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Autore: Shi no hana    07/05/2016    1 recensioni
Noi siamo i fautori del nostro destino...
Sono nata libera e morirò così...

Un'antica lotta. Un ricordo sepolto nel tempo. Lacrime nascoste nell'anima.Una ragazza e il suo destino
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oblivion







Sospirai, mentre mi dirigevo verso la piccola pensione dove, avevo preso una camera.
Ritirai le chiavi nella hall e salii al piano superiore. Avevo bisogno di farmi una bella doccia, di lavar via quello strano giorno. Quella sensazione assurda che, ancora mi avvolgeva.
“Che mi succede?”.
Mi dissi, mentre poggiavo le chiavi e il cappello sul piccolo tavolo accanto alla finestra semi aperta. D’un tratto ripensai a quella donna. A quella frase detta nel vento…sta attenta figlia mia
Che cosa significava? Che cosa?
“Ora basta! Smettila Clarissa! È stata solo un’allucinazione dettata dal caldo”.
Mi dissi stizzita. Tutto era tremendamente assurdo. Feci scorrere la mano tra i capelli, mentre mi dirigevo in bagno. Ero esausta.
Aprii l’acqua e cominciai a spogliarmi. Con rapidità mi fiondai sotto il getto d’acqua calda. Sentii la tensione svanire pian piano. I miei nervi si distendevano.
“Ecco! Tutto questo non è altro che il frutto del clima afoso greco”. Mi dissi.
Chiusi l’acqua, mi avvolsi nell’asciugamano e mi guardai allo specchio. Un lampo. Quella donna ritornò prepotente nella mia mente. Occhi così affini ai miei. Pelle quasi simile. Solo i suoi capelli erano diversi. Così neri come l’oblio a dispetto dei miei castani.
Socchiusi gli occhi, mentre mi dicevo che era stato solo un sogno… anche se era vero. Troppo vero.
“Smettila!”.
Quasi urlai, intanto con la mano destra detti un pugno sul bordo del lavandino. Mi feci male, ma quel gesto mi scosse da quel pensiero assurdo. Indossai di decente.  Una canotta bianca e pantaloncino nero. Veloce uscii dal bagno e corsi verso il portatile poggiato sul letto. Lo accesi e mi collegai su skype. Volevo sentirlo. Vederlo. Parlare con lui. Con mio fratello.
Feci un po’ di fatica a collegarmi, ma ci riuscii. Era bello chiacchierare con lui. Raccontargli del mio soggiorno in Grecia, di dirgli che stavo bene…di avvertire gli altri che ero viva.
“Clara mi manchi tanto”.
Mi disse con un velo di tristezza.
“Anche tu mi manchi Andrea, ma…”.
Scossi il capo e continuai.
“Ma devo rimanere…non è ancora giunto il momento di tornare”.
No, non era ancora tempo di rientrare in patria.
“La solita testarda”. Sospirò.
Lo vidi sorridere e chiudere gli occhi. Ridacchiai, sentendo quell’affermazione. Ero e lo sono tutt’ora una gran testarda.
“Già”.
Continuai a ridere, cosa che fece anche lui. Parlammo del più e del meno, dei gemelli di mia madre che, da gran attrice tragica di terz’ordine gridava allo scandalo familiare. Una donna sola nel mondo, questo diceva, ma si sbagliava di grosso.
In fin dei conti noi siamo individui nati soli e liberi.
Salutai il mio dolce fratellino e chiusi la chiamata. Socchiusi la finestra quel tanto per far passare una dolce brezza. Intanto sentivo il vociare della vita fuori. Spensi la luce e mi lanciai a peso morto sul letto. Ero stanca. Esausta. Chiusi gli occhi e lentamente mi lasciai avvolgere dalle tenebre. Non seppi mai quanto tempo dormii, un paio d’ore e non più quando qualcosa mi destò.
Uno strano odore. Un misto di stantio e putridume.
Mugugnai arricciando il naso infastidita dal puzzo. Aprii gli occhi per capire da dove, provenisse quel cattivo odore e notai con mio sommo disappunto due esseri accanto alla finestra semi aperta.
Ricordo la paura che mi avvolse, mentre sgranavo gli occhi e mi mordevo le labbra. Che cos’erano? Chi erano? Ma presto lo avrei scoperto. Di fatti una risata beffarda mi fece sobbalzare il cuore nel petto.
La risata si divise in due. Intanto il cuore batteva veloce e rumoroso. Una paura primordiale che mi attanagliava le viscere.
Tentai di alzarmi. Volevo fuggire dalla stanza ma notai che non ci riuscivo. Qualcosa mi teneva legata a letto. Delle corde che a ogni mio movimento mi stringevano sempre più. Cercai di urlare. Di chiedere aiuto, ma non ci riuscii. La mia bocca si muoveva, ma nessun suono usciva. Ero muta.
Intanto delle risate malefiche mi avvolgevano.
“Toh, guarda un po’? La bella fanciulla non è in grado di urlare”.
Mi derise. Io intanto cercavo invano di muovermi, ma le corde mi stringevano sempre più. Mi morsi le labbra forte tanto da farle sanguinare. Ricordo il sapore metallico in bocca, mentre la paura mi avvolgeva sempre più.
“Morirò lo so… che qualcuno mi aiuti…mamma…papà…Andrea…”.
Pensai, intanto sentivo il letto traballare. Uno di loro era salito. Lento e mellifluo si muoveva sopra di me.
Avvertii un freddo metallico sopra la pelle delle mie gambe nude. Trattenni il respiro, mentre lo vedo avvicinarsi verso il mio viso. Si muoveva viscido e lento, mentre rideva divertito. Ricordo il fremito delle mie labbra macchiate del mio sangue, il viso di quell’essere…di quell’uomo che con volgarità mi guardava.
Mi scrutava.
Notai che il corpo era avvolto da una sorta di armatura nera e fredda. Veloce poggiò le mani ai lati del mio viso.
“La paura ti rende ancora più bella. Eterea”.
Mi disse, mentre lo vedevo leccarsi le labbra.
“Mfh! Smettila Sinis!”.
Sentii l’altro, ancora accanto alla finestra, infastidito dall’atteggiamento di quest’ultimo.
“Che c’è?”. Rise. ”Smettila di fare il pudico! Lasciami divertire un po’”.
Abbassò il viso di più su di me, mentre con la lingua leccò un rivolo di sangue che era fuggito dalla mia bocca. Rabbrividii.
“Umh! Che buon sapore che hai”.
Mi disse, mentre l’altro continuava a mugugnare infastidito.
“Però un po’ mi dispiace che tu non possa urlare. Sai adoro sentire le urla di disperate di una donna, mentre le stringo con le mie corde”.
Mentre mi diceva questo, le corde mi stringevano sempre più. Strinsi gli occhi dal dolore. Intanto pregavo che tutto questo finisse.
Perché a me? Che cosa avevo fatto di male? Mi dicevo, ma più in là l’avrei scoperto. Intanto quell’uomo si divertiva, in modo sadico, con me.
“Ora basta Sinis! La dobbiamo portare viva a Loro! Se continui così, la ucciderai!”.
Urlò allarmato l’altro, mentre si avvicinava. Voleva fermarlo. Cessare quell’assurdo gioco perverso del suo compagno.
“Mfh! Il solito guastafeste. Non temere Manticore, volevo solo giocare con lei. Non sono così stupida da ucciderla... però un dolce ricordo di me voglio lasciarglielo”.
Avvicinò di più il suo viso al mio. Le sue labbra erano vicine alle mie. Ricordo il suo caldo e mefitico alito. Provai ribrezzo. Istintivamente lo sputai in faccia.
No! Mai mi sarei arresa, anche se quel gesto non gli piacque molto. Infatti, lo sentii ringhiare, mentre il suo compagno rideva divertito.
“Maledetta sgualdrina! Me la pagherai!”.
Un tonfo. Un bruciore. La vista mi si appannò. Mi aveva schiaffeggiata.
Boccheggiai dal dolore, mentre il sangue del mio labbro rotto, colava velocemente sul guanciale.
Lo sentii ridere divertito.
Sentii le mie calde lacrime mescolarsi con il mio sangue. Chiusi gli occhi in attesa. Intanto intorno a me tutto era ovattato. Il mio corpo lento mi abbandonava. Avvertii un dolce caldo che avvolgeva, mentre sentivo lo stridere di metallo e urla.
Rammento il mio corpo leggero, come anche la dolce voce che diceva.
“È viva!”.


Continua…



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Chiedo venia, ma ho avuto problemucci tecnici ma non temete aggiornerò presto.
A kiss mes chers lecteurs.

   
 
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