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Autore: kiku_san    10/05/2016    6 recensioni
La vita di Itachi raccontata da alcuni personaggi che hanno condiviso un tratto di strada con lui, amandolo, ammirandolo, invidiandolo, odiandolo.
Ognuno ne racconta un frammento di cui è stato testimone, ognuno dà di Itachi un ritratto diverso, perchè Itachi è luce e ombre, verità e menzogna.
Raccolta di one-shot, liberamente ispirate allo spin-off "La storia di Itachi: luce e oscurità".
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Itachi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Anime Perse


1.Hiroji Uchiha: la vita è una battaglia.



Eravamo entrambi bambini quando lungo le frontiere, piccoli conflitti cominciarono a scoppiare tra le nazioni più deboli, si diffusero poi gradualmente anche nelle grandi nazioni e alla fine scoppiò la Terza Guerra Mondiale.
Il regno dei Cinque Grandi Paesi Ninja si era indebolito e si stava sgretolando e la debolezza è un elemento che può scatenare la rivalità e l’audacia, di chi solitamente se ne sta sottomesso e in disparte.
Così successe a quel tempo!
I piccoli paesi di confine cominciarono a sentirsi più forti di quanto si fossero mai sentiti, cominciarono a sconfinare, a compiere attacchi, a creare disordini. E questi disordini, che prima erano solo scintille che si potevano estinguere facilmente, a poco a a poco cominciarono a propagarsi e a diventare focolai difficili da spegnere...
La debolezza fu la nostra colpa, avevamo dimenticato la necessità di essere forti e spietati!

A quel tempo io avevo nove anni e Itachi solo quattro, eravamo cugini, i nostri padri erano fratelli, ma a differenza di Fugaku, mio padre Teyaki non era un ninja, ma solo un pacifico negoziante.
Anche se io frequentavo l’Accademia, non sapevo nulla di quello che si stava preparando, solo a volte mi accorgevo dei visi preopccupati dei miei genitori, di parole cariche di tensione e di rabbia che i grandi si scambiavano tra di loro, dell’agitazione palpabile che aleggiava sul nostro quartiere e su tutto il villaggio. Erano solo sensazioni che a volte mi passavano davanti agli occhi, subito però scacciate dall’allegria e dalla spensieratezza per cui tutti mi conoscevano.
Era primavera e di quel tempo ricordo il tepore di giornate che parevano lunghissime e ricche di gioia, ricordo la brezza profumata e la voglia, appena svegli, di uscire di casa senza perder tempo, per ritrovarsi tutti insieme all’Accademia e poi, appena concluse le lezioni, nei prati a giocare, fino a quando l’aria cominciava ad imbrunire e tutto diventava tranquillo. A quell’ora papà chiudeva il negozio e la mamma mi chiamava per la cena, allora io e Itachi accaldati e sporchi ci incamminavamo lungo la stessa strada, io lo accompagnavo fino al cortile di casa sua e stavo ad aspettare che si chiudesse la porta alle spalle. Mi sentivo molto responsabile con Itachi, quasi fossi suo fratello maggiore.
Nessuno ci diceva nulla di quello che ci stava per capitare e in fondo a che pro farlo?
Per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto spiegare a dei bambini che Konoha si stava preparando alla guerra, che la nostra vita non sarebbe stata più quella di prima, che avremmo dovuto dire addio ai nostri giochi, alle nostre risate, alle nostre corse tra le stradine del quartiere dove conoscevamo tutti, dove tutti ci conoscevano?
Non capii quello che stava succedendo fino al giorno in cui, all’Accademia, il nostro insegnante ci disse che le lezioni per quel giorno erano sospese e ci esortò a raggiungere di corsa le proprie case.
C’erano molte persone per strada: donne, vecchi e bambini e c’era tanto fumo nell’aria, sembrava una di quelle giornate piene di nebbia che preannunciano il tardo autunno. Ma il fumo non era nebbia e non portava nè l’odore della pioggia imminente, nè quel sentore di vento umido che fa volteggiare e cadere per terra le ultime foglie; quel fumo era denso e soffocante e non faceva respirare.
Non feci in tempo ad arrivare al nostro quartiere che incrociai la mamma, teneva per mano Itachi e stava raggiungendo i rifugi.
Dentro, le lampade emanavano una luce livida e rischiaravano a malapena le lunghe gallerie, scavate nella montagna.
Eravamo tutti lì noi bambini, spaventati ma anche eccitati, come se potesse essere tutto un gioco nuovo.
Poco per volta ci allontanammo dai nostri parenti e fecemmo gruppo tutti insieme, accovacciati in un angolo della galleria. Io ci sapevo fare con i piccoli, ero quello che li faceva ridere, divertire, che inventava storie e giochi sempre nuovi.
Nessuno ci diceva niente, alle nostre domande insistenti, i vecchi ci rispondevano che erano delle semplici esercitazioni e che dovevamo stare bravi e dimostare di essere dei piccoli ninja di valore.
Certo che lo eravamo, quante volte avevamo giocato a imitare i grandi, impegnati nelle missioni più pericolose!
Quando uscimmo si sentiva nell’aria un odore strano che non dimenticherò mai più, un odore che mi entrò in gola e cominciò a farmi tossire, era un odore acre, era come quando il vento forte alza la polvere, ma era una polvere che sapeva di bruciato e di morte.
Guardando oltre le mura del villaggio, scorgemmo colonne di fumo scuro che salivano fino al cielo e lampi che si schiantavano sul terreno, esplodendo.
“Cosa sta succedendo mamma?” chiesi.
Ma lei non mi rispose, solo aveva gli occhi pieni di lacrime.
Itachi era accanto a me, i suoi genitori ce lo avevano affidato. Ci guardammo, come a trovare negli occhi uno dell’altro una risposta.
“Konhoa è in guerra bambini” ci disse la mamma.
“Cosa vuol dire zia?” chiese Itachi, con nella voce una nota di curiosità e di timore.
“La guerra è una brutta cosa Itachi, l’unica cosa che possimo fare è sperare che tutto passi in fretta e che nessuno debba piangere i propri cari”

Arrivammo al nostro quartiere, mangiammo qualcosa di malavoglia e andammo a dormire.
Era buio quando un rumore mi svegliò.
“Sei tu Itachi?” bisbigliai.
Lui si mise un dito sopra le labbra.
“Ssss”
“Cosa stai facendo?”
“Voglio vedere la guerra”
“Non possiamo uscire, è pericoloso, torna a dormire”
Mi voltai su di un fianco e mi riaddormentai di colpo.
Fu il rumore della finestra che sbatteva a farmi nuovamente aprire gli occhi. La luce della luna piena illuminava la stanza, mi guardi attorno, Itachi era sparito.
Non ci pensai un attimo e sgattaiolai senza fare rumore nella notte tiepida.
Il quartiere era deserto e rapidamente mi diressi verso le mura di Konoha, le scavalcai e mi trovai fuori dal villaggio. Corsi tra l’erba seguendo la direzione degli scoppi, delle urla, degli scontri.
Arrivai con il cuore che mi scoppiava nel petto accanto ad un torrente e lì tra le acque scure, cominciai a vedere corpi riversi tra i sassi.
“Cosa gli è successo? Stanno dormendo?” pensai.
Lo sapevo da me che era un’enorme sciocchezza, che nessuno si sarebbe mai addormentato in quelle posizioni scomposte, con l’acqua che entrava dalle bocche aperte, con gli occhi sbarrati, ma cercavo a tutti i costi di rifiutare la realtà che avevo sotto gli occhi.
Proprio in quel momento poco distante da me vidi Itachi, che correva nell’acqua tra i cadaveri.
“Itachi vieni qui, torniamo a casa” lo chiamai, cercando di controllare il tremito della mia voce, ma lui non sembrò sentirmi e continuò a correre seguendo il torrente e io mi rincattucciai, senza avere il coraggio di fermarlo o di seguirlo, sperando che tornasse presto.
Lo vidi dirigersi verso una rupe, sotto alla quale si stendeva una pianura da dove provenivano boati, urla e frastuono, poi scomparve.
Mi sembrò che il tempo si fosse fermato, cominciai ad avere paura, mi immaginai che gli fosse successo qualcosa di brutto e che non sarebbe più tornato, rimasi lì finchè da oriente cominciò ad albeggiare e finalmente lo vidi arrivare di corsa e senza fiato.
Quando mi venne vicino una cosa mi colpì, una cosa che non ho più potuto dimenticare: i suoi occhi, quando mi prese per mano e senza una parola ritornammo verso casa!
Non erano più gli occhi di un bambino di quattro anni, erano bui più della notte, persi e smarriti.
“Cosa hai visto?” gli chiesi ansioso.
Lui non rispose per lungo tempo, poi con voce inespressiva disse: “Ho visto la guerra”
“Com’è?”
“E’ brutta Hiroji e non la voglio vedere mai più”
Non seppi cosa aveva visto Itachi quella notte, non volle mai rivelarmelo, ma fu quella notte a decidere il destino della sua vita e tutte le scelte, anche le più terribili, che in seguito prese.

Poco dopo il suo scoppio la Terza Guerra si trasformò in una guerra di logoramento, gli uomini cadevano come mosche, ma nessuno voleva uscirne sconfitto. Fu così che i Cinque Paesi Ninja, privi di uomini, decisero di utilizzare i bambini-soldato e nemmeno Konoha fece eccezione.
Un giorno toccò a me e ai miei compagni. Non avevo ancora dieci anni e io come gli altri fummo gettati sul campo di battaglia.
Aveva ragione Itachi, la guerra é una brutta cosa, a lui rubò l’innocenza, a me la vita.
Mi toccò morire a dieci anni, mentre avrei voluto avere ancora tempo per giocare.


*Hiroji Uchiha è un personaggio di mia fantasia
  
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