Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |       
Autore: nigatsu no yuki    02/05/2016    3 recensioni
Minilong 3 capitoli | Iwaoi | 20k parole| Viaggio spaziale AU
__________________________________
«Grazie per avermi salvato Iwa-chan» aveva sussurrato, cercando in tutti i modi di sorridere.
Iwaizumi si sarebbe arrabbiato in un’altra occasione, per il modo infantile in cui aveva storpiato il suo nome. Non aveva avuto modo, in ogni caso di replicare nulla, aveva guardato il suo volto ancora una volta, decorato da quel sorriso così vero, da far male agli occhi, alle ossa, al cuore.
Allora, in quel momento ci aveva visto qualcosa di eroico, in quella missione.
Dalle ceneri di quel pianeta distrutto e bruciato, era riuscito a salvare quel germoglio di vita e per un attimo, si era sentito la persona migliore della galassia.
Una singola vita nello sconfinato universo, ma quella vita forse era abbastanza.
Genere: Angst, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La storia ha partecipato al contest "AU contest – Wherever we are" indetto da Emmastarr sul forum di efp
e si è classificata al III° posto!
[Pacchetto fantasia #viaggio spaziale
Qui il link del contest]







 
Hai mai provato a contare le stelle?
 
 




1. Premessa

 
Molto tempo prima, in tempi così antichi che nei vecchi archivi digitalizzati bisognava tornare indietro di ere, l’uomo aveva esplorato per la prima volta lo spazio.
Era nella natura umana esplorare. Porsi quei limiti quasi irraggiungibili, in termini di spazio, superarli poi, solo per prefissarne altri. 
Vi si accompagnava la genuina curiosità verso l’ignoto, verso la novità. 
Vi si accompagnava il potere e l’uomo ne era così spesso soggiogato.
C’erano state le prime missioni spaziali, c’erano stati i primi uomini su altri pianeti.
L’avanzamento tecnologico aveva portato la vita umana su altri mondi. E così l’uomo aveva popolato il sistema solare, avamposti umani erano nati su Marte e sulle lune dei grandi pianeti gassosi.
Ma non bastava.
Le navi diventavano più potenti, i tempi si dimezzavano, la tecnologia avanzava, la Terra veniva abbandonata. Si arrivò ad una completa colonizzazione della galassia da parte dell’uomo: sui pianeti più diversi, dagli ecosistemi più vari. 
Poi era entrato in gioco il potere.
Le altre forme di vita erano tutte inferiori all’uomo. I pianeti erano abitati da animali stranissimi, alcuni semplicemente da microrganismi: tutti vennero conquistati, alcuni si estinsero. L'uomo rimaneva l'unico essere senziente della galassia, il suo dominio era incontrastato su essa.
 
Vi fu una prima repubblica galattica: vedeva un capo pianeta per ogni pianeta abitabile, seduto intorno ad un tavolo con i suoi pari a discutere del bene e della politica della galassia.
Ma i giochi di potere si susseguivano ricorrenti, infiniti, insaziabili.
Vi erano stati più tiranni, più dittature militari. La pace non si era mai realmente vista.
Poi erano arrivati i cinque generali che, in un decennio, si erano impossessati della galassia eliminando qualsiasi oppositore, imponendo un regime di controllo e obbedienza che per trecentocinquanta anni aveva imposto la propria idea. Un giovane governo, irremovibile, autoritario.Ingiusto. Tirannico. In cerca di un'utopia irrealizzabile.
Che aveva fatto nascere una resistenza.
E Hajime ricordava le storie di suo nonno, quando da giovane, era diventato uno dei ribelli, quando gli raccontava le sue vecchie avventure, in giro nello spazio, mentre cercava di scappare agli incrociatori galattici.
Hajime era nato in una famiglia di ribelli, in uno dei pianeti esterni dove lo stato galattico non arrivava e adesso, dall'età di diciotto anni, era diventato capitano di una nave e aveva compiuto ciò per cui suo nonno e sua mamma avevano sempre lottato.
Combattere lo stato, rovesciare la dittatura, liberare la galassia.
 

«Quanto credi in questa storia?»
La domanda era aleggiata prima tra i corridoi semivuoti della torre di lancio tre, appena fuori dalla città di Aomina, nel pianeta natale di Hajime. Si rincorreva tra i giovani cadetti pronti ad intraprendere le loro missioni in giro per la galassia.
E ora, il ragazzo, la sentiva di nuovo lì, sulla sua nave spaziale. 
Era una domanda che nessuno del suo equipaggio si era posto ad alta voce, fino a quel momento. Forse perché gli uomini erano rimasti colpiti. Forse spaventati, dalla sicurezza del loro capitano, quando si era offerto volontario per quella missione.
Se di missione si poteva parlare, alla fine.
Hajime si voltò verso il suo ingegnere e meccanico, la curiosità era dipinta sul suo viso e, forse, sembrava anche un po' imbarazzato per quella domanda.
«Ma come, Watari, nessuno ti ha avvisato della novità? Il nostro caro capitano è completamente impazzito!»
«Sai, credo sia colpa di quella strana epidemia che ha colpito la luna di Riot-3, hanno tutti cominciato a vedere fantasmi»
Hajime lanciò un’occhiataccia ai suoi piloti che se la ridevano alla grande, intenti ad ascoltare la conversazione, attenti a non perdersi una parola. Anche loro, alla fine, erano curiosi delle motivazioni che li avevano spinti ad intraprendere quel viaggio.
«Tacete entrambi» intimò Hajime «o vi abbandono sul primo pianete inabitabile che incroceremo»
Hanamaki e Matsukawa continuarono a ridacchiare divertiti, ma tornarono a guardar fuori verso il buio infinito dello spazio aperto. «Calibriamo le coordinate per il salto nell’iperspazio» annunciò il primo. «Conviene che tu vada a controllare il motore ausiliario Watari, faceva storie già prima di partire» disse il secondo.
Iwaizumi fece segno all’interpellato perché eseguisse l’ordine del pilota, aggiungendo «Arrivati nel sistema periferico spiegherò a tutti voi i dettagli della missione, non temere» assicurò.
Ad Hajime non piaceva tenere il suo equipaggio all’oscuro delle sue vere intenzioni, si era sempre considerato una persona giusta. Magari burbera, in alcuni casi, come ai suoi piloti spesso piaceva ricordargli.
Proveniva da una famiglia di capitani di navi spaziali, era forse partito avvantaggiato, dato che a diciotto anni aveva già una sua nave, ma lui sapeva bene che tutto quello se l’era sudato. Aveva frequentato l’accademia come i ragazzi della sua età e si era impegnato al massimo per ricevere dei voti che avrebbero fatto felice suo padre, che gli avrebbero permesso un buon punteggio nell’addestramento.
Aveva la sua nave da poco e aveva deciso di arruolare tutti giovani ragazzi, che provenivano dalla sua classe all’accademia, nonostante molti avessero visto la cosa come uno spreco di risorse.
Si faranno solo ammazzare.
E perderanno la nave nella loro prima missione.
Non era accaduto, anzi si erano quasi fatti un nome tra le file dei ribelli.
L’equipaggio dopotutto era affiatato, quei ragazzi erano anche giovani, ma si conoscevano da tempo e cooperavano in modo incredibile, sembrando una macchina ben oleata.
Hajime era certo il capitano, ma si fidava dei suoi compagni: insieme a loro prendeva le sue decisioni, o in alcuni casi, come quello, si adoperava perché tutti quanti capissero i suoi intenti. Non voleva che pensassero che lui fosse un tiranno che decideva al posto degli altri.
Per queste porcate basta già lo Stato Galattico si ritrovò a pensare sospirando appena e chiudendo gli occhi.
«Appena saremo nel sistema St-899 fermate la nave nell’orbita del pianeta gassoso più grande, stabilizzate la gravità e mandate un messaggio alla base, poi farò una riunione per spiegarvi i dettagli» disse Hajime lasciando la sala comandi, mentre Hanamaki e Matsukawa rispondevano in coro «Sì signore.»
Il capitano si diresse verso la sala di controllo, ignorando il tono canzonatorio dei piloti chiedendosi ancora perché quei due non cominciavano a rispettare le gerarchie. Potevano anche permetterselo lì, sulla nave, ma se poi finivano per sconfinare quando erano davanti ai generali di alto rango, le cose si complicavano.
Arrivato nella sala di controllo si lasciò sedere davanti al computer centrale «Tempo stimato del viaggio nell’iperspazio?» domandò.
Il computer si accese illuminandosi di azzurro «Tempo stimato: ventidue minuti e trenta secondi rimanenti» rispose.
«Visualizza il rapporto della missione» continuò Hajime.
«Caricamento dati missione “Primo sguardo”» replicò il computer iniziando ad aprire documenti su documenti riguardanti la missione.
Hajime si stropicciò gli occhi accusando per la prima volta nella giornata l’assenza di sonno. Guardò il display Tempo sul computer: su Riot-4, il suo pianeta natale, era passata da poco la mezzanotte, ed erano partiti da almeno quattro ore.
Spesso si chiedeva come aveva fatto l’uomo ad abituarsi ai tempi diversi che scorrevano sui diversi pianeti. Lui era abituato a mantenere i ritmi del suo pianeta natale, spesso però, muovendosi in giro per la galassia passava troppe ore senza sonno, mischiando il giorno con la notte. Alla fine lì, nello spazio, era sempre notte e lui non poteva certo passare il suo tempo a dormire.
Sbadigliò ancora, così si alzò, diretto ad un armadietto alle sue spalle; trafficò con vari barattoli fino a trovare quello che cercava. Prese due pillole, sicuro che per le successive dieci ore non avrebbe chiuso occhio e che quindi gli fossero assolutamente necessarie.
Tornò al suo posto: i documenti erano stati caricati e quelli principali venivano riflessi sullo schermo azzurro del computer.
Hajime si sedette e fissò le parole che spiccavano, scritte in caratteri più grandi, evidenziate in rosso.
“Top secret” “Missione spaziale Primo Sguardo” “Umanità in pericolo!”
Senza che se ne accorgesse la sua mente tornò indietro di una decina di anni, dei ricordi indelebili nella sua mente riaffiorarono e lui non poté che non seguirne il flusso.
 
«Oh Hajime-chan sei tornato! Andiamo che la cena è quasi pronta.»
Correva verso casa di sua nonna, l'involucro biocompatibile stretto sotto il braccio. Era riuscito a catturate quel raro esemplare di Libellula Mutaforma Stagionale vicino alla sorgente calda, era il suo premio e se lo sarebbe tenuto ben stretto.

 
«Lo sai che i nomi di tutti gli animali derivano dai primitivi animali della Terra, vero? »
«Certo nonna, me lo ripeti sempre» assicurò Hajime continuando a mangiare con gusto i frutti viola degli alberi ibridi. «Le vere libellule sulla terra avevano solo sei zampe e non così tante ali e poi erano più grandi di questa» concluse indicando la sua preda, piccola come un'unghia che nel suo contenitore stava pigramente poggiata su una foglia.
La nonna rise «Non solo gli animali anche gli alberi da frutto son tutti, in qualche modo derivanti dalla Terra, quello che stai mangiando tempo fa si chiamava mela.»
«Ed era gialla» concluse felice il bambino ridendo.

 
«Nonna mi racconti ancora della Terra?»
La donna rise «È strano sai, gli altri bambini chiedono storie di fantasia, di mostri ed eroi»
«Ma la storia della terra parla dei primi piloti e loro erano come eroi, vorrei diventare come loro!»
L'anziana donna sorrise deliziata dall'ardore che era racchiuso nelle parole del nipotino.

«Su, siediti qui e ascolta» continuò indicando il tappeto scuro ai suoi piedi, raggiunto in un istante dal bambino «allora, dimmi un po', a scuola dicono in che anno ci furono le prime esplorazioni per cercare nuovi pianeti al di fuori del sistema solare?»
«Lo so, lo so!» esclamò Hajime «il libro dice intorno all'anno 4000, ma non è così, vero nonna?»
«Esatto, quasi mille anni prima, quando una delle innumerevoli guerre stava per portare all'estinzione l'umanità e per rendere completamente inabitabile la terra a causa delle radiazioni sprigionate dalle bombe, si decise per un progetto segreto.»
«La missione Primo Sguardo!»
La donna rise «Vedo che ti ricordi molto bene questa storia piccolo» disse «allora quante navi partirono?»
«Dieci navi spaziali grandissime» rispose prontamente Hajime aprendo entrambe le mani, mimando il numero dieci «e l'equipaggio era di cinquanta astronauti per nave» aggiunge chiudendo in successione cinque dita «e portavano con loro tanti, tanti, tanti embi... embiri...»
«Embrioni, Hajime» lo corresse la nonna «come tanti piccoli bambini da crescere che avrebbero popolato i nuovi mondi.»
Il bambino annuì in modo energico «E dopo?»
«Dieci navi partirono, verso punti remoti della galassia, verso pianeti o lune studiati dei potenti telescopi, erano mondi potenzialmente abitabili per noi umani, ma solo tre di queste navi arrivarono a destinazione, solo su tre nuovi pianeti continuò la vita umana.»
La donna prese un respiro, dal ripiano fluttuante alla sua destra prese i due bicchieri pieni di succo viola porgendone uno al nipote, ed iniziando a bere dal suo «Il problema a cui i nostri avi non avevano pensato, mandando lontano da loro, per migliaia di anni luce quegli uomini, era che avrebbero trovato un ambiente ostile all’uomo, nonostante il pianeta fosse abitabile.»
«Si sono evoluti!» interruppe questa volta Hajime, le labbra segnate di viola.
«Esatto. L’ambiente ostile li ha cambiati profondamente, avevano pochi mezzi per rendere il pianeta uguale alla Terra che avevano lasciato, hanno quindi permesso a questo di cambiare loro»
«Ma con noi non è successo nonna.»
«Certo piccolo, i nostri antenati, quando mille anni dopo le missioni Primo Sguardo partirono, cambiarono a loro vantaggio i pianeti conquistati, noi siamo gli stessi umani che lasciarono la terra più di trentamila anni fa, loro invece, evolvendo diventarono quasi alieni.»
«Come si trasformarono?»
«Il primo pianeta raggiunto era quasi completamente ricoperto di acqua, l’aria del tutto irrespirabile, l’ossigeno si trovava solo disciolto nelle acque, così modificarono con potenti macchine il loro DNA perché potessero adattarsi all’ambiente e diventarono come dei pesci.»
«Gli uomini-pesce!» esclamò contento Hajime «avevano le branchie sul collo una lunga pinna sulla schiena e mani e piedi palmati, vero?»
«Molto bene» si congratulò la nonna sorridendogli «andiamo finisci il suo succo però.»
Il bambino si apprestò a finire il suo bicchiere.
«Il secondo pianeta, fu uno sbaglio, scelto solo per la sua atmosfera completamente respirabile, ma gassoso. Nella sfortuna però qualcosa non andò storto: il nucleo del pianeta era completamente ferroso, al di sopra di questo aleggiavano masse di gas come quelle dei grandi pianeti, ma l’atmosfera si estendeva per chilometri e chilometri al di sopra della superficie gassosa, e quel grande nucleo ferroso era come una calamita. Aveva attirato tanti asteroidi che pigri galleggiavano nel cielo di questo pianeta. Sugli asteroidi iniziarono a crescere piante a scorrere fiumi: erano un luogo perfetto. Gli umani però dovettero modificarsi per resistere alla rarefazione dell’aria e dovevano spostarsi da un asteroide all’altro quindi…»
«Quindi si fecero crescere le ali!» rispose Hajime.
«Molto bene. Le ali e una lunga coda come timone, le loro ossa si alleggerirono e svilupparono più di due polmoni per sopperire all’aria mancante ad alte quote.»
«E il terzo nonna? Racconta, è il mio preferito!»
«Il terzo era il pianeta desertico» iniziò la donna con un sorriso «l’acqua scorreva solo nel sottosuolo e l’aria era irrespirabile, tranne che nelle oasi. Nelle oasi c’era il grande totem di pietra, alla sua sommità cresceva un albero, il guardiano dell’oasi. Creava ossigeno e permetteva all’acqua di sgorgare in superficie; gli umani dovettero venire a patti con ogni totem prima di stabilirsi nell’oasi. Non si sa che cambiamenti abbiano impresso al loro DNA, non lo divulgarono mai, ma si pensa siano riusciti a comunicare con i totem, e vivere sotto la loro protezione.»
«Io li immagino con la pelle verde e gli occhi gialli, tipo grandi lucertole della Terra.»
La nonna sorrise «Chi lo sa? Magari sono davvero come li immagini tu.»
Hajime si alzò in piedi convinto «Voglio incontrare gli alieni che erano umani un giorno, ritroverò i loro pianeti, dovranno sentirsi davvero soli!»
«Nessuno li ha mai trovati piccolo mio» rispose amaramente la donna «immagino si siano dimenticati di essere ancora in parte umani, ormai sono solo alieni, ma sai cosa si dice?»
«Cosa?»
«Che chiedano aiuto al cielo, che chiedano all’universo di farli rincontrare con noi, come fratelli che non si vedono da tanto» la donna aveva un sorriso nostalgico dipinto sul volto.
Hajime le afferrò una mano, la guardò fisso nei vecchi e saggi occhi mentre il sole calava definitivamente dietro le montagne, mentre le prime due lune apparivano «Te lo prometto nonna io li troverò, e dirò loro che non sono più soli»
La donna sorrise posandogli una mano sulla guancia «Spero che potrai far avverare il tuo sogno Hajime-chan…»
 
Hajime ritornò al presente quando lo schermo davanti a sé lampeggiò dicendogli che mancavano cinque minuti all’arrivo dell’astronave.
Tornò a stropicciarsi gli occhi e a sospirare; i suoi genitori avevano sempre scoraggiato sua nonna dal raccontargli certe fantasticherie su qualcosa che probabilmente non era mai accaduto.
Sua nonna era morta cinque anni prima. Qualche mese dopo era arrivata voce che lo Stato Galattico aveva trovato il primo pianeta della missione Primo Sguardo, e così i primi alieni senzienti della galassia, alieni che una volta erano umani.
Gli alieni erano stati uccisi quasi tutti, ne avevano prelevati una trentina e trasportati in una zona protetta, in uno dei sistemi centrali. Il pianeta era stato distrutto, in quanto simbolo di un’era decadente, inferiore, dimenticata.
Poi appena sei mesi prima era trapelata un’informazione tramite le spie ribelli: si diceva che lo Stato avesse trovato il terzo pianeta.
Hajime non avrebbe mai potuto rinunciare a quella missione, un salvataggio.
Il grido disperato di quei popoli a lui era arrivato forte e chiaro, era una triste melodia che viaggiava per l’universo. Proprio come aveva sempre pensato sua nonna.
 

«Continuo a pensare che tutta la pubblicità su questa faccenda fatta dallo Stato, sia stata per spaventarci» ripeté ancora Matsukawa grattandosi il mento.
Hajime sospirò, aver spiegato al suo equipaggio le sue vere intenzioni doveva averli resi ancora più scettici.
«E chi ci dice che non sia una trappola?» ringhiò ad un certo punto Kyoutani «magari ci hanno attirati qui per farci saltare in aria!»
«Quando mai Iwaizumi ci ha trascinati in una trappola?» intervenne Kindaichi «ce la siamo sempre cavata egregiamente in ogni situazione.»
Decisamente, gli stava tutto sfuggendo di mano, perché in quel momento tutto l’equipaggio iniziò a battibeccare, come i peggiori ragazzini da accademia.
«Ohi!» tuonò Hajime, cosa che fece calare il silenzio «mi dispiace non avervi messo al corrente prima delle mie vere intenzioni, ma ipotizzando che questa storia sia vera, sapete cosa rischiamo?»
Ci fu silenzio per qualche altro secondo, poi Yahaba prese la parola «Se questa storia è vera, un pianeta rischia la distruzione, e ci sono in ballo probabilmente migliaia di vite.»
«Esatto» replicò Hajime «aderiamo alla causa dei ribelli perché non è pensabile che lo Stato faccia quello che vuole calpestando le vite delle persone a proprio piacimento. Avete ragione mi spingono motivazioni personali, da bambino fantasticavo spesso su questi… alieni» preferì non parlare di sua nonna «ma prima di ciò a muovermi è il senso di giustizia, un mondo non deve scomparire per i capricci dello Stato» prese fiato fissando negli occhi i suoi uomini «ma questo non posso farlo senza di voi, lo sapete meglio di me.»
Dalle loro espressioni sapeva di averli conquistati, nonostante Kyoutani continuasse a guardarlo in cagnesco, Hajime si ritrovò a pensare che era davvero fortunato ad essere in quella squadra.
«Insomma in ogni caso, avremo riconoscimenti e gloria, andasse bene» ruppe il silenzio Matsukawa con un sorriso sghembo. Fu prontamente ripreso da Hanamaki che gli tirò un pugno sul braccio «Bella frase, complimenti!» sbottò.
«Io ci sto!» disse Kindaichi, che forse era stato l’unico ad essere d’accordo dall’inizio.
«Sì, va bene» disse Watari.
«Anche io» aggiunse Kunimi.
«Conta su di me, capitano» annuì Yahaba.
«Se ci lasciamo le penne, ti ammazzo» ringhiò Kyoutani contro il medico e biologo di bordo che si apprestò a tirargli un pugno sulla schiena «Riuscirai mai a rispettare la gerarchia? Glielo devi al capitano» sbottò Yahaba di rimando.
Ma Iwaizumi aveva letto approvazione nello sguardo arrabbiato del biondo, nonostante lo nascondesse sotto l’espressione perennemente furiosa.
«Bene» disse Hajime «tiratori andate in posizione, nel caso lo Stato abbia voglia di farsi vedere.»
Kindaichi, Kunimi e Kyoutani annuirono andando verso le loro posizioni.
«Computer aziona il radar, ricerca forme di vita superiori in questo sistema» continuò «e voi due» disse adocchiando i due piloti «tracciatemi una rotta sicura appena avremmo il punto giusto.»
«Certo, mamma» replicarono in coro Matsukawa e Hanamaki sparendo verso la loro postazione prima che Iwaizumi decidesse di prendere entrambi a calci.
«Watari il reattore come è messo?» continuò.
«L’ho aggiustato e ricalibrato il sistema di avviamento» rispose «devo solo fare un’accensione manuale nel caso uno dei motori generali si spenga» si diresse verso la sala macchine senza aspettare l’ordine.
Hajime allora si rivolse di nuovo al computer «Hai trovato il pianeta? Mandami le immagini.» L’ologramma di un pianeta dai toni arancioni apparì in mezzo alla stanza «Yahaba analizza tutti i dati che arrivano, voglio sapere tutto, dall’atmosfera, alla composizione del suolo, ai microorganismi più piccoli rilevabili dal radar.»
«Sì signore» Yahaba iniziò ad analizzare subito i dati e Hajime lo lasciò al suo lavoro.
 

C’era qualcosa di strano.
Era impossibile non notarlo, sebbene nessuno dei componenti dell’equipaggio avesse mai visto quel pianeta. Era l’emisfero settentrionale ad avere il maggior numero di oasi, così aveva detto il computer dopo aver analizzato il pianeta poco prima, e proprio da lì sembrava come se si fossero formati degli strani fenomeni atmosferici neri; risalivano in alto, oscurando quasi del tutto la vista della superficie del pianeta.
«Analisi dell’aria completata: non si tratta di fenomeni naturali, sono il risultato di… incendi» lesse Yahaba, mentre la sua voce si affievoliva sul finale.
Si sentì un’imprecazione di Kyoutani dai microfoni che collegavano la sala di pilotaggio alle celle con i cannoni ad alta energia dei tiratori.
«Sono arrivati prima di noi» sussurrò Watari.
«Dannazione!» esalò Hajime voltandosi con rabbia verso il computer «scansiona la superficie, traccia una rotta dove trovi la più alta percentuale di forme di vita superiori» ordinò alla macchina «voi portateci lì in dieci minuti.»
«Ricevuto» risposero i piloti.
Erano arrivati tardi. Iwaizumi aveva davvero voglia di prendere a pugni il portellone di accesso al corridoio principale, fino a farsi male, fosse solo servito a qualcosa. Si era imbarcato nella missione e mai aveva pensato di trovarsi davanti quel muro sbarrato. Le spie dicevano che lo Stato non ne aveva ancora scoperto le coordinate esatte, loro erano lì per un salvataggio. Allora perché quello si era dovuto trasformare in un…
«Superficie analizzata. Più alta percentuale di forme di vita superiori alle coordinate latitudine 45 gradi nord, longitudine 7,5 gradi ovest. Numero approssimativo: diciotto essere alieni-umanoidi.»
In una strage?
«Partite» ordinò Hajime.
I due piloti non persero altro tempo, la nave accese i motori al massimo uscendo dall’orbita intorno al pianeta alieno, spingendosi all’interno dell’atmosfera.
Iwaizumi cercò di ragionare in fretta: lo Stato li aveva preceduti, e lui non poteva che pensare al primo pianeta delle missioni Primo Sguardo. Perché non avevano distrutto anche quello, dato che erano di sicuro già stati lì? Che fosse sul serio una trappola?
Non poteva lasciare nulla al caso, una volta scesi sul pianeta avrebbero dovuto agire con prontezza.
«Tiratori mi ricevete?» chiese il capitano.
«Sì» risposero i tre quasi all’unisono.
«Bene, Kindaichi e Kyoutani vi voglio sulla nave, mantenere il radar attivo, sparate a qualsiasi cosa si avvicina a noi, di sicuro non saranno dei nostri e dovrete avvertirmi di qualsiasi movimento sospetto, intesi?»
«Sì capitano» risposero i due.
«Kunimi tu scendi con me Yahaba, Matsukawa e Hanamaki, cercate questi diciotto superstiti, li voglio caricati sulla nave, Watari tu rimani su qui nella sala piloti e manderai aggiornamenti alla base, va bene?»
«Affermativo» risposero tutti.
«Rettifica di calcolo» annunciò il computer «sono quindici le forme di vita superiore calcolate nell’area indicata. Condizioni vitali di dieci: critiche»
Avevano davvero troppo poco tempo.
 

La prima cosa che lo colpì, una volta che la nave mise piede sul pianeta furono i colori.
Il suo pianeta natale era cupo: molto simile alla Terra certo, ma pioveva quasi sempre, la vegetazione era rigogliosa a quasi tutta che variava dai toni del verde scuso al blu, il terreno e il cielo grigi.
Il cielo lì era arancione, il che probabilmente poteva attribuirlo agli incendi, il sole stava calando e quel pianeta aveva un’unica luna, che si rifletteva nel cielo, era di colore un rosso vivo. I colori intorno a sé erano caldi: il terreno marrone chiaro, l’erba era gialla, ma non sembrava affatto secca, vi erano innumerevoli alberi e arbusti che non aveva mai visto, tutti che passavano dai toni dell’arancio, del rosa, dell’indaco chiaro.
Ma quello che attirò per primo il suo sguardo fu il totem di pietra: ora che ci era davanti vedeva con chiarezza tutto quello che sua nonna cercava di mostrargli con le sue storie. Era un albero enorme, il suo tronco era quasi del tutto fatto di roccia grigia con luminose venature azzurre a percorrerla. Sembravano quasi incise da un artista, non riusciva a credere che quei disegni fossero naturali.
Le radici del totem erano anch’esse di pietra, si disperdevano come una corona tutto intorno al mastodontico tronco dell’albero, sembravano scomparire nella terra, poi riaffioravano e si alzavano a creare massi di roccia azzurra alti parecchi metri. Alcuni erano incavati, come delle case; da altri si aprivano delle crepe da cui fuoriusciva acqua cristallina che creava piccole pozze.
Il totem di alzava verso il cielo per centinaia di metri: le sue fronde ricadevano verso il basso, come lunghe liane. Le foglie erano azzurre come le venature della roccia.
Quando gli umani misero piede sulla superficie si alzò il vento: un vento caldo che sembrava provenire dall’albero totem.
Iwaizumi si bloccò prima di fare un passo, costringendo i suoi compagni a fare lo stesso. Le tute erano ermetiche e l’ossigeno arrivava ai loro polmoni senza problemi, nonostante secondo l’analisi del computer l’aria lì fosse respirabile.
«Computer analizza di nuovo l’aria» sussurrò il capitano.
«Analisi in corso» annunciò il computer, ci mise meno di un minuto a dare il suo responso «analisi immutata, aumentati livelli di una biomolecola sconosciuta portata dal vento, non sembra essere letale.»
Hajime non si fidò per nulla.
«Che succede?» chiese Hanamaki.
Il capitano non gli rispose, si piegò su un ginocchio e parlò prima al computer «Prendi campioni di questa biomolecola, voglio che la analizzi.»
«Iwaizumi che stai facendo?» continuò Matsukawa.
«Siamo qui per aiutare» urlò in quel momento Hajime «hai chiesto aiuto, siamo qui per salvare i tuoi figli.»
Il suo equipaggio lo guardava come se fosse impazzito. E forse lui lo era davvero, ma quell’albero, quell’essere senziente che aveva ora davanti, doveva sapere che erano lì senza cattive intenzioni. Probabilmente di umani ne aveva visti di un solo tipo, e la creatura sarebbe stata pronta a proteggersi, a proteggere.
«Il totem» spiegò Iwaizumi rialzandosi in piedi, mentre il computer gli comunicava che i livelli di biomolecola erano aumentati, così come il vento «è un essere vivo e senziente, non fate nulla che possa renderlo aggressivo.»
Nessuno sembrava convinto di quello che aveva appena detto.
«Cercate i feriti e portateli a bordo, Yahaba appena arriviamo con i primi inizia ad assisterli come meglio puoi.»
«Dobbiamo solo sperare che siano abbastanza umani perché i farmaci abbiano effetto» sussurrò l’altro demotivato.
 

C'erano attimi di vita quotidiana, calpestati, distrutti, bruciati, ovunque.
Gli esseri abitanti di quel pianeta avevano lasciato le loro impronte, Hajime riusciva a vedere la vita nascosta dal massacro che era avvenuto da poco.
Trovò i primi cadaveri dopo quasi dieci minuti di marcia: aveva aggirato una grande radice del totem alta almeno quattro metri e spessa il triplo al cui interno erano state scavate vere e proprie abitazioni. Le porte erano state scardinate o bruciate, l'interno devastato. 
Dietro queste case si apriva un campo di alta e fine erba arancione, lì aveva visto il primo corpo. Aveva riconosciuto l'aspetto umanoide, una coda anche, il resto era troppo carbonizzato per definirne altri particolari.
«Computer isola l'aria all'esterno» disse a denti stretti Iwaizumi «aumenta l'ossigeno.»
«Tuta sigillata, ossigeno già al massimo» replicò il computer.
Allora la puzza di morte è nella mia testa pensò lui evitando di guardare ancora il corpo e passando oltre.
Il tronco del totem aveva un diametro di almeno cinquanta metri e Hajime era quasi sicuro che i rami più alti fossero distanti dalla terra più di quattrocento metri, ci mise parecchio tempo ad esplorare una piccola parte dell'oasi.
Ebbe la certezza che tutta quella era opera dello Stato quando trovò in una distesa bruciata anche qualche corpo umano, le classiche tute dei soldati assaltatori, delle armi al plasma abbandonate vicino ai corpi.
Non aveva trovato sopravvissuti, l'odore della morte cominciava a dargli alla testa, stava per chiedere al computer di dargli ubicazioni più precise per ritrovare i superstiti quando in lontananza, di nuovo vicino alle radici, vide un bagliore azzurro pulsante.
Ne fu attratto immediatamente. Si fece largo tra bassi arbusti violacei che rilasciavano pollini alieni al suo passaggio, passò di nuovo vicino a case sventrate, fino ad arrivare alla sorgente di quella luce.
Una radice più grossa delle altre aveva scavato al suo interno, dall’acqua presumibilmente, una specie di stalagmite, un obelisco: si rifletteva sulla piccola polla l'acqua, che sgorgava anch'essa dalla roccia della radice. Era quell'obelisco a brillare di quell'avvolgente luce azzurra.
Voleva avvicinarsi ancora, voleva sfiorarne la superficie perfetta.
Inciampò in qualcosa e non cadde a terra ritrovando all’ultimo l’equilibrio: solo in quel momento riuscì a mettere a fuoco i contorni di quella scena. Ammassati vicino a quell'obelisco luminescente c'erano decine di corpi.
Hajime non riusciva a decifrarne i contorni carbonizzati, ma dalle dimensioni capì che la maggior parte dovevano essere bambini.
Sentì le gambe cedergli e la luce divenne più intensa, si appoggiò alla pietra che pulsava alla sua sinistra, a ritmo con l'obelisco, veloce come il suo cuore.
Non poteva dire di non averne viste tante nella sua breve vita, erano in guerra da prima che lui nascesse, lui stesso aveva ucciso, ma ora era diverso.
Quel posto era puro, indifeso. Non avrebbe dovuto conoscere quella devastazione, quella morte. L'aria cominciava a mancargli e strizzò gli occhi perché iniziava a sentir le lacrime offuscargli la vista. Quelli lì riuniti erano quasi tutti bambini, come si poteva?
«Mi dispiace...» sussurrò Hajime piano.
L'obelisco brillò con più forza per un'ultima volta, poi si spense, mentre dopo qualche istante anche l'acqua smise si sgorgare dalla radice.
Era morto.
«Ca...tano?»
Non aveva trovato sopravvissuti, era tardi.
«Iwaizumi!»
Era Hanamaki, urlava e la sua voce risuonava chiara nel casco del capitano.
«Ci sono» disse piano Hajime rimettendosi in piedi, voltando le spalle a quella scena.
«Abbiamo trovato dei superstiti, ma i radar hanno visto movimento sospetto all'apice opposto del pianeta, dobbiamo andarcene ora.»
Si riscosse Iwaizumi, non era certo il momento per lasciarsi andare, doveva rimanere vigile e impassibile, aveva una missione da portare a termine, ormai per il totem era tardi.
«Quanti?» chiese solo il capitano, iniziando a correre verso la loro nave.
«Cinque vedette dello Stato» lo informò Matsukawa «e i superstiti sono tre.»
 

Vide sparire l’oasi quasi al rallentatore: la loro partenza aveva alzato il vento che si insinuava fino agli alti rami del totem, muovendoli pigramente.
Osservò allontanarsi il tutto; abbandonare il pianeta fu straziante. Hajime non trovò nella sua mente, ancora scossa, un sinonimo migliore per le sensazioni che stava provando in quel momento.
L’albero, il totem, quell’essere vivente senziente, che da piccolo lo aveva sempre affascinato era morto davanti ai suoi occhi. Aveva brillato un’ultima volta in quel piccolo obelisco di roccia azzurra, probabilmente aveva assistito anche lui al massacro, forse non aveva potuto fare nulla.
Come te. La voce nella sua mente rimbombava cattiva, ma veritiera.
Erano arrivati tardi, forse avevano per poco scampato un’imboscata delle navi vedetta nemiche, in ogni caso quel viaggio, quella missione di speranza, non era assolutamente andata come se l’era immaginata, come l’aveva progettata.
«Capitano?» lo chiamo Yahaba.
Hajime si riscosse, i pensieri che vorticavano ancora veloci nella sua mente, la testa che continuava a pulsare, a fare male «Dimmi» rispose secco, forse troppo.
«Ecco, qui può aiutarmi Watari» disse il medico indicando i due esemplari femmina stesi sul tavolo dell’infermeria improvvisata che era diventato la stanza di studi biomolecolari della nave «dovresti parlare con il terzo superstite, stava bene, è scosso, ma forse possiamo capire cosa è successo.»
Iwaizumi si concesse uno sguardo alla bambina e alla vecchia circondate da monitor ed entrambe con un ago in un braccio: la seconda era vigile, ma non aveva aperto bocca e continuava a guardarli con paura, la bambina era ancora svenuta.
«Vado subito» disse Hajime «impiantatele un traduttore, non capisce cosa diciamo e immagino sia davvero spaventata» concluse indicando l’anziana.
Lasciò la camera diretto alla sala panoramica, era lì che avevano lasciato l’ultimo alieno trovato, l’unico che sembrava non aver subito niente di grave a parte una bruciatura superficiale ad una gamba che Yahaba si era già premunito di disinfettare e bendare.
Davanti al portellone principale digitò con mani tremanti il codice che apparve come ologrammi a sinistra sul muro grigio, poi la porta si aprì. Fece fatica ad individuare l’alieno: la sala panoramica di solito la usavano per le riunioni o quando ospitavano a bordo altri capi di navette spaziali. Era ovale e metà del muro, come il soffitto, era di metallo trasparente, permetteva la vista del buio spazio. Hanamaki gli aveva giurato che a lui quella sala dava una nauseante sensazione claustrofobica, sembrava di avere sopra la testa l’immensità dell’universo che ti schiacciava.
A lui piaceva: gli piaceva fissare le profondità ignote, da bambino avrebbe passato ore a decidere per ogni stella che vedeva, quale strana razza aliena ne avrebbe abitato i pianeti orbitanti intorno. Gli piaceva perché sentiva la voce dell’universo, la voce dell’uomo e la voce di tutti quegli altri essere che loro non avevano ancora scoperto, sentiva il loro canto, diceva sempre sua nonna. Ma in quell’istante non sentì nulla di quello, vi era solo un silenzio opprimente e claustrofobico, proprio come diceva Hanamaki.
L’alieno era rannicchiato nel posto più lontano dalla porta, ma sentendo questa aprirsi aveva alzato il volto di scatto, drizzandosi in piedi prontamente, cercando di non caricare troppo la gamba destra, fasciata da sopra il ginocchio alla caviglia, e fissandolo a metà tra lo spaventato e il furioso.
Hajime rimase immobile nel vederlo, incredulo, cercando di imprimersi nella mente i dettagli della sua forma. La pelle era chiara, non come da bambino lui se l’era immaginata, sarebbe quasi potuta sembrare umana, come la sua intera fisionomia, era praticamente uguale a lui escludendo qualche dettaglio, a cominciare dalla coda. Era lunga almeno quanto un suo braccio ricoperta di pelo dello stesso colore dei capelli, dal riflesso della sua schiena sul vetro in realtà vedeva che i capelli stessi, al posto di fermarsi alla base del capo, come quelli umani, scendevano giù per la spina dorsale, e immaginava si congiungessero con quelli della coda.
Sul capo aveva due antenne, spesse almeno come le dita, arricciate su loro stesse, come una molla; gli occhi erano grandi e luminosi, scuri da quel che riusciva a scorgere dalla distanza, e con le pupille verticali, di quello ne era certo. Da sotto i capelli castani sbucavano delle orecchie a punta. Il viso era armonioso e ben delineato. Indossava una tunica che lasciava il torace scoperto e riuscì a vederci sopra quello che sembrava un tatuaggio dalle forme sinuose, si arrampicava sull’addome e sul petto, ad arrivare alla clavicola destra. Era azzurro, come le venature che percorrevano la pietra del totem. Hajime si prese qualche istante a fissarlo ancora, somigliava davvero tanto ad un essere umano, eppure la coda, quelle orecchie, il disegno sulla sua pelle, gli conferivano un aspetto esotico e forte. Il suo sguardo era invece spezzato, e quello riuscì a vederlo nonostante la maschera di rabbia.
Lo trovò bellissimo.
Scacciò con convinzione quell’ultimo pensiero scuotendo la testa e decise di avvicinarsi.
L’alieno si appiattì di più contro la parete a quella sua mossa.
Hajime si bloccò, alzò le mani cercando di non fare movimenti bruschi «Non ti voglio far del male» disse lui, sapendo comunque che l’alieno non l’avrebbe capito, ma cercando in qualche modo di trasmettergli tranquillità con le sue parole.
L’alieno aprì la bocca e parlò, in un suono melodioso e incomprensibile.
«Computer» disse il capitano «traduci.»
«L’essere chiede chi sei» rispose prontamente il computer. L’alieno si spaventò nel sentire la voce robotica provenire dal nulla e cominciò a guardarsi intorno ancora più spaventato.
«Digli che siamo qui per salvarlo, e digli che deve prendere le capsule, attaccarne una dietro l’orecchio e l’altra su un dente, in modo che possa capire quello che dice» spiegò Hajime, e il computer tradusse subito per lui.
L’alieno ascoltò la voce robotica spiegargli cosa doveva fare, ma non si mosse continuando a guardare l’umano con diffidenza.
«Andiamo, non ti voglio fare del male» ripeté piano Hajime avvicinandosi a lui e tenendo in mano le due capsule. Lo guardò per lunghi istanti, senza muoversi, poi alla fine fece qualche traballante passo in avanti ed eseguì quello che gli era stato detto.
«Ora comprendi ciò che dico?» chiese Hajime una volta che le capsule furono posizionate.
Quello si spaventò nel notare che ora riusciva a capire «Sì» rispose piano, la sua stessa voce che usciva dal microfono della capsula posizionata in bocca.
«Benissimo, puoi stare tranquillo, non voglio farti alcun male» ripeté Hajime di nuovo, cercando di imprimerci tutta la fiducia di cui era capace «siamo venuti sul vostro pianeta per salvarvi, mi spiace non siamo arrivati in tempo.»
«Voi… voi cosa siete?» chiese l’essere continuando a fissarlo.
«Siamo esseri umani, siamo gli abitanti di questa galassia, voi siete gli alieni del terzo pianeta e discendete da noi umani» spiegò.
L’alieno lo guardò con occhi spalancati, probabilmente dargli quel genere di informazione, nella sua attuale situazione, poco stabile, non era stata forse una grande idea.
«Esistono altri mondi abitati?» rispose piano quello.
«Sì, ce ne sono moltissimi.»
«Perché ci avete fatto questo?» cambiò repentinamente discorso lui «sono arrivati giganteschi uccelli luccicanti e hanno iniziato a bruciare tutto, tutto il popolo… e la Gemma piangeva» si piegò in avanti portandosi una mano alla bocca, tremava.
Hajime fece un passo avanti, allungando una mano verso di lui e come risultato l'essere cercò di allontanarsi di scatto, finendo per cadere a terra.
Non tentò più ad avvicinarsi in quel modo, ma il capitano si inginocchiò a terra sospirando «Giuro, non ti voglio far del male» cercò di rassicurarlo di nuovo «la galassia è in guerra da centinaia di anni, lo Stato, così si chiama, ha attaccato il vostro pianeta. Loro hanno già devastato decine di mondi e noi cerchiamo di combatterli. Mi spiace, mi hanno mandato in missione sul vostro pianeta per riuscire da avvertirvi, a salvarvi in qualche modo» a verificare la vostra esistenza, ma quello non lo disse «non siamo arrivati in tempo, perdonaci.»
Chiedere scusa a quell'alieno non avrebbe cambiato nulla, ma Hajime sperava in qualche modo di redimersi, non per se stesso, ma per l'intera razza umana che aveva compiuto quello scempio. Sapeva che non sarebbe servito a niente comunque.
L'essere lo aveva fissato durante il suo discorso, senza davvero guardarlo, prese un respiro profondo «Sono piovuti giù dal cielo all'improvviso» iniziò «loro... avevano il fuoco e non potevamo scappare. Ho visto arrivare anche voi dopo, pensavo fossero tornati per finire il lavoro. Cosa mi succederà ora?»
«Ti porteremo al sicuro, non sarete più in pericolo lì, te lo prometto.»
Sorrise a quel punto «Mi hai salvato, grazie.»
Ma non ho salvato gli altri pensò amaramente Hajime, prima di concentrarsi su quel mezzo sorriso spezzato.
«Come ti chiami?» gli chiese.
La risposta non fu tradotta dalla capsula, era un nome lungo e quasi impronunciabile per lui.
«Computer cercami delle traduzioni» disse Hajime.
«Versione corrente di traduzione in base al significato, aggiornata alla più veritiera e breve: Oikawa Tooru.»
Oikawa, poteva pensare a lui con quel nome tradotto adesso, fissò il soffitto da cui proveniva la voce del computer, poi si rivolse di nuovo a lui «E tu come ti chiami?»
«Sono Iwaizumi Hajime» rispose.
«La tua strana voce di metallo crede che il mio nome sia difficile, ma anche il tuo lo è» ammise Oikawa, sembrava essersi calmato dopotutto.
«Forse» borbottò Hajime, il che fece sorridere di nuovo l'alieno.
Bellissimo.
«Ti va di raccontarmi bene cosa è successo, ci servirà qualsiasi informazione» disse Iwaizumi cercando di cancellare dalla mente quello che continuava a pensare.
Era strano ed inappropriato.
Il sorriso scomparve sul volto dell'altro che si trovò ad annuire stancamente, iniziando a raccontare.
 

La nave spaziale atterò ad Aomina appena un giorno dopo rispetto a quando era partita. Ma con lei non arrivarono anche le buone notizie attese dai ribelli.
Non c’era speranza, e quei messaggi di morte e distruzione avevano sempre lo spiacevole effetto collaterale di espandersi come una macchia tra i pianeti, gettando nella paura la popolazione.
Nonostante ciò l’equipaggio fu lodato a lungo per il loro, seppur piccolo, salvataggio.
Hajime non ci vedeva nulla di eroico in tutto quello, anzi avrebbe preferito non vederci nulla di eroico.
Ma prima che Oikawa venisse portato al centro medico specializzato, insieme all’anziana e alla bambina, gli si era avvicinato ancora. Questa volta nei suoi occhi aveva brillato la gratitudine.
Era rimasto senza parole nel mettere per la prima volta i piedi su un pianeta diverso dal suo, ma sembrava che stesse affrontando il tutto con molto coraggio, o almeno così pareva trasmettere.
E allora, poco prima di seguire i medici, aveva voluto regalare ad Hajime poche parole.
«Grazie per avermi salvato Iwa-chan» aveva sussurrato, cercando in tutti i modi di sorridere.
Iwaizumi si sarebbe arrabbiato in un’altra occasione, per il modo infantile in cui aveva storpiato il suo nome. Non aveva avuto modo, in ogni caso, di replicare nulla, aveva guardato il suo volto ancora una volta, decorato da quel sorriso così vero, da far male agli occhi, alle ossa, al cuore.
Allora, in quel momento, ci aveva visto qualcosa di eroico, in quella missione.
Dalle ceneri di quel pianeta distrutto e bruciato, era riuscito a salvare quel germoglio di vita e per un attimo, si era sentito la persona migliore della galassia.
Una singola vita nello sconfinato universo, ma quella vita forse, era abbastanza.























Angolino

Salve mondo, grazie per essere sopravvissuti fino in fondo :D
Qui di solito iniziano le mie giustificazione ed infatti proprio quelle stanno arrivando >///<
Il contest è stato solo una pretesa per tornare a scivere sul fandom, avrei voluto far ritorno con il botto e magari cambiare coppia... già, chi voglio prendere in giro? Perdonatemi gente, ma frano sempre più a fondo nell'inferno Iwaoi, non ci posso far nulla ;_;
Beh come già annunciato nell'introduzione questi saranno tre capitoli, il tema è un misto tra avvenuta e sci-fi, ci saranno alieni, navi spaziali e un po' di termini alla rinfusa tirati fuori dai miei film di fantascenza preferiti, che mi hanno aiutata per la stesura di queste pagine! Ho inventato i nomi dei pianeti, dei sistemi, spero di non aver inventato le regole della fisica alla base dei viaggi spaziali, ma essendo a conoscenza della mia ignoranza in materia (giuro nei prossimi capitoli mi rifaccio con termini medici che almeno quelli li conosco sì ma non frega a nessuno), chiedo preventivamente perdono! Potrei aver violato cinque o sei teoremi che regolano l'universo... ma la fisica mi odia ç_ç
Quindi nulla, come al solito spero di non essere scaduta nell'ooc (perché lo odio un sacco), ho aggiunto qualche nuovo personaggio giusto per dare una cornice alla storia, ma i principali saranno solo i carissimi membri del club di pallavolo dell'Aoba Jousai °w°
Spero di aver detto tutto, il prossimo capitolo lo pubblicherò nel weekend o al più tardi lunedì prossimo. Grazie a tutti quelli che sono arrivati a leggere fin qui, vi mando un graaaaande bacio *3*
Alla prossima!
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: nigatsu no yuki