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Autore: EuphemiaMorrigan    01/05/2016    2 recensioni
AU. Comica/Romantica/Drammatica.
SasuNaru.
-Dall'ultimo capitolo-
Questa è la segreteria telefonica di Uzumaki Naruto e Uchiha Sasuke, lasciate un messaggio e vi richiameremo. Se ne avremo voglia.
Se sei Sai: Visto le vendite? Ti ho battuto ancora.
Muori.
Se sei Ino: Nee-chan, non vorrei che tuo marito si suicidasse.
Ammazzalo e raggiungilo.
Se sei Nagato: Sono in perfetto orario con la scadenza.
Non è assolutamente vero.
Se siete Sakura, Hinata o Tenten: Tranquille, ho tutto sotto controllo.
E voi che ancora ci credete...
Se sei Gaara: Amico, mi devi un caffè.
Ed io ti devo un pugno.
Se sei Hidan: Lode a Jashin!
Non riesco a capire chi è più cretino tra te e Naruto.
***
***
Gensaku-sha ripercorre, a modo proprio, alcune vicende del manga.
Con personaggi casinisti, pazzi ed eccessivamente rumorosi.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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-Capitolo 45-

Angolo autrice: Salve ^^
Ho ufficialmente messo un punto sul cinquantesimo, ed ultimo, capitolo di Gensaku-sha. Proprio per questo motivo aggiornerò una volta al giorno fino alle fine, così che finalmente anche questa storia sarà conclusa.
Cioè fosse per me li metterei tutti in una volta così mi levo il pensiero, ma non si fa... Quindi nulla, per cinque/sei giorni mi dovete sopportare.
Io vorrei solo dire che per scrivere questi ultimi capitoli mi son dovuta rileggere tutta la storia e... Mio Dio, quanto facevo schifo?
Non che ora scriva bene, ma santo cielo...
Lasciamo perdere, va ^^'
Buona lettura <3


Ma dove diavolo era finita?
Izuna sbuffò sonoramente, passandosi una mano tra le ciocche corvine e maledendo le infermiere che non riuscivano mai a fargli avere una cartella clinica per tempo, nascondendola chissà dove all'interno del suo ufficio.
Controllò meglio sopra la scrivania, decidendosi a sistemare in modo definitivo quel dannato disordine che s'era creato in quei pochi giorni d'assenza.
Sapeva di non dover partire con Tobirama per il fine settimana, ma quello stronzo lo aveva praticamente ricattato e costretto a prendersi due giorni di ferie.
E quando era tornato, tra i pazienti e la pazzia del fratello maggiore da sedare, o raramente assecondare, non aveva avuto un minuto di tempo per mettere mano a tutti quei fogli stipati malamente, uno sopra l'altro, all'interno dell'ufficio.
Quando udì un leggero scricchiolio proveniente dalla porta disse con tono profondo, ancora intento a sistemare e non degnando di uno sguardo dinanzi a sé -Karui, per favore, dammi una mano-
-Buon giorno, Izuna -A quella voce l'uomo rivolse finalmente attenzione all'uscio- Ti disturbo?-
-Mikoto-san? No, nessun disturbo, stavo solo... -Parlò leggermente sorpreso da quella visita inaspettata. Non concludendo la frase precedente aggiunse, indicando una sedia- Prego, accomodati-
Si sedette con lentezza dinanzi a lui, osservando con vago interesse le cornici poste sopra il mobile disordinato e sospirando internamente. Era sempre stato un ragazzo fin troppo sentimentale, amava circondarsi di oggetti, soprattutto fotografie, sostenendo che racchiudessero ricordi troppo preziosi per farle andare perdute.
Probabilmente considerava quegli scatti le cose più care da lui possedute.
Spesso lei stessa si stupiva di quell'animo nobile, così diverso degli altri Uchiha, così di buon cuore. Rimaneva un mistero, per Mikoto, come quel ragazzo riuscisse ad esercitare la professione di medico senza autodistruggersi...
-Cercando di trovare un senso in questo disastro?- Finì la sua frase precedente, rivolgendogli un velato sorriso materno.
-Di solito non sono così disorganizzato. -Sentì in dovere di giustificarsi mentre s'accomodava anche lui dietro la scrivania, rivolto verso la donna- Come mai qui?-
-Non posso venire a far visita ad un mio parente?-
Izuna negò con la testa -Non intendevo questo- Nonostante quelle parole continuava a pensare che quel comportamento era fin troppo strano.
La famiglia Uchiha era vasta, spesso nemmeno strettamente imparentata, e trascorrevano solo il tempo necessario tutti assieme.
Matrimoni, funerali, eventuali folli piani di sterminio che si risolvevano in nulla di fatto e rarissime feste comandate, ma forse nemmeno quelle. Erano così numerosi da non riuscire ad entrare in una sola casa, e se ci fossero riusciti sarebbero finiti a discutere aspramente per le cose più assurde.
In più, con la famiglia di Mikoto, non esisteva un vero e proprio rapporto stretto. Probabilmente, per assurdo, quello più legato a loro era Madara, non lui.
-Volevo solo ringraziarti...-
Quel sussurro spontaneo lo ridestò dai suoi pensieri, stupendolo ancora di più -Per cosa?-
Mikoto abbassò il viso, osservandosi le mani unite in grembo, serrando con forza le dita sulla borsa. Si stringeva nelle spalle, sembrando ancora più minuta di quando già non fosse, ancor più stanca e debilitata di quando era apparsa sulla soglia della porta.
-So che, prima che partisse, sei stato molto vicino a Sakura e Sora-
Lui affilò lo sguardo, accavallando le gambe sotto il mobile e parlò serio -È il mio lavoro. La solita routine: vaccini, visite... E le ho semplicemente consigliato un mio collega dell'Ospedale di Suna-
Non sembrava lo stesse ascoltando, però, probabilmente persa in chissà quali pensieri -E ti sei occupato di Daisuke quando è stato male...-
-Mi sono limitato a prescrivergli uno sciroppo-
-Sarei dovuta esserci io...-
E a quella frase Izuna comprese l'estremo bisogno di parlare, di sfogarsi, che aveva la donna. Probabilmente non aveva mai detto quelle poche parole ad alta voce, chiudendosi in se stessa ogni giorno di più per non avvertire altra sofferenza.
Socchiuse gli occhi, lasciando che continuasse, ben sapendo che non aveva ancora finito.
-Sono la nonna e, nonostante questo, per tantissimo tempo non mi sono fatta viva con Daisuke e Sora. Nemmeno quando lui stava male, o quando lei se n'è andata.
Non sono riuscita a salutarla, a prenderla in braccio, non sono stata in grado di rimanere accanto a Sakura quando più ne aveva bisogno, oppure... Consolare il mio bambino.
L'unica cosa che mi rimaneva di Itachi era la mia nipotina ed io... L'ho scacciata...-
Izuna riaprì gli occhi, rialzandosi ed avvicinandosi a lei, le posò lieve una mano sulla spalla e disse sinceramente -Non l'hai scacciata, potrai rivederla quando vorrai. E nessuno della tua famiglia prova rancore nei tuoi confronti.
Sono stati mesi difficili per tutti, soprattutto per te-
-Questo non diminuisce le mie colpe- Obiettò piano, tenendo sempre lo sguardo basso.
-Magari no, ma le giustifica. -Asserì nuovamente, provando a rivolgerle un sorriso gentile. Si allontanò ancora una volta, decidendo di tenere le mani occupate e pinzare alcuni documenti nel frattempo, per quanto volesse aiutarla sentiva di non avere abbastanza confidenza per fare chissà cosa.
Forse più gentile, forse più umano degli altri, ma era pur sempre un Uchiha e tendeva a chiudersi a riccio quando lo colpivano emozioni troppo potenti da gestire.
Per questo provò a cambiare argomento, cercando un appiglio per spostare la conversazione su un terreno meno doloroso, forse- Sei da sola?-
-Mi ha portato qui Fugaku, ma è rimasto in macchina- Riferì docilmente, pareva eccessivamente pensierosa nel nominare il marito.
-Poteva salire, mi avrebbe fatto piacere salutarlo-
Mikoto stirò le labbra, informandolo con tono basso e privo di qualsiasi emozione -Non gli piacciono più gli Ospedali. E poi è pigro, ormai stiamo diventando vecchi-
Quel 'più' non era una parola messa a caso, lo sapeva, ma in fondo a chi piacevano quei posti? Lui stesso, nella giornate peggiori, faceva un'estrema fatica a rimanere lì
dentro.

Arrivare a provarne disgusto, però, lo vedeva spesso succedere, soprattutto ai famigliari dei pazienti più gravi o deceduti. L'Ospedale era da sempre visto come il posto in cui le persone andavano a morire, non a curarsi.
-La vecchiaia alle volte è più una condizione puramente psicologica, e poi voi non avete nemmeno sessant'anni. Ho conosciuto novantenni ancora pieni di vita...-
Lei sorrise senza alcun divertimento -Magari loro non avevano perso un figlio così giovane-
L'uomo prese un profondo respiro, detestava vedere qualcuno distruggersi a quel modo. Probabilmente la Mikoto che aveva davanti era meno sofferente di quella di settimane prima, ma quel dolore non accennava a diminuire né per lei, né per il marito che ancora si dava la colpa. Se avessero continuato così si sarebbero uccisi prima del tempo.
-Magari sì, invece.
Ne ho visti tanti morire, di tutte le età, etnie, credi religiosi; persone che non lo meritavano, che hanno lasciato i loro cari nel dolore. E ho visto tanti modi diversi di affrontare un lutto, nessuno meno logorante dell'altro.
Il mio lavoro consiste in questo, in fondo, una lotta eterna contro un nemico troppo spaventoso e forte da sconfiggere.
Ho visto i miei genitori andarsene quando ancora non ero in grado di fare nulla e, sicuramente, nemmeno ora avrei potuto fare qualcosa per salvarli.
Sono diventato un Dottore per tentare, nulla di più, ben sapendo che la maggior parte delle volte provarci equivale comunque ad un fallimento. Ed ho appreso che soffrire per la morte dei miei pazienti è inutile, perché sarebbe un'ennesima sconfitta.
La più grande.
Quando Itachi è deceduto mi sono ritrovato nuovamente nella situazione di aver perso qualcuno di importante, nonostante non lo conoscessi così bene. Diviso tra il famigliare che incolpava il chirurgo di non averlo salvato ed il medico che sapeva benissimo quanto il suo collega si fosse ritrovato impotente dinanzi ad un corpo arrivato praticamente già morto-
Mikoto trasalì a quel fiume di parole, le sue labbra cominciarono a tremare impercettibilmente ed i suoi occhi s'inumidirono a quell'ultima frase.
Non parlò, non sapeva cosa dire e credeva che se solo ci avesse provato sarebbe scoppiata in un pianto disperato, l'ennesimo.
-Non possiamo morire tutti perché lui non c'è più, Mikoto. -Disse ancora, quasi severamente- Non sono un padre, non sono una madre e non lo sarò in futuro. Quindi probabilmente non riuscirò mai a capire cosa si prova, ma posso solo immaginare quanto sia grande la voragine che cerca di risucchiarti. Però... Una cosa la so: so che il miglior modo di vincere la morte è non averne paura, so che per onorare la memoria dei nostri cari la cosa più importante è farsi forza e continuare a vivere, per loro-
Lei socchiuse gli occhi umidi, accennando un piccolo movimento con il capo e prendendo un profondo respiro disse -Riuscirci è estremamente complicato alle volte-
-Lo so...- Mormorò comprensivo.
Mikoto lo guardò per qualche istante, sorrise mestamente e si sollevò dalla sedia -Devo andare, non voglio far aspettare troppo Fugaku. -Lo bloccò prima che potesse dire qualcosa, sicuramente scusarsi sentendosi in difetto per le parole dure, ma vere, che le aveva rivolto- Grazie, Izuna, mi ha fatto bene parlare con te. Sicuro di essere un Uchiha?- Diede voce ai suoi pensieri, mostrandosi più serena di minuti prima.
Accennò una risata roca, puntellando il gomito sopra la scrivania e posando la mano chiusa a pugno contro una guancia rispose -I tratti 'migliori' li ha ereditati mio fratello-

Quando la donna uscì dall'Ospedale il vento freddo di quel giorno le fece prudere la punta del naso, rilassò leggermente le spalle, sollevando per un attimo gli occhi verso il cielo plumbeo e poi cominciò ad incamminarsi lentamente in direzione della macchina.
Notò il marito, silenzioso e immobile, all'interno dell'abitacolo; anche lui più vecchio e provato di quanto fosse mai stato.
Salì nel posto del passeggero, silenziosa lei stessa, e quel senso di impotenza tornò a soffocarla facendole nuovamente abbassare lo sguardo. Come sempre.
Quell'aria satura di parole non dette li stava divorando poco a poco.
-Fugaku? Potresti accompagnarmi in un posto?- Lo richiamò dolcemente, nello stesso istante in cui udì il motore ruggire e la macchina mettersi in moto.
-Dove?-
Quella freddezza nel tono di voce del marito la destabilizzò ancora, non sapendo bene come comportarsi con lui, ma riferì comunque piatta -Al cimitero-
Lo vide stringere le mani sul volante e serrare la mascella, perso in pensieri che mai le avrebbe confidato, ma che lei conosceva perfettamente.
-Va bene. Ma non mi va di scendere con questo tempo, ti aspetto in macchina-
Mikoto si ammutolì nuovamente, stava di nuovo per assecondarlo, sbagliando.
Allontanandolo.
Facendolo dannare inutilmente e continuando a darsi la colpa, sentendosi come il mostro che la aveva privata del suo adorato figlio a causa di una terribile mancanza.
Ma ormai puntare il dito ed incolpare qualcuno sarebbe stato del tutto inutile. A fermarlo ci aveva provato quel giorno, a farlo ragionare anche. Itachi, però, s'era sempre dimostrato troppo testardo quando si trattava del fratello minore.
Dirgli questo. Consolarlo. Non avrebbe riportato Fugaku da sé, ne era cosciente. Spesso, troppe volte, si era data per vinta, incapace di trovare la forza necessaria per risollevare se stessa e nel contempo anche il marito, ma era stanca.
Non voleva più vivere con il fantasma di chi amava.
Per questo si ritrovò a ri-addrizzare la schiena, voltarsi verso il suo profilo ed affilare lo sguardo, ordinado senza alcuna possibilità di scelta -Tu vieni con me, invece-
Fugaku si stupì di quel tono che per molti mesi non aveva più udito, chiedendosi perfino se non se lo fosse immaginato. La osservò di sottecchi per un istante, tornando poi a rivolgere attenzione alla strada -Ma...-
-Niente ma, marito inutile! -Arrestò il suo tentativo di obbiezione ancora prima che potesse dire qualcosa di sensato, incrociò le braccia sotto al seno e tornò anche lei ad osservare dinanzi a sé- E per l'amor del cielo concentrati sulla guida, non voglio fare un incidente a causa della tua stupidità-
Lui stirò vagamente le labbra in un sorriso, avvertendo la tenaglia che stringeva le sue viscere da mesi e mesi allentarsi un poco, sempre di più mano a mano che i secondi passavano e i rimproveri di Mikoto divenivano più aspri, e infine, con un sussurro accondiscendente, disse solo -Come desideri, tesoro-
La donna lo osservò nuovamente, allungando una mano verso la gamba del marito e posando il capo sulla sua spalla, finalmente tranquilla.

Anko sbuffò sonoramente, puntellò i gomiti sul tavolo del salone e poggiò il mento sopra le nocche delle mani, osservando in cagnesco il suo fidanzato, a cui grazie al cielo in quel tempo erano ricresciuti i capelli fin quasi alla vita, che stava vagando per la stanza come un'anima in pena.
-Tesoruccio, se vuoi lo faccio io-
-Non ti azzardare, strega! È mio compito- Esclamò perentorio, scoccandole un'occhiata raggelante e tornando poi a creare un solco sul pavimento mentre percorreva, a passi sostenuti, per la centesima volta il salotto.
Sono un uomo adulto, non posso farmi intimorire da... Questo... Si disse annuendo pensieroso tra sé e sé e contraendo la mascella mentre si posizionava davanti ad Anko, di nuovo.
-Sono tre ore che cerchi di chiedermi di sposarti, possiamo fare veloce? Devo andare in bagno urgentemente- Parlò lei annoiata, tamburellando a terra con i piedi.
Quel bastardo le aveva perfino impedito di alzarsi, ed era mezz'ora che la tratteneva.
-Ho i miei tempi! -Sbraitò incattivito, per poi allontanarsi nuovamente da lei e borbottare- Perfetto, ho perso l'ispirazione- Sbuffò come un toro inferocito e ricominciò a vagare per la stanza, continuando a biascicare parole sconnesse ed insulti.
Per l'amor del cielo, mi piscerò addosso se continua così... Lo maledì internamente, stendendo con sofferenza le braccia lungo il tavolo e sbattendo la testa contro il legno, intenzionata a causarsi uno svenimento.
Ma così non accade e trascorsero altri tremendi e lunghissimi minuti; minuti in cui Anko aveva immaginato la morte del suo sadico tesoruccio in mille e più modi, tutti per mano sua. Poi finalmente udì un colpo di tosse seccato, sollevò il viso e spostò lo sguardo verso la sua destra, arcuando scettica un sopracciglio quando lui s'inginocchiò a terra e buttò fuori monocorde -Vuoi passare ogni irritante ora della tua esistenza con me?-
Lei storse il naso, aveva davvero fatto trascorrere così tanto tempo per quella frase?
Alzò gli occhi al cielo, sospirando internamente ed adocchiando l'anello che le stava porgendo di malavoglia, e l'idea di spostarsi era perfino stata di Madara, non sua.
-E questo a chi lo hai fregato?- Domandò con un sorriso strafottente, quell'aggeggio era troppo bello e di classe per esser stato scelto da quell'uomo così poco incline a quei gesti, da lui definiti, superflui.
Schioccò la lingua contro il palato, infastidendosi ancora di più e si rimise in piedi. Il romanticismo era finito, se mai c'era stato.
-Era di mia madre-
Anko ne rimase profondamente sorpresa, non riuscendo a trattenere un'espressione più dolce farsi strada sul proprio viso; si alzò anche lei, facendo un passo verso il compagno, mentre sulle labbra le si disegnava un sorriso prezioso e pieno d'amore.
Così strano che per poco Madara non si chiese se fosse stato il caso di buttarle addosso una pentola d'acqua piena di sale, come si fa per uccidere le streghe.
Ma lei lo bloccò prima ancora che quel pensiero si facesse realmente strada nella sua mente, sfiorandogli delicatamente le dita con le proprie e porgendogli la mano, lasciando che potesse infilarle l'anello.
Stranamente non fece alcuno sforzo, le calzava a pennello e seppe che, con molta probabilità, quel pazzo aveva preso la misura del suo anulare mentre dormiva.
Lo conosceva fin troppo bene.
Si osservò la mano, ancora silenziosa e sorridente, ma non si trattenne dal provocarlo -Sai che questo significa che dovremmo vivere assieme?-
Madara storse la bocca, voltò il capo d'un lato e domandò -Non se ne potrebbe fare a meno?-
La sentì scoppiare a ridere cristallina, le sue braccia avvinghiarglisi al collo un attimo dopo e le labbra piene, ancora piegate in un'espressione euforica, premersi contro le proprie per coinvolgerlo in un lungo bacio che ricambiò con voracità, senza farselo chiedere due volte. Circondò la sua vita, avvicinandola ancora di più e inclinando il collo lievemente per approfondire il contatto delle loro bocche, la udì mugolare e ridacchiare ancora mentre si allontanava di qualche millimetro da lui per guardarlo negli occhi e soffiare ilare -No, biscottino-
-Me ne farò una ragione. -Mormorò roco, mordendole le labbra e catturandole nuovamente con le proprie, per nulla intenzionato a lasciarla allontanare da sé, almeno per un poco. Ghignò sarcastico contro la bocca della donna e aggiunse, parlando direttamente poggiato a questa- Basta che non mi pisci sul tappeto-
Anko lo schiaffeggiò su una spalla, scoppiando nuovamente a ridere, poi tornò seria, lo allontanò con uno spintone e corse via, ringhiando -Dannazione! Devo davvero andare in bagno-
Non si preoccupò nemmeno di rispondere alla sua proposta di matrimonio, ma... Ce n'era seriamente bisogno? 

   
 
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