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Autore: Darkrystal Sky    04/05/2016    1 recensioni
MULTI-CROSSOVER FIC Conoscete tutti la storia di Edward e Alphonse Elric, ma quanto cambierebbe questa se le persone che hanno incontrato durante il loro viaggio non fossero le stesse? Se il Viaggio tra Dimensioni parallele fosse di dominio pubblico e il Multiverso fosse al centro di una faida millenaria?
La storia di Fullmetal Alchemist come non l'avete mai vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8 - Obiettivi

But no more worries, rest your head and go to sleep
Maybe one day we'll wake up and this will all just be a dream
Now hush little baby, don't you cry
Everything's gonna be alright
Mockingbird - Eminem

 

Oriel si svegliò ad uno scossone del treno, con la schiena indolenzita ed un emicrania dovuta al poco sonno. Era quasi l’alba, il cielo cominciava già a schiarire sui campi verdi che avevano sostituito la sabbia mentre si allontanavano dal deserto. Edward, per conto suo, sembrava dormire profondamente, a bocca aperta e pancia scoperta. Oriel si chiedeva come facesse a dormire con gli automail indosso e sulle scomode panche di legno del treno per di più.
“Ormai dobbiamo essere quasi arrivati” commentò Alphonse quando la vide sveglia. Il ragazzino si era seduto da solo dalla parte opposta della corsia per lasciare agli altri due abbastanza spazio per sdraiarsi e dormire.
Per tutta risposta, Oriel emise un lamento e sbatté la testa contro il vetro: avrebbe voluto aprire il finestrino per respirare un po’ d’aria fresca, ma le volute di fumo nero che provenivano dalla locomotiva le fecero cambiare idea.
“Odio viaggiare in treno, non potevamo prendere un’automobile militare?” si lamentò, cercando alla bell’e meglio di sistemarsi i capelli spettinati senza uno specchio. “O forse no, non sarebbe stata l’idea migliore, avrei dovuto guidare io…”
“Il mio fratellone sa guidare,” la corresse Al. “Anche se non può ancora ottenere la certificazione, il signor Hughes gli ha insegnato lo stesso.”
Oriel sorrise.
“Ma ci arriva ai pedali?” ridacchiò.
Edward mugugnò nel sonno.
-
Il giorno dopo aver ricevuto il titolo, a causa della recente tragedia, Oriel non aveva ancora ricevuto nessuna convocazione da parte di Mustang: in un altro momento si sarebbe rimessa a studiare, e aveva avuto una mezza idea di andare in biblioteca e sbattere in faccia al bibliotecario occhialuto il suo nuovo orologio d’argento, ma alla fine aveva preferito ritornare sui suoi passi al Laboratorio numero 1 per vedere se effettivamente vi era conservato del materiale interessante. Mentre stava studiando attentamente un’antica pergamena contenuta in una teca di vetro, la ragazza non si accorse della figura che le si stava avvicinando da dietro finché questa non attirò la sua attenzione.
“Miss Eckhart?” chiamò. Oriel sussultò e si voltò di scatto per trovarsi faccia a faccia con un anziano militare coi capelli e i folti baffi completamente bianchi. La ragazza non lo conosceva, ma una veloce occhiata alle strisce sulla sua uniforme bastò come campanello d’allarme per identificarlo come un generale, Oriel si mise quindi immediatamente sull’attenti, quasi dando una ginocchiata al mobile dietro di lei. “Riposo” le ordino l’uomo pacatamente, dopo un veloce cenno di approvazione con la testa. Oriel abbassò la mano ma non rilassò le spalle. “Sai chi sono?”
Mentire avrebbe potuto evitarle una figuraccia immediata, ma dire la verità le avrebbe evitato di dover rispondere ad altre domande, quindi optò per la seconda.
“No, signore. Non ne ho la più pallida idea, signore” esclamò.
Dopo un attimo di sbigottimento, l’uomo sorrise sotto i baffi.
“Apprezzo l’onestà, se non altro.” Oriel arrossì. “Sono il generale d’armata Miroku Barsburg, e ti sono collega in quanto Alchimista di Stato, col nome di Diamond Alchemist, l’Alchimista di Diamante” si presentò l’uomo, sempre con tono cortese.
“È un onore fare la sua conoscenza, signore” replicò Oriel, sempre più confusa dalla presenza dell’uomo lì e dal fatto che sapeva chi fosse.
“Vuoi una tazza di tè? Ho un paio di argomenti da discutere con te, se hai tempo.” Il generale la invitò in una delle stanze adiacenti, posandole una mano sulla spalla. Il gesto era delicato, ma non lasciava spazio a compromessi: un ordine mascherato da richiesta.
Il generale aprì una porta che dava su una grande stanza circolare, illuminata da ampie vetrate: sul pavimento era inciso un cerchio alchemico molto complesso, mentre il soffitto era affrescato come una volta arborea. Al centro della sala, diversi divanetti di pelle circondavano un basso tavolino di legno intagliato: probabilmente quel luogo era usato spesso dalle alte cariche per prendere il tè e scambiare pettegolezzi come vecchie signore. Barsburg la fece accomodare su uno dei divanetti al centro della stanza, mentre prendeva da un mobiletto una teiera sulla quale era inciso un cerchio alchemico e vi versò dell’acqua da una caraffa. L’uomo sfiorò il cerchio e, con un brevissimo lampo di energia, dalla teiera si alzarono volute di vapore. Oriel sorrise, e il generale sembrò notarlo perché ridacchiò a sua volta.
“È ironico come la grande arte dell’Alchimia possa essere usata per qualcosa di così semplice e mondano, non è vero? La stessa arte che ci ha permesso di vincere nella Guerra dell’Est viene usata…” alzò la teiera, nella quale aveva gettato alcune foglie, “...per fare il tè.”
Oriel continuò a sorridere, educatamente, ma sempre a disagio.
“Signore, di cosa voleva parlarmi?”
“Hai ragione...” L’uomo si sedette di fronte a lei, mentre lasciava le foglie in infusione. “Sedici anni, è sorprendente come tu sia riuscita a diventare Alchimista di Stato ad una tanto giovane età” si complimentò. Oriel stava per ribattere che l’età minima era stata decisa dalle alte sfere, e che comunque Edward era addirittura più giovane di lei, ma il generale non aveva ancora finito di parlare. “A che età hai cominciato a praticare l’alchimia?” le chiese.
“A sei anni già leggevo dei semplici testi, ma non ho cominciato a studiare seriamente fino a dieci. Da allora ho imparato piuttosto velocemente, ho sempre amato la scienza e i libri e ho avuto una tutrice… motivante.” Oriel cercò di non lasciare trapelare il suo disagio nel parlare della sua istruzione.
“Ieri hai trasmutato delle mine e un’arma da fuoco funzionanti, posso vedere il cerchio?”
“Certamente,” annuì lei, arrotolando la manica della camicia, sotto alla quale portava ancora il bracciale di metallo. Organizzò i cerchi in modo che costituissero la stessa disposizione utilizzata il giorno prima.
Barsburg le prese il polso con delicatezza, esaminando le linee e simboli di cui era costellato.
“Questo strumento… lo hai costruito tu?” le domandò infine, lasciandole andare la mano, che le ricadde in grembo.
Oriel scosse la testa.
“La mia tutrice ha creato la cianografia, l’ho fatto realizzare a Rush Valley, di mio c’è solo l’idea” spiegò
 Il generale annuì ancora, poi si alzò per versare il tè in un paio di tazze.
“Ho sentito che Mustang ha fatto richiesta di averti nella sua squadra” riprese l’uomo, tornando a sedersi e porgendole una delle due tazze di tè fumante. “Abbastanza… avido da parte sua, non credi?”
“Mi scusi?” fece Oriel, basita dall’affermazione.
“Pretendere di avere sotto la propria ala entrambi i giovani prodigi di quest’anno è stato incredibilmente arrogante. Vada per l’Alchimista d’Acciaio, che era la sua raccomandazione fin dall’inizio, ma lascia che ti dia una mia opinione personale: il tuo talento e potenziale bellico sono sprecati al seguito di un uomo come Mustang. Invece, non vorresti lavorare per me?”
Oriel nascose il sorrisetto che le era spuntato sul viso sorseggiando lentamente il suo tè insipido e posò la tazza sul tavolo prima di parlare nuovamente.
“Che tipo di lavoro?”
Il generale sorrise.
“Sai in che stanza siamo?”
Oriel si guardò intorno: la stanza era decorata da numerose e inquietanti figure di chimere imbalsamate, oltre a queste una grande teca conteneva volumi e pergamene, un’altra un complesso sistema di boccette ed alambicchi che doveva essere appartenuto ad un alchimista che aveva studiato in quel campo. Una parete era interamente occupata da diversi dipinti e più recenti fotografie di alchimisti che Oriel non riconobbe, ma il tema della sala cominciava ad essere evidente.
“Alchimia Organica?” tentò.
“Alchimia Organica” confermò Barsburg. “Serve qualcuno che riprenda quello che Shou Tucker ha lasciato in sospeso, ti senti in grado di farlo?”
Oriel strinse gli occhi. Ne aveva abbastanza di fare buon viso a cattivo gioco, e il gioco che il generale le stava proponendo non era uno di cui le interessava far parte.
“Con tutto il rispetto, signore” cominciò con determinazione. “Sotto a chi lavorare mi interessa poco, ma non ho alcuna intenzione di creare o studiare chimere. L’Alchimia Organica è un campo tanto vasto quanto interessante, ma se ritiene che le ricerche di Shou Tucker valgano la pena di essere continuate, perché non farle continuare a lui stesso?”
“Shou Tucker è stato fucilato questa mattina all’alba” ribatté l’uomo, secco. “Gli è stata concessa la possibilità di continuare, ma apparentemente il senso di colpa verso le proprie azioni gli ha impedito di accettare.”
Oriel si alzò e cominciò a camminare nervosamente per la stanza.
“Come ho già detto, non sono interessata a creare chimere, ma posso dare un’occhiata a quei documenti” disse alla fine, fermandosi davanti a una teca che esponeva una ricostruzione in legno di un cuore umano. “Non riesco a credere che l’Alchimia Organica si limiti solo a quello” proseguì, senza distogliere lo sguardo dal macabro modellino mentre parlava.
“Altre tecniche che rientrano in questo campo sono ritenute troppo complesse o pericolosamente vicine alla trasmutazione umana” spiegò il generale. “Probabilmente, se esistono, i documenti relativi sono conservati alla Biblioteca Centrale. Immagino che potresti essere interessata a darci un’occhiata.”
Oriel si allontanò dalla teca per studiare i volti dipinti e fotografati degli alchimisti che avevano dedicato la loro vita all’Alchimia Organica. Tra loro spiccava anche quello scialbo e trasandato di Shou Tucker, in uniforme militare. In un angolo poco illuminato della parete era appeso un quadro coperto da un grande lenzuolo grigio, tutto sporco e impolverato.
“E questo?” fece la ragazza, scostando appena il telo per vedere cosa nascondeva.
“Rovinato da un atto di vandalismo perpetrato da ignoti. La divisione investigativa dovrebbe avere i dettagli relativi. Purtroppo è stato giudicato irrecuperabile anche dai migliori restauratori.” L’uomo anziano finì di sorseggiare il proprio tè. “Il patrocinatore che l’ha donato, però, ha chiesto che rimanesse comunque appeso.”
Incuriosita, la ragazza scostò appena la stoffa, scoprendo una tela squarciata e rovinata a tal punto che era impossibile riconoscere che cosa vi fosse dipinto prima che fosse ridotta a quel modo. Il danno sembrava però limitato alla sola metà sinistra del quadro. Oriel alzò ancora la stoffa, curiosa di scoprire cosa vi fosse raffigurato sulla destra, senza rendersi conto che così facendo l’aveva disincastrata dalla sua posizione. Prima che potesse sorprendersi, l’intero lenzuolo le cadde addosso e la ragazza si trovò a cadere all’indietro.
“Signorina, tutto bene?” esclamò Barsburg in tono sorpreso e leggermente divertito.
“Sì” riuscì a rispondere la ragazza tra un colpo di tosse e l’altro: aveva respirato talmente tanta polvere che era un miracolo che non fosse soffocata.
Quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi, alzò lo sguardo verso il dipinto. Sulla parte destra del quadro era rappresentato, tra volute di tessuto rosso ed elaborati decori, un ragazzo, fasciato in un elegante abito d’epoca. I lunghi capelli color dell’oro, corti solo intorno al volto, erano legati strettamente in una treccia che gli ricadeva sulla spalla, i brillanti occhi verdi sembravano quasi fissare lo spettatore con aria di sfida. Una mano era posata sulla spalla del ragazzo, probabilmente appartenente alla figura più alta al suo fianco, i cui dettagli erano talmente rovinati che era impossibile discernere qualunque particolare.
“Chi era?” domandò dopo un lungo silenzio.
“Un esponente di questa branca, apparentemente” rispose il generale, alzandosi per rimettere le tazze al loro posto. “Vogliamo andare?” disse poi. “Ti lascerò vedere di persona se le ricerche di Tucker sono degne del tuo interesse oppure no.”
La ragazza appallottolò il lenzuolo ai piedi del quadro e seguì il generale fuori dalla stanza. Durante il tragitto verso il Quartier Generale, Barsburg scambiò ben poche parole con la giovane alchimista, limitandosi a discorsi di circostanza. Oriel stava cercando di mettere a fuoco le intenzioni del suo superiore, ma con poco successo. Quando giunsero al quartier generale, l’edificio che sorgeva nel centro esatto della città, l’uomo anziano la guidò verso un magazzino, le cui porte in metallo erano già socchiuse e la luce al suo interno accesa. Perplesso, Barsburg spalancò la porta: all’interno della stanza, tra pile di libri e gabbie contenenti chimere ringhianti, sedeva una figura infagottata in una possente armatura, che si alzò di scatto in piedi non appena vide il generale.
“E tu saresti?” fece il vecchio, con sospetto.
“Uh… Alphonse Elric… stavo aiutando mio fratello a riordinare questi appunti” spiegò con imbarazzo.
Oriel lo squadrò con curiosità: non era certo quella la voce che si sarebbe aspettata di sentir venire da un’armatura di quelle dimensioni.
Il generale si rilassò.
“Oh, il fratello dell’Alchimista d’Acciaio. Che coincidenza…” Si voltò verso Oriel e, con una mano sulla spalla della ragazza, la accompagnò nella stanza. “Hai la piena libertà di consultazione. Mi aspetto di sentire tue notizie molto presto. Dopotutto, dubito che all’Est ci sia una biblioteca fornita come quella di Central City.” Con un cenno di saluto, uscì dalla stanza e si allontanò lungo il corridoio.
Oriel era perplessa: perché il generale aveva nominato l’Est? Si accorse che qualcuno la stava fissando e si voltò verso Alphonse.
“Uh… Perciò Edward è il tuo fratellino?” gli chiese, un po’ imbarazzata. “Ci siamo conosciuti qualche giorno fa, io mi chiamo Oriel.”
“Edward è mio fratello maggiore” la corresse lui, alzandosi in piedi per stringerle la mano.
L’armatura torreggiava inquietante su di lei, ma la ragazza sorrise e gli strinse la mano fasciata di metallo e cuoio lavorato con fermezza.
“Fratello maggiore? Allora tu hai…”
“Undici anni” confermò lui timidamente.
Un ragazzino gigante. Oriel aveva visto cose più strane, ma questa era unica nel suo genere. Sorrise: questa esperienza si prospettava molto più interessante di quanto alcun libro avrebbe potuto anticiparle.
“Allora, dov’è il piccolo genio?” domandò dirigendosi verso una pila di quaderni e sfogliandone il primo distrattamente.
“Credo sia andato dal colonnello Mustang. Se n’è andato quando gli ho parlato della Pietra Filosofale” spiegò il ragazzino.
Le ultime parole attirarono l’attenzione di Oriel.
“La Pietra Filosofale? Non è una leggenda? ‘Chi cerca la Pietra è destinato a scomparire’ o qualcosa di simile?” ridacchiò facendo la voce grossa, mentre sfogliava un quaderno pieno di disordinati appunti e cerchi alchemici incompleti.
“Però, se il signor Tucker, un Alchimista di Stato, la stava studiando, deve avere un fondo di verità…” tentò il ragazzino. “La Pietra Filosofale è il segreto finale per ogni alchimista: aumenta le capacità a dismisura e permette di aggirare i principi alla base dell’alchimia. Uno strumento simile ha un che di miracoloso.”
Oriel si voltò a fronteggiare il ragazzino.
“Se fossi in te, non mi fiderei dei miracoli.” Sovrappensiero, giunse le mani e si strofino con il pollice il dorso della mano sinistra, dove aveva una vistosa cicatrice allungata. “Non si scappa dallo Scambio Equivalente, c’è sempre un prezzo da pagare per esaudire i propri desideri.”
-
“Assolutamente no. Sei un ricercatore alle dipendenze dello Stato, non un Vigilante o un poliziotto. Non è compito tuo trovare un assassino.” Roy Mustang mise da parte i documenti che stava leggendo e firmando, per incrociare le mani sotto il mento e squadrare Edward. Il ragazzino era corso da lui non appena aveva saputo che avevano archiviato il caso di Nina come dovuto a un gruppo di violenti cani randagi che apparentemente avevano già causato disturbi nella città.
“Perché?!” esclamò il ragazzo, furioso, stringendo i pugni. “Il responsabile della morte di Nina non è stato affatto un animale! Un animale sarebbe rimasto a finire il lavoro, chiunque l’abbia uccisa ha solo voluto nascondere le sue tracce! Voglio aiutarvi a trovarlo!”
“Interessante teoria, ma del tutto superflua. Se vuoi indagare di testa tua, non sarò io a fermarti, ma dovrai lasciare quello qui.” Mustang indicò l’orologio d’argento la cui catenella sporgeva dal taschino del ragazzo.
Lui lo afferrò e lo sganciò dal passante dei pantaloni.
“È quello che avevo intenzione di fare” mormorò, facendo per posare il simbolo della sua carica sulla scrivania dell’uomo.
“Se il segreto della tua trasmutazione umana venisse alla luce, tuo fratello verrebbe rinchiuso in un qualche laboratorio e analizzato come il risultato di una trasmutazione portentosa, mentre tu verresti processato e probabilmente incarcerato, indipendentemente dalla tua età” disse Mustang, freddamente. Edward rimase paralizzato e ritrasse la mano, l’orologio ancora stretto, fissando il suo superiore con odio. Il colonnello lo fissò con volto serio per pochi istanti, prima di rilassarsi e sorridere. “O almeno è quello con cui potrei ricattarti, se volessi farti obbedire agli ordini a tutti i costi. Per tua fortuna, non sono quel tipo di persona.”
Edward rilassò le spalle e fece per ribattere, quando fu interrotto da due decisi colpi alla porta. Nel piccolo ufficio fece il suo ingresso un uomo anziano che Edward ricordava aver visto nella commissione d’esame il giorno prima.
“Generale Barsburg, signore!” esclamò Mustang alzandosi in piedi e facendo il saluto militare.
Edward lo imitò, impacciatamente.
“Riposo, colonnello. Alchimista d’Acciaio” fece Barsburg, voltandosi verso il ragazzino. “Tuo fratello ti sta aspettando, raggiungilo.”
Edward si ritrovò improvvisamente tra l’incudine e il martello: non aveva ancora detto a Mustang quello che voleva dire e non si trovava nella posizione di restare. Con una smorfia, si rimise l’orologio in tasca, si voltò e uscì dall’ufficio. Appena fuori dal corridoio, però, si trovò davanti lo stesso Al e Oriel, che ascoltavano con la testa appoggiata al muro: il generale sapeva che si trovavano lì? Apparentemente no, perché Al gli fece segno di rimanere in silenzio prima di invitarlo ad origliare con loro.
“…trasferimento a East City è imminente” stava dicendo il generale. “Hai già selezionato la squadra che intendi portare con te?”
Un fruscio di carta.
“Riza Hawkeye, Jean Havoc, Vato Fallman, Heymans Breda, Kain Fury e, ovviamente, Oriel Eckhart e i fratelli Elric.”
“Il fratello più piccolo non è un militare, mi sembra. E non sono sicuro che miss Eckhart voglia trasferirsi nello sperduto e pericoloso Est con lei, colonnello.”
“Il Comandante Supremo King Bradley ha assegnato i due alchimisti a me e inoltre, come stavo dicendo prima all’Alchimista d’Acciaio, non sono quel tipo di persona.”
“Quale tipo di persona?” domando l’uomo più anziano, confuso.
“Il tipo di persona che dividerebbe una famiglia solo per ottenere un eccellente sottoposto.”
Dall’altra parte del muro, Oriel si allontanò dal muro, sorridendo tra sé. Aveva ascoltato abbastanza.
Fece un cenno ai due ragazzi per fargli capire che a breve il generale sarebbe uscito. I tre si salutarono e la ragazza andò da una parte, i fratelli dall’altra. Avevano tutti alcune faccende da sbrigare e poi, apparentemente, i bagagli da fare.
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Oriel raggiunse l’ultima carrozza del treno, nella quale erano trasportati i bagagli più voluminosi, aprì la porta sul retro, dove non arrivava il fumo nero della locomotiva, e respirò finalmente una boccata d’aria fresca, che le aiutò a scacciare completamente i postumi della nottataccia. Con un sospiro, scivolò a sedere sul pavimento, fissando le rotaie che scorrevano sotto di lei e il panorama illuminato dal sole che sorgeva alla sua sinistra. Le parole di Mustang, quel giorno, le erano rimaste impresse, ed erano il motivo principale per cui aveva preferito seguire il suo superiore ad East City piuttosto che continuare le sue ricerche alla biblioteca di Central City. Il tipo di persona che dividerebbe una famiglia solo per ottenere un eccellente sottoposto. Oriel conosceva bene quel tipo di persona. Chissà cosa ne sarebbe stato dei fratelli Elric se Mustang fosse davvero stato come il Maggiore...
-
Oriel aveva 10 anni ed era a casa di sua zia quando era arrivata la notizia che i suoi genitori erano morti sul fronte. Nessun giro di parole, nessuna condoglianza, nessun corpo. Solo un postino e un telegramma. Oriel ricordava di aver pianto a lungo, stretta tra le braccia di suo fratello. Anche se era solo una bambina, capiva che la zia non si sarebbe potuta occupare di loro.
Al funerale comparvero amici, parenti e colleghi dei genitori, che non ebbero altro da dire che poche frasi di circostanza ai due fratelli. I membri dell’esercito, nelle loro uniformi color cenere, osservavano stoicamente le bare che venivano calate nel terreno, una a fianco all’altra. Il fratello di Oriel, occhi asciutti e schiena dritta come un fuso, era al loro fianco, mentre la bambina sedeva a fianco di sua zia, tirandosi nervosamente una delle trecce: avrebbe voluto stare a fianco del suo fratellone, specialmente in quel momento.
Alla fine della cerimonia, Oriel raggiunse il fratello, che era stato avvicinato da un militare grassoccio.
“Ero un caro amico di tuo padre” stava dicendo l’uomo. Sebbene stesse sorridendo, i suoi occhi brillavano di una luce inquietante dietro alle lenti degli occhiali. “Mio caro ragazzo, riesco a vedere il tuo talento: un giorno potresti diventare un eccellente ufficiale, proprio come lui.” A quelle parole, il ragazzo si gonfiò d’orgoglio, sorridendo per la prima volta da quando era arrivata quella brutta notizia. “Non vorresti venire con me alla capitale? Sponsorizzerò volentieri i tuoi studi all’Accademia!” continuò l’uomo, mentre un sorriso si allargava sempre di più sul suo volto. Il ragazzo annuì vigorosamente e gli strinse la mano. “Bene. Ti farò sapere dove farti trovare e quando.”
Oriel tirò suo fratello maggiore per una manica, attirando la sua attenzione.
“Perciò d’ora in poi si occuperà lei di noi, giusto?” chiese il ragazzo quando l’uomo aveva già cominciato ad allontanarsi.
Questi si fermò, ma non si voltò a guardare in faccia il ragazzo.
“Sei già maggiorenne, non è così?” chiese invece.
“Sì, ma mia sorella ha dieci anni, devo occuparmi di lei in vece dei nostri genitori. Nostra zia non è nello stato mentale adatto a occuparsi di un minore, mentre la famiglia della mamma è oltreoceano e non posso mandare Oriel da sola in un paese sconosciuto.”
“Dunque getteresti al vento questa opportunità per una sciocchezza simile?” Finalmente l’uomo si voltò. Sorrideva ancora, ma la sua espressione aveva assunto una sfumatura minacciosa.
“Voglio solo assicurarmi che Oriel sia al sicuro.”
“Per raggiungere la gloria si devono compiere dei sacrifici, mio caro ragazzo. La bambina starà bene, verrà educata in uno dei migliori Convitti del Paese, se è questo che desideri.”
Il ragazzo strinse gli occhi.
“Oriel non andrà in un collegio. Mi scusi, ma se questi sono i suoi termini, preferisco rimanere qui. Raggiungerò ‘la gloria’ come dice lei, con i miei propri mezzi.”
“Davvero pensi di esserne in grado? Davvero pensi di essere in grado di ottenere qualcosa senza sacrificare nulla?”
Il ragazzo tentennò.
“No…”
“Allora scegli: scegli cosa vuoi avere e scegli cosa vuoi sacrificare.”
Il ragazzo guardò negli occhi la sorellina, che lo fissava con sguardo implorante da dietro le lenti degli occhiali.
“Vogliamo restare insieme. Non importa cosa dovremo affrontare, ma non lascerò che le nostre strade si separino. Noi due siamo tutta la famiglia che abbiamo.”
Esaudirò il vostro desiderio.
Per un attimo, Oriel pensò che l’uomo fosse rimasto paralizzato dalle parole di suo fratello, ma non ci mise molto a rendersi conto che non era così: tutte le persone intorno a loro erano rimaste immobili. La donna che aveva parlato, però, non era bloccata come tutti gli altri, e certamente non si trovava tra i presenti prima dell’istante in cui il tempo sembrava essersi fermato. I suoi lunghi capelli neri ondeggiavano come mossi da un vento inesistente e i veli del lungo kimono che indossava sembravano delle ali di farfalla.
“È un sogno, dev’essere per forza un sogno” mormorò il ragazzo facendo un passo indietro.
La donna chinò leggermente la testa.
“Questo non è un sogno: ci troviamo in un’increspatura nel tempo. È l’unico modo in cui potevo contattarvi dal Mondo da cui provengo.”
“Chi sei?” domandò Oriel, senza riuscire a staccare gli occhi dalla donna.
“Potete chiamarmi Yuuko. Sono una Strega delle Dimensioni, sono venuta perché ho sentito il vostro desiderio e sono in grado di esaudirlo.”
 Oriel sentì suo fratello che si inginocchiava e le prendeva entrambe le spalle saldamente con fare protettivo.
 “Perché noi?” chiese, con aria di sfida.
La donna pronunciò una sola parola. Un nome. Un nome che evocava giornate passate a disegnare e raccontare storie. Un nome letto male dalla piccola Oriel in uno dei libri che le facevano compagnia mentre i loro genitori erano al fronte.
“Se accetterete questo prezzo, esaudirò il vostro desiderio.”
-
“Oriel! Dove sei?”
La ragazza sorrise, sentendo la voce di Edward che la chiamava dalla carrozza. Che carini i fratelli Elric a preoccuparsi per lei.
“Sono qui fuori!” rispose. “E non ho nessuna intenzione di tornare in quello scomodo e bollente vagone!”
“Come ti pare...”
Oriel tornò a guardare il panorama intorno a lei. Presto avrebbe incontrato la famiglia Ishida, la cui alchimia era elogiata in molteplici testi, e presentato una ricerca che le avrebbe portato lodi e rispetto dai suoi superiori. E molto presto avrebbe rivisto suo fratello.
-
Città di Karakura, area Est di Amestris
L’alchimista camminava per i corridoi della villa, abituandosi ai ricchi tendaggi e marmi pregiati che aveva acquistato. La villa era assolutamente perfetta per i suoi obiettivi, ma ancora migliore era ciò che stava al di sotto di essa.
Con condiscendenza e senza farsi annunciare, spalancò la porta su quello che sembrava un laboratorio di alchimia. La stanza era piena di boccette e piante. L’uomo osservò il contenuto di alcune fiale ed annotò le proprie osservazioni in un taccuino, dopodiché scese le scale che dal laboratorio portavano al seminterrato. Qui, in una grande sala, trovò il ragazzo.
“Affascinante, non è vero? Ho sentito che quello vero è ancora più imponente.” L’opera che il giovane stava osservando era la riproduzione di una gigantesca porta in pietra. Da essa e attorno alla cornice sporgevano molteplici figure umane nelle posizioni più diverse, ma che davano nell’insieme una sensazione di caos e inquietudine. “Forza, è ora di mettersi al lavoro,” lo incitò l’uomo, cominciando a risalire le scale. “Mi aspetto molto da te, Alchimista d’Acciaio.”
Il giovane strinse i pugni e seguì l’uomo, lasciandosi alle spalle la minacciosa scultura.

  
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