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Autore: Thiliol    12/05/2016    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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Take my hand now, be alive

 

Il fragore minacciava seriamente di assordarla mentre correva dietro Finrod. L’elfo si era gettato all’inseguimento di Silevril, muovendosi con una rapidità che Laer non aveva mai visto prima, trascinandola con sé, le dita ferme sul suo polso.

Anche il Re di Gondor si era catapultato fuori dal Palazzo, nella piazza dell’Albero, facendo cenno alle guardie di seguirlo.

Quando raggiunsero Silevril, lui se ne stava in piedi sullo strapiombo, la gemma scintillante alzata, con una luce azzurra che lo circondava.

Laer corse verso di lui, liberandosi dalla presa di Finrod e ignorando i suoi avvertimenti. La Piana del Pelennor era invasa di acqua, l’Anduin vorticava e strabordava con la violenza di un Olifante imbizzarrito, travolgendo la gente che tentava di fuggire disperatamente verso i livelli più alti della Città.

Le ci vollero pochi istanti per capire che non ci sarebbe stato scampo, che l’acqua avrebbe continuato ad alzarsi, riversandosi dal Mare all’Anduin e poi alla Piana, sommergendo Minas Tirith e tutti i suoi abitanti.

Riusciva a sentire le urla e gli scrosci fin dall’ultima cerchia.

Silevril se ne stava immobile, ignorando tutto ciò che lo circondava, con le spalle rigide. Non poteva vederlo in faccia, ma la sua postura indicava una grandissima tensione.

Finrod l’afferrò e la trascinò indietro, lontano da Silevril.

< Lasciami! > Tentò di divincolarsi, invano.

< Non sappiamo come potrebbe reagire! > Gridò l’elfo, e Laer riuscì distintamente a sentire la sofferenza nella sua voce.

Una risata allegra li fece voltare di scatto e videro Rùth, libera e bellissima, nonostante l’incantesimo che le aveva modificato l’aspetto fosse sparito.

Aveva i capelli neri ed era pallidissima, ma gli occhi, neri anch’essi, erano penetranti e crudeli… affascinanti.

< Dov’è Galmoth? > le chiese, tentando di non balbettare, mentre il panico si impossessava di lei.

Rùth la ignorò e si rivolse a Finrod, sorridendogli ammaliante.

< Non è meraviglioso? Silevril ha il Mare nell’anima come nessun altro abbia mai incontrato prima e tu lo sai, lo senti. >

Finrod si irrigidì, stringendo il polso di Laer ancora di più.

< E c’è dell’oscurità in lui, il tocco della maledizione di Mandos, un odio che nemmeno lui sapeva di possedere e che lo corrode internamente. > Rùth sorrise. < È questo che ti attrae in lui, giusto? >

< Silenzio! >

Finrod aveva parlato senza alzare la voce, ma Rùth vacillò come se lui l’avesse spinta . Il sorriso sulle labbra di Rùth svanì per un attimo, ma tornò subito appena si voltò verso il Re di Gondor, che se ne stava in piedi tra le sue guardie.

< Estel > lo chiamò < speranza…ma che speranza credi di avere, Sire? >

Il Re fece un cenno alle sue guardie, che avanzarono verso Rùth, che mosse la mano di scatto.

Gli uomini gridarono, come consumati dal fuoco, e si accasciarono. Le loro urla ferirono le orecchie di Laer anche più di quelle degli uomini travolti dall’acqua.

Finrod trattenne il respiro.

< Morgoth  > disse, e quella parola sembrava un insulto.

< Il mio Signore mi dona forza, un piccolo assaggio del suo infinito potere. >

< Beruthiel, > disse Finrod, con tono imperioso, < fermati. >

La donna si immobilizzò e il suo sorriso si trasformò in un ringhio.

Laer sapeva che la voce di Finrod aveva potere, ma aveva paura che non potesse bastare.

< Libera Silevril! >

Rùth rise forte, schernendolo, pur senza riuscire a muovere un muscolo. Quella risata le mise i brividi e dovette ricacciare indietro le lacrime.

Non c’era speranza, pensò.

< Non sto facendo assolutamente nulla a Silevril. >

Era vero.

L’elfo era ancora immobile, come se nulla di quanto fosse successo lo avesse minimamente toccato.

Lo chiamò piano e lui, incredibilmente, si voltò appena, guardandola. I suoi occhi chiari erano lucidi, come se anche lui stesse faticano per trattenere le lacrime, ma per il resto il suo viso non faceva trasparire nulla.

Finrod lasciò la presa sul suo polso per avvicinarsi a Rùth, mentre anche il Re di Gondor si avvicinava cautamente alla donna. La magia nera era ancora nell’aria come pioggia, se ne poteva sentire quasi l’odore.

E Laer si mosse verso Silevril. Sentiva che toccandolo, avrebbe potuto risvegliarlo, farlo ragionare.

Ma in quel momento un grido lo fece sussultare e Silevril si girò di scatto.

Due figure correvano verso di lui, bagnate e sporche di fango. Erano un uomo e una donna e quest’ultima aveva gridato il nome di Silevril con la forza della disperazione.

Finrod aveva a sua volta sussultato, perdendo per un attimo il controllo di se stesso, il tempo necessario perché Rùth si liberasse dalla sua influenza tanto da potersi muovere.

Fece un movimento flessuoso della mano verso il Re e l’uomo si curvò in avanti, sputando sangue.

Sentì Finrod gridare disperatamente il nome del suo Re e sguainare la spada. Con una violenza di cui non lo credeva capace, trafisse Rùth.

La donna cadde e il suo sangue si sparse intorno a lei, rosso e viscido… normalissimo sangue umano, anche se lei sembrava non esserlo.

Sulle sue labbra continuava ad aleggiare un sorriso di miele.

Silevril guardava la scena impietrito, tenendo stretto a sé il Tesoro di Ulmo, che brillava azzurro attraverso le sue dita.

I due elfi non avevano badato a Finrod, alla morte di Rùth o del Re. Avevano corso fino a ritrovarsi accanto a Laer.

Silevril li guardava e nei suoi occhi si accese una scintilla d’odio.

< Silevril, > disse la donna, < devi fermarti, la Città sta morendo! >

Tentò di toccarlo, ma la luce che lo circondava la respinse, bruciandola. Il volto della donna era duro, nonostante le lacrime. Sembrava una statua di marmo su cui qualcuno avesse versato dell’acqua e la somiglianza con l’impassibilità che tanto l’aveva attratta in Silevril era evidente.

L’uomo al suo fianco guardava Silevril con tristezza e meraviglia.

< Torna in te, Silevril. >

Sembrava pregarlo.

< Non toccatelo! >

Era Finrod, ancora accovacciato vicino al suo Re, con il volto sofferente.

< Non immischiarti, Finrod, >  disse l’elfo, con una durezza che sorprese tutti.

< Ti prego, Aeglos, ascoltami. Quello che hai davanti non è tuo figlio. >

Laer si sentì vacillare. I tre elfi si guardavano e tra loro passò una comprensione antica, che lei non riusciva a raggiungere. Sembravano tre statue e ciò che li circondava, il Re, Rùth riversa nel suo stesso sangue, persino Silevril, non li toccavano davvero.

< Nessuno di voi capisce, > disse infine, sorprendendo anche se stessa.

La guardarono tutti.

Si girò e Silevril, in piedi sul parapetto delle mura, con l’acqua vorticante sotto di lui e la luce sfavillante della pietra nelle sue mani, sembrava ancora più alto, ancora più meraviglioso di quanto non fosse di solito.

Sapeva di essere solo una ragazzina, sapeva di non avere niente in comune con lui, ma lo amava e questo era un fatto. Non c’era alcun motivo, in realtà lo trovava anche antipatico e pieno di sé, ma non riusciva a farci nulla.

Cercò automaticamente Galmoth con lo sguardo, chiedendo la sua approvazione, un consiglio su ciò che stava per fare, ma l’uomo non c’era e il pensiero di cosa era potuto accadergli minacciava di gettarla nel panico più assoluto.

< Silevril? > lo chiamò piano e lui la guardò.

Prese coraggio.

< Stai facendo un vero casino qui, elfo, non te ne accorgi? >

Tentava di apparire noncurante, ma la sua voce tremava leggermente.

< Non riesco a fermarla, Laer, > disse lui, < Uinen è troppo potente. >

< Credi che lei voglia la distruzione di Minas Tirith? > domandò, come se quella domanda fosse del tutto casuale, < La morte di persone innocenti? >

< No, > tentennò, ansimando appena, < vuole essere liberata dal potere di Morgoth. >

< Rùth è morta, Silevril. >

L’elfo sembrò accorgersene solo in quel momento. Spostò lo sguardo al corpo della donna, sporco di sangue e abbandonato, poi a Finrod, distogliendolo immediatamente, come se fosse doloroso. Infine vide i suoi genitori e una lacrime gli bagnò la guancia.

< Alatariel… Aeglos… >

I due non si mossero.

E poi Silevril guardò Laer.

< Sto morendo, Laer, > disse e il suo corpo iniziò a tremare violentemente, <  la magia nera di Rùth mi ha corroso dall’interno e continua a diffondersi come un cancro. Aiutami. >

L’elfo le tese la mano, con la catena a cui era appeso il Tesoro di Ulmo intrecciata alle lunghe dita sottili.

Senza nemmeno pensare a cosa stava facendo, Laer si sporse verso di lui e intrecciò le dita con le sue.

< Sii vivo, > sussurrò, e quando le loro dita si incrociarono la luce azzurra della gemma avvampò, avvolgendoli entrambi, per poi sparire.

Il rombo dell’acqua che sbatteva contro le mura cessò.

Silevril la guardò per un attimo, come se la vedesse per la prima volta, poi gli si rovesciarono gli occhi all’indietro e cadde su di lei.

 

Alatariel gridò.

Finrod si era dimenticato di quanto fosse difficile guardarla, di quanto fosse doloroso, eppure non riuscì a fare a meno di correre verso di lei, lasciando il corpo di Estel a terra.

Lei e Aeglos avevano preso Silevril dalle braccia di Laer e Alatariel era china su di lui.

Chiamava il nome di suo figlio con voce rotta.

Finrod si accovacciò a sua volta su Silevril e gli prese il polso, gelandosi improvvisamente quando non sentì pulsazioni.

Alatariel sbiancò, lasciandosi cadere tra le braccia di Aeglos, anche lui bianco come non lo aveva mai visto. Laer piangeva con una mano sulla bocca, incapace di distogliere lo sguardo.

Finrod si sentiva come svuotato, la testa leggera, il pollice ancora sul polso di Silevril.

Cosa provava?

Si sentiva stordito da quanto aveva perduto. Immagini di Estel bambino, che cavalcava per i campi del Pelennor, si sovrapponevano al  sorriso sghembo che Silevril aveva la prima volta che si erano visti.

Aveva perso il suo passato e il suo futuro in pochi minuti e non riusciva a provare niente.

E poi, improvvisamente, lo sentì. Un battito.

< Silevril! > esclamò, sorpreso.

L’elfo spalancò gli occhi e gli afferrò la mano che aveva sul polso. Stringeva ancora il Tesoro di Ulmo, e la pietra era tornata ad assomigliare ad acqua liquida.

< Uinen mi ha parlato, > disse piano, rivolgendosi direttamente a Finrod, ignorando gli altri.

< Cosa ti ha detto? > gli chiese, cercando di non farsi distrarre dal tocco delle sue dita. Sembravano schegge di ghiaccio e lo bruciavano.

Silevril non rispose, ma si mise a sedere, guardando per la prima volta sua madre e suo padre.

< Perché siete qui? > domandò, come un ragazzino ribelle.

A Finrod veniva da piangere per il sollievo di sentirlo parlare di nuovo con quel misto di saccenza e tono scanzonato.

Alatariel lo abbracciò e Aeglos strinse entrambi, mentre Laer li guardava improvvisamente timida.

La ragazza si alzò e lui la raggiunse, mettendole un braccio intorno alle spalle. La vide asciugarsi gli occhi di nascosto, sperando che lui non la vedesse debole.

< Sapevo che c’era ancora qualcosa di lui, > disse piano, senza guardarlo, < ma non ero sicura che io sarei bastata a riportarlo indietro. >

< Sei sempre stata tu, il suo faro nelle tenebre. >

Laer alzò le spalle, non convinta.

< Vado a cercare Galmoth. >

Finrod la guardò allontanarsi a passo svelto, mascherando il misto di delusione per non essere stato il primo pensiero di Silevril e ansia per la sorte di suo padre.

Il corpo di Estel era ancora lì, poco distante da quello di Beruthiel, entrambi così umani da far male. Si avvicinò alla donna e la guardò per un attimo, cercando dentro di sé un senso di colpa che non trovò, e poi il volto nobile di Estel, con gli occhi chiusi e un leggero rivolo di sangue sul mento.

Si inginocchiò e gli posò un bacio sulla fronte, mentre altri soldati accorrevano nella piazza e il brusio della folla scampata all’inondazione si faceva più insistente.

< Namarie, mellonin > disse.

Aveva detto addio a talmente tanti amici che il dolore poteva arrivare a sopraffarlo, eppure non era mai riuscito a rinunciare a quel dolore.

Silevril si stava alzando in piedi, aiutato dai suoi genitori.

Mentre lo guardava, pensò che la sua maledizione era proprio quella, amare sempre chi non poteva avere. Suo padre avrebbe detto che questo poteva far capire molte cose su di lui… probabilmente aveva ragione.

 

 

 

 

Questa storia avrei potuto benissimo chiamarla “Le sfighe di Finrod” e nessuno avrebbe obiettato nulla. Il buon Estel, figlio di Eldarion figlio di Elessar, ci abbandona e il povero Finrod non impara mai dai suoi errori, mentre Laer svolge il ruolo di donna salvifica che morivo dalla voglia di inserire da qualche parte da anni e che finalmente sono riuscita a mettere in una mia storia (certo Alatariel di salvifico non ha mai avuto nulla). Se volete sapere cosa accaduto a Galmoth e al resto della ciurma, ma soprattutto chi sceglierà Silevril tra i suoi molti spasimanti, appuntamento al prossimo capitolo.

Lunga vita e prosperità,

Thiliol

 

 

P.S. il titolo di oggi è un verso di “Forsaken” dei Korn

 

 

 

   
 
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