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Autore: Adeia Di Elferas    07/05/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ La Contessa arrivò in città senza fare troppo chiasso. Passò da una delle porte secondarie, facendosi riconoscere appena dalle guardie e, appena si addentrò un minimo per le strade di Forlì, smontò da cavallo per dare meno nell'occhio.
 Non voleva attirare troppo l'attenzione. Quello che stava andando a fare era spiacevole e preferiva non avere pubblico.
 Puntò verso la barberia di Andrea Bernardi, sempre più agitata man mano che vi si avvicinava. Non voleva confrontarsi con quell'uomo. La rabbia che aveva provato nel leggere le parole di suo zio Ludovico era tale, però, da darle la forza di proseguire.
 Quando arrivò alla bottega del Novacula, entrò senza annunciarsi in nessun modo e fu sollevata nel vedere che il barbiere era da solo, intento a scrivere su uno dei suoi taccuini.
 “Siete stato voi a mettere in giro la voce secondo cui io starei per sposarmi con Antonio Maria Ordelaffi?” chiese subito Caterina, senza preamboli.
 Il Novacula saltò dalla sedia, facendo una grande macchia con l'inchiostro sulla pagina e la fissò con gli occhi sgranati: “Come...?”
 Quella finta ingenuità accese ancora di più la Contessa che, chiudendo la porta con forza, per evitare che la sua voce attirasse qualche curioso, puntò il dito contro Bernardi: “Mi è stato detto che uno storiografo di Forlì ha messo in giro questa voce. Quindi dovete essere stato voi...” ci pensò un momento e aggiunse, meno convinta: “O voi, o Cobelli...”
 Andrea Bernardi sporse il labbro in fuori e commentò, amareggiato: “O me o Cobelli. Ma avete subito pensato a me. Perché?”
 “Dunque non siete stato voi?” chiese Caterina, accorgendosi improvvisamente che era scontato che non fosse stato Bernardi.
 “No, mia signora.” disse piano il Novacula: “Al contrario, non mi sono mai espresso in merito a questa voce che, per altro, ho sentito più volte, è vero.”
 “E cosa si dice esattamente su questo matrimonio che sarebbe alle porte?” indagò la Contessa, incrociando le braccia sul petto.
 Andrea Bernardi sorvolò sul tono inquisitorio usato dalla sua signora e si affrettò a rispondere: “Dicono che l'Ordelaffi vi faccia visita molto spesso, che a volte...” il barbiere lanciò un'occhiata di sguincio alla donna e proseguì: “Che a volte si fermi addirittura per la notte...”
 Caterina sbuffò: “Che assurdità...”
 “E poi pare che il Cobelli vada dicendo che qualcuno di molto vicino a voi gli abbia assicurato che le nozze ci saranno presto.” concluse Bernardi, che, pur non volendo incolpare il suo storico rivale, non voleva nemmeno dare adito a dubbi circa la sua innocenza.
 In realtà aveva sentito dire anche che era stato il Capitano Feo a mettere la pulce nell'orecchio di Cobelli, ma non voleva mettere la Contessa contro il castellano senza essere completamente certo di quel che diceva.
 “E chi sarebbe questo 'qualcuno' molto vicino a me?” fece Caterina, accigliandosi.
 Il Novacula alzò le spalle: “Non saprei. Immagino qualcuno amico di Cobelli...”
 Caterina sospirò, cercando di pensare a chi, tra i suoi conoscenti, fosse mai stato amico di Leone Cobelli.
 “Mia signora...” fece Bernardi, abbassando gli occhi e tenendo le mani l'una nell'altra: “Scusate se mi permetto, ma... C'è qualcosa di vero, in queste voci?”
 Caterina accantonò un momento i pensieri circa il possibile delatore e scosse il capo: “Ovviamente no. E poi – soggiunse – anche se volessi sposare l'Ordelaffi, ormai non potrei più.”
 “Come mai?” chiese Bernardi, senza riuscire a resistere alla curiosità.
 Caterina si accorse del suo passo falso. Come poteva spiegare a quel barbiere che ormai si sentiva legata a un altro uomo, a un uomo che non avrebbe mai potuto sposare ufficialmente senza attirarsi le ire di molti nobili e di suo zio Ludovico? Non poteva.
 Così preferì aggirare l'ostacolo, stuzzicando comunque la fantasia del Novacula, sperando di rabbonirlo a quel modo e di ottenere una volta di più la sua preziosa collaborazione: “Le voci sul matrimonio tra me e Ordelaffi non sono vere, ma... Ecco, presto potrebbero sorgere nuovi pettegolezzi, con un altro uomo come soggetto. E sarebbero, temo, molto più fondate.”
 Il Novacula inclinò appena la testa, assumendo un'espressione stupita.
 “Ecco, in tal caso – continuò Caterina – vorrei che voi smorzaste e smentiste queste nuove dicerie sul nascere. Se non ci riusciste, vorrei che almeno le mitigaste.”
 Bernardi chinò appena il capo: “Farò il possibile mia signora.”
 Poi, non riuscendo proprio a mettere a tacere il suo istinto da cronista, il barbiere azzardò una domanda molto delicata: “Potrei sapere chi sarebbe il soggetto di queste nuove voci?”
 Caterina lo guardò per un lungo momento, quasi tentata di confidarsi almeno con quell'uomo che le era stato accanto nei momenti più difficili del suo governo, senza mai tradirla né usarla per secondi fini.
 Moriva dalla voglia di poter raccontare a qualcuno quello che le stava accadendo, il modo in cui Giacomo la stava liberando giorno dopo giorno dai suoi fantasmi, la felicità pressoché completa che provava quando era tra le braccia di quel ragazzo...
 Ma non poteva.
 Fece segno di no con la testa e concluse: “Mi spiace, non posso.”
 Bernardi fece un sorriso di circostanza e si impose di non fare altre domande del genere.
 Caterina, mentre stava per congedarsi, fu colta da un pensiero improvviso. Sapeva che Tommaso Feo aveva molti amici in città e l'aveva sentito elogiare più di una volta la maestria di Leone Cobelli nel decorare gli scudi e le alabarde.
 “Credete possibile che a parlare con Cobelli sia stato il castellano di Ravaldino?” domandò, mentre stava già andando alla porta.
 Il Novacula esitò quel tanto che bastava per far capire a Caterina di aver fatto centro, benché l'uomo alla fine avesse detto: “Non saprei, mia signora.”
 Quando la Contessa lasciò la bottega, il Novacula andò nel retro a recuperare le sue cronache forlivesi.
 Cercò le pagine in cui già una volta aveva cancellato e riscritto la parte che riguardava un possibile fidanzamento tra la sua signora e Antonio Maria Ordelaffi.
 Rilesse quello che aveva scritto e, alla luce di quello che era appena accaduto, gli parve di aver usato accenti anche troppo accesi per descrivere gli incontri tra la Contessa e quell'uomo.
 Cancellò di nuovo tutto, grattando il foglio, questa volta, sperando di non lasciare tracce della prima versione del resoconto e riscrisse ogni cosa in modo estremamente impersonale e freddo, sperando che i posteri capissero che tra Caterina Sforza e Antonio Maria Ordelaffi non c'era mai stato assolutamente nulla.
 Avrebbe, forse, potuto evitare di inserire delle pagine in merito a quel corteggiamento finito male, ma era pur sempre uno storico e un cronista. Poteva ammorbidire i fatti o mostrarli sotto una luce piuttosto che sotto un'altra, ma non poteva certo insabbiare completamente quello che era accaduto.
 Non era un misero pennivendolo, era uno storico e lo sarebbe sempre stato.

 “La Contessa...?” fece Tommaso Feo, alzandosi subito dalla scrivania appena la guardia gli ebbe riferito dell'arrivo di Caterina alla rocca.
 Da quando la sua signora era andata alla sua villa di campagna, Tommaso non aveva fatto altro che sperare di vederla tornare a Ravaldino, ma non si aspettava un arrivo tanto improvviso. Per di più, il soldato gli aveva detto che era sola.
 Saperla al Giardino con la sua famiglia e con Giacomo, faceva impazzire Tommaso, che nella sua mente si figurava le cose peggiori. La gelosia, che tanto aveva cercato di ricacciare nei meandri della sua anima, si faceva largo sempre di più, spingendolo a nutrire nei confronti di suo fratello un astio che mai aveva provato.
 Non era certo che tra Giacomo e la Contessa ci fosse qualcosa, ma, il giorno prima della loro partenza, li aveva visti scambiarsi uno sguardo insistente e intenso nel cortile e aveva capito che qualcosa era cambiato. Non si schivavano più come prima, non arrossivano con l'imbarazzo di una volta. Non distoglievano più lo sguardo appena si incrociavano.
 Quel cambiamento gli aveva messo addosso il dubbio che qualcosa fosse accaduto e quando la Contessa aveva incluso Giacomo nel gruppo di domestici che avrebbe portato al Giardino, il dubbio si era fatto quasi certezza.
 “Al cortile, subito.” ordinò Caterina, appena vide Tommaso: “Portate le spade da allenamento e un minimo di protezioni.”
 Il castellano si affrettò a eseguire gli ordini, anche se una simile richiesta lo lasciò abbastanza contraddetto. Perché mai la Contessa, appena arrivata dalla campagna, avrebbe dovuto voler fare una sessione di allenamento? E con tanto urgenza, per giunta...
 Una volta nel cortile, che a quell'ora era deserto e immerso nella caldissima luce del sole d'agosto, Caterina prese di mano a Tommaso le protezioni che aveva richiesto e le indosso in fretta.
 Doveva sfogare un po' la sua rabbia, prima di confrontarsi con il castellano, altrimenti avrebbe potuto prendere decisioni di cui si sarebbe pentita.
 Mentre raggiungeva la rocca, infatti, si era trovata a pensare che avrebbe potuto sollevare Tommaso dal suo incarico, bandirlo dalla città o magari metterlo ai ceppi. Ovviamente non intendeva fare nulla di tutto questo, ma la sua ira rischiava di deviarla. L'unica soluzione era tentare di sbollire, prima di fare sciocchezze.
 Tommaso finì dopo la sua signora di prepararsi e si trovò fin da subito in grande difficoltà. Caterina colpiva con l'impeto che avrebbe dovuto usare su un campo di battaglia, non in un cortile d'addestramento.
 I suoi passi sollevavano nuvolette di polvere e il rumore che la sua spada senza filo faceva nel colpire quella di Tommaso era assordante.
 Continuarono per un bel po' a quel modo: Caterina colpiva, Tommaso parava.
 Stremata, alla fine, dal caldo e dallo sforzo, la Contessa decise di porre fine a quell'incontro. Cogliendo di sorpresa il castellano, riuscì a fargli uno sgambetto, mandandolo gambe all'aria. Tommaso, caduto come un salame, allargò le braccia in segno di resa. La furia della sua signora cominciava a spaventarlo e la paura divenne completamente reale quando sentì il bacio metallico della punta smussa della spada di Caterina premere sul suo collo.
 “Cosa avete detto a Cobelli?” chiese Caterina, la voce arrochita, ma implacabile.
 “Non capisco...” mentì Tommaso, che desiderava solo togliersi da quella situazione.
 Per quanto si fidasse ciecamente della sua signora, per quanto la stimasse, sapeva anche che era capace di colpi di testa improvvisi. Era certo che quella donna sarebbe stato capace di ammazzarlo lì, in quel preciso momento, anche con una spada spuntata.
 “Non fate finta di non capire a cosa mi riferisco. Cosa gli avete detto?!” inveì Caterina, spingendo un po' di più la lama, tanto da togliere il fiato a Tommaso.
 L'uomo deglutì a fatica e provò a parlare: “Io...” ma la voce gli moriva in gola, per colpa della spada premuta contro il pomo d'Adamo.
 Caterina comprese l'oggettiva fatica del castellano, così allentò appena la pressione, lasciando Tommaso libero di confessare: “Gli ho solo... Solo fatto sapere che Ordelaffi vi fa spesso visita... E che ho sentito proprio Ordelaffi parlare di un matrimonio... Tutto qui...”
 Caterina smise improvvisamente di premere la punta della spada contro al collo dell'uomo e fece un passo indietro: “Tutto qui?” chiese.
 Tommaso annuì, non osando alzarsi, temendo un nuovo assalto della donna.
 “Ricomponetevi. E mettete tutto in ordine.” concluse Caterina, gettando la spada in terra e togliendosi le protezioni a suon di strattoni.
 Finita la svestizione, Caterina lasciò Tommaso ancora in terra e decise di recarsi dal bargello cittadino.
 Avrebbe disposto immediatamente per l'arresto di Leone Cobelli, e di tutti quelli che avevano in qualche modo favorito quelle voci sul suo matrimonio. Avrebbe preso anche delle misure contenitive nei confronti di Antonio Maria Ordelaffi, dato che pareva fosse stato proprio lui il primo a parlare ai quattro venti di quelle nozze. Infine, avrebbe predisposto di tornare a Forlì con tutta la sua famiglia.
 Era palese che non poteva più assentarsi a lungo da Forlì, come invece aveva creduto di poter fare.
 Ogni volta che mancava dalla città, succedeva subito qualche pasticcio a cui poi doveva rimediare in fretta e furia. Meglio evitare quelle spiacevoli situazioni, in futuro.
 Mentre spiegava il da farsi a Babone, Caterina si chiedeva che mai sarebbe accaduto se qualcuno avesse saputo di lei e Giacomo.
 Le voci circa un suo matrimonio con Ordelaffi erano pericolosissime per lei perché potevano aizzarle contro le città vicine, quelle che pensavano di poter avanzare pretese su Forlì, e perché avrebbero indisposto suo zio Ludovico, convinto di poter scegliere personalmente il prossimo marito della nipote.
 Figurarsi se si fosse vociferato di un matrimonio tra la Contessa e il fratello più giovane del castellano Feo...
 “Va bene, mia signora – concordò Babone – li prenderemo tutti.”
 “Ma non fate loro alcun male, fino a nuovo ordine.” precisò Caterina, mentre la ragione cominciava a riprendersi il suo spazio nella sua mente: “Prima voglio dare loro il modo di chiarirsi direttamente con me.”
 Babone, un po' deluso, fece un breve inchino e assicurò: “Farò quel che dite, mia signora.”

 Tornata alla villa di campagna, Caterina non volle dire a nessuno dove fosse stata né il motivo che la portata a prendere il cavallo e partire improvvisamente.
 L'unico a cui si sentì in dovere di dare una piccola spiegazione fu Ottaviano.
 Era quasi sera e la sorella di Caterina stava aiutando le balie a mettere a dormire i bambini più piccoli, mentre Cesare e Bianca stavano leggendo assieme un libricino sui miti dell'antica Roma.
 Ottaviano si era avvicinato alla madre e aveva chiesto, con voce bassa e un po' intimidita: “Dove siete stata oggi?”
 Caterina, immersa anch'ella nella lettura, infilò indice e medio tra le pagine e guardò il bambino, che la fissava con trepidazione.
 L'ansia che traspariva dai suoi occhi e il modo in cui teneva le labbra le ricordavano Girolamo. Quel bambino, ormai era una copia in miniatura di suo padre. Aveva una bellezza oggettiva che però Caterina non riusciva a vedere.
 “Sono dovuta andare a Forlì.” spiegò, in un sussurro, per non farsi sentire da Cesare e Bianca ed evitare così le loro domande: “Dovevo sbrigare una faccenda urgente. Dovevo risolvere un problema.”
 Ottaviano si accigliò: “Non potevate farlo risolvere a uno dei vostri servi?” chiese, usando una logica che era stata propria anche di Girolamo.
 Caterina evitò di mostrare il proprio disappunto, sforzandosi di dare un insegnamento a suo figlio, sperando che un giorno avrebbe ricordato le sue parole: “Ottaviano, ricordatelo sempre: per risolvere davvero un problema, lo devi affrontare in prima persona, senza delegare a nessuno le tue responsabilità e, se possibile, devi risalire alla fonte. Ogni altro metodo, per quanto possa apparire più facile, è sbagliato.”
 Ottaviano l'ascoltò con attenzione, concentrato, come se stesse sinceramente cercando di capire ogni parola. Alla fine il bambino annuì e si mise tranquillo accanto alla madre, a rimuginare su quello che aveva appena udito, senza più chiedere nulla in merito alla sortita di quel giorno.

 Una volta messi a dormire anche i figli più grandi, Caterina raggiunse la sua stanza.
 Giacomo l'aspettava fuori dalla porta, attento come sempre, pronto ad andarsene nel caso in cui fosse arrivato qualcuno di diverso dalla sua signora.
 Appena la vide, il ragazzo la raggiunse e la baciò con trasporto, stringendola tra le sue braccia, assaporandone il calore e il respiro.
 Entrarono nella stanza mentre ancora si baciavano, ma quando Caterina chiuse la porta alle loro spalle, allontanò appena Giacomo e disse: “Aspetta, prima devo scrivere un paio di lettere.”
 “Non possono aspettare domani?” chiese Giacomo, prendendo Caterina per una mano e cercando di tirarla di nuovo a sé.
 “No.” rispose la donna, laconica.
 Il ragazzo aprì la bocca, come per ribattere in qualche modo, ma lasciò perdere subito, quando vide che Caterina stava già prendendo il necessario per scrivere.
 “Non ci metterò molto.” disse la donna, quando si mise alla scrivania: “Ma devo scriverle subito o domani potrei dimenticarmi qualcosa.”
 Giacomo sospirò e si andò a buttare sul letto, un po' contrariato da quel contrattempo.
 Per prima cosa, Caterina scrisse ad Antonio Maria Ordelaffi una lettera estremamente formale in cui lo pregava di interrompere subito le sue visite. Non gli parlò di altro, sperando che quel bamboccio non capisse cos'era successo.
 Poi abbozzò una missiva che avrebbe mandato a Venezia con una staffetta veloce. Ordelaffi era sotto la loro tutela, così aveva voluto il papa, dunque spettava ai veneziani occuparsene. Calcò un po' la mano e chiese l'esilio e sperò che Venezia accogliesse quella richiesta senza indugio.
 Infine scrisse a suo zio Ludovico, assicurandogli che le voci sul suo matrimonio erano infondate e che, anzi, si stava adoperando per metterle a tacere. Aggiunse che non si sarebbe mai risposata senza il consenso di Milano, che non dimenticava l'aiuto ricevuto in aprile e che restava una fedele alleata di Gian Galeazzo, il Duca.
 Per ammorbidire quella stoccata diretta alla vanagloria del Moro, che si sentiva già Duca a tutti gli effetti, aggiunse che avrebbe saputo sdebitarsi degnamente per ogni favore ricevuto.
 Chiudeva aggiungendo che, però, il matrimonio era per una donna una questione molto personale e delicata e che quindi, in cambio del permesso a Ludovico di avere diritto di veto sulla scelta dei pretendenti, Caterina chiedeva in cambio due cose. La prima: che suo zio le ricomprasse i gioielli venduti e impegnati da Girolamo nel corso degli anni. La seconda: che permettesse a Bona di Savoia di presenziare al matrimonio di Gian Galeazzo e Isabella d'Aragona.
 Chiuse con una firma e un saluto più accorato del necessario e appoggiò la penna alla scrivania, sentendosi improvvisamente stanchissima.
 Si voltò verso Giacomo, che la stava osservando, coricato sul letto.
 “Mi piace vedervi scrivere.” disse il ragazzo, come a giustificarsi.
 Caterina fece un sorriso: “Non credi sia ora di darmi del tu e abbandonare il voi?”
 Giacomo arrossì violentemente: “Non ci riesco...”
 Caterina si alzò e si coricò accanto a lui. Gli accarezzò lentamente la guancia, ma non riusciva a liberare la mente.
 Quel giorno le aveva fatto assaggiare di nuovo la pesantezza della sua vita. La precarietà della sua posizione le era riapparsa in tutta la sua catastrofica entità.
 “Dobbiamo tornare a Forlì.” disse piano Caterina, con un'espressione abbattuta: “Non posso più permettermi delle vacanze come questa.”
 Giacomo la scrutò in viso a lungo e la vide più provata che mai. Loro due parlavano pochissimo e di solito, anche quando si dicevano qualcosa, non facevano mai discorsi importanti. Tutta la loro relazione era basata sull'attrazione reciproca.
 Così, Giacomo cercò di alleviare le pene della sua signora nell'unico modo che conosceva.
 Con delicatezza, le si avvicinò e le diede un bacio lento e profondo, facendo scivolare una mano lungo la sua schiena, e la risposta di Caterina non tardò ad arrivare.
 

   
 
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