*quinto tassello
Sex.
La
neve ondeggiava lievemente nell’aria in pigri
fioccherelli di gelo, ovattando l’atmosfera boschiva
profumata di resina.
Nessun suono interrompeva quel silenzio irreale vicino alle porte
sigillate per
le Rovine – nessuno andava mai laggiù –
tranne le risate sommesse di uno
scheletro che chiacchierava con una voce melodiosa oltre quella soglia
impenetrabile. Stava accovacciato nella neve con la schiena appoggiata
alla
pietra finemente intarsiata dei massicci battenti, lasciandosi
ricoprire
lentamente, insieme al sentiero e agli alberi, dal mantello bianco che
innaturalmente volteggiava giù dalle altissime volte
– quasi invisibili alla
vista – della caverna, generato da tutti i mostri di ghiaccio
che vi abitavano
dentro.
Non aveva la minima idea di chi fosse la donna gentile con
cui stava parlando, ma non era tipo da farsi problemi per una ragione
così
sciocca. Sapeva solo che gli aveva chiesto di chiamarla
“Tori”, che sembrava
essere avanti con gli anni e che aveva un senso dell’umorismo
molto affine al
suo, e questo bastava e avanzava.
Stavano ancora ridendo per l’ultima battutina di Tori
(“Qual
è il nome più comune fra le lumache? Va-lentina!”)
quando all’improvviso la sua risata composta si spense un
po’ troppo
bruscamente, e parve esitare a farsi sentire a tutto volume come colta
da un
pensiero perturbate.
Sans, che aveva imparato a conoscerla solo attraverso le modulazioni
della sua parlantina, ovviamente se ne accorse subito.
“Ehi è tutto a posto, quella battuta era ad alta valenza comica!”
“Ohohohoh… Ma no, ma no, che dici?”
“…e allora cosa
c’è?”
“Oh, non è… non è
nulla…” il tono si era abbassato
progressivamente fino a diventare pressappoco inudibile, attraverso le
possenti
barriere di pietra. Tori sembrava parecchio a disagio, forse in
imbarazzo.
“Dai sputa il rospo.”
“Nulla di importante, è che mi è venuta
in mente una cosa. –
ora la voce era tornata udibile, ma non sembrava sul punto di
continuare la
gara di battute, anche se suonava parecchio divertita –
Dì un po’, Sans… se un
cucciolo di otto anni ti chiedesse come nascono i bambini, tu che gli
risponderesti?”
Lo scheletro restò imbambolato con la bocca aperta per un
paio di secondi, colto completamente alla sprovvista, ma poi
scoppiò a ridere
di gran gusto.
Anche Tori si mise a ridacchiare, ma sembrava che il
problema la preoccupasse sul serio.
“Beh dipende da che tipo di cucciolo stiamo parlando
–
rispose Sans asciugandosi una lacrima dall’orbita vuota
– Sai, finché sono
rettili o anfibi è facile, fanno le uova… ma la
questione diventa un po’ più
complicata quando si parla di fantasmi.”
“Mammifero, parliamo di un mammifero.”
“Il discorso non cambia, secondo me. Se si tratta di cose
come la nascita, bisogna dire la verità ai bambini, magari
mettendola giù in
modo da non traumatizzarli troppo. Dopotutto, se sono loro a chiedere,
evidentemente sono pronti a saperlo, e raccontare balle gli potrebbe
far venire
strane idee.”
“Uh.” Rispose Tori, evidentemente poco convinta.
“…a volte mi chiedo che accidenti ci combini
là dietro,
Tori. Ma questi sono discorsi futili, dove eravamo
rimasti…?”
La questione cadde nel vuoto, e non ne parlarono più.
L’arrivo
di Frisk a Snowdin, qualche giorno dopo, aveva
causato un vero e proprio finimondo nel Sottosuolo, ma era riuscita a
diventare
amica di tutti i mostri sorprendentemente in fretta. Il Grande Papyrus
soprattutto
pensava che fosse una personcina davvero in gamba –
considerato il suo amore
per i puzzles e gli spaghetti riscaldati – anche se talvolta
diceva cose
parecchio bizzarre: era anche per questo che preferiva che nessuno
sapesse che
le aveva concesso un appuntamento romantico, chissà che
sarebbe stata capace di
raccontare alla gente quella trottolina imprevedibile. Il giovane
scheletro
stava facendo la sua solita ronda di turno (di fronte a casa sua, dalla
porta
alla cassetta delle lettere) quando Frisk gli piombò di
fronte con la sua felpa
blu penzolante troppo grande di tre taglie e il suo sguardo vispo, e
confermò i
pensieri che stavano correndo per la scatola cranica della guardia
uscendosene
con una domanda parecchio inopportuna:
“Ehy Grande Papyrus! – chiamò
– Mi dici come nascono i
bambini?”
“Questa è una domanda parecchio inopportuna,
umana!” rispose
lo scheletro, appunto.
“Dai! La mamma non ha voluto dirmelo quando glielo avevo
chiesto. Al posto di rispondermi si è messa a fare un
discorso sui nomi propri
più comuni tre le lumache!”
“Insomma umana, mi metti in imbarazzo! Mica sono cose da
chiedere a uno mentre sta lavorando, nye!”
“…ma perché? Sono anni che me lo sto
chiedendo.”
“Perché… perché…
perché non lo so nemmeno io, oh! – Il
grande Papyrus sospirò drammaticamente, ferito
nell’orgoglio per essersi fatto
cogliere in fallo come un mucchio di ossicini in una classe di asilo
nido – Non
ho mai avuto il coraggio di chiederlo a nessuno. Sai che vergogna per
un adulto
come me? E poi a chi dovrei chiederlo, a Sans? Insomma, è il
mio fratellone ma
sai com’è fatto, mi prenderebbe in giro per
settimane!”
La piccola umana si stava grattando il mento, ponderando sul
problema, e subito dopo chiese:
“…quindi dici che possiamo chiederlo a qualcun
altro? Tipo
ad Undyne?”
“Potrebbe andare bene, Undyne di solito è sempre
molto disponibile
quando si tratta di insegnare qualcosa! Chiediglielo tu
però, sei tu la bambina
qui!”
Quando
Undyne andò ad aprire la porta di casa sua, che stava
venendo letteralmente buttata giù a furia di colpi a pugno
chiuso da chi stava
bussando, si trovò davanti il suo migliore amico insieme
alla piccola umana che
era caduta dalla superficie, e che ormai la guerriera non aveva
più cuore di
consegnare in sacrificio a re Asgore. Avevano entrambi uno sguardo
pieno di
aspettativa e, prima che lei potesse invitarli dentro, Frisk
aprì la bocca
sdentata e chiese:
“Undyne ci dici come nascono i bambini?”
La comandante delle Guardie Reali restò impalata sulla porta
a occhi spalancati e a bocca aperta, lasciando scoperte le sue zanne da
piranha
per qualche secondo prima di capacitarsi di quello che era appena
successo. Poi
si trattenne dallo scoppiare a ridere platealmente in faccia al povero
Papyrus
(che sembrava estremamente interessato a saperne di più
sull’argomento a
giudicare dalla sua espressione estasiata) e fece un gesto con la mano,
invitandoli nell’interno piacevolmente riscaldato di casa sua.
“Non sono sicurissima di essere la persona migliore per
risponderti, eh teppista! Ma se vuoi te lo spiego – anzi ve lo spiego.”
Al tavolo, sul quale erano posate una teiera fumante, delle
tazze e una ciotola piena di una strana poltiglia rosata, stava seduta
anche
Alphys, la scienziata reale. Evidentemente le due stavano trascorrendo
il
pomeriggio in compagnia, e la piccola draghetta salutò i due
nuovi arrivati
passando dalla sua solita sfumatura color limone a una molto
più intensa
tonalità di melanzana, per essersi fatta cogliere in un
luogo compromettente.
Undyne fece accomodare Frisk e Papyrus e poi prese posto
anche lei, appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita
unghiute di
fronte alla faccia, cercando di atteggiarsi nel modo più
didattico possibile:
“Dunque – iniziò, schiarendosi la voce
– In realtà è
piuttosto semplice: servono un maschio e una femmina. Una volta
all’anno capita
che la femmina produca una certa quantità di uova gelatinose
– una vera
seccatura Frisk, capirai quando sarai più grande, meno male
che capita solo una
volta all’anno… Queste uova dopo un po’
marciscono se non le butti via subito,
ma se sei interessata a metter su famiglia allora le devi dare ad un
maschio,
che come dire… da il suo contributo. Quando le uova sono
fecondate basta
aspettare un paio di mesi, si schiuderanno e… puff! Avrai
tutti i bambini che
vuoi! Potresti farci un piccolo esercito personale se lo desideri! Ngaaaahahahahah!”
Undyne sbatté forte le mani sul tavolo e fece tremare tutta
la stoviglieria, mentre si gongolava nell’ebbrezza
dell’insegnamento. Papyrus
sembrava altrettanto entusiasta ma Frisk pareva non aver capito qualche
passaggio, dato che aveva ripreso a grattarsi il mento per dirimere
tutti i
dubbi che ancora la assillavano.
“Ma non capisco! – asserì contrariata
– Davvero è tutto qui?
Perché la mamma non ha voluto dirmelo se è una
cosa così semplice?”
Alphys, che era rimasta in silenzio durante tutta la spiegazione
con una strana espressione stampata in volto, come di chi sa qualcosa
ma ha
troppo imbarazzo/dispiacere/disagio sociale per dirla, finalmente prese
coraggio e stiracchiò un sorrisetto poco convinto sulle
labbra squamose, e si
apprestò a contraddire la sua adorata ninfa delle acque
paludose.
“Undyne, – sillabò arrossendo
– tu gli hai spiegato come si
riproducono i pesci! Ma gli umani sono dei mammiferi…
è un po’ diverso in
realtà.”
“Oh. – Undyne smise subito di ridere, ma il
commento non
sembrò urtarla – Hai ragione Alph, io gli ho
spiegato solo ciò che riguarda la
mia stretta esperienza! Ma è OVVIO
che sei TU la scienziata, qui!
Perdonatemi ragazzi, nella mia ristrettezza mentale vi ho sviato.
Alphys! Tu
sai così tante cose, spiegacelo tu!”
“EEEEEEEEEEERRRrrrrrrrrrrmmmmmmmmmhhhhhhhhhhhhh…”
La testa della piccola rettile parve sprofondare tra le sue
spalle e tutto il suo stesso corpo parve iniziare un processo di
implosione
verso il pavimento, mentre tre paia di occhi curiosi le prendevano di
mira la
faccia con la stessa intensità di puntatori laser accecanti.
Se Alphys avesse
mai avuto una classifica dei suoi incubi più orribili,
quella situazione
avrebbe superato sicuramente il primo posto con uno stacco triplo di
punteggio
rispetto a tutte le altre posizioni.
“B-b-beh… iniziamo col dire che è
u-u-una materia molto
spe-spe-specifica… ci sono due cellule, che si chiamano
gameti e… e… e… durante
il processo di fe-fe-fecondazione lo spermatozoo entra dentro
l’ovulo, perde la
coda e…e…e… beh l’ovulo deve
essere maturo e nella tuba, se no non se ne fa
niente. Qui-qui-quindi…lo zigote rotola fino
all’utero e inizia a dividersi,
fino a crescere sempre di più e…”
“ALPHYS MI SONO RESO
CONTO DI ESSERE UN GRANDE IDIOTA. PERCHÉ NON RIESCO
PIÚ A COMPRENDERE I MESSAGGI
VERBALI? MI SI È DISATTIVATA LA FUZIONE
'TRADUTTORE-DA-SUONO-A-SENSO' DEL
CERVELLO?!”
“Oooow ma Paps, tu non hai un cervello. –
scherzò Undyne,
dando una energica pacca sulle spalle al suo amico scheletro
– Però davvero
Alph, non ho capito nulla nemmeno io.”
Alphys si strinse nelle spalle, imbarazzatissima, mentre
Frisk sembrava bloccata in uno stato catalettico di corto circuito
mentale, con
la bocca aperta e le palpebre che sbattevano velocemente nel tentativo
di
riportarla alla realtà.
“Mi spiace ragazzi… - si scusò la
scienziata – Evidentemente
nemmeno io sono la persona adatta…sono un disastro in queste
cose.”
Papyrus sospirò, massaggiandosi le tempie per sfiammare i
pensieri e infilandosi un paio di dita anche nei cavi oculari per
ottenere un
effetto più rilassante:
“Sei una grandissima scienziata Alphys, troppo grande
perfino per noi, sei talmente grande che nemmeno riusciamo a capire le
cose che
dici dalla tua vetta di scienza. Dovremo trovare qualcuno
più vicino al nostro
livello. Vero, Frisk? Tu a chi stai pensan…”
Frisk non fece nemmeno finire la frase al suo amico
scheletro: si ridestò dal suo stato confusionale
post-delirio, saltò giù dalla
sedia, lo afferrò per un polso e lo tirò in
direzione della porta,
evidentemente già ben decisa
sull’identità della persona da mettere
all’angolo
e interrogare. Sembrava parecchio seccata per tutta la fatica che stava
facendo
a farsi dare quella risposta per cui sarebbero bastati due minuti di
basico
dialogo, insomma, non riusciva proprio a capire tutta questa
difficoltà.
Papyrus ondeggiò una mano in direzione delle sue due amiche
mentre veniva trascinato fuori dalla porta della casa, con un pessimo
presentimento che gli faceva scuotere le ossa: se Frisk era
così decisa a
chiedere ad una persona, adulta, responsabile, seria e saggia, molto
probabilmente – con suo grande disappunto – questa
persona era…
“Sans!”
Sans lo scheletro, come suo solito, se ne stava a pisolare
nella sua stazione di guardia, testa appoggiata sulle braccia stese
lungo il
bancone e pantofola tattica per far proseguire l’illusione di
essere in camera
da letto anche in mezzo ai nevai. Frisk gli si avvicinò e
con dolcezza iniziò a
punzecchiarlo col ditino su una guancia per farlo svegliare, avendo
constatato
che si trovava tra le braccia di Morfeo dopo che lui aveva ignorato la
sua
prima chiamata.
“Sans mi dici come nascono i bambini?”
Lo scheletro socchiuse le palpebre assonnate e ridacchiò,
probabilmente divertito dal bizzarro risveglio che gli aveva riservato
la sua
amica umana, e prendendosi tutto il suo tempo si stiracchiò
verso l’alto
facendo scricchiolare le scapole. Frisk, accompagnata a due passi da
Papyrus,
lo fissava intensamente cercando di mantenere salda la speranza che
almeno lui
potesse accontentare la sua sete di conoscenza, saltellando di
impazienza.
“Eh. – Disse finalmente Sans, coprendosi la bocca
in uno
sbadiglio – Non so perché, ma avevo
l’impressione che prima o poi saresti
venuta a chiedermelo, ragazzina. Stai proprio diventando grande,
eh?”
Frisk aumentò l’intensità del suo
saltellamento mentre Sans
si alzava dal suo bancone e faceva il giro del casotto, piazzandosi
davanti
alla bimba e a suo fratello.
“Credo che sia ora di raccontarlo anche a te Paps. Ma non
è
il caso di fare qui questo genere di discorso, andiamo da
Grillby’z e mettiamo
i piedi sotto a un bel tavolo al caldo.”
“Sans, – intervenne Papyrus, seccato – ne
stai approfittando
per fare pausa, vero osso-pigro?”
“Naaaah questa mica è pausa, è una
lezione di vita!” Il
piccolo scheletro fece un occhiolino e prese per mano Frisk, prima che
tutti e
tre si dissolvessero in una velocissima frattura spazio-temporale.
“Dunque
ragazzi, dovete sapere che, a una certa età, ad una
persona può venire il desiderio di diventare genitore. Non
importa se è maschio
o femmina, da solo o in compagnia: a volte succede e basta,
è il desiderio di
avere qualcuno da lasciarsi dietro che continui la nostra famiglia, e
di
crescerlo con le nostre forze.”
Frisk pensò di aver finalmente azzeccato la persona giusta:
Sans sembrava essere entrato in uno dei rarissimi momenti in cui era
serio per davvero
–
evidentemente gli piaceva raccontare le storie come si deve, anche se
continuava ad avere quel sorriso compiaciuto stampato in faccia. Anche
Papyrus
sembrava stupito di questo fatto, dato che evidentemente si era
aspettato di essere
bersagliato
di battute irritanti per tutto il tempo.
“…di solito capita quando si è
già
vissuti un bel po’, ma
talvolta qualcuno lo fa anche da giovane. È una faccenda
molto delicata. C’è un
unico modo per creare una nuova vita, e questo modo comporta grandi
sacrifici e
una forte volontà.”
Sans distolse lo sguardo e puntò gli occhi luminosi da
qualche parte verso la sua destra, probabilmente perdendosi in un
ricordo
lontano, e il suo sorriso perenne sembrò farsi malinconico.
“I figli sono una parte di noi, sapete? Letteralmente. Se
vogliamo avere un figlio, dobbiamo rinunciare ad una parte delle nostre
ossa e
ad una fetta della nostra anima, per darla a lui. Più
bambini vogliamo avere,
più dobbiamo rinunciare a noi stessi. È un atto
che solo una persona molto
coraggiosa e con un immenso amore da dare può pensare di
compiere.”
Sans fece spallucce, allargando il suo sorriso.
“Essere nati è un regalo immenso, dovremmo
ricordarci sempre
che siamo molto fortunati e che qualcuno ci ha amato moltissimo. Si
possono
avere un paio di figli… o tre. In ogni caso, quello che
succede è che,
indipendentemente da quanti fratelli si hanno, maturando prendiamo
sempre più
energia dal nostro genitore fino a che questo, quando siamo diventati
abbastanza grandi o lui non ha più ossa e anima per
sé, muore.”
Ci fu un momento di silenzio intensissimo, che nessuno dei
tre ebbe il coraggio di interrompere. Sans sospirò
sonoramente, evidentemente
soffrendo anche lui della gravità che aveva dovuto assumere
per fare quel
discorso.
“…quindi, i bambini noi li facciamo
così, staccandoci le
ossa, in solitaria. Questo, ovviamente, non toglie che anche a noi ogni
tanto piaccia
fare un po’ di s…”
“MA È
TERRIBILEEEEEEEEEEEE!!!”
Papyrus era in lacrime, si teneva la testa tra le mani e
sembrava aver appena incassato il trauma più doloroso della
sua vita.
“È PER QUESTO CHE NON
ABBIAMO LA MAMMA SANS!? È MORTA COSÌ!?”
“È successo quando sei nato tu Papy,
vent’anni fa. Ma è
tutto a posto, è così che funzioniamo noi
scheletri, io ero piccolissimo e non
ricordo bene, ma era sicuramente felicissima.”
Sans si alzò in piedi sulla panca del tavolo della taverna e
si protrasse sul tavolo per dare una pacca sulla spalla del suo
fratellino
disperato, consolandolo come meglio poteva e trattenendosi dal fare
giochi di
parole – dato che sicuramente gliene stavano passando per la
testa di
grandiosi, anzi, di grandiossi.
Frisk sembrava parecchio pallida anche lei, e Sans si voltò
con espressione sorniona e le chiese, ammiccante:
“…e questo per quanto riguarda noialtri scheletri,
ragazzina. Voi mammiferi, invece, se volete figliare dovete per forza
fare
s…”
“No!”
Frisk impose drammaticamente la sua manina in avanti,
facendo un segno di “alt”. La sua espressione
plumbea tradiva una certa
malcelata ansia.
“…se
è così per voi, non voglio sapere
com’è per noi umani.
È spaventoso. Credo che aspetterò di crescere
ancora un po’.”
Sans strizzò gli occhi, ridacchiando soddisfatto.
*Bene. Benissimo.
*Eh... a volte si affrontano anche certi argomenti con la bimba,
c'è poco da fare.
*Ma è sempre uno spasso.
*Ciao a tutti e al prossimo tassello!