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Autore: Clockwise    09/05/2016    1 recensioni
Chiudono gli occhi, entrambi, uniti e lontani ad un tempo. Lo stesso sospiro – tornare a casa.
[...]
«Mi dispiace, John.»
Scosse la testa.
«Di esserti innamorato di me?»
Sherlock non rispose; lo fecero i suoi occhi, trasparenti come acqua.

Amanda ha diciannove anni quando va a Londra per la prima volta in cerca di suo padre, in cerca di risposte, costringendo John e Sherlock, ormai estranei, a fare i conti con loro stessi.
"Nostos": in greco, "viaggio di ritorno", "ritorno a casa".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Baker Street
 
Way down the street there's a light in his place
He opens the door, he's got that look on his face
And he asks you where you've been
You tell him who you've seen
And you talk about anything
Gerry Rafferty, Baker Street
 
 
 
Marylebone. Potrebbe aspettare e scendere alla prossima, ma preferisce camminare.
Esce dalla fermata della metropolitana e continua dritta. Baker Street è la terza a sinistra. Sono le undici di mercoledì mattina, e la strada pullula di ragazze in giro per spese, turisti, madri con i passeggini, patiti del fitness in tuta aderente. Un ragazzo davanti a lei cammina – ed è un miracolo che la folla non l'abbia fagocitato – con il naso sepolto in una cartina e un deerstalker in testa. Amanda sente un fiotto di orgoglio nel petto, al fugace pensiero di essere – probabilmente – figlia di un personaggio tanto importante, con un seguito ancora così fedele – e un po' fuori di testa, si rende conto, quando il ragazzo prende in pieno una di quelle buffe cassette per le lettere rosse.
Gloucester Place arriva e se ne va. Un uomo la supera correndo e la urta leggermente, tenendo alto in mano un mazzo di rose, che perdono petali nella brezza di città. Chissà per chi sono, e perché tanta urgenza.
Glentworth Street. Lo stomaco si annoda, il passo si fa più rapido. È la prossima. Forse avrebbe dovuto portare qualcosa, tipo un dolce. Forse fa ancora in tempo... No, ma chi vogliamo prendere in giro? Non ha mai visto quest'uomo, e se le chiudesse la porta in faccia? Potrebbe benissimo farlo. È entrata nella mail di Finnegan – indovinare la password è stato davvero semplice, è bastato provare con tutti i giocatori del Leicester City, la sua squadra preferita – e ha inviato una mail a John Watson chiedendogli se gli faceva piacere prendere un tè. John aveva risposto dopo due giorni, accettando l'invito – con una certa riluttanza, a giudicare dalle frasi brevi e nervose e dal tono freddo – e invitandolo a casa sua, il 221b di Baker Street. Amanda non aveva voluto crederci. Lo stesso appartamento in cui Sherlock Holmes era vissuto. Tutti parlavano di questo appartamento, nei blog a lui dedicati, come di una specie di tempio, di posto sacro: il luogo che aveva visto Sherlock Holmes in tutto il suo splendore e la sua eccentricità, in cui il suo genio veniva alla luce. Secondo molti, anche il nido della sua storia d'amore con John Watson.
Amanda non sapeva che pensare a riguardo. Probabilmente erano solo dicerie – sempre secondo il web, Sherlock Holmes aveva avuto storie con il suo acerrimo nemico, con il suo ispettore di Scotland Yard preferito, con un medico del Bart's e con svariati altri uomini tenebrosi e femme fatales. Per il momento, almeno, non le interessa: prima riesce a contattare Sherlock, prima potrà fargli tutte le domande che vuole.
Baker Street arriva e lei per poco non la manca. Svolta a sinistra e continua a camminare, tenendo d'occhio i numeri civici. Fra la folla, si fanno sempre più numerosi i cappelli da caccia, le sciarpe blu e i lunghi cappotti scuri – con questo caldo, la loro tenacia sorprende Amanda sempre di più.
Non ha bisogno di guardare il numero civico per riconoscere il 221b. Una piccola folla è assiepata davanti al portone, armata di cellulari e macchine fotografiche. Quasi tutti hanno un deerstalker. Qualcuno deposita fiori sui gradini, animali di pezza, disegni. Amanda si avvicina, chiedendosi come fare ad entrare, quando il portone si apre di uno spiraglio. Non riesce a vedere chi è, ma sente una voce burbera cacciare via i ragazzi, che tentano invano di rispondere. Nel giro di pochi secondi, la folla si disperde. Amanda riesce a cogliere un lampo dell'uomo che ha aperto – di bassa statura, in veste da camera, con corti capelli e barba grigia e l'aria poco amichevole. È lui, dice la sua testa.
Fulminea, salta i gradini e ferma la porta con un piede, reprimendo un verso di dolore quando l'uomo insiste nel chiuderla. La inchioda con occhi freddi come acciaio. Amanda deglutisce a vuoto, chiedendosi per la prima volta se è stata una buona idea.
 
 
•••
«Nanny, mi racconti una storia?»
La donna sembrò non averla sentita, e continuò a rassettare la stanza. Amanda si tirò a sedere nel suo lettino.
«Nanny! Per favore?»
La donna sbuffò scherzosamente, raddrizzandosi con le braccia piene di giocattoli.
«Ah, come siamo esigenti stasera.»
Amanda intuì la vittoria dal suo tono e sorrise, contenta. Greta ripose i giocattoli nella cesta e si sedette sul letto della bambina, spingendola giù con dolcezza e rimboccandole le coperte.
«Il mio lavoro non è raccontarti storie, sai? Io sono solo la tua tata.»
Un sorriso birichino attraversò il viso della bambina, prima che lo nascondesse sotto la coperta.
«Una piccola piccola.»
«E va bene.»
La donna inclinò il capo di lato, pensandoci su.
«Ah, ecco. C’era una volta, in un posto molto molto lontano…»
«Nanny, il signor M. è mio papà?»
«No, cara.»
«Oh. E allora chi è?»
Greta sospirò, carezzandole la testolina bionda con una mano.
«Quando sarai grande, un giorno, capirai. Il signor M. è solo un uomo molto gentile che si occupa di te.»
«Ma non c’è mai!»
La donna sorrise.
«Per questo ci sono io!»
Risero entrambe.
«Che mi racconti le storie! E mi dai le ciambelle di nascosto!»
«Sssh, è un segreto! Non lo deve sapere nessuno, altrimenti ti faccio il solletico…» scherzò la donna, agitando le dita come tentacoli.
«No, no, no, no!»
Amanda si contorceva come un’anguilla, mentre Greta la solleticava teneramente, ridendo.
«Basta, basta, basta!»
Smise e il suo sorriso divenne quasi malinconico, vedendola ridere. Le carezzò di nuovo i capelli e sistemò le coperte.
«Dormi adesso. Buonanotte.»
Si alzò e si diresse verso la porta.
«‘Notte. Domani me la racconti la storia, però?»
«Forse, chissà.»
Sorrise un’ultima volta, poi spense la luce. Nel buio, poté lasciar cadere quel sorriso e permettere al suo volto di contorcersi in un unico momento di sofferenza.
•••
 
 
«Cosa vuoi?»
La voce è roca, altera, di chi non ama parlare.
«Il mio nome è Amanda...»
L'uomo alza gli occhi al cielo.
«Se è per Sherlock Holmes, non abita più qui. Quindi puoi anche andare.»
«Lo so.»
Deglutisce di nuovo. Sente l'uomo spazientirsi sempre di più, il suo cuore battere sempre più veloce.
«Il mio nome è Amanda Holmes.»
Gli occhi dell'uomo si spalancano, due vuoti specchi d'argento.
«Sono sua figlia.»
Avviene una strana trasformazione nell'uomo. Amanda vede sconcerto, sorpresa, perplessità susseguirsi rapidi negli occhi divenuti limpidi. Quindi tornano a scurirsi, mentre le linee del volto si ammorbidiscono. C'è un accenno di blu che lo fa sembrare più giovane, ora, e una linea profonda fra le sopracciglia. Si fa da parte senza una parola, lasciandola entrare. Sempre in silenzio, la precede su per le scale scricchiolanti.
Il soggiorno è un delirio di libri, fogli, incarti di take-away, lattine vuote, vestiti alla rinfusa e scatole di medicine. L'aria sa di chiuso, lo specchio sopra il caminetto è opaco per la polvere – Amanda pensa ad uno stagno, o una palude.
John si guarda intorno come se vedesse il soggiorno con i suoi occhi e stiracchia un sorriso di scuse.
«È strano, ma quando c'era Sherlock era più ordinato.»
Il suo sorriso di John si fa amaro. Amanda vorrebbe sapere cosa dire per consolare il dolore che è tornato a galla negli occhi di nuovo plumbei.
«Tè?»
«Volentieri.»
John annuisce e fa un gesto vago con la mano, poi sparisce in cucina. Stamattina la gamba gli fa più male del solito. Sarà la sorpresa. Amanda. Dopo tutti questi anni...
Un fiotto di emozioni gli invade il petto, gli fa girare la testa. Si aggrappa al lavello e strizza forte gli occhi. Quegli occhi... Non l'ha mai vista, in vent'anni, ed ora eccola lì, bella, bionda, con quegli occhi...
E crede di essere la figlia di Sherlock Holmes.
Scuote la testa, soffocando le lacrime fra le ciglia bionde, e riempie il bollitore. Gli tremano le mani. Dei passi leggeri si fermano sulla soglia della cucina.
«Serve aiuto?»
John scuote il capo, voltandosi a guardarla per un istante.
«Non preoccuparti. Eh, siediti dove vuoi.»
Amanda sorride, e il cuore di John si crepa un po' di più. Gli sembra quasi di poterla vedere bambina, immaginare il suo viso, il suo passo leggero... Si volta, rapido.
«Allora...» si schiarisce la voce. «Di dove sei?»
«Ora studio Psicologia a Cambridge.»
«Psicologia? Interessante. Io sono un medico.»
Si alza in punta di piedi, ma le tazzine del servizio buono rimangono troppo lontane. Ci riprova, aggrappandosi al lavello, finché non sente la sedia stridere sul pavimento.
«Lasci, ci penso io.»
Si fa da parte mentre Amanda prende le tazzine senza troppo sforzo – è più alta di quanto avrebbe immaginato, lui non ci è mai arrivato a quelle tazzine.
L'armonia silenziosa con cui i loro gesti si accordano è disarmante.
«È la prima volta a Londra?»
«Sì. Sono arrivata ieri.»
Si siedono con le rispettive tazzine. Amanda soffia sul suo tè, gonfiando le guance – è buffa, John abbassa il capo, trattiene un sorriso, assaporando la meraviglia di quell’istante rubato, dolce dell’innocenza dell’infanzia.
«È una città caotica. È facile perdere sé stessi, nel turbine.»
«O trovare sé stessi, nel flusso della vita.»
John la studia, sorpreso, al di sopra della sua tazza. Lei gli sorride, esitante, in attesa, trepidante. John può sentirla vibrare di energia.
«Ti hanno... adottato, immagino» dice, simulando indifferenza.
«In realtà è una storia strana. Sono cresciuta a Dresda, in Germania, a casa di un... Non ho mai veramente capito che lavoro facesse, non l'ho mai nemmeno veramente conosciuto. Credo che lavorasse per l'ambasciata britannica, o forse il governo, non ne ho idea. Fatto sta che aveva una casa enorme, in mezzo alla campagna, non c'era mai e io potevo fare praticamente quello che volevo. L’ho sempre chiamato il signor M. Avevo una tata inglese, non ho mai imparato il tedesco.»
Sorseggia il suo tè, sentendosi più a suo agio.
«Poi a sei anni mi ha mandata in collegio, da lì in un altro collegio, stavolta in Inghilterra, poi in un altro ancora, e infine a Cambridge. Ogni tanto mi manda una cartolina, credo sia un tipo simpatico.»
John abbassa lo sguardo sul suo tè, le sopracciglia aggrottate. L’intera storia puzza. E soprattutto, come è potuto accadere? Come era potuta arrivare in Germania? E crescere nell’agio e nella ricchezza? È più di quanto abbia mai sperato. Aveva sempre pensato che fosse finita in un orfanotrofio, o qualcosa di simile – aveva scartato subito l'ipotesi che non fosse viva, si era rifiutato di crederci. Beve un lungo sorso e fa un grande sospiro. La polvere sembra sospendersi a mezz'aria.
«Cosa sai dei tuoi veri genitori?»
«Non molto. So che il mio cognome è Holmes, e nient'altro. Non ho mai avuto nessuno con cui parlare, o a cui chiedere.»
«Cosa ti fa credere di essere figlia proprio di Sherlock Holmes?»
«Non ci sono molti Holmes in giro. È un cognome piuttosto raro.»
«E come hai trovato me?»
Amanda si chiede se mentire valga la pena – avrebbe già una storia pronta...
«Finnegan Norton. Ho usato la sua mail per scriverle. Non verrà alla festa di sua sorella, temo, perché ho cancellato l'email in cui veniva invitato. Mi dispiace, ma non potevo rischiare di incontrarlo qui. Sono sicura che la saluta con affetto.»
John annuisce, sempre con quel suo sorriso amaro.
«Non so nemmeno che faccia abbia, quel ragazzino.»
Amanda si lascia scappare un risolino, finendo le ultime gocce di tè. John si chiede se mentire valga la pena – gli si spezzerà il cuore, lo sa.
«Purtroppo, non credo ci sia molto che io possa fare per te. Come vedi, Sherlock Holmes non abita più qui.»
«Ma lei l'ha conosciuto, avete vissuto insieme per anni. Hatman e Robin, il detective e il suo blogger. Sicuramente saprà dov'è andato. No?»
John vede il sorriso della ragazza incrinarsi di delusione.
«Hai letto le storie? I giornali, i blog? Le leggende su Sherlock Holmes?»
Lei annuisce.
«Bene. Per tua sfortuna, la realtà non c'entra niente. Sherlock... nessuno è mai riuscito a farne un ritratto decente, nemmeno io. Sì, l'ho conosciuto, ho vissuto con lui per buona parte della mia vita... Non ho sue notizie da sette anni.»
Amanda stringe i pugni, sporgendosi in avanti sul tavolo.
«La prego. Se può fare qualcosa, anche un piccolo indizio... Un numero di telefono, un indirizzo... Potrei essere completamente fuori strada, magari un'infermiera a caso mi ha messo questo nome perché era fan delle sue storie, ma io devo sapere.»
John alza gli occhi su di lei, trovandoli pieni di speranza, di aspettativa.
«E sento di essere sulla buona strada.»
Più di quanto immagini, bambina mia.
 

 





Eccoci di nuovo. Grazie a chi segue e ha letto fin qui, e grazie a chi ha voluto lasciarmi due parole :) 
A presto!
-Clock
PS: come la pensereste su capitoli un po' più corposi?
  
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