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Autore: keska    09/04/2009    22 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Il cielo era chiaro, coperto di nuvole chiare copertina

Capitolo riveduto e corretto.

 

Il cielo era chiaro, coperto di nuvole chiare. Percorrevo la navata con il mio vestito di pizzo bianco, Edward mi aspettava sotto l’arco con il suo sorriso raggiante. Mio padre Charlie mi camminava accanto, tutti mi guardavano, e io rispondevo ai loro sorrisi con imbarazzo. Era il giorno delle mie nozze, e tutto sembrava perfetto.

D’ un tratto, una sferzata d’aria fredda mi colpì il viso facendomi voltare verso la foresta. Il cielo divenne nero e cominciò a tuonare. Dagli alberi si sollevò un ululato mostruoso. Un lupo enorme fece il suo ingresso, ringhiando. Mi fissava con gli occhi rossi, l’aria inferocita. Era tornato.

«Edward!» strillai. Ma non feci in tempo a voltarmi, che con una zampata mi scagliò lontano, graffiandomi con le unghie e impedendomi la vista.

Caddi a terra, disorientata, il vestito imbrattato di fango e il bouquet di rose che tenevo in una mano che mi feriva, pungolandomi, con le sue spine. Provai ad aprire il pugno per lasciarlo cadere, ma la mia presa si faceva sempre più forte, ferendomi sempre di più, lasciando che il dolore si irradiasse dalla mano al corpo.

Agghiacciata dal dolore, terrorizzata da quello che non vedevo, sollevai lo sguardo appannato dalle lacrime. Un turbinio di movimenti si agitava davanti ai miei occhi. Sgomenta, terrorizzata, capii. Stavano lottando. Presi a correre, sollevandomi la gonna del vestito. Un vento fortissimo mi respingeva indietro, frustandomi il viso e gli occhi. Inciampai più e più volte, ferendomi le mani e imbrattandomi e stracciandomi il vestito. Sentivo i capelli, fino a poco prima acconciati, cadere scomposi sulle guance.

Divorata dallo sforzo e dal dolore correvo, lacerata nella ricerca del viso di Edward, con le caviglie spezzate dallo sforzo della corsa. Improvvisamente, d’un tratto, mi ritrovai, ansante, al centro di quel teatro di lotta.

Edward era riverso al suolo, senza vita. Crollai sulle ginocchia.

Il mio urlo di dolore riecheggiò in ogni direzione. «No!».

 

Mi svegliai in camera mia, seduta sul letto, la fronte madida di sudore. Avevo il respiro ansante, mi mancava l’aria.

Edward mi teneva stretta e sé, cullandomi frenetico. «Shh, amore, shh… Era solo un sogno, solo un brutto sogno» mi rassicurò, stringendomi al suo corpo «Respira piano, non ti preoccupare, ci sono io qui con te».

Sollevai una mano, stringendola contro la sua maglietta. «È tornato». Ero ancora troppo angosciata, per parlare. Troppo stupita che, ancora una volta, lo stesso sogno si fosse ripetuto.

Mi osservò, fissando i suoi occhi nei miei e prendendomi il viso fra le mani. «Non è tronato. Te lo assicuro. Sono qui, con te, e lui non è tornato».

Annaspai, disorientata, tremando. Lasciai scivolare il capo contro il suo petto, chiedendogli silenziosamente di stringermi a sé.

Sospirò, accarezzandomi i capelli. «Non devi avere paura. Non devi, va bene? Ci sono io qui. Non permetterò mai più che ti faccia del male» sussurrò, baciandomi i capelli. «Mai più».

Lo strinsi più forte, desiderosa di sentire il suo corpo sul mio, tanto forte da farmi quasi male. Le sue parole, insieme agli sforzi che l’intera famiglia Cullen faceva per me mi aiutavano, mi acquietavano. Ma poi, non potevano fermare il terrore che continuava a tornare nei momenti più disparati, o la paura inconscia che emergeva nei sogni. «E se tornasse il giorno del nostro matrimonio» sussurrai contro il suo petto, gli occhi chiusi «come faremo?».

Fremette, provando ad allontanarmi da sé. Desistette quando scossi il capo contro il suo corpo.

«Ci saranno anche quelli del clan di Denali. E ci organizzeremo, oltre che cercare un modo per fermarlo prima».

Tremai. Sollevai il viso nel suo, e posai una mano contro la sua guancia. «Ho paura».

Strinse gli occhi, osservandomi. Si chinò piano, respirando il mio odore col naso. Lo sentivo, pian piano si era riavvicinato a me. Non era facile superare i propri pensieri, ne ero la prova vivente. Ma Edward si era applicato, perché voleva donarmi esattamente l’amore che desideravo. Lambì dolcemente le mie labbra, con dolcezza. Spostò una mano sul mio fianco, accarezzandolo. «Nessuno ti farà male. Ci sono io, qui. Ci sono io, qui, per te, e non permetterò a niente di portarti via». Si sollevò, dischiudendo le palpebre e osservandomi. «Te lo giuro».

Lasciò che lo abbracciassi ancora, carezzandomi la schiena. «Oggi è un giorno pieno di impegni, lo sai, vero?».

«Edward…» provai a protestare.

«Niente Edward, si fa come dico. Andiamo a casa mia e ti fai togliere i punti, e poi ti porto subito a Port Angeles».

Provai a mascherare il mio tremore, storcendo la bocca in una smorfia. «Non voglio stare senza di te» borbottai contro la sua camicia, arrossendo.

Sorrise sulla mia guancia. «Vedrai, ti farà bene conoscere nuove persone, distrarti un po’. Te lo assicuro».

Strofinai il naso contro il suo petto, scuotendo il capo. «Le Belle Arti non fanno per me. Mi sentirò un’intrusa in mezzo a un mucchio di giovani talentuosi».

Mi fece l’occhiolino, sfiorandomi le labbra con le sue. «Ti sentirai una giovane talentuosa in mezzo a un mucchio di intrusi» scherzò.

«Non sono giovane, sono vecchia» brontolai, ancora di malumore.

Edward ammiccò. «Ma sei pur sempre talentuosa!».

Gli lanciai un cuscino.

 

Mi lasciai trascinare dentro casa Cullen. Quella casa era eterna. Non conosceva il passare del tempo, perché che fosse giorno, notte, mattina presto o pomeriggio, tutti erano solo e sempre occupati nelle più disparate faccende.

«‘Giorno» borbottai, stropicciandomi un po’ gli occhi. Troppo luminosa per i miei sensi stanchi.

«Oh, Bella!» mi chiamò Esme, correndo ad abbracciarmi. «È passato tanto tempo da quando una mia figlia non aveva il suo primo giorno di scuola, lo sai, vero? Sono così contenta!».

Sorrisi, facendomi appena contagiare dal suo entusiasmo. Qualche istante prima che Alice entrasse nella stanza. «Bella!» mi salutò, apparentemente cordiale «ovviamente hai preferito venire in jeans e t-shirt e non truccarti affatto così che avessi piena libertà su come vestirti» sottolineò eloquentemente.

Sgranai gli occhi. Osservandomi. Avevo messo qualcosa di confortevole, ma anche… beh carino. Sì, mi sembrava che fosse carino. «P-perché?» balbettai, cercando velocemente lo sguardo dei vampiri in sala «cosa c’è che non va? Sto male, Edward?» chiesi insicura.

Increspò le sopracciglia, scuotendo fermamente il capo. «Ma no, sei perfetta» mi assicurò.

«Se dovesse andare al supermercato qui a Forks» ribatté la sorella. «Non offenderti, Bella. Sei carina. Ma non hai gusto per la moda, l’ho sempre detto».

Spostai il peso da un piede all’altro, a disagio.

Esme mi diede un buffetto sulla guancia. «Sei carinissima, tesoro. Vuoi fare colazione?».

Scossi la testa. «Ho mangiato con mio padre. Glielo dovevo».

Annuì con un sorriso.

«Vieni, Bella?» mi chiamò Edward, portandomi nello studio di suo padre. Carlisle mi visitò, controllando i pochi punti che rimanevano da togliere. Rimasi stesa, stanca. Chiusi gli occhi. Ero nervosa per come era cominciata la giornata, e ora mi sentivo a disagio per il mio abbigliamento. Se già mi sentivo imbarazzata per il pensiero di non essere al livello degli altri alunni della scuola, questo non faceva che sommarsi alla mia tensione crescente. Non mi sentivo in grado, né all’altezza di quella scuola. Lì ci andavano tutte le persone con talento, era un’accademia di prestigio. Ovviamente Edward mi aveva imposto di pagarmi l’esorbitante retta. Era una delle clausole del “pacchetto trasformazione” come quella di cambiarmi il pick-up, qualora si fosse rotto, cosa che mai sarebbe potuta avvenire se Edward non me lo avesse fatto toccare ancora per un altro po’.

«Ho quasi finito Bella» mi assicurò Carlisle, tirando via un filo, «non ti faccio male, vero?».

«No» sospirai, «non mi fai male».

Il padre sollevò lo guardo da me, rivolgendo un’occhiata al figlio che ci osservava, poco lontano.

Edward scosse il capo. «Ucciderò Alice».

Mi morsi un labbro. «Lasciala stare, Edward. Non è colpa sua».

«Lo è, invece» ribatté piccato «se dice certe cose solo per poterti trattare come una bambola».

Comunque, alla fine, non fui abbastanza forte da rimanere indifferente ai suoi commenti. Fu quando passai davanti ad uno specchio, adocchiando la mia figura scialba, che decisi che sarebbe stato meglio farsi aiutare da lei piuttosto che rifugiarmi sotto un sacco di cartone per il resto della giornata. Edward non fu d’accordo, sostenendo che ero già bellissima. Ma quando mi vide così nervosa non osò controbattere oltre.

Quando scesi dalle scale, lasciando una soddisfatta Alice al primo piano, sentii Edward scambiare alcune parole con i suoi fratelli.

«Avete avuto sue notizie?».

«Nulla, nulla. Sembra scomparso nel nulla».

«Sì, ma c’è da considerare anche il fatto che il padre non vuole parlarci, e che di certo gli altri potrebbero mentirci».

«Avete provato con il ragazzo?».

«Oh, Edward. Piantiamola. Manda me a cercare Jacob e facciamola finita!».

«Emmett!» sibilò una voce.

«Jacob?» domandai, scendendo le scale. Passai velocemente lo sguardo sui loro volti. «P-perché state cercando Jacob?» chiesi spaventata.

Edward mi sorrise, venendomi vicino. Speravo che non fosse un così bravo attore. «Sei davvero bella» commentò, osservando la mia nuova mise, «ma lo eri anche prima, te lo assicuro».

Scossi il capo, deglutendo. Gli occhi erano ancora spalancati di paura. «Cosa c’entra Jacob? Edward, mi avevi promesso che nessuno correva rischi».

«Ed è così» mi rassicurò immediatamente «è così, fidati. Stiamo solo monitorando i suoi movimenti».

Emmett ghignò, sarcastico. «Nessuno corre rischi».

Agitata, osservai i volti degli altri due vampiri. «N-no. Io non vado. Non ci vado. Voglio rimanere con te, Edward. Non voglio allontanarmi con la paura che vi possa accadere qualcosa».

«Ma Bella!» protestò immediatamente «non ha senso. Nessuno si sta esponendo a fare nulla di sconsiderato».

«Perché non me l’hai detto, allora?» strillai isterica «vuoi mandarmi via in modo che tu possa andare a farti uccidere?!».

Gli altri vampiri entrarono velocemente nella stanza, attirati dal suono delle mie urla.

«Edward?» chiamò Jasper, non smettendo di fissarmi.

Pochi secondi dopo mi sentii intorpidire.

Mi portai una mano sulla testa, sfregandola. «Smettila» protestai fra i denti, retrocedendo, barcollante, di qualche passo. Mi sentivo afflitta per non essere stata messa al corrente di quanto stava accadendo. Ed ero spaventata per il rischio che sicuramente tutti loro stavano correndo.

Arrabbiata mi voltai, uscendo di corsa dall’uscio di casa Cullen. Sentendomi patetica e stanca mi lasciai scivolare contro il tronco di un albero. Dove sarei potuta andare, poi? Ricacciai via, con forza, le lacrime che mi stavano bagnando le guance. E al diavolo se il vestito si fosse sporcato di terra.

Ci furono delle urla, nella casa. Così strano, dato che i vampiri non alzavano mai la voce. Strinsi le ginocchia al petto con le braccia, poggiando il mento sugli avambracci uniti. Dopo poco tempo, quando le urla si furono acquietate, Edward venne a sedersi accanto a me.

«Non ti ho iscritta alla Belle Arti per questo».

«Sono arrabbiata» protestai fra i denti.

Sospirò. «Immagino. Ma ti ripeto: non è per tenerti lontana che ti ho iscritta alle Belle Arti».

«Ma mi hai mentito» ribattei.

«Per proteggerti».

«No!» sbottai, voltandomi nella sua direzione «no, non per proteggermi! Perché sapevi che altrimenti non sarei mai stata d’accordo!».

«Bella…».

«Niente “Bella”, Edward. Mi sento messa da parte. Mi sento fragile, e patetica. E sono dannatamente arrabbiata!» esclamai, sentendo lacrime di rabbia rigarmi il viso.

Sospirò, prendendolo fra le mani. «Non esserlo, per favore. Avevo bisogno di monitorare la sua posizione perché mi sembra troppo strano che non si sia ancora fatto avanti. Non volevo che ci cogliesse impreparati».

«E hai pensato bene di non dirmelo!».

«Bella» protestò, stringendo la presa «guarda quanto sei spaventata! Come potrei essere io la causa di un’ulteriore paura? Non voglio. Per favore, prova a credermi. Voglio che tu segua il corso perché penso che ti piacerebbe, e non perché voglio tenerti lontana».

Mi asciugai una lacrima con una mano. «Non è colpa mia se sono spaventata» piansi, tirando su con il naso.

Mi sorrise appena. «Lo so».

«E di a Jasper di smetterla con i suoi giochetti!».

«Lo farò».

«E… e… non mi interessa niente se il vestito si è sgualcito o sporcato. Non ho nessuna intenzione di cambiarmi».

«Shh… vieni qui» mi chiamò, passandomi un braccio intorno alle spalle. Mi aiutò a sollevarmi. «Vieni, andiamocene via. Io e te, andiamo a vedere com’è questa Accademia. E se non ci piace ce ne torniamo a casa, va bene?».

Annuii, stringendomi a lui.

Il viaggio in auto fu silenzioso. Continuavo a pensare a Jacob. Emmett e Jasper avevano detto di non aver trovato sue notizie, e questo significava che poteva trovarsi dappertutto. Anche dietro di noi, in quel momento. Rabbrividii.

Edward mi osservò con la coda dell’occhio, senza interrompere la sua guida fluida. «Tutto bene?».

Annuii silenziosamente. «Non» feci, cercando il coraggio per continuare «non l’avete trovato?».

Rimase in silenzio per qualche istante, stringendo con più forza il volante. «No» disse poi «no, non l’abbia trovato».

«E se l’aveste fatto?» domandai pacata.

«Magari avremmo potuto parlarci».

Scossi il capo, agitata. «No. Non voglio parlargli Edward, no» protestai.

«Va bene. Ma ci sarebbe d’aiuto sapere dov’è. Potrei parlargli e convincerlo a non avvicinarti più».

«No, no!» esclamai allarmata. «Non se ne parla Edward, non voglio. Per favore».

Sospirò. «Lo so, lo so che non vuoi. Potremmo usare dei mezzi umani, comunque. Denunciarlo per tentata aggressione, ottenere un ordine restrittivo» buttò lì con leggerezza.

«Cosa?» domandai stridula, sgranando gli occhi «dici sul serio?» feci, agitata.

«Beh sì» replicò, più bruscamente. Deglutì, come per calmarsi. «Ma se non vuoi, in nome delle vostra amicizia, ti capisco».

Scossi il capo. «Non è in nome di alcuna amicizia, che dico di no!» esclamai «È in nome del fatto che mio padre rimarrebbe esterrefatto e arrabbiato e ferito per la mia bugia, che la sua amicizia con Billy andrebbe in frantumi, che saremmo costretti a trasferirci lontano da Forks, che una stupida cella o un ordine restrittivo non lo fermerebbero mai e poi mai!».

Sospirò, distorcendo il volto in una smorfia. «Ma tutto il mondo saprebbe che non sono stato io, a farti del male».

Ansimai, colpita dalle sue parole. Il suo volto ferito, davanti ai miei occhi, mi diceva più di quanto non mi avesse mai detto. «Io… lo so io, Edward. Tu non mi hai fatto del male. Non me ne farai mai. Sei la creatura più buona che io abbia mai incontrato. E mi ami».

Le sue labbra si dispiegarono appena in un sorriso ironico. «Credo che tu ne abbia incontrate poche».

Sorrisi anch’io, debolmente, e presi una sua mano fra le mie, baciandone il dorso. «Può darsi. Ma fra quelle ho incontrato te. E non intendo cambiare questa compagnia per… l’eternità».

Quando arrivammo, mano per mano, osservammo il cancello dell’Accademia. L’ingresso consisteva in un cancello in ferro battuto nero, dietro al quale si stagliava un grande giardino, con una villa la centro. Il giardino era stupendo. Un trionfo di odori e colori, di tipi di fiori, di piante, di forme. Fontanelle rinfrescavano l’aria e la decoravano di tintinnii e armonie di suoni. Con le siepi avevano realizzato delle sculture e una aiuola recitava: “Accademia delle Belle Arti”. Non era poi così minaccioso quando pensavo, confrontandolo, al volto di Jacob.

Mi voltai verso Edward, sorridendo. «Ci sarai alla mia uscita?».

«Rimarrò qui ad aspettarti».

«Edward» protestai.

Scosse il capo. «Prendi questo cellulare» m’intimò, passandomelo fra le mani. Un modello nuovo e luccicante. «Usalo per ogni eventualità. Voglio essere sicuro che tu stia bene».

Mi morsi un labbro. «Dammi un bacio, per favore» lo supplicai, lasciando che le sue labbra si posassero sulle mie.

Mi salutò con un sorriso. «A dopo!» esclamò, lasciandomi incamminare verso l’Accademia.

Timorosamente, affrettai i miei passi sulla ghiaia. Entrata nel mastodontico edificio rimasi più meravigliata che per l’esterno. Tutto era decorato e ornato, nessun dettaglio delle pareti, dei tavoli, dei pavimenti era lasciato libero e semplice. Quel posto ostentava creatività, libertà e arte, da tutte le parti. Dentro c’era un gran movimento, non era come a Forks. Una gran quantità di giovani ragazzi camminava da una parte all’altra, in fretta, frenetica. Sembrava di stare in una metropolitana.

Mi feci piccola, piccola, e mi recai in quella che doveva essere la segreteria per perfezionare la mia iscrizione. Solo dopo, senza smettere di guardarmi intorno, mi recai nella mia aula. Presi posto in seconda fila accontentandomi di quel posto vacante.

Accanto a me stava una ragazza con i capelli ricci e biondi, pingue, con gli occhi azzurro cielo. La faccia sembrava quella di una bambola di porcellana, bianca di cipria e con le guance rosse di phard.

«Piacere, Amber» si presentò con un bel sorrisone. Strinsi la sua mano calda e sudata. Non ero più abituata a quel tipo di contatto.

«Bella…» le sorrisi di rimando. Dopo quel saluto cordiale, si voltò verso la cattedra e cominciò a farsi gli affari propri. Ero sicura che saremmo andate d’accordo.

Qualche minuto più tardi, arrivò il professore. Era panciuto, di mezza età e un po’ stempiato. Si perse in una lunga e noiosa introduzione su ciò che era e rappresentava questa scuola. Disse che anche seguendo assiduamente i corsi, solo pochi di noi sarebbero diventati degli artisti veri. E le solite formalità monotone.

Dopo tre ore di lezione ero affascinata da quello che avevo scelto, o meglio, da quello che Edward aveva scelto per me. Sentivo che, se il suo intento fosse stato davvero quello di distrarmi, allora aveva scelto bene come farlo.

Alla fine della giornata avevo la testa piena di idee, di disegni, di arti. Fortunatamente nessuno, oltre a Amber, si era presentato. Con mio sommo piacere, ero quasi invisibile. Lei mi aveva rivolto la parola ogni tanto, con cortesia. Sembrava una ragazza solare, da quello che avevo capito, abitava a Seattle ed era venuta in quella scuola solo per il suo prestigio. Suo padre faceva l’avvocato, mentre sua madre dipingeva su tela. Non era mai stata eccessiva nel dialogo, ma neppure timida. Mi piaceva davvero. Si era anche limitata a lanciare un’occhiata curiosa al mio anello di fidanzamento, senza chiedere spiegazioni. E io le avevo semplicemente detto che ero fidanzata.

Anche se mi ero divertita molto, quando uscii nella villa, mi sentii immediatamente disorientata. Il cielo era completamente coperto da nuvoloni neri e un vento forte e freddo tempestava l’aria. Improvvisamente, quella percezione m’immobilizzò: era come nel mio sogno.

Il mio respiro si fece sempre più veloce, corto, ansante. Lacrime calde cominciarono a scendere dai miei occhi. Prima lentamente, poi sempre più velocemente, fino quasi a correre, mi precipitai fuori dal cortile, finché non sbattei contro qualcosa di freddo e duro.

Mi sentii stringere.

«Bella? Bella cos’hai?» era la voce preoccupata di Edward che mi chiamava.

«Ho paura Edward… Ho paura…» biascicai. Mi accorsi che il mio corpo era attraversato da tremiti.

Lo sentii irrigidirsi. Deglutì. «Non ti devi preoccupare, ora ci sono io con te. Nessuno potrà farti del male. Te lo prometto» mi sorrise, asciugandomi le lacrime.

 

   
 
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