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Autore: iloveryuga    03/05/2016    3 recensioni
Prendete una ragazza povera e con un passato difficile alle spalle, catapultatela a New York e fatela incontrare con l'uomo più ricco e avvenente della città. I due avranno un bizzarro colloquio di lavoro, che farà rendere conto entrambi di quanto siano in realtà vicini e lontani allo stesso tempo...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ancora non poteva e non voleva credere ai suoi stupefatti occhi da cerbiatta, quelli che Ryuga fissava sempre come a volerli divorare avidamente. Le sue labbra dolci e sottili, rosee come boccioli, erano ancora schiuse dalla sorpresa. Sbatté alcune volte le palpebre, per poi strizzarle con energia, quasi a volersi risvegliare dall’ennesimo sogno deliziosamente inaspettato.

Le aveva appena regalato un Iphone 6s, non un cellulare qualsiasi! Come al solito, l’albino si faceva riconoscere per la dolcezza e la spontaneità dei suoi gesti, non ci aveva pensato sù nemmeno per un secondo, le aveva fatto dono dell’ultimo modello di smartphone sul mercato. Lila lo prese tra le dita, saggiandone la consistenza e tastò la superficie liscia del retro, carezzandola col pollice, quasi potesse far arrivare tutta la sua riconoscenza direttamente al mittente di quella magnifica sorpresa, presente sì gradito e apprezzato da migliorare ulteriormente quella giornata, già perfetta di suo.

Strinse al petto il telefono, ringraziando mille volte mentalmente Ryuga e mandandogli un milione di baci. Improvvisamente, si rese conto che avrebbe voluto rendergli grazie di persona… Quanto avrebbe voluto percorrere con le mani il suo petto nerboruto e ruvido, saggiare la consistenza dei suoi muscoli scolpiti, baciare quelle labbra… Senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò a stringere con forza il labbro inferiore fra gli incisivi, frattanto che il suo stomaco si contorceva in un milione di spire, provocandole un insolito e avvolgente calore a livello del basso ventre. 

Il tintinnare del campanello la destò dalle sue fantasie ben poco caste sul suo capo ultratrentenne, e la fece trasalire: era di sicuro Julie, non si poteva certo farla attendere! Si alzò di scatto, minacciando di cadere almeno due volte, causa ginocchia di gelatina, tutta colpa di Mister Regaliesorrisi… Caracollò fino alla porta di ingresso, e girò le chiavi nella serratura con mano tremante, sia per l’emozione di rivedere la sua adorata cuginetta, sia per i suoi pensieri alquanto erotici formulati appena prima. Aprì con un gesto rapidissimo, e si ritrovò davanti Julie, in tutto il suo splendore. 

La fissò per un secondo, e una minuscola punta di livore le pizzicò il naso. Se Lila era sottile, eterea, fluttuante, Giulietta Candore Casterville era esattamente l’opposto. Il suo viso era rotondo ma affusolato, inglobato da due enormi occhi blu come l’oceano. Specchiarsi in quelle due pozze d’acqua che sorridevano gaie e complici, aveva sempre rassicurato Lila, in qualunque circostanza. Sotto alle due grosse gemme, sormontate da sopracciglia sottili, vi era il naso, un pochino a patata verso la fine, e infine le labbra, non troppo carnose ma nemmeno sottili. Il tutto era magnificamente incorniciato da una massa gonfia e informe di capelli castani, del color della corteccia di un faggio. Il suo corpo, poi, fin dai tempi del liceo, faceva gola a molti ragazzi, che la consideravano come la preda più ambita di tutta la scuola, nonostante lei fosse molto mascolina nei modi e anche piuttosto rozza con l’altro sesso… Forse anche per questo era una prova fare breccia nel suo cuore, ah! Miseri stolti, nessuno si avvicinava a Julie Casterville, sopratutto se eri un maschio infoiato. In ogni caso, le sue curve sarebbero risultate attraenti anche ad un palo: seno prosperoso, fianchi sottili, glutei sodi e cosce da far invidia ad una modella. Che si poteva desiderare di più? 

Nonostante ciò, Julie andava poco fiera del proprio aspetto, e anzi, venerava Lila come la più elevata delle dee, ponendola su un piedistallo ideale. Le due avevano sempre avuto un rapporto bellissimo, si ritenevano sorelle, erano in sintonia su tutto; spesso, inoltre, Dalila si cacciava in qualche pasticcio sentimentale, allora interveniva la sua adorata sorellona per tenere lontani quei brutti ceffi malintenzionati! Eh sì, quelle due si amavano troppo per stare così tanto tempo lontane l’una dall’altra, ecco spiegata la visita fuori programma di Julie che, in quel momento, fissava con cipiglio preoccupato la sua piccola fragolina … In quel momento Lila sembrava più un porcospino, dati i capelli all’aria e il viso colorato di un rosso imbarazzante, per i motivi sopraccitati. Quando si rese conto di avere lo sguardo blu della cugina su di sè, si riscosse e le buttò le braccia al collo:”Julie!” Per fortuna quella riuscì ad afferrarla in tempo, altrimenti avrebbero fatto un bel capitombolo giù per la tromba delle scale, ritrovandosi con la faccia nello sportello della portineria… La ventiduenne rise:”Ciao, piccola mia, ti trovo in forma” Scherzò, accarezzandole dolcemente i capelli arruffati:”Hai cambiato parrucchiere?” Immediatamente, avvertendo l’ironia pungente di Julie sulla pelle, la ragazza inspirò di colpo e liquidò l’abbraccio con una velocità impressionante:”Oh, santo cielo, sono un disastro…” Piagnucolò, dopo essersi tastata la nuca, completamente scombinata. Un’altra risata cristallina riempì l’androne:”Ma andiamo, sei bellissima” Le sorrise dolcemente, rassicurandola come sempre e facendole un occhiolino di intesa, al quale Lila rispose con un ampio e radioso sorriso:”Grazie… Oh! Che sbadata, non ti ho ancora invitata ad entrare. Prego, prego, accomodati, non c’è bisogno di ricordarti che sei a casa tua” Le indicò col braccio l’interno dell’abitazione, e Julie accolse la sua richiesta ben volentieri, togliendosi subito le scarpe una volta messo piede nel monolocale. Si guardò intorno con aria indagatrice, ma la sua attenzione si focalizzò maggiormente sulla muffa agli angoli dei muri e sullo scricchiolare intermittente delle assi pavimentarie, che ondeggiavano sotto il suo peso, seppur dolce. Immediatamente scese il silenzio fra le due, mentre Lila aspettava con ansia che sua cugina dicesse qualcosa, qualunque cosa, anche un rimprovero… Ma vederla zitta con quell’espressione la rendeva terribilmente nervosa, e prese a spellarsi le mani con vigore. 

D’un tratto, finalmente, la situazione si sbloccò grazie ad uno sguardo dolce e tenero di Julie, che l’accolse fra le braccia, stringendola forte a sé:”L’hai sistemata egregiamente, è un posticino molto accogliente, sono fiera di te” Sono fiera di te. Da sempre, o almeno da che Lila ne aveva memoria, quelle quattro parole pronunciate dalle labbra di sua cugina l’avevano emozionata oltremisura, era ciò che più aspettava di sentirsi dire da lei, nient’altro. Se poi le pronunziava mentre la stringeva e la accarezzava, capace anche che Lila si sarebbe sciolta, da un momento all’altro. Sorrise sulla spalla di lei, incredibile… Aveva ancora lo stesso profumo di orchidee… Si beò di quell’aroma così fresco per un tempo che le parve infinito, poi si staccò e ricambio lo sguardo che Julie le stava rivolgendo:”Ho fatto del mio meglio. Me l’hai insegnato tu” Un labbro della sua interlocutrice si increspò all’insù, ma si tramutò in un’espressione esterrefatta quando l’occhio le ricadde sull’oggetto che Lila stringeva fra le mani. Strinse le labbra con forza e indicò il sottile strato metallico con le pupille dilatate:”Quello è un iPhone 6s…?” Sua cugina buttò lo sguardo al cielo, per poi annuire mollemente:”Già” Julie inspirò e aprì le fauci per porre un quesito, ma la diciottenne la bloccò subito, agitando le mani davanti al viso:”Prima che tu possa fare domande, ti avverto: è una storia luuunga… e complicata. Quindi mettiti comoda” E, prima che avesse il tempo di ribattere qualsiasi cosa, la prese per le spalle, costringendola a sedersi. Arrivate a quel punto, a Julie non rimase che emettere un lungo sospiro:”Ti ascolto”.

Lila raccontò per filo e per segno quanto era accaduto nei giorni precedenti, senza scordare di affibbiare curiosi e… Francesissimi epiteti a Ryuga riguardo la scappatella con Abigail… In ufficio. Concluso l’excursus su quanto fosse, ehm, come dire, zoccola la bionda, e ottenuto il pieno consenso di sua cugina riguardo questa faccenda, proseguì, soffermandosi anche sui dettagli… Su tutti, i dettagli:”E gli occhi… Oh, gli occhi… Mai visti occhi così gialli!” In quel preciso istante, la diciottenne pareva più una di quelle adolescenti sognatrici che sbavano dietro ad un idolo, oppure al ragazzo più figo della scuola. Julie arricciò il naso:”Per aver attirato la tua attenzione, deve essere davvero bono” Lila battè i palmi delle mani sul tavolo, protendendosi in avanti per arrivare ad un palmo dal viso di Julie:”Bono?! Lui è… Un sex symbol!” Urlò, saltellando ora di qua ora di là. 

Con un gesto rapido delle dita, la cugina la invitò ad avvicinarsi nuovamente e, quando lei seguì il suggerimento, quella si guardò attorno, come a controllare che nessuno stesse udendo la loro conversazione. Infine, le domandò in un sussurro:”Ce l’ha grosso?” Appena Lila realizzò cosa le era stato domandato, si ritrasse di colpo, rossa  in volto come un peperone maturo, e prese a balbettare:”M-ma che domande sono?! C-che cosa ne posso sapere io?! M-mica l-l’ho visto…” Come al solito, la schiettezza di Julie lasciava spiazzati. Di tutto il preambolo che le aveva fatto, probabilmente, le interessava ben poco. Quello che contava erano le misure, lei lo diceva sempre. Incrociò le braccia:”Andiamo, non fare l’innocente. Ti sarai fatta un’idea, mh?” La diciottenne guardò ovunque fuorché nella direzione di Julie, cercando ingenuamente di prendere tempo:”Beh, ecco… Non è che si capisca granché, però…” Sua cugina annuì fervidamente, incoraggiandola a proseguire:”Mi sembra… che ce l’abbia grosso, sì…” Quest’ultima frase fu un diminuendo esponenziale, raggiunse la soglia minima di udibilità, mentre la sua cervice sprofondava nel pavimento; Julie sorrise dolcemente:”Allora è proprio perfetto. Non lasciartelo sfuggire” Concluse con un occhiolino, e Lila trasse un sospiro di sollievo: il terzo grado era concluso, finalmente.

 

Cenarono in tranquillità, ridendo e scherzando come quando erano piccole; parlavano del più e del meno, mentre assaporavano le rosse fragole che Lila aveva acquistato per l’occasione. Il discorso proseguiva liscio e la diciottenne pensò di domandarle come andassero gli studi, ma non fu una brillante idea. Julie sospirò pesantemente, posando il cucchiaino:”Gli studi vanno bene, è il resto che non funziona” Immediatamente, Lila assunse un’espressione preoccupata:”Che vuoi dire?” L’altra si affrettò a tranquillizzarla:”Niente di grave, solo… Devo trovarmi un lavoro, a tutti i costi. Sto per dare gli esami finali e laurearmi, poi dovrò fare parecchio tirocinio in uno studio legale, magari anche prestigioso. Però… Per ora mi serve un lavoro normale, devo finire di mettere da parte i soldi per trasferirmi qui, a New York” Fece una piccola pausa per ingoiare il boccone che stava masticando:”Voglio starti vicina, più di quanto io abbia mai fatto. E poi, si sa che qui di lavoro ce n’è di più” La mascella di Lila si fracassò al suolo a seguito di quelle parole. Avrebbe voluto saltarle addosso per quanto era euforica. Avrebbero potuto stare di nuovo insieme! Ecco, quando si dice che una giornata non potrebbe andare meglio, ci si sbaglia di grosso. 

Però… In effetti rimaneva sempre l’incognita lavoro che, per sua cugina, non era un punto trascurabile. Julie viveva da sola ormai da tre anni, suo padre le aveva sempre elargito i fondi necessari a pagarsi gli studi; ma Travis ormai avanzava di età, e non poteva più garantirle anche i soldi per un eventuale trasloco. La sua carriera da brillante avvocatessa era in bilico su un filo spinato, che minacciava di spezzarsi per mancanza di denaro. Lila si morse il labbro a questo pensiero, non poteva permettere che lei mollasse tutto, proprio ora che era così vicina:”Senti… Io una mezza idea ce l’ho” Immediatamente, il volto della sua interlocutrice si illuminò d’immenso, accavallò le gambe sotto al tavolo e ci posò sopra i gomiti:”Dimmi tutto” La diciottenne sapeva bene che era un azzardo incredibile la proposta che stava per farle, sopratutto perché non era sicura di poter mantenere la parola. Si spellò le mani, doveva almeno tentare, aveva l’obbligo morale di farlo:”Che ne diresti se… Chiedessi a Ryuga il favore di assumerti? Solo temporaneamente, finché non avrai messo i soldi da parte, visto e considerato che te ne mancano davvero pochi” Non riusciva a guardarla negli occhi, perché si conosceva bene, sapeva perfettamente che, se non avesse conseguito il suo obiettivo con successo, si sarebbe sentita un verme e non sarebbe mai più stata capace di rivolgere la parola alla sua adorata cugina, alla quale lei teneva più di tutto al mondo. 

Quasi intercettando i suoi pensieri, Julie le sorrise dolcemente e le prese la mano:”Lila, grazie. Sarebbe davvero una manna dal cielo. Ma anche se non dovessi riuscire a convincerlo, non importa. Il solo fatto che tu l’abbia pensato mi rende felice” Udendo queste parole, Lila ricambiò il sorriso con entusiasmo, Julie proseguì:”E poi, che cavolo, non ci sarà mica solo lui in tutta New York City!” Risero entrambe, piuttosto spensierate e leggere d’animo. L’indomani, probabilmente, non sarebbe stato altrettanto piacevole.

 

La giornata era cominciata in modo pessimo. Non erano nemmeno le otto, e già Ryuga imprecava al telefono, contro il suo commercialista. Dopo minuti interminabili di conversazione del tutto sterile, l’albino chiuse barbaramente la linea in faccia all’uomo, per poi sbattere con forza il palmo sulla scrivania e ravviarsi i capelli. Si massaggiò il volto con fare stanco, la notte precedente non aveva chiuso occhio, causa soliti incubi in cui faceva inspiegabilmente capolino anche Lila. E’ così carina… Ryuga si sfregò con forza gli occhi, emettendo un verso esasperato. Doveva smetterla di formulare certi pensieri, non era certo consono da parte sua! Sbuffò, e poggiò il capo sul freddo legno, cercando di trovare un po’ di sollievo dal dolore incessante che gli martellava la testa. Forse avrebbe dovuto prendersi qualcosa, ma non aveva nemmeno la forza di chiamare Abigail e, onestamente, non voleva vedere la sua faccia da santarellina. L’orologio ticchettava, ignorando le sue sofferenze, le otto meno cinque minuti. Sì, ancora pochi istanti e lei sarebbe stata lì, in tutta la sua bellezza. Iniziò a tirarsi ritmate testate contro la scrivania, non era proprio possibile smettere di pensare a lei!

 

Pessima idea, era stata una pessima idea. Più passi compieva, e più se ne rendeva conto! Come le era saltato in testa di formulare una simile proposta?! Novanta su cento Ryuga avrebbe dato fuori di matto, sopratutto se, come lei credeva, si era alzato dalla parte sbagliata del letto. Camminava così veloce, nonostante avesse i tacchi alti indosso, che Julie, con le Vans, faticava a starle dietro, a volte doveva perfino rincorrerla:”Lila! Ehi, aspettami!” Le urlò contro per l’ennesima volta, erano neanche le otto e già glielo aveva gridato all’infinito. Quando raggiunsero l’entrata, Julie si piegò sulle ginocchia, ansante:”Si può sapere che ti prende?!” Solo in quel momento Lila si accorse di averla fatta correre per tutto il tragitto, presa com’era dalle sue considerazioni non se ne era proprio resa conto di marciare a passo così spedito. La aiutò immediatamente ad alzarsi ed a ricomporsi:”Scusami! E’ che credevo fossimo in ritardo” Accampò questa scusa per non rivelarle il vero motivo della sua agitazione, poiché l’avrebbe sicuramente indotta a cambiare idea. Senza indugiare oltre, varcarono la soglia dell’atrio, e anche Julie, come sua cugina, rimase a naso insù per tutto il corridoio, fino all’ascensore. Ogni tanto un ‘wow’ usciva in un soffio dalle sue labbra, venivano entrambe dalla provincia, nessuna delle due aveva mai visto tanta opulenza tutta in una volta. Lila sorrise vedendola così estasiata, ma subito i suoi dubbi tornarono ad assalirla. Si morse il labbro e affrettò il passo:”Vieni, Julie, siamo in ritardo!” La chiamò mentre premeva il pulsante dell’ascensore. Subito lei si precipitò al fianco della sua adorata cugina:”E’ bellissimo, Lila. Lavori in un posto fantastico” Le sorrise radiosa, e lei non poté evitare di avere un tuffo al cuore:”Già, e non hai ancora visto l’attico!” Salirono entrambe con lo stomaco in parapiglia, ma per due motivi ben differenti. Nel contare i secondi che la separavano dall’ufficio del suo avvenente quanto scorbutico e lunatico capo, Lila si ritrovò a pensare a tutta la sua vita. A quanto era stato bello conoscere Julie, a quanto fosse buono il gelato… Mmh, quanto sarebbe stato eccitante spargere tutto il gelato sul corpo di Ryuga e poi leccarlo, senza tralasciare un centimetro di quella pelle così perfetta e di quei muscoli marmorei. A quel pensiero, avvampò dalla testa ai piedi, ma diamine, che cavolo le saltava in testa?! Julie la fissò, stranita:”A che pensi? Continui a cambiare colore. Prima eri bianco cadavere, ora sei rossa come un peperone maturo” Lila espirò, dato che stava trattenendo il fiato, e scosse velocemente la testa:”Nulla, non preoccuparti” Istintivamente, strinse un poco le cosce, avvertendo uno strano e insolito calore a livello del basso ventre… E anche un po’ più giù, a dirla tutta. Si sforzò di rimanere lucida, per quanto il suo cuore imbizzarrito le consentisse, frattanto che le porte dell’inferno… Ehm, dell’ascensore, si spalancavano, con una lentezza snervante. Non appena lo spiraglio fu sufficiente a far trapassare una gamba, Lila si catapultò fuori, seguita a ruota da Julie, la quale si riservò di lanciare uno sguardo inceneritore ad Abigail, non appena le passarono accanto. Lila, invece, tenne il mento alto, e la ignorò completamente; tuttavia, ciò non fu dettato dal suo orgoglio, quanto più dal fatto che fosse talmente agitata da non riuscire a fare altro che non fosse camminare diritta davanti a sè, e già quello le risultava difficile, dato il tremolio che le scuoteva le ginocchia

Eccola, era davanti alla porta fatale. Strinse con forza le labbra, e bussò. Dopo qualche secondo, da dentro giunse un:”Avanti” parecchio moscio. Fantastico, è scazzato. Si schiarì la voce, e fece segno con il capo di entrare a Julie, la quale, in verità, non aveva la minima idea di cosa aspettarsi da quell’incontro. Entrambe misero piede sul morbido pavimento, e fissarono, con due sguardi diametralmente opposti, il direttore. Julie aveva gli occhi speranzosi e ridenti, l’unica cosa in cui sperava Lila, invece, era che Ryuga le avrebbe inflitto una morte rapida e indolore.

L’albino alzò la testa dalla pila di fogli che stava compilando sorridendo, ma la sua espressione gaia e giuliva si smaterializzò dal suo volto quando vide la sconosciuta figura accanto alla sua segretaria. Inarcò il sopracciglio:”Chi è lei?” Domandò con fare dubbioso, dimenticandosi anche di salutare. Ecco, già cominciamo male. Prima che Lila potesse avere il tempo di ribattere, però, Julie commise il grave errore di presentarsi autonomamente:”Julie Casterville, sono sua cugina, sa, quella che doveva arrivare ieri” Lila si sentiva morire, voleva sprofondare negli abissi dell’inferno. Non avresti dovuto farlo, ora mi spella! Contrariamente a quanto aveva congetturato, il viso di Ryuga si rasserenò, e l’albino si esibì nel suo più bel sorriso di circostanza:”Molto piacere, Julie. Lila la aspettava con ansia” La mora incrociò le braccia al petto:”Oh, lo so bene, siamo quasi sorelle io e lei” Lila pregò in tutte le lingue che conosceva che Ryuga non fosse infastidito dall’atteggiamento spavaldo di sua cugina, un po’ prevenuta nei suoi confronti a causa delle lodi che lei gli aveva tessuto del suo capo. Pessimo errore, ora gli farà il terzo grado! Ma il trentacinquenne lasciò correre, in effetti se l’era immaginata così protettiva, si concentro piuttosto sul colore diafano di Lila:”Lila, si sente bene? La vedo un po’ pallida” No! Non preoccuparti per me, cioè, preoccupati per me, ma non davanti a Julie! Alzò la testa e tentò di sembrare convincente:”Benissimo, grazie” Ryuga tirò un sospiro di sollievo.

Un momento… Di certo una ragione c’era se si era presentata lì con sua cugina, non poteva essere solamente che lei volesse fargli conoscere qualcuno, non aveva il minimo senso! E poi, a me cosa importa della sua famiglia, si ritrovò a pensare. Bugiardo, a te importa eccome. Scosse la testa, non era quello il momento per simili fandonie, e assunse un tono parecchio distaccato e autoritario:”Perchè siete qui tutte e due?” Eccolo, il momento fatidico. Lila si finse sicura di sé, ma si spellava furiosamente le dita:”Avrei un favore da chiederle, anche se so di non essere nella posizione per farlo” Ryuga intuì, ma decise di lasciarla proseguire:”Che genere di favore?” La diciottenne inspirò a fondo, e piantò gli occhi nei suoi:”Avrei bisogno che assumesse mia cugina” Notando l’espressione a metà tra il contrariato e l’esterrefatto di Ryuga, si affrettò ad aggiungere, con tono più veemente:”Non permanentemente! No, di certo. Ecco, vede… Lei studia giurisprudenza ad Harvard, ma vorrebbe venire a lavorare qui, a New York. Le mancano davvero pochi soldi per trasferirsi, ma senza un lavoro non arriverà mai a completare la cifra…” Incapace di continuare, chinò il capo. Allora intervenne Julie, che le posò una mano sulla spalla, fissando Ryuga con convinzione ed intensità:”Stia a sentire. So che lei non ha alcuna convenienza, ad assumermi, lo comprendo. Ma Lila ha bisogno di me, e io ho bisogno di stare a New York. Finora sono riuscita a conservare con parsimonia i soldi che mio padre mi mandava, ma ora lui non ce la fa più a spedirmi tutto quel denaro. So che non le importa nulla, e mi sembra anche normale, ma ci pensi sù, la prego” Gli parlò col cuore in mano, sotto lo sguardo ammirato di Lila che, anche in quel frangente, si sentì di dover imparare qualcosa da sua cugina, forte e determinata in ogni occasione, anche di fronte ai più potenti, lei non abbassava mai lo sguardo. Forse, in fondo, è così che ci si guadagna il rispetto. Ryuga soppeso attentamente le sue parole, nessuno gli aveva mai rivolto una supplica così sentita e accorata. Julie era la voce dell’amore e dell’affetto verso sua cugina, si percepiva, era quasi tangibile. Sospirò pesantemente, ti stai proprio rammollendo. Già, una volta non avrebbe esitato neppure per un secondo a sbattere fuori entrambe dal suo ufficio. Pregarlo di assumere una persona che gli avrebbe solo comportato una spesa supplementare, ah! Semplicemente ridicolo, ridicolo e patetico. Ma ora… Avvertiva una fitta all’altezza dello stomaco, le budella gli si stavano attorcigliando, e una malefica vocina nella sua testa gli sussurrava:”Aiutala, assumila” Perché si sentiva così spaesato? Perché non riusciva a cacciarle via come avrebbe fatto con chiunque altro? Ultimamente si stava facendo carico di un sacco di cose… No, non cose, persone. Il tal fatto lo faceva sentire insolitamente bene, per lui, che non si era mai legato sentimentalmente ad alcuno. Lentamente, grazie a Lila, stava riscoprendo un lato di sè che non credeva di possedere. O meglio, che forse aveva posseduto un tempo, ma di cui non rimembrava l’esistenza. E’ una cosa buona, giusto? Il muro che si era costruito in anni di lavoro si stava sfaldando, mattone dopo mattone. Forse non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere emotivamente, avrebbe dovuto tenere le distanze; nonostante ciò, le sue difese erano crollate, aveva ceduto, ed era un dato di fato ineluttabile. Che altro poteva fare se non piegarsi agli attacchi disarmati di quei due dannati occhi marron-verdi che gli avevano cambiato l’esistenza con un solo sguardo? Si rassegnò all’idea di essersi ammorbidito, ma non per questo doveva mostrarsi gentile e condiscendente in ogni occasione, per Giove e per Diana! Ecco… semplicemente si trovava in una di quelle situazioni in cui avrebbe fatto il bravo, tutto qui. 

Finse di assumere un’aria mesta e pensierosa, assorta, e posò due dita all’altezza delle tempie, in atteggiamento riflessivo. Sia Lila che Julie si guardarono, ansiose nell’attendere un responso di qualunque tipo. Era incredibile come quell’uomo riuscisse a tenere in scacco tutti con la sua apparente indifferenza, quasi snervante… Anzi, senza il quasi. Julie cominciava a spazientirsi, lei odiava da morire le persone “che se la tirano”, tuttavia c’era qualcosa in lui che non riusciva a darle completamente sui nervi, che le impediva di averlo in totale antipatia, ma non avrebbe saputo dire cosa fosse. Probabilmente la generosità con la quale aveva aiutato sua cugina, o forse il fatto che non fosse stato tanto scortese come se l’era immaginato, non se lo spiegava. E soprattutto non si spiegava il fatto che fosse ancora lì, impalata, senza aver detto nulla, col fiato sospeso.

Ryuga scavallò le gambe, lentamente, molto lentamente, posò i gomiti sulla scrivania ed intrecciò le mani sotto il mento. Rimase glaciale, impassibile e composto, mentre la sua voce incolore diceva:”In effetti…” Lasciò volutamente cadere la frase, voleva vedere la loro reazione. Nessuna delle due si mosse, contrariamente a quanto la sua immaginazione gli avesse fatto credere, erano entrambe sospese in un totale stato catatonico, di interdizione e attesa. Un mezzo sorriso fece capolino sulle sue labbra, non voleva farle soffrire oltremodo, perciò proseguì:”In effetti, ci sarebbe un posto vacante al telemarketing, la socia di Abigail se ne è andata settimana scorsa. Puoi prendere il suo posto, nella scrivania di rimpetto a quella di Lila” Non aveva affatto bisogno di una seconda al telemarketing, altrimenti non avrebbe cacciato a pedate Rosie, che tra l’altro era pure carina. Ma, purtroppo, era l’unica mansione libera in azienda, non avrebbe avuto altri posti dove sistemarla, in fondo, qualche telefonata in più non potrà fare di certo danni. Ancora fluttuanti nella loro catalessi più totale, non si accorsero che lui aveva ormai pronunciato il  verdetto tanto atteso, e rimasero a fissarlo per qualche secondo, immobili come statue di gesso. Quando finalmente realizzarono quanto era stato appena detto loro, entrambe portarono il viso in avanti, le pupille dilatate si bloccarono sull’immagine di Ryuga, come se non lo riconoscessero. Julie, tra le due la più scettica, azzardò:”Ma… Sta scherzando o dice sul serio?” Gli chiese con un sopracciglio arcuato, ottenendo come risposta una faccia piuttosto indispettita:”Io non scherzo mai, sopratutto sul lavoro, signorina Castervillle” Scandì bene ogni singola parola perché fosse il più pungente possibile, sopratutto il suo cognome, che pronunciò con sufficienza. 

Julie non se ne curò minimamente, voltò di scatto il viso verso Lila, altrettanto sorpresa e attonita:”L’hai sentito anche tu?! Verrò a lavorare qui!” Le disse con voce acutissima, Lila le prese le mani stringendole:”Sì, ho sentito!” Entrambe si misero ad urlare e scalpitare per la gioia, poi si abbracciarono, saltellando in tondo. Ryuga emise un verso schifato, mentre si massaggiava le tempie:”Detesto queste manifestazioni di giubilo” Brontolò sotto le grida acute delle due cugine, ma sul suo volto spuntò un sorrisetto divertito, in fondo, non sono così male… Chissà cosa combineranno in due. Il solo pensiero dei doppi guai che avrebbe avuto da ora in poi gli procurò un’emicrania, accentuata dagli acuti striduli delle due ragazze, che si misero a fare un buffo balletto coi fianchi, mentre cantavano:”Lavoreremo insie-me!” E si muovevano verso l’uscita. Due pazze scatenate, chi me l’ha fatto fare! Oddio, non che vedere quei due bei fondoschiena agitarsi a destra e a manca fosse un brutto spettacolo, però erano sempre di fronte alla somma autorità lavorativa! Ryuga alzò le spalle, rassegnato e consapevole di essersi attirato addosso due uragani dalla forza inarrestabile. Confermato, sei un completo idiota. Grazie Lila per avermi rimbambito del tutto.

 

Per quanto erano felici quasi volavano, invece di camminare, e ridevano per qualunque banalità, sopratutto si divertivano a scimmiottare Ryuga nei suoi atteggiamenti. Tutti nell’atrio le fissavano increduli, visto che praticamente l’unico rumore che si sentiva erano i loro sghignazzamenti e le loro prese in giro. D’un tratto, mentre camminavano senza prestare la minima attenzione a ciò che vi era davanti a loro, Julie si scontrò con qualcuno, cadendo rovinosamente a terra. Si massaggiò la testa, dolorante per la collisione col suolo, e con gli occhi stretti a due fessure cercò di capire chi le era venuto addosso. Quel che vide le fece morire le parole in gola: era un ragazzo molto alto e magro, portava i capelli neri rasi alla nuca e la barba. Era molto bello e attraente, nonostante fosse piegato in ginocchio a raccogliere i fogli che l’impatto con lei gli aveva fatto disastrosamente cadere dalle mani, sparpagliandoli tutti alla rinfusa per terra, e avesse un’espressione che dire furiosa era dire ben poco. Sentendosi in colpa per non aver “guardato prima di attraversare” e volendo rimediare in qualche modo, afferrò i moduli che si ritrovava davanti, impilandoli sopra al braccio:”Scusa, non guardavo dove andavo e ho fatto un bel casino” Si prodigò per raccoglierne quanti più potesse, ricevendo uno sguardo stupito dal ragazzo:”Non importa, fa niente” Cercò di fermarla, ma lei fu irremovibile; quando ebbe sistemato gli ultimi rimanenti, glieli porse:”Spero di non aver rovinato il tuo lavoro, se posso aiutarti in qualche modo…” Stavolta il bel moro le strappò quasi i fogli di mano, prendendoli sotto braccio stavolta:”No, ti ringrazio, buona giornata” E così come era arrivato, se ne andò, fissando davanti a sè. Era abbastanza evidente che non gli piacesse stare a contatto con le altre persone, sopratutto se si trattava di intrattenere una conversazione. 

Non si erano neppure presentati, eppure la mente di Julie era già fissa sui due smeraldi che quel ragazzo misterioso aveva al posto degli occhi. Si alzò lentamente, deglutendo, e tenendo lo sguardo fisso nella direzione in cui lui se l’era svignata in tutta fretta e, senza rendersene conto, strinse il labbro inferiore tra i denti, tentando di ritrovarlo fra la folla che passeggiava avanti e indietro, troppo intenta a vivere per curarsi della scena che si era appena consumata, mentre alzava la testa per cercare la sua figura esile e slanciata fra la moltitudine di persone che popolava quell’ingresso così mastodontico. Lila, che aveva osservato tutto, seppur rimanendo in disparte, le pose una mano sulla spalla:”Ti sei fatta male?” Le domandò, apprensiva, cercando i suoi occhi. Julie sospirò:”Tutto bene, tranquilla” Come se le avesse letto nella mente, la diciottenne le sorrise:”Lo rivedrai, se lavora qui sarà un gioco da ragazzi scoprire chi è” La cugina alzò le spalle:”Anche se fosse? Non mi sembrava tipo da intavolare una conversazione. E poi neanche lo conosco” Acciuffò da terra la borsetta, che le era caduta durante lo scontro con il mistero dagli occhi verdi, e se la rimise in spalla:”Non posso mica sbavare dietro al primo che mi sbatte addosso, ti pare?” Lila, la quale aveva sempre creduto fervidamente alle favole a lieto fine, nelle quali il principe azzurro galoppava sul suo bianco destriero per venire a salvare la bella donzella dai più intricati perigli, era sempre stata una convinta sostenitrice dell’amore a prima vista, e anzi, sognava fin da piccola il cosiddetto colpo di fulmine, l’incontro fatale con l’uomo dei sogni che l’avrebbe stregata e amata per tutta la vita. Beh, non è andata esattamente così, diciamo che gli ho rotto le scatole affinché mi assumesse, per il fulmine… In effetti mi ha fulminata con lo sguardo, qualche volta.

Scosse la testa e affiancò Julie, per portare avanti con furore la propria teoria:”Che ne sai, magari hai appena conosciuto l’uomo dei tuoi sogni e nemmeno lo sai! Domani scoprirò chi è, che ti piaccia o no” Affermò, riempiendo le guance come sempre, e scaturendo la risata di Julie:”E va bene, tigre, mi fido di te” Le scompigliò i capelli con infinito affetto e la strinse a sè mentre camminavano verso l’uscita. Lila l’accompagnò fin sul ciglio della strada, dove la ventiduenne si bloccò per chiamare il taxi che stava venendo verso di lei. La guardò dolcemente:”Vado a comprarmi qualcosa di decente da mettere, domani. Tu sei una figa della madonna, io non posso certo presentarmi in jeans, Vans e maglietta, ti pare?” Lila ridacchiò:”Stai benissimo vestita così” Julie annuì:”Già, ma il tuo bell’albino non credo la pensi allo stesso modo” Restarono per qualche minuto in silenzio totale, mentre lei saliva sul taxi. Poi, prima di imbottigliarsi nel traffico, tirò giù il finestrino per dirle:”Vado anche a cercare una casa con un affitto ragionevole, così non sarò costretta a stare a casa tua e a gravare sulle tue spalle” Le sorrise rassicurante. 

In quel momento, a Lila venne in mente che Joshua, l’ubriacone che viveva nel bilocale accanto al suo appartamento, era stato arrestato un mese prima per possesso di droga, e ora la vecchia padrona del condominio e di tutti i locali contenuti in esso, ovvero l’anziana e megera Svetlana, una russa dannatamente di sinistra e con un pessimo carattere, stava cercando un affittuario di quella casa di circa settantacinque metri quadri. La fermò subito, poggiandosi al tettuccio della macchina con le mani per guardarla, ovviamente sorridendole:”C’è un bilocale in affitto, accanto al mio. Puoi stare lì finché non trovi una sistemazione migliore. Con la padrona ci parlo io” Non sarà una passeggiata, quella vecchia strega mi odia, solo perché non le ho pagato un mese d’affitto e ho rifiutato di andare a letto con suo nipote. Julie le prese il viso tra le mani e le stampò un bacio in fronte:”Te l’ho mai detto che ti amo?! Sei fantastica, Lila, ti ringrazio davvero” La diciottenne l’abbracciò forte, per poi fare dietrofront e lasciare spazio all’autovettura gialla, ma Julie la fermò ancora:”Ah, sì! Quasi dimenticavo. Nel weekend devo tornare ad Harvard per prendere le quattro cose che ho lì e dare l’ultimo esame di diritto per laurearmi definitivamente. Non ti dispiace, vero? Se potessi avvisare anche il capo ti sarei infinitamente grata” La diciottenne annuì energicamente:”Nessun problema, lascia fare a me” Finalmente il taxi poté partire, mentre Lila salutava con la mano sua cugina.

Rientrò in ufficio con l’umore alle stelle, e si sedette placidamente alla scrivania, mettendosi subito all’opera… Un momento, qui qualcosa non va. In effetti non aveva ancora ringraziato Ryuga a dovere, si morse il labbro, che stronza sono, ci ha assunte entrambe senza batter ciglio e io non l’ho nemmeno ringraziato. Decise di rimediare subito a quell’imperdonabile mancanza, e sgambettò frettolosamente verso l’ufficio, ma perse l’equilibrio nell’ultimo tratto di percorso. Oh no, sto cadendo, mi romperò di sicuro il naso…

 

In quel preciso momento, Ryuga, col suo solito tempismo perfetto, aprì la porta, e riuscì per miracolo ad afferrare Lila che, invece di spiaccicarsi al suolo come una frittella lanciata male in aria, si scontrò contro qualcosa di duro e bronzeo. Mmh, questo deve essere il suo petto. Aveva i palmi delle mani e la fronte poggiati proprio all’altezza dei suoi pettorali scolpiti, dove il cuore pompava a ritmo… Stranamente sostenuto. Lui la fissava, incredulo, non aveva ancora realizzato la situazione che i suoi arti, callosi e ruvidi, si posarono sull’esile schiena di lei, stringendola involontariamente a sé. Lila rabbrividì a quel contatto, e un tremolio birichino corse lungo tutta la sua colonna vertebrale, raggiungendo le ginocchia, che diventarono subito gelatina allo stato puro. Rimasero così, avvinghiati l’uno all’altra per un tempo che ad entrambi parve meravigliosamente infinito, mentre la timida e giallastra luce del primo mattino faceva capolino dalle finestre. Lasciando cadere ogni sorta di inibizione, e considerando che forse non avrebbe mai più avuto un’occasione come quella, Ryuga affondò il naso in quella massa scomposta di capelli, come aveva sognato di fare dal primo momento che lei aveva messo piede nel suo ufficio, e inspirò a fondo il suo aroma di vaniglia. Parlò in un sussurro, la bocca poggiata sul suo cuoio capelluto:”Deve stare più attenta, un giorno o l’altro potrebbe farsi male sul serio” Le consigliò, mentre faceva correre lentamente la mano su e giù lungo la sua spina dorsale, scaturendo in lei un milione di brividi bollenti, il cui epicentro era il bacino ma anche e, sopratutto, il basso ventre. Schiuse poco le labbra per immettere aria nei polmoni, ma anche il suo respiro sembrava bloccato, e in un gesto audace strusciò la guancia sulla sua. E’ ispida… Proprio come l’avevo immaginata. In quel momento, immaginò di posarci le labbra, e far scorrere la lingua per tutto il profilo del suo zigomo, fino alla giugulare… Questi pensieri le annebbiarono la ragione, e tutto ciò che riuscì a mugugnare fu:”Mmh… Sì, farò più attenzione… Sì” Le sue parole risultarono niente più che sospiri alle orecchie di Ryuga, sussurri emessi a ritmo della mano che le percorreva sapientemente la schiena. Le piaceva averlo così vicino, e lui poteva percepirlo distintamente. Non correre, playboy, vacci piano. Lei non è come tutte le altre. Fattosi convinto di ciò, rinsavì, e la allontanò un poco, ottenendo in risposta il naso storto di lei che, evidentemente, si sentì improvvisamente fredda ed era ovvio che le mancasse qualcosa. Ma lui si affrettò a fugare i suoi dubbi, sorridendole gentile:”Se per lei non è un problema, mi piacerebbe riaccompagnarla a casa, stasera” No, non per  quello, ti prego, non pensare male. Ryuga pregò mentalmente che Lila non fraintendesse la sua gentilezza, non voleva scoparla, ma solo… Avvicinarsi a lei, credeva. In fondo, sarebbe stato bello conoscere qualcuno e avere una relazione normale, per una volta nella vita. Poi lei era bellissima, gentile, comprensiva, sentiva che avrebbe potuto dirle di tutto e confidarsi, avrebbe potuto aprirsi e, piano piano, sarebbero entrati in confidenza… Magari avrebbero anche potuto costruire qualcosa, insieme. Non correre, vai per gradi, non sai ancora se puoi fidarti di lei. Per questo doveva prima entrare in sintonia con lei, e sapere anche i più reconditi dettagli della sua vita, come buoni amici. In fondo, è questo che fanno le persone normali. 

Lila gli sorrise in modo radioso:”Certo! Mi farebbe un grande favore” Si scambiarono un lungo sguardo. In quel momento, a Lila non importava un fico secco che Ryuga avesse trentacinque anni e fosse il suo capo, stessa cosa valeva per lui. In quel preciso istante, l’unico loro pensiero era stare il più possibile l’uno con l’altra. E’ proprio vero che l’amore è cieco, non guarda in faccia niente e nessuno.

   
 
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