza?” chiese Lestrade al collega, senza perdere di vista
Sherlock e John.
“Uh-uh”
fu la risposta di Dimmock, che cominciò a riporre il cellulare.
“Ti
sembra che stiano bene?”
“Stanno
imprecando, quindi direi di sì.”
“Bene,
allora io direi che possiamo anche andarcene, prima che ci chiedano un passaggio
sulle auto di servizio.” Concluse Gregory, cominciando ad andare verso le loro
macchine, seguito da Sally e dallo stesso Dimmock.
“Greg,
non che siano affari miei e non che la cosa mi dispiaccia, ma perché suo
fratello gli avrebbe fatto una cosa del genere?”
“Sally,
come hai detto tu stessa, non sono affari tuoi e credimi, meno ne sai, meglio
sarà.” Rispose Gregory, aprendo la sua auto.
“Sarà?
Vuoi dire che ne vedremo altri?” lo incalzò la donna.
“Sally,
sul serio, ti ho detto che…. Accidenti, arrivano. Forza, salite e andiamocene!”
esclamò l’Ispettore che aveva visto Sherlock e John, sudici da capo a piedi,
correre verso di loro. Anche gli altri agenti, i quali, pur non avendo assistito
all’accaduto, si erano accorti di quello che stava succedendo, corsero verso le
loro auto per partire a tutta birra dietro l’Ispettore (tutti tranne gli agenti
che dovevano montare la guardia al capannone in cui era stata spostata la droga,
che ebbero cura di chiudersi bene dentro).
“TORNATE
QUI!” gridò Sherlock, furioso, guardando le vetture lasciare la zona. John lo
raggiunse, appoggiandosi sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la
corsa.
“È
inutile, non torneranno. Nemmeno io ci farei salire, ora come ora. Dovremo
arrangiarci.” Gli disse, un po’ affannato.
“Oh,
non direi proprio, aspetta che mi senta…” borbottò Sherlock, recuperando il
telefono dalla tasca e pulendo alla meglio il display, prima di chiamare
l’autore di quel colpo basso.
“Ah,
salve fratellino. Mi stavo preoccupando in effetti. Hai risolto il caso dunque?”
la
voce del maggiore degli Holmes, giunse alle orecchie del consulente,
accompagnata da qualche leggero colpetto di tosse.
“Mycroft,
questa volta hai veramente toccato il fondo!” esclamò Sherlock. “Compromettere
le prove di un caso! È
meschino!”
“Non
le ho affatto compromesse. Ho lasciato che Scotland Yard facesse i suoi
rilevamenti e poi ho agito. Non danneggerei mai Gregory, nemmeno per prendermi
gioco di te.” Replicò
Mycroft, ridacchiando “E parlando di
fondo… non mi sembra che tu sia messo così bene al
momento.”
“Ma
che grandi capacità deduttive, fratellone! Bene, ti sei divertito, ora manda una
delle tue macchine a prenderci!” Il consulente, irato, aveva preso a camminare
avanti e indietro nello spiazzo intorno ai capannoni.
“Temo
di non poterlo fare. Grazie al tuo scherzetto sono ancora a casa malato e ho
mandato il mio autista in ferie fino a nuovo ordine. Non posso certo scomodare
quelli degli altri. Se posso avanzare un suggerimento, ci sono degli idranti lì
intorno. Fatevi un bagno e avrete maggiori possibilità di essere accettati da un
taxi. Buona giornata, fratellino.”
Sherlock
non ebbe neanche il tempo di replicare. Mycroft aveva riattaccato e sicuramente
non avrebbe più risposto. Con un urlo frustrato, si mise a cercare uno degli
idranti, seguito da John, che stava a sua volta cercando di soffocare
l’irritazione per il fatto di essere stato coinvolto in quella stupida
guerra.
FINE
DEL CAPITOLO
1
Chi
ha capito di che film si tratta?