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Autore: G RAFFA uwetta    02/05/2016    5 recensioni
Rappresentare la Paura più grande è motivo di orgoglio, un po' meno essere oggetto di scherno. Qualcuno pagherà caro per questo affronto!
Questa storia partecipa a "It's time for Tombola! Challenge" indetto da tatsuei sul forum
Questa storia si è classificata terza al contest "Keep calm e... fatemi amare il vostro personaggio preferito! II edizione - Solo edite!" indetto da Elettra.C sul forum
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Severus è Riddikulus

Dietro le cime degli alberi, il sole stava calando portando con sé l’eco delle grida gioiose dei ragazzi in volo sulle scope, intenti nei loro allenamenti quotidiani.

Al margine della foresta, lungo il pendio est del prato antistante il castello, era sorta magicamente la nuova serra, voluta dal giovane insegnante di Erbologia, in carica da appena due anni. Era un padiglione interamente in vetro di alta qualità dotato di ampi finestroni e abbaini, alcune pareti scorrevano su guide per permettere all’aria autunnale di rinvigorire e ossigenare le piante rare, ivi contenute. Un Tranello del Diavolo, amante del buio e dell’umidità, si inerpicava sul muro della casa adiacente la struttura, tenuto in ombra da un incantesimo permanente.

I profumi esotici delle piante, sapientemente distribuite all’interno della serra, riempivano l’aria, deliziando anche i nasi più delicati; però, se non si faceva la dovuta attenzione, si rischiava di rimanere intrappolati nel sonno perenne. Infatti, una deliziosa pianta dai fiorellini neri punteggiati di viola, tale Eeuwige Slaap1, esalava un mortifero effluvio che, se inalato allo scoccare dell’undicesimo rintocco, mentre il sole si stagliava alto nel cielo, portava a morte certa.

Nessun pericolo quindi per le giovani menti che sostavano chiassose in quei luoghi, a vigilare su di loro c’era il professore, uomo attento e scrupoloso. Certo, se si escludeva quella volta che un Tassorosso era accidentalmente scivolato su delle viscide foglie appena estirpate ed era finito nel caloroso abbraccio dell’Edera stritolatrice del Sudan2, oppure quando i semi contenuti nei tuberi della Griekse Dans3 erano esplosi, inavvertitamente, sull’intera classe mandando più di dieci studenti in infermeria con ustioni gravi e la spasmodica voglia di danzare, oppure... era meglio fermarsi qui.

Da una delle finestre, aperte sul retro della casa, si udì una stanca e giovane voce dire: «Sì, è stato tragico e orribile e devo farci i conti ogni giorno, ma ora ho bisogno di andare avanti4. Smettila di tormentarmi.»

Osservando l’interno, si poteva intravvedere un alto candelabro in ottone, lavorato in delicate trecce, reggere delle candele colorate che espandevano luce e profumo per tutta la piccola stanza. Una scrivania in mogano occupava quasi tutto lo spazio; sopra vi erano accatastati libri, fogli di pergamena impilati malamente, tazze vuote in bilico sui bordi del ripiano e un paio di vasi contenenti la Mimosa Pudica5, un gradito regalo.

Davanti alla scrivania c’erano due sedie rigide munite di un cuscino rosso, ricamato con fili color senape, mentre quella occupata aveva uno schienale alto e l’imbottitura completamente blu. Completavano l’arredamento un divanetto dipinto a fiorami, posto sotto la finestra, e alcuni quadri.

«Sono davvero stanco,» continuò sfinito il giovane uomo mentre strattonava i capelli scuri con le lunghe dita macchiate di terra, uno dei gomiti poggiava dentro un piattino colmo di biscotti allo zenzero. «Questa storia deve finire, ora!» Disse perentorio, «non puoi continuare a rinfacciarmi il passato ogni volta che sei depresso!»

All’uscita infelice fece eco un grugnito indispettito. Con uno scatto fulmineo, il Professore di Erbologia si alzò e, a grandi falcate, prese a girare per l’angusto spazio. I mocassini che calzava stridevano appena sul lucido pavimento in pietra mentre la logora veste da lavoro si impigliava ad ogni movimento.

«Senti,» disse, bloccandosi davanti alla finestra e tenendo le braccia alzate in segno di resa, «non puoi continuare a boicottare il mio lavoro tartassando gli alunni.» Stringeva gli infissi con disperazione mentre si sporgeva evitando con cura un ramo del Tranello del Diavolo. «Un ora fa,» scandì bene le parole, «hai spaventato Joseph, così tanto, che ha rischiato di tagliarsi le dita con le cesoie!»

«Gli ho solo fatto presente che le cesoie, se utilizzate male, sono pericolose.» rispose una voce sarcastica.

«Ma certo, che sbadato a non averci pensato da solo,» replicò, dandosi una manata sulla fronte. «E per farlo hai, inavvertitamente,» calcò il tono, accompagnando la voce con dei gesti, «fatto cadere il calderone contenente dei campanacci, mi spieghi dove li hai trovati?» Si interruppe perplesso per poi continuare, agitando la mano come se la risposta risultasse superflua, «dunque dicevo? Ah sì, hai fatto cadere il calderone e il baccano improvviso ha fatto trasalire il malcapitato tanto da fargli sfuggire le cesoie, ti rendi conto della gravità del gesto? Poteva farsi molto male.» Urlò infervorato.

Dal lato in ombra giunsero indistinti borbottii sulla stupidità dei giovani d’oggi. Per nulla rinfrancato, il professore si bloccò al centro della stanza assumendo un’aria minacciosa: si portò le mani sui fianchi, alzando il volto, inarcando le sopracciglia e socchiudendo gli occhi marroni mentre piegava le labbra piene in una smorfia adirata.

«Severus,» esordì, «sposterò il tuo quadro e da domani farai compagnia a Gazza nel ripostiglio in fondo al corridoio del terzo piano, quello visitato da Pix, per la precisione.» Lo minacciò, orgoglioso con se stesso per non aver incrinato la voce.

«Non credo di averle mai dato il permesso di chiamarmi per nome.» Rispose per nulla turbato l’interlocutore che finalmente si era palesato in tutta la sua maestosa affettazione per poi continuare con voce monocorde, «mi porti rispetto. Le ricordo inoltre che è colpa sua se si trova in questa spiacevole situazione,» era evidente il tono sarcastico e per nulla pentito dell’uomo, «continuerà a pagare per la sua insolenza!»

«Lo sai, vero, che sono passati molti anni?» Gli rispose esasperato il professore, ignorando l’implicito avvertimento, «e che ti ho chiesto scusa un milione di volte?»

«A quanto sembra la sua arroganza è pari alla sua sfacciataggine!» Replicò Severus con voce sottile e sibillina.

«Perfetto, se questa è la tua volontà ora chiamo Doffin e ti faccio spostare immediatamente.» Lo minacciò, esibendo il dito come fosse una spada. «Rimarrai a languire nella tua testardaggine, visto che da lì non ti puoi muovere,» sogghignò cattivo, «e, come unico panorama, potrai godere solo della vista di Gazza mentre coccola la sua gatta.» Disse risoluto. «Forse, devo ricordarti che sei stato bandito dall’ufficio della Preside? Che in tutto il Mondo Magico nessuno, e sottolineo nessuno, vuole vedere la tua faccia arcigna? Che nemmeno Draco, il tuo figlioccio, è disposto ad ascoltare le tue rimostranze sulla sua vita amorosa?» Elencò serafico. «Questo è tutto.»

«Non puoi farlo davvero.» Balbettò confuso Severus, senza rendersi conto di avergli dato del tu.

«Consideralo già fatto.» Continuò il giovane mentre esibiva un sorriso derisorio davanti all’evidente sgomento del vecchio professore. Girò sui tacchi e aprì l’uscio per richiamare l’attenzione di un piccolo elfo intento a pulire il camino colmo di cenere. «Doffin,» richiamò l’attenzione dell’elfo con voce gentile, «saresti così...» Non concluse la frase perché Severus lo interruppe, con voce rassegnata, dicendo:

«E va bene! Però non credere che ti perdoni per come hai scacciato il tuo Molliccio!» La voce irritata del mago era condita con il vetriolo.

«D’accordo,» accondiscese, con un sorriso sotto i baffi, «rimani pure abbarbicato nella tua roccaforte, ciò non toglie che in quella occasione sono stato magistrale. Riddikulus!» Soffiò leggero, agitando con un colpo secco la bacchetta verso un piccolo cofanetto che aveva appena scoperchiato, e, come per magia, il suo inquilino si trasformò in un uomo vestito in un vecchio abito verde da donna. «Come puoi notare, sei ancora tu la mia più grande paura.»

Il giovane uscì, lasciando dietro di sé una risata allegra; intanto, il Molliccio si andava sgonfiando fino a scomparire del tutto.

«Neville Paciock, torna subito qui!» Tuonò Severus, rimanendo inascoltato.



Note autrice: vi invito a visitare la mia pagina per notizie, approfondimenti e curiosità https://www.facebook.com/pages/Pensieri-miei/368122016708287

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.


1Sonno eterno in olandese, è una pianta inventata da me.

2Pianta inventata da me.

3Ballo greco in olandese, è una pianta inventata da me.

4Frase da inserire come da bando.

5Questa pianta esiste davvero ed è speciale perché, sfiorandola, chiude le foglie creando piccoli boccioli.

   
 
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