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Autore: Darkrystal Sky    01/05/2016    1 recensioni
MULTI-CROSSOVER FIC Conoscete tutti la storia di Edward e Alphonse Elric, ma quanto cambierebbe questa se le persone che hanno incontrato durante il loro viaggio non fossero le stesse? Se il Viaggio tra Dimensioni parallele fosse di dominio pubblico e il Multiverso fosse al centro di una faida millenaria?
La storia di Fullmetal Alchemist come non l'avete mai vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7 - Determinazione

Stand my ground, I won't give in
No more denying, I've got to face it
Won't close my eyes and hide the truth inside
If I don't make it, someone else will
Stand my ground...
All I know for sure is I'm trying
I will always stand my ground
Within Temptation - ‘Stand My Ground’
 

“Oriel!”
La ragazza sussultò, bruscamente distolta dai suoi pensieri dalla voce di Ed e Al che la chiamavano.
“Cosa c’è?” rispose lei, più sgarbatamente di quanto avrebbe voluto.
“Stavamo parlando della prova pratica dell’esame” spiegò Alphonse. Sospirò. “Avrei voluto assistere, peccato che si sia svolto a porte chiuse.”
Oriel affondò di nuovo nel sedile del treno, mentre i ricordi le riaffioravano alla memoria.
-
Per la prova pratica, i candidati furono condotti in un’arena nella quale era stato ricreato un ambiente naturale con tanto di rocce, alberi e un laghetto. Lì fu annunciato che la prova consisteva nell’esecuzione di una trasmutazione di fronte a una giuria composta dal Comandante Supremo e alcuni suoi sottoposti, inclusi il colonnello Mustang e il generale Basque Grand, eroe della recente Grande Guerra dell’Est. Mentre aspettava il suo turno, Ed si mise una mano in tasca e prese il gessetto che avrebbe utilizzato per tracciare il suo cerchio alchemico. Se lo rigirò nervosamente tra le mani mentre ripensava mentalmente alla trasmutazione che voleva eseguire, poi se lo rimise in tasca.
Il primo candidato, un uomo di mezza età visibilmente emozionato, tracciò velocemente il suo cerchio alchemico intorno ad alcune rocce. Appoggiò le mani tremanti a terra e trasmutò una torre maestosa, che crebbe un piano dopo l’altro, sempre più alta, fino a raggiungere almeno cento metri. L’uomo si rialzò e s’inchinò di fronte ai giudici, ma aveva il fiato corto e la fronte imperlata di sudore. Era visibilmente senza forze. I giudici si scambiarono uno sguardo e molti di loro scossero la testa: un bravo alchimista doveva essere in grado di compiere trasmutazioni alla sua portata anche in termini di sforzo fisico. L’uomo fu congedato con un gesto e, a capo chino, lasciò l’arena e si sedette sugli spalti.
La seconda persona a farsi avanti fu Oriel. Non indossava la giacca dell’uniforme, e avviluppato intorno all’avambraccio sinistro portava un elaborato bracciale d’argento composto da segmenti circolari sui quali erano incise curve e linee ad una prima occhiata casuali. La ragazza si guardò intorno con imbarazzo per qualche secondo prima di chinarsi a terra e posare le mani sul terreno:  il bracciale d’argento rivelò il suo uso quando alcune linee si illuminarono, componendo un cerchio alchemico. Lampi di energia bluastra percorsero il terreno davanti a lei, ma quando si spensero non era avvenuta nessuna trasmutazione visibile. Alcuni candidati ridacchiarono, ed Edward vide alcuni giudici scuotere la testa, prima di rendersi conto che Oriel teneva in mano una pistola. Trasmutare un’arma da fuoco era mediamente complesso, ma niente di eccezionale, e non giustificava il grande dispendio di energia a cui avevano appena assistito. Oriel, però, non sembrava aver concluso la sua prova: con un respiro profondo, sparò un singolo colpo a terra. Lo sparo risuonò nella piazza, seguito da un silenzio imbarazzato. Un generale fece per alzare la mano e congedare la ragazza, quando questa sparò un secondo colpo, a un metro scarso di distanza dal primo. Dal punto in cui il proiettile era venuto a contatto col terreno scaturì una grossa esplosione che sollevò roccia e terriccio per diversi metri. Era una mina: Oriel aveva creato un campo minato. La ragazza cominciò a camminare al suo interno. Sembrava sapere perfettamente quali punti evitare, perché si muoveva con eleganza, seppur leggermente impacciata per l’agitazione. Sembrava quasi che stesse danzando. Altri colpi della pistola colpirono altre mine, facendole detonare, mentre lei volteggiava tra le esplosioni senza perdere il ritmo. I detriti che avevano invaso la piazza non si erano ancora posati quando la ragazza,  coperta di polvere da capo a piedi,  si fermò e fece un inchino. I giudici sembravano soddisfatti e la congedarono con un gesto.
Il terzo candidato era visibilmente irritato dallo spettacolo di Oriel, ma sembrava impaziente di mettersi in mostra. Per prima cosa tracciò un grande cerchio molto elaborato intorno a un albero e alla pozza d’acqua, poi posò le mani a terra e trasmutò un enorme pallone di carta variopinto pieno di idrogeno. Questo si librò in aria, volteggiando intorno alla torre, quasi a volerla scalare. I giudici annuirono vigorosamente: saper calibrare lo spessore della carta ricavata da un intero albero e la giusta quantità di idrogeno estratto dall’acqua in modo così preciso richiedeva grande abilità, per non parlare del pigmento colorato ottenuto dai muschi e dai licheni che crescevano sull’albero stesso. L’uomo s’inchinò e fu congedato.
Era il turno di Edward. Il ragazzino fece un passo all’interno dell’arena, ben sapendo di avere gli occhi della giuria puntati addosso. Non poteva deluderli. Prima che potesse fare qualunque cosa, però, il pallone di carta, che non era ancorato a niente, fu investito da una folata di vento e finì contro la torre di roccia. La carta si squarciò, liberando con un’esplosione l’idrogeno, e il pallone rovinò a terra insieme ai detriti della torre, dritti verso gli spalti dove erano seduti gli aspiranti alchimisti. Molti di loro scapparono, ma il primo candidato, il creatore della torre, era ancora privo di forze, e Edward realizzò che non sarebbe mai riuscito a spostarsi in tempo. Fu come se tutto si muovesse al rallentatore: carbonio, idrogeno, ossigeno, silicio, alluminio, sodio… In una frazione di secondo, gli elementi coinvolti si fecero chiari nella mente di Edward, insieme alle linee e alle formule necessarie alla trasmutazione. Batté le mani e, senza alcun cerchio alchemico né catalizzatore, trasmutò torre e pallone in cenere.
Nell’arena cadde il silenzio, mentre la cenere scendeva dal cielo come neve e si posava sui capelli e gli abiti dei presenti. Poi qualcuno nel gruppetto dei candidati cominciò a battere le mani, seguito da qualcun altro, finché lo scroscio degli applausi non coinvolse tutti i presenti. Edward rimase immobile al centro del campo, fissandosi le mani con gli occhi sgranati. Non riusciva a capire cosa fosse appena successo: aveva semplicemente battuto le mani e pensato intensamente a cosa avrebbe voluto trasmutare e come. E aveva funzionato.
-
“Come tu sia in grado di trasmutare senza cerchio alchemico per me rimane un mistero” esclamò Oriel, scuotendo la testa. “Va contro tutto ciò che si sa dell’alchimia.”
“L’hai detto tu stessa” Edward alzò le spalle, con un sorrisino. “Sono un prodigio.”
Oriel roteò gli occhi, ma non riuscì a nascondere un sorriso.
-
Alcuni giorni dopo la prova pratica, gli aspiranti Alchimisti di Stato furono convocati da Roy Mustang, che era stato incaricato di comunicare loro i risultati dell’esame. Lo stesso gruppetto che qualche giorno prima si era ritrovato nell’arena si riunì davanti alla porta dell’ufficio del colonnello. Edward si ritrovò sommerso di complimenti: in particolare l’uomo di mezza età che aveva salvato grazie alla sua trasmutazione non la smetteva più di dirgli quanto fosse stato strabiliante.
“A me interesserebbe sapere come hai fatto” commentò Oriel.
Edward fece un sorrisetto.
“Segreto professionale” rispose enigmatico.
“Parli come mio fratello quando faceva esperimenti nel seminterrato” rise lei.
“Anche tuo fratello è un alchimista?”
Oriel alzò le spalle, ma non aggiunse altro.
La porta dell’ufficio si aprì e comparve una soldatessa con in mano la lista dei candidati e l’esito dell’esame, e cominciò a leggerla ad alta voce. Tra i bocciati ci furono sia l’alchimista che aveva creato la torre, sia quello che aveva trasmutato il pallone di carta, e furono accompagnati fuori dalla stanza. I due ragazzi, ovviamente, erano stati promossi. La soldatessa fece entrare uno per volta i nuovi Alchimisti di Stato nell’ufficio del colonello Mustang, in ordine alfabetico inverso. Quando fu il turno di Edward, il ragazzino fece il suo ingresso a testa alta. Il colonnello lo squadrò da capo a piedi.
“Edward Elric, ti è stato assegnato il secondo nome di Fullmetal Alchemist, l’Alchimista d’Acciaio” disse con tono distaccato, consegnandogli una busta.
Poi rovistò in un cassetto e gli lanciò qualcosa che Edward riuscì a non far cadere per un pelo. Era l’orologio d’argento da Alchimista.
“Colonnello, non poteva consegnarmelo con un po’ più di entusiasmo?!” esclamò.
Mustang lo guardò con espressione neutra.
“Complimenti. Anche tu sei diventato un cane dell’esercito” disse, poi abbassò lo sguardo su un foglio che aveva sulla sua scrivania. Edward aggrottò la fronte, confuso: era stato il colonnello a chiedergli di tentare l’esame per diventare Alchimista di Stato, perché adesso si comportava così? O il suo pessimo umore aveva a che fare con qualche altra questione? Abbassò anche lui lo sguardo sul foglio che stava leggendo Mustang, ma era semplicemente la lista coi nomi dei nuovi Alchimisti di Stato.  “Grazie, Fullmetal” concluse l’uomo senza guardarlo. “Puoi andare.”
Edward rimase immobile per qualche istante, poi fece un veloce inchino e uscì dalla stanza. Incrociò lo sguardo di Oriel, che veniva dopo di lui, e le fece un cenno con la testa. La soldatessa fece entrare la ragazza, e lei ubbidì, richiudendosi la porta alle spalle. Si voltò verso la scrivania dietro la quale era seduto Mustang e i due si fissarono negli occhi a lungo prima che Oriel rompesse il silenzio.
Roy Mustang?” esclamò in tono ironico.
“Ti rivolgerai ai tuoi superiori tramite il loro grado militare e solo ai tuoi sottoposti con il loro nome e cognome” la corresse lui in tono freddo. “Il grado che viene assegnato agli Alchimisti di Stato è equivalente a quello di maggiore, tieni bene a mente la tua posizione.”
Oriel esitò, confusa, ma si riprese in fretta.
“Sì, colonnello.”
Passarono una decina di secondi in cui entrambi rimasero in silenzio, poi Mustang prese un foglio di carta.
“In quanto ufficiale ed Alchimista di Stato, sono stato ritenuto dal Comandante Supremo Bradley la persona più qualificata per fare da mentore ai più giovani Alchimisti di Stato che Amestris abbia mai reclutato. D’ora in poi lavorerai sotto il mio comando, è tutto chiaro?”
“S-sì.”
“Sissignore” la corresse lui.
“Sissignore!” esclamò lei a voce forse troppo alta e facendo una veloce inchino, un abitudine di cui sarebbe stato difficile sbarazzarsi. In quell’atmosfera distaccata e pesante, la ragazza cominciava a sentirsi a disagio.
“Perché hai scelto di diventare Alchimista di Stato?” le chiese lui, ancora con tono brusco, anche se non tanto quanto poco prima.
Se glielo avessero chiesto anche solo 5 minuti prima, la ragazza avrebbe immediatamente risposto: ‘Per consultare i testi riservati e imparare il più possibile sull’alchimia e sulla storia di questo mondo.’ In quel momento, però, le sembrava una ragione stupida e futile. Visto che Oriel non sembrava intenzionata a rispondere, Mustang riprese a spiegare.
"Avrai accesso ai fondi dell’esercito per svolgere le tue ricerche, e potrai usare liberamente le attrezzature e le aree dei quattro Laboratori. In cambio, i tuoi risultati saranno di proprietà esclusiva dell’esercito e dei suoi membri. Ci sono domande?” Oriel rimase in silenzio. Finalmente Mustang sorrise, rilassando le spalle. “Non c’è motivo di essere così nervosa. La prova pratica di quest’anno è stata uno spettacolo eccezionale, specialmente grazie a te e ad Edward Elric. Le tue trasmutazioni sono veloci, precise e versatili. Generare esplosioni controllate è tanto pericoloso quanto utile. Persino il generale Basque Grand è rimasto impressionato, e non è una missione facile.” Oriel rimase impassibile. “Ma ora passiamo alla burocrazia, non posso perdere troppo tempo, purtroppo. Die wände haben ohren" aggiunse velocemente, prendendo un fascicolo. Oriel alzò la testa e spalancò gli occhi nell’udire quei suoni familiari, ma l’espressione del colonnello Mustang era tornata seria. “Oriel Eckhart, ti è stato assegnato il secondo nome di Silver Bullet Alchemist, l’Alchimista Proiettile d’Argento” annunciò l'uomo allungandole l’orologio d’argento.
Oriel lo prese e se lo rigirò tra le mani: era più pesante di quello che aveva creduto, e non solo per una questione di massa.
"Ich glaubte, an der falschen Stelle zu sein” mormorò a voce bassa.
Mustang alzò un sopracciglio, poi sorrise e si alzò, tendendole la mano.
“Rimani nelle vicinanze, ti presenterò i tuoi futuri colleghi una volta concluse tutte le formalità” disse, mentre la ragazza gliela stringeva.
Oriel uscì dalla stanza. Appena uscita, vide che Edward si trovava ancora lì e stava chiacchierando animatamente con un militare.
“Ooh! E così questa è Oriel!” esclamò l’uomo quando la vide. “Sono il maggiore Maes Hughes! Ho sentito moltissimo parlare di te!” esclamò, stringendole vigorosamente la mano.
“Un’altra delle sue uscite da “io so tutto di tutti”, signor Hughes?” fece Edward, ironico.
“No, no,  è diverso! Ich bin Freund…von dich Bruder… L’ho detto bene? Spero di sì!” rise l’uomo con imbarazzo. Edward lo fissò perplesso, mentre Oriel sembrò capire quegli strani suoni e annuì, rilassandosi.
L’ultimo neo Alchimista di Stato uscì dall’ufficio di Mustang col suo orologio d’argento, e la testa del colonnello fece capolino dalla soglia.
“Hughes!” chiamò, seccato. “Se dovete chiacchierare, non fatelo davanti al mio ufficio: qui si lavora!”
Hughes rise.
“Scusa, scusa. Porto fuori a pranzo i tuoi nuovi sottoposti per festeggiare, d’accordo? Tra un’oretta te li riporto...”
“Mi perdoni, signor Hughes, ma avevo promesso a Nina e al signor Tucker che avrei detto loro immediatamente il risultato dell’esame… e Al mi sta aspettando qua fuori... Grazie lo stesso...” disse Edward con un sorriso falsissimo, allontanandosi lungo il corridoio sempre più in fretta, finché non scomparve dietro l’angolo.
Oriel seguì il ragazzino con lo sguardo, ma improvvisamente davanti ai suoi occhi apparve l’immagine di una donna sorridente con in braccio un neonato.
“Guarda com’è carina la mia piccola Elicia!” esclamò Hughes. “Non vedi l’ora di vederla dal vivo, vero? È appena nata, ma si vede già che diventerà bellissima, proprio come la sua mamma!” Oriel sorrise, imbarazzata, senza sapere come rispondere. “È deciso! La cena fuori ve la offrirò la prossima volta, intanto ti accompagno al negozio di giocattoli, poi vieni a casa mia, d’accordo?”
“Perché dovrei voler andare al negozio di giocattoli?” chiese la ragazza, ma l’uomo la stava già trascinando per i corridoi del Quartier Generale.
“Beh, perché devi comprare un regalo alla mia piccola! Chissà cosa sceglierai... Un pigiamino nuovo? O forse un orsacchiotto gigante?”
La ragazza non ebbe la possibilità di ribattere.
-
Ed e Al tornarono a casa Tucker a piedi dal Quartier Generale. Il ragazzino più piccolo voleva sapere tutti i dettagli dell’esame da parte del fratello, mentre quest’ultimo, dopo giorni e giorni di studio, voleva sgranchirsi un poco le gambe. Quando finalmente attraversarono i cancelli della villa dei Tucker, però, si resero subito conto che c’era qualcosa che non andava: era tutto troppo silenzioso e Alexander non li aveva assaliti come al solito. Preoccupati, i due entrarono in casa, ma anche lì il silenzio era totale.
“Nina? Dove sei?” chiamò Alphonse.
Nessuna risposta.
I due fratelli si avventurarono giù per le scale che portavano nei sotterranei dove Tucker svolgeva i suoi esperimenti, una parte della casa che non avevano mai avuto modo di visitare. Giunsero in un corridoio ingombro di gabbie nelle quali si agitavano esseri mostruosi creati con l’alchimia: gli esperimenti malriusciti dell’Alchimista Intrecciavite.
“Signor Tucker?” chiamò di nuovo Edward, ma questa volta il suo tono era nervoso.
“Da questa parte” disse la voce di Tucker proveniente da una stanza in fondo al corridoio.
I fratelli entrarono in quello che era il laboratorio vero e proprio dell’alchimista: le pareti erano ricoperte di cerchi alchemici, c’erano libri e appunti ovunque e, in mezzo alla stanza, c’era Tucker in compagnia di una chimera. Quando Edward la vide, spalancò gli occhi per lo stupore.
“Guardate!” esclamò l’uomo, indicando la chimera. “È perfetta! È una chimera in grado di capire la nostra lingua!” Si accovacciò vicino alla creatura. “Ascoltami: quel ragazzo che vedi si chiama Edward.”
“Edward?” ripeté la chimera con voce roca.
“Sì, esatto!”
“È incredibile!” esclamò Alphonse. “Parla e capisce sul serio!”
Edward si avvicinò alla creatura e si accovacciò davanti a lei per osservarla meglio. Sembrava una specie di grosso cane color crema con dei lunghi peli castani sulla testa che le ricadevano davanti al muso come i capelli di una bambina. Sgranò gli occhi.
“Non è possibile...” mormorò.
Tucker si passò una mano tra i corti capelli castani.
“Ho finito appena in tempo per la verifica annuale. Sapete, l’anno scorso non ho avuto un buon punteggio, ma con questa dovrei passare senza problemi...”
La chimera afferrò coi denti la catenella dell’orologio d’argento che Edward si era messo in tasca.
“Questo è il mio orologio da Alchimista di Stato” spiegò Ed con un tremito nella voce. “Volevo mostrarlo a Nina e ad Alexander.”
La chimera lasciò andare l’oggetto.
“Orologio” disse. “Alchimista.”
“Sì, sì, bravissima!” disse Tucker, fuori di sé dalla gioia.
“Bravissima...” ripeté la chimera. Guardò Ed. “Bravissimo... fratellone.”
Edward chiuse gli occhi. Poi si rialzò lentamente.
“Signor Tucker...” cominciò con voce rotta. “Ha trasmutato la prima chimera in grado di parlare due anni fa, giusto?”
“Sì, perché?”
“E sempre due anni fa sua moglie se n’è andata, giusto?”
“Sì, ma non capisco, cosa...”
“Un’ultima domanda” lo interruppe Ed. Puntò il suo sguardo sull’uomo. “Che fine hanno fatto Nina e Alexander?”
Alphonse sussultò: finalmente aveva capito anche lui. L’espressione di Tucker si fece dura.
“Non ho mai sopportato i ragazzini perspicaci come te” disse con tono piatto.
In pochi passi Edward lo raggiunse e lo prese per il bavero della camicia, sbattendolo contro il muro. Tucker scoppiò a ridere come un folle, e Ed gli tirò un pugno in faccia, facendogli volare via gli occhiali.
“Signor Tucker, lei ha...” mormorò Al, ancora incapace di credere a ciò che aveva di fronte.
“Sì, Al, hai capito bene: prima la moglie, ora la figlia e il cane!” gridò Edward. Lo strinse più forte. “È comodo servirsi degli altri, vero?! Giocare con la vita umana!”
“Non capisco perché ti arrabbi tanto!” si difese l’alchimista. “Il tuo braccio, la tua gamba, l’intero corpo di tuo fratello... Non sono forse il risultato dei vostri giochi con la vita umana?” Edward sussultò. L’uomo sorrise con aria folle. “So bene quali sono le conseguenze di una trasmutazione umana, l’ho studiata per anni. Ho capito fin dal primo momento che vi ho visti cos’avevate tentato di fare. È per questo che voi dovreste capirmi: semplicemente, a me era venuta l’idea di creare una chimera che parlava, tutto qui. Avevo a portata di mano la possibilità di crearla e l’ho sfruttata.” I suoi occhi lampeggiarono. “Sapevamo entrambi che era proibito ma l’abbiamo fatto lo stesso! Tu e io in fondo... siamo uguali!”
Edward lo colpì di nuovo, facendolo crollare a terra.
“Io non sono come te!” urlò, colpendolo ancora, e ancora. “Non sono come te!”
Sollevò nuovamente il braccio per colpire quel volto un’ultima volta, ma si sentì afferrare per il cappotto e si fermò: Nina, o per meglio dire la chimera, aveva un lembo del suo abito tra i denti. Edward abbassò il braccio e si voltò verso di lei.
“Ascolta, Nina... Adesso forse sentirai un po’ male, ma... devi resistere. Ti ritrasmuterò, vedrai...” disse con tono rassicurante, sollevando le mani e preparandosi a batterle.
Tucker scoppiò a ridere.
“Fai attenzione, Edward... o avrai anche lei sulla coscienza.”
Il ragazzino sussultò. Tucker aveva ragione: non aveva mai sciolto una trasmutazione effettuata da qualcun altro, rischiava di peggiorare le cose... sempre che fosse possibile peggiorarle ulteriormente. Rimase immobile per qualche istante, poi abbassò le braccia. Si sentiva impotente.
Alphonse telefonò al Quartier Generale dell’esercito e poco dopo un drappello di militari fecero irruzione nel sotterraneo. Davanti a tutti stava un uomo imponente completamente calvo ma con due appuntiti baffi neri. Edward lo riconobbe come uno dei militari che avevano composto la giuria durante il suo esame pratico.
“Sono il generale di brigata Basque Grand, il responsabile delle ricerche di Tucker, e voglio sapere cosa sta succedendo qui dentro” ringhiò l’uomo.
“Questo mostro... ha usato sua figlia... per la chimera...” riuscì a dire Edward, poi gli mancarono le parole.
Il generale Grand, però, non aveva bisogno di altre spiegazioni.
“Shou Tucker... L’anno passato sono riuscito a coprirti perché le tue ricerche sono uno dei più grandi segreti militari di Amestris, ma questo... questo è troppo.”
-
Oriel e Maes Hughes erano arrivati da pochissimo a casa di quest’ultimo con un gigantesco orsetto di peluche, che avevano posato sul resto della pila di regali che amici e conoscenti avevano portato alla neonata. Gracia non aveva fatto in tempo a mettere la cena sul fuoco che un giovane militare biondo aveva bussato alla loro porta: fuori aveva cominciato a piovere e l’uomo era bagnato fradicio, ma l’espressione sul suo volto lasciava intuire che fosse successo qualcosa di grave.
“Devi proprio andare?” gli chiese la moglie, intuendo la situazione. Hughes annuì gravemente, ma le sorrise lo stesso. “Tornerò presto.”
“Maggiore, il colonnello Mustang sta aspettando” lo incitò il giovane militare sulla porta.
“Vengo anch’io” disse Oriel in tono asciutto.
Hughes scoccò un’occhiata al giovane militare biondo, che alzò le spalle, e poi alla moglie, che annuì con un sorriso triste. Fece un cenno a Oriel, e i tre salirono sull’automobile con cui era arrivato il soldato.
-
Nuvole grigie si ammassavano in cielo mentre Shou Tucker veniva ammanettato e Nina veniva chiusa in una gabbia. Entrambi furono caricati su un furgone militare parcheggiato fuori dalla casa.
“Di questa faccenda se ne occuperà il tribunale militare” disse il generale Grand a Edward. “Tutto ciò che hai visto dovrà rimanere un segreto.”
“Cosa?!” sbottò il ragazzino.
“Non ho altro da dire” lo liquidò Grand, salendo a bordo di una delle auto dell’esercito che scortavano Tucker e la chimera.
“Aspetti un momento!” gridò ancora il ragazzino, ma i veicoli si misero in moto uno dopo l’altro e si allontanarono.
Furioso, Edward batté le mani e utilizzò l’alchimia per rovesciare il furgone su cui era stata caricata Nina. La gabbia si aprì e la chimera riuscì a saltare giù dal mezzo.
“Nina!” la chiamò Ed, facendole un cenno per invitarla a raggiungerlo, ma la creatura, confusa e spaventata, scappò via, costringendo Ed e Al a correrle dietro.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere mentre la distanza tra Nina e i due fratelli aumentava. La chimera s’infilò in un vicolo dopo l’altro fino a scontrarsi con la figura rannicchiata di un uomo coperto di sangue, avvolto in un cappotto chiaro. L’uomo aveva la pelle scura e i capelli mossi e fradici che gli cadevano sugli occhi erano talmente chiari da sembrare bianchi. Quando alzò lo sguardo per vedere cosa si era scontrato contro di lui, i suoi occhi dalle iridi rosse sembrarono quasi brillare al buio.
“Fa…male…fa…ma…mamma…” mormorò la chimera con voce roca.
“Ma tu sei…un essere umano e un cane che sono stati fusi insieme…” mormorò, intuendo subito la natura dell’essere. La chimera lo guardò, curiosa. “Un altro dei loro crudeli giochi, sicuramente. Povera creatura…” sussurrò l’uomo. Le appoggiò la mano destra sul muso, come per accarezzarla, e chiuse gli occhi. “Oh Ishbala, ti imploro, accogli questa povera creatura tra le tue generose braccia...” pregò.
Quando Ed e Al arrivarono, scorsero una figura immobile alla fine del vicolo e si avvicinarono cauti.
“...Nina?” mormorò Edward, con la voce spezzata. Dopo ancora pochi passi, però, il ragazzino si congelò. Il vicolo buio era inondato di sangue, il corpo di della chimera lacerato, i brandelli sparsi per diversi metri.
“Sembra l’opera di... di un animale selvaggio…” mormorò Alphonse, orripilato.
Edward uscì di corsa dal vicolo e vomitò sull’acciottolato, incapace di concepire la scena che gli si era presentata davanti agli occhi. Si pulì la bocca col dorso del guanto, poi, con una determinazione che non credeva di possedere, tornò nel vicolo. Lacrime miste a pioggia gli rigavano il volto mentre batteva le mani e le appoggiava su ciò che restava di Nina e Alexander, tentando disperatamente di attivare la sua alchimia, quell’alchimia che riusciva a usare senza cerchio alchemico ma che non era stata in grado di fare nulla per una piccola bambina. Provò e riprovò, mentre la pioggia lo inzuppava completamente e Alphonse lo osservava in silenzio, incapace di accettare ciò che era appena accaduto.
“Stai sprecando le forze” disse una voce dietro di lui. Edward si voltò e vide che Roy Mustang, bagnato fradicio, era in piedi in mezzo al vicolo a pochi passi da lui. “Per quanto tu possa essere un alchimista esperto, è assolutamente impossibile ricostruire un organismo che ha perso la vita. E a chi gioverebbe se riuscissi a far rivivere quella povera chimera? Sicuramente non a lei.” Le parole dell’uomo furono come una pugnalata al cuore. Edward si lanciò verso Mustang con l’intenzione di colpirlo come aveva colpito Tucker, ma lui lo afferrò per il braccio meccanico e lo bloccò. “Hai un obiettivo preciso da raggiungere, giusto?” gli disse con tono duro. “Perciò non hai tempo da perdere, Alchimista di Stato!”
Il ragazzino lo fissò ancora per qualche istante, poi corse via, seguito dal fratello. Il maggiore Hughes e altri militari si avvicinarono a Mustang. Tra di loro c’era anche Oriel. La ragazza osservò la scena con sguardo distaccato e poco impressionato.
“E così la bambina è morta. Un’altra” mormorò in tono piatto.
Mustang le scoccò un’occhiata perplessa.
 

  
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