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Autore: Isbazia    10/05/2016    1 recensioni
Lexa Woods vive con Anya e Lincoln in piena città. Un'improvvisa vacanza in montagna la porterà a conoscere gli amici di Octavia, tra cui una bellissima ragazza bionda con gli occhi azzurri.
(Liberamente ispirata al brano Mind Over Matter dei PVRIS)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Lincoln, Octavia Blake
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando Lincoln aveva accennato ad una breve vacanza in montagna nessuno lo aveva preso sul serio. Anya gli aveva riso in faccia e io mi ero limitata ad alzare un sopracciglio, senza proferire parola. Sul momento la cosa non sembrava l’ideale. Forse lavorare come personal trainer permette una vita poco stressante, soprattutto se sei il proprietario dell’intera palestra, quindi puoi prenderti tutte le ferie che vuoi. Tutto ciò non succede se lavori in un bar per conto della proprietaria, che si da il caso essere anche la tua coinquilina. Anya è innamorata del suo lavoro e di certo non si concede chissà quanto tempo fuori dal suo ‘rifugio sereno’, come lo chiama lei. Eppure, una settimana più tardi, con l’inverno quasi alle porte, qualche giorno sulla neve cominciava a sembrare una proposta accettabile.

Non sono mai stata un tipo troppo intraprendente, mi piace stare tra le mura di casa. Ovviamente l’ostacolo maggiore ero io. Lincoln non faceva altro che parlare di questo incredibile posto tra le montagne, di divertimento e relax, di come sarebbe stato interessante conoscere nuova gente, soprattutto gli amici di Octavia. Dio, quanto è ossessionato da questa ragazza. Forse ho ceduto per esasperazione, o forse perché alla fine anche Anya sembrava propensa a staccare un po’ da tutto. Non saprei, ma giusto il tempo di preparare valige e scorte di cibo spazzatura e mi sono ritrovata in macchina con due scemi che cantano a squarciagola tutte le canzoni che trovano. Sono scemi, sì, ma non so cosa farei senza di loro.
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Il viaggio in macchina è parecchio scomodo, ma almeno a turno ci diamo il cambio per guidare. Fortunatamente il tempo fuori non sembra essere male, una di quelle rare giornate autunnali con un sole che spacca le pietre. Questo clima mi ricorda tanto il periodo in cui vivevo con i miei genitori, intorno ai sette anni circa, e adoravo passare i pomeriggi fuori, era tutto così bello. Già, era. Alzo il volume della radio e cerco di concentrarmi sulla strada, non voglio rovinarmi l’umore già il primo giorno.

Quando arriviamo davanti al piccolo chalet dove Lincoln ha prenotato la nostra vacanza tiro un sospiro di sollievo e scendo svelta dalla macchina per potermi sgranchire le gambe. Mi accorgo subito del cambio radicale di temperatura rispetto alla città, avverto i brividi pervadermi tutto il corpo, e istintivamente incrocio le braccia contro il petto e stringo forte per farmi calore in qualche modo.

“Il cappotto funziona meglio, Squiddy” mi sussurra Anya, mentre mi passa accanto, facendomi l’occhiolino e dandomi un colpetto sulla spalla con il pugno.

“Odio quel soprannome, e lo sai!” le urlo mentre lei si allontana. Lo odio davvero. Nessuno ha mai preso sul serio la mia passione per i calamari giganti, è davvero così strano? Mi avvicino al sedile del guidatore, afferro il mio cappotto nero e lo indosso tremante.

Lincoln mi aiuta a scaricare i bagagli dall’auto, facciamo tutto in fretta, siamo abbastanza stanchi ed entrambi non vediamo l’ora di poterci sdraiare un po’. Io sinceramente spero di passare tutta la sera in camera, anche se in macchina credo di aver sentito una conversazione riguardo un qualche locale, gente, festa. Al solo pensiero mi viene voglia di morire seduta stante. Anche se, odio ammetterlo, avverto un po’ di senso di colpa nei confronti dei miei amici. Siamo arrivati da meno di dieci minuti e già penso di sabotare tutte le uscite insieme. Sono un disastro. E sono talmente assorta nei miei pensieri che quando Lincoln appoggia la sua mano sulla mia spalla quasi salto in aria.

“Ei, Lexa…voglio ringraziarti per aver deciso di venire, significa tanto per me. Ti prometto che non te ne pentirai” mi dice serio, guardandomi con occhi dolci e sfoderando uno dei suoi sorrisi più ammalianti. Molto scorretto.

Però le sue parole si fanno un po’ di spazio dentro di me e non posso fare a meno di sentirmi meglio. Sulla mia bocca si forma un accenno di sorriso. Lincoln mi osserva per un altro paio di secondi e poi si volta, afferra tutto quello che può e si dirige verso lo chalet. Io resto ferma alcuni minuti, mi guardo intorno, e in effetti il posto è meraviglioso. Lo chalet è tutto interamente fatto di legno, compresa la piccola scalinata che porta all’ingresso principale, ed è completamente circondato dalla natura. Ci sono delle bellissime cascate di edera che scendono dalle balconate, ci sono alberi altissimi (sicuramente degli abeti) che fanno capolino da dietro la baita, cespugli che ricoprono il perimetro della struttura e tutt’intorno una distesa di soffice neve bianca che copre tutta la zona antistante. Sembra un piccolo angolo di paradiso, riparato e intimo. Forse riuscirà davvero a piacermi questa piccola vacanza, forse riuscirò a liberare un po’ la mente, a non isolarmi, a godere del tempo che passo con i miei amici, senza dover per forza rovinare tutto. E forse, per una volta, mi voglio impegnare davvero affinché vada tutto bene.
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L’interno dello chalet è ancora più affascinante e suggestivo. La cosa che mi colpisce subito è l’intenso odore di muschio e corteccia che percepisco non appena metto piede dentro la struttura. È pungente a primo impatto, ma diventa sempre più dolce e piacevole man mano che avanzo. L’ingresso è molto piccolo, occupato solamente da un massiccio bancone in legno scuro, decorato con un paio di animaletti intagliati, una paio di lanterne che emanano un’intensa luce arancione, diversi depliant dell’albergo e un cenno di decorazioni natalizie. Immagino che quassù alla gente non importi più di tanto il fatto che sia ancora novembre. Di certo il clima aiuta ad accelerare i tempi. Da dietro il bancone si erge una figura femminile, con le braccia dietro la schiena e un grosso sorriso stampato in faccia. Indossa quello che sembra essere un maglione bianco parecchio pesante, e una piccola targhetta metallizzata proprio all’altezza del cuore con scritto “Sienna”. Una sciarpa di un verde molto scuro le avvolge il collo, sollevandole leggermente i capelli dorati. Non posso fare a meno di notare che quel colore le risalta molto gli occhi, che per un attimo mi sono sembrati grigi, ma guardando con più attenzione ho notato le sfumature verdi, non appena un po’ di luce le si è posata sul volto. Forse si è accorta che la sto fissando e si avvicina.

“Prima volta a Mount Weather?” mi chiede sorridendo, inclinando un po’ il capo. Io annuisco un po’ imbarazzata, non me la cavo molto ad intrattenere una conversazione con un completo sconosciuto.

“Sono sicura che ti piacerà l’atmosfera di questo posto sperduto. Benvenuta al Trigeda Chalet”. La donna mi  sorride nuovamente e poi si volta, si allunga verso il bancone, afferra un depliant e me lo porge con gentilezza. Noto che sul polso ha un tatuaggio, non riesco ad identificarne la forma, ma sembra continuare anche sotto la spessa manica del maglione. La donna mi da un paio di indicazioni riguardo la struttura, mi augura una buona permanenza e mi lascia sistemarmi nella mia camera. Mentre varco la soglia della stanza mi chiedo che fine abbiano fatto Anya e Lincoln. Lascio cadere le valige ai piedi del letto e osservo un po’ l’ambiente. La camera non è troppo piccola, c’è un letto matrimoniale proprio di fronte la porta, appoggiato alla parete, sotto una bellissima finestra in vetro, e c’è anche un comodino proprio lì accanto, decorato con un vaso di fiori gialli e delle candele, mentre sulla sinistra dell’ingresso è appoggiata una piccola scrivania, con tanto di sedia e altre candele. Ottimo, adoro le candele. Non c’è un armadio, ma a destra del letto vedo un specie di comò, con tre cassettoni. Faccio un giro veloce e provo a sistemare più cose possibili. Odio il disordine che si è inevitabilmente creato sul letto. Non esiste che lasci una singola cosa fuori posto.

Per poco non mi viene un infarto quando sento una porta aprirsi di botto, seguita da una sorta di urlo misto a risatine convulse. “Bagno comunicante, Woods! Dio, questo posto è incredibile”. Anya. Non so se avverte tutto l’odio che sto provando per lei dopo aver seriemente rischiato un attacco di cuore.

“Mi hai fatto venire un colpo, accidenti a te” borbotto mentre torno a sistemare gli ultimi indumenti dentro i cassetti. Anya alza gli occhi al cielo e con molta tranquillità si avvicina al mio letto e ci salta su, guardandosi un po’ intorno.

“Però, devo dire che questa stanza sembra proprio perfetta per te” comincia in tono ironico. Io faccio finta di non ascoltare e continuo a darle le spalle. “Spero tu abbia intenzione di finire presto questo tuo rituale da casalinga ossessivo-compulsiva, stasera si esce baby”. Mi volto di scatto con espressione leggermente infastidita. Anya mi guarda con un sorriso malefico stampato in faccia. Ovviamente si aspettava quella mia reazione.

“Non fare quella faccia Woods, siamo appena arrivati, dovresti essere entusiasta. E poi, Lincoln ha appena parlato al telefono con Octavia e non vede l’ora di farci conoscere tutti i suoi amici” conclude lei, appoggiando le mani sul bordo del materasso e inclinando la testa in cerca del mio sguardo. So che non dovrei fare la guastafeste, neanche io a volte sopporto questo mio lato così asociale, però sento di stare già entrando in ansia. Non appena Anya ha accennato di uscire il mio stomaco ha cominciato a contorcersi istintivamente, è quasi come se ormai non controllassi più il mio corpo. So che Anya ha ragione, e so che le sue sono soltanto buone intenzioni, non cerca di convincermi per capriccio. Lei è l’unica persona al mondo che conosca da vicino i miei problemi relazionali, sa bene che deriva tutto da qualcosa di più grande, e non mi ha mai fatto nessun tipo di pressione, anzi ha sempre cercato di farmi affrontare tutto con la maggiore tranquillità possibile. Quasi mi sento in colpa a guardarla sempre male ogni volta che mi propone qualcosa di nuovo. Subito ripenso alle parole di Lincoln, e mando giù con forza un piccolo nodo che mi si era formato in gola. Posso farcela.

“Per che ora devo farmi trovare pronta?” le chiedo, incrociando le braccia e arrendendomi definitivamente.

“Ecco la mia Lexa” mi risponde lei, scattando in piedi con una smorfia di soddisfazione sul viso. “Cerca di farcela per le 9, usciamo subito dopo cena”. Con una pacca sul didietro mi saluta sorridente e sguscia fuori dalla stanza tramite la porta del bagno. Mi appoggio al mobile di legno che mi trovo dietro e sospiro pesantemente. Serata fuori, gente, persone sconosciute, caos.
 
È solo una serata come un’altra, Octavia e un paio di amici, ce la puoi fare Lexa.
   
 
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