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Autore: Adeia Di Elferas    13/05/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Gian Galeazzo era stufo di sentire il medico di corte ripetere sempre le stesse paternali, con quel suo tono querulo e quelle mani nodose rivolte al soffitto, come a invocare qualche Dio in suo soccorso.
 “Con questo freddo non dovreste uscire così presto per andare a caccia...!” stava dicendo l'anziano: “Che poi cosa andate a cacciare, con tutta questa neve?!”
 Gian Galeazzo sbuffò, continuando a togliersi lo sporco dagli stivali. Il ghiaccio, mescolato al fango secco, faticava a staccarsi, ma il Duca rifiutava categoricamente l'aiuto dei suoi servi. Gli piaceva prendersi cura dei propri abiti da caccia, così come amava sellarsi da solo il cavallo e badare ai propri cani.
 Amava addentrarsi nei boschi di Pavia e non gliene importava nulla se in mezzo alla bufera di neve non riusciva a trovare nemmeno una preda. Era tutta l'atmosfera a piacergli. Non voleva rinunciarci per nessun motivo.
 “Se non vi riguarderete, la vostra malattia continuerà a peggiorare!” continuava il medico, pedante: “Volete che vostra moglie si trovi davanti un uomo alla fine della sua vita, quando da Napoli vi raggiungerà a Milano?”
 Gian Galeazzo scoccò un'occhiata di sufficienza al suo dottore e sentenziò: “Anche quando mi riguardo, alla fine sto male lo stesso. Preferisco godermi quel poco che posso e poi andarmene all'inferno in pace.”
 Il medico gonfiò le guance e per qualche minuto non riuscì a controbattere, limitandosi a guardare il giovane uomo che gli stava davanti allungare una mano per prendere una coppa di vino dal servo che gli stava accanto. In effetti sembrava in gran forma. Ma era solo un'illusione. Con lo sforzo di quella mattina, Gian Galeazzo si sarebbe trovato piegato in due dal dolore prima di sera.
 “Io voglio bere, cacciare e vivere tranquillo.” precisò Gian Galeazzo, asciugandosi le labbra con il dorso della mano.
 “Dovete riguardarvi, invece!” fece il medico, ritrovando la favella: “State per sposarvi! Dovrete avere dei figli per assicurarvi una discendenza! Voi siete il Duca di Milano!”
 Gian Galeazzo alzò un sopracciglio e, grattando via dagli stivale l'ultimo grumo di ghiaccio, chiese, con una risata cupa: “Lo sono? Davvero?”

 Caterina aveva appreso della notizia della fuga da Genova di sua sorella Chiara assieme a Fregosino con un incredibile ritardo.
 Le avevano anche detto che una delle due navi con cui erano scappati era affondata, ma c'erano buona probabilità che sua sorella fosse a bordo della galea superstite.
 La Contessa, così, aveva scritto immediatamente al Cardinale Sansoni Riario. Dato che i fuggiaschi erano diretti a Roma, magari Raffaele sarebbe stato in grado di scoprire qualcosa di più.
 Nel frattempo, Caterina si stava occupando dei conti della città, che mostravano buchi e ammanchi di anni, quasi impossibili da colmare, se non con i suoi fondi personali che, in quel momento, dipendevano quasi esclusivamente dalle elargizioni di suo zio e del Cardinale Sansoni Riario.
 Tuttavia, malgrado quei problemi oggettivi, Caterina sentiva un nuovo equilibrio ricrearsi nella sua vita. Gli incontri con Giacomo erano diventati ormai una certezza e pareva che nessuno, nella rocca, desse peso a questa loro consuetudine.
 Qualcuno aveva intuito che la Contessa aveva un amante, perché si era fatta in un certo senso più rilassata e la rabbia che covava sotto le ceneri si faceva vedere sempre più di rado. Per i più pettegoli, era ovvio che quel cambiamento fosse legato alla nascita di un interesse amoroso.
 In realtà non molti avevano capito cosa stava accadendo tra loro e quei pochi che ormai ne avevano la certezza erano talmente fedeli alla Contessa, che non avrebbero mai tradito il suo segreto, nemmeno in cambio di un sacco d'oro.
 Tra questi c'era la moglie di Bernardino, la sua devota cameriera. Caterina non aveva mai pensato che quella donna sarebbe stata tra i primi a sapere la verità, perciò era rimasta attonita quando, una mattina di quel freddo novembre, la domestica le aveva confessato ogni cosa.
 A spingere la moglie di Bernardino a parlare era stata l'ennesima richiesta di Caterina: “Questa sera non c'è bisogno che mi aiutate a prepararmi per la notte... Credo che starò sveglia fino a tardi a controllare i libri contabili.”
 La serva non riusciva più a sopportare tutte quelle scuse che erano, a conti fatti, bugie.
 Così, anche a rischio di perdere il proprio lavoro e di far perdere il posto anche a suo marito, che militava ormai da mesi proprio tra i soldati della rocca, aveva ammesso: “Lo so che c'è un uomo che frequenta la vostra camera ogni notte.”
 Caterina aveva subito drizzato la schiena, sentendosi scoperta e chiedendosi fin dove si sarebbe spinta la sua serva. La voleva ricattare?
 “Come...? Da quanto lo sapete?” aveva chiesto, cercando di non mangiarsi le parole.
 La moglie di Bernardino era arrossita appena e aveva fatto notare: “Io rassetto la vostra stanza ogni giorno, mia signora. I vostri abiti e il vostro letto. Non mi è stato difficile capirlo.”
 Caterina si era sentita una stupida. Tuttavia, il tono amichevole con cui quella donna le aveva parlato, le aveva fatto intendere che non c'erano secondi fini, in quel discorso.
 In ogni caso, la Contessa non era avvezza a quel tipo di conversazione e il disagio che cominciava a provare le rendeva difficile imporsi sulla cameriera così come avrebbe fatto in un qualsiasi altro contesto.
 “Non fraintendetemi, mia signora.” si affrettò a precisare la cameriera, temendo in una reazione della sua padrona: “Mi basta solo poter badare a voi come fa una cameriera personale, sapendo che vi fidate di me. Altrimenti mi sento così inutile...”
 Caterina aveva capito quel che la cameriera intendeva dire e le aveva dato ragione. Aveva preso tempo, dicendo che avrebbe voluto parlarne anche con 'lui', senza specificare altrimenti chi fosse l'uomo in questione, e l'aveva ringraziata per aver detto quel che sapeva.
 Giacomo all'inizio era stato un po' restio, aveva detto che Bernardino era un brav'uomo, ma che se sua moglie si fosse lasciata scappare qualcosa con lui, difficilmente il loro segreto sarebbe rimasto tra le mura della rocca.
 Caterina aveva fatto buon viso a cattivo gioco, fingendo di tenere in considerazione quello che Giacomo aveva detto.
 Chiamò quella sera stessa la sua cameriera e le fece giurare, alla presenza di Giacomo, che non avrebbe mai detto nulla a suo marito. E così la donna era diventata una volta per tutte la confidente ufficiale della Contessa.

 “Isabella, Isabella, Isabella! Non sento parlare d'altro!” si stava lamentando Beatrice Este, camminando per la stanza senza tregua.
 La sua dama di compagnia, una ragazzina come lei, cercava di tranquillizzare la sua padrona di tredici anni come poteva, senza avere molto successo.
 “Da quando sono nata, c'è qualche Isabella che vuole oscurarmi!” continuava Beatrice, allargando le braccia paffute e non trovando pace.
 “Mia signora, calmatevi...!” tentò di nuovo la dama di compagnia, con la voce che si spegneva sul finale.
 Beatrice finalmente smise di camminare, battendo infastidita uno dei piccoli piedi in terra. Era molto bassa per la sua età, ma era talmente ben proporzionata da sembrare una piccola bambola.
 Insomma, anche se non in modo convenzionale, la si poteva ritenere bella. Tutti quanti, però, fin da quando era nata, non avevano fatto altro che confrontarla prima con sua sorella, Isabella Este, e poi con sua cugina, Isabella d'Aragona.
 Era come se il mondo si fosse messo in combutta contro di lei, condannandola a essere l'eterna seconda, sempre battuta da una qualche Isabella.
 Quando era piccola, aveva vissuto qualche anno a Napoli, assieme alla cugina e da lì era nato il loro odio profondo. Beatrice era ritenuta dalla sua famiglia un'inutile spreco di spazio. Una femmina, quando, dopo la nascita della primogenita, avrebbero voluto un maschio per assicurarsi una linea di successione. Una femmina e nemmeno bella come la sorella maggiore.
 Uno spreco di spazio.
 E sua cugina, l'altra Isabella, non aveva fatto altro, quando vivevano sotto lo stesso tetto, se non prenderla in giro e rimarcare, più o meno velatamente la sua infinita inferiorità rispetto alla sorella.
 “Il vostro signore vuole che prima si sposi il nipote solo perché vostra cugina ha cinque anni più di voi...” tentò la dama di compagnia, approfittando del momentaneo placarsi della sua padrona: “Voi siete ancora molto giovane. È una decisione saggia, attendere ancora un anno.”
 Beatrice la guardò di traverso. Fin da quando aveva memoria, era stata promessa a Ludovico Sforza, e lei non vedeva l'ora di diventare sua moglie. Mentre quella mattina suo padre l'aveva informata che prima, quel dicembre, si sarebbero tenute le nozze di sua cugina Isabella d'Aragona e che solo dopo, nel gennaio del '91, lei e Ludovico si sarebbero finalmente sposati.
 Così, ancora una volta, si vedeva scavalcata da sua cugina.
 E in febbraio, a rendere il tutto ancora più insopportabile, si sarebbe sposata anche sua sorella Isabella, con Francesco Gonzaga.
 Benché, dunque, fosse stata quella col fidanzamento più lungo di tutte, Beatrice sarebbe stata l'ultima a diventare moglie.
 “Non importa.” concluse la ragazzina, incrociando le braccia sul petto e facendo una piccola smorfia: “Si sposino pure prima di me. Mio marito diventerà il più grande uomo d'Italia, più ricco e potente dei loro insulsi Gian Galeazzo e Francesco. Questo lo giuro sul mio onore.”

 Era il 21 di quel novembre e la neve aveva appena cominciato a cadere, coprendo la terra greve della pioggia dei giorni precedenti.
 Caterina aveva passato la giornata assieme ai suoi architetti. Voleva far costruire un piccolo appartamento privato sulle vecchie rovine dell'antica rocca di Ravaldino. Sarebbe stato fuori dalle mura, ma abbastanza vicino da permettere agli occupanti di correre al sicuro, in caso di pericolo.
 In più, stava perfezionando il suo piccolo orto e l'appezzamento coltivato a erbe medicinali. In quei mesi invernali non avrebbe avuto molti risultati, ma già dalla primavera di quello stesso anno si aspettava di ottenere grandi soddisfazioni. Avrebbe anche piantato qualche albero da frutto.
 Perciò, dopo tutte quelle ore passate china su dei fogli a far lavoro di concetto, avrebbe avuto voglia di muoversi un po'. Peccato che il cortile si stesse imbiancando e che il freddo la rendesse alquanto pigra.
 Tutto quello che desiderava, in fondo, era mettersi davanti al camino e leggere un po', prima di incontrare Giacomo.
 Proprio mentre stava per ritirarsi, però, qualcuno bussò alla porta dello studiolo.
 “Avanti.” fece Caterina, senza nemmeno chiedere di chi si trattasse.
 Il castellano entrò, chiudendosi l'uscio alle spalle. Aveva l'aria determinata, ma sembrava anche triste.
 Per un breve istante, Caterina temette che le stesse portando brutte notizie su Chiara. Che fosse giunto un dispaccio da Roma in cui si diceva che sua sorella era morta in mare?
 La Contessa non poteva essere più lontana di così dall'argomento che Tommaso voleva sottoporle.
 “Mia signora.” cominciò l'uomo, con un breve inchino: “Sono qui per chiedervi il permesso per... Sono qui – ricominciò da capo Tommaso, faticando a trovare la voce per parlare – per chiedervi il permesso di sposare vostra sorella Bianca.”
 Caterina trasecolò. Si appoggiò di peso allo schienale della poltroncina di pelle a cui era seduta e dovette trattenersi dal manifestare troppo apertamente la sua sorpresa.
 Che Bianca nutrisse per Tommaso una certa ammirazione, non era un mistero. Ma che lui la ricambiasse e che intendesse addirittura sposarla le sembrava un'esagerazione.
 “Volete sposare mia sorella Bianca?” chiese Caterina, pensando, forse, di aver capito male.
 “Sì. Voglio sposare vostra sorella Bianca.” rispose Tommaso, con prontezza.
 Caterina non avrebbe avuto nulla in contrario. La differenza d'età tra i due era notevole, ma esistevano matrimoni felici malgrado ostacoli come quello. Il suo dubbio maggiore risiedeva nei sentimenti del castellano.
 Per esperienza, sapeva che un matrimonio non poteva funzionare, senza l'amore reciproco. Quando solo uno dei due era innamorato, il fallimento era inevitabile.
 Perciò, con serietà, si apprestò a fare una domanda che la metteva in difficoltà, ma che non poteva evitare, per il bene di Bianca: “Voi amate mia sorella?”
 Tommaso non si fece pregare, per rispondere: “No.”
 Caterina lo fissò attonita: “Vi renderete conto, spero, che una simile affermazione non depone a vostro favore.”
 “Sì, me ne rendo conto.” ammise Tommaso: “Ma non voglio mentirvi. Non l'ho mai fatto e non intendo cominciare proprio ora.”
 Caterina trovava tutta quella situazione surreale. Il suo castellano le stava chiedendo la mano di sua sorella e aveva appena confessato di non essere affatto innamorato di Bianca. A che gioco stava giocando?
 “E dunque perché mai volete sposarla?” chiese Caterina, scuotendo lentamente il capo.
 “Per starvi vicino.” fece Tommaso.
 Caterina scattò in piedi: “Continuate così e troverò una scusa per esiliarvi da Forlì!” minacciò.
 Quello che le aveva appena detto Tommaso, forse, avrebbe lusingato alcune donne, ma per lei era solo l'ennesima mancanza di rispetto. Non aveva mai dato, in coscienza, modo al castellano di pensare che lei provasse qualcosa per lui. Dunque perché stava mettendo in piedi quella farsa? 
 “Lasciate che io sia chiaro.” riprese Tommaso, moderando la voce, per sembrare meno agitato di quanto non fosse.
 Era evidente che quelle parole gli stavano costando moltissimo, tuttavia l'uomo non voleva umiliarsi del tutto di fronte alla sua signora, perciò proseguì, con tono fermo: “Vostra sorella mi piace. Vi assomiglia in molte cose, anche se non in tutto, ovviamente. Quando ride, quando è pensierosa... Mi ricorda voi. Però io posso amare solo voi. Me ne sono reso conto troppo tardi.”
 Caterina si rimise a sedere. Nemmeno Giacomo sapeva essere tanto schietto con lei, quando si parlava di sentimenti. Il suo amante le dimostrava quel che provava coi fatti, non era audace con le parole quanto lo era il fratello maggiore.
 “Se siete così certo dei vostri sentimenti, perché non vi rassegnate a restare solo e basta?” chiese Caterina, con durezza.
 Tommaso restò in silenzio, come un santo sulla graticola, in attesa del colpo di grazia che, sapeva, non sarebbe arrivato. Doveva bruciare fino alla fine.
 “Tutti i vostri sofismi sull'essere un soldato fedele e non un uomo innamorato dunque erano solo chiacchiere.” constatò Caterina, stringendo i denti.
 “Io sono un soldato fedele, ma a volte l'uomo innamorato prende il sopravvento.” si difese Tommaso, alzando il mento con orgoglio, come a dire che quel fatto non sminuiva certo il suo valore militare.
 Caterina si arrese: “Fino a qualche mese non avrei capito il vostro discorso e non vi avrei creduto, ma adesso...” la sua mente corse a Giacomo e a tutte le decisioni azzardate che aveva preso negli ultimi tempi: “Ora so cosa significa amare qualcuno e non poterci far nulla. Vi capisco e non vi faccio una colpa dei vostri sentimenti.”
 Tommaso avvampò. Nelle parole della sua signora si avvertiva la presenza di Giacomo. Lui le aveva appena confessato il suo amore, e lei stava pensando al suo fratello Giacomo. Era tutto così ingiusto...
 “Vi ripeto ancora una volta la domanda.” fece Caterina, sentendosi stanca, ma decisa a venire a un dunque: “Amate mia sorella?”
 “Farò del mio meglio per essere un buon marito.” rispose Tommaso, a occhi bassi, le mani allacciate dietro la schiena.
 “Non è la risposta alla domanda che vi ho posto.” controbatté Caterina, ancora parecchio irritata da tutta quella situazione.
 “Saprò renderla felice.” promise il castellano, in un sussurro.
 “Non è quello che vi ho chiesto.” ribadì la Contessa, con ostinazione.
 “E allora sappiate che la risposta è sempre la stessa: no, non amo vostra sorella!” perse la calma Tommaso.
 “E allora perché mai volete sposarla?!” sbottò Caterina, incapace di accettare quell'idea balzana.
 “Perchè io amo voi e non potrò mai avervi.” disse Tommaso, con voce roca e bassa, così diversa da quella che Caterina era abituata a sentirgli uscire di bocca: “Dunque, perché non sposare una donna che mi ama e che vi somiglia?”
 “Questa affermazione potrebbe portarvi sulla forca.” lo redarguì Caterina.
 “Impiccatemi pure, se è quello che volete.” concesse Tommaso, allargando le braccia.
 “Non è quello che voglio.” fece Caterina, passandosi una mano sulla fronte, incapace di trovare una soluzione a quell'impasse.
 “Lo so.” osò dire Tommaso, annuendo appena.
 La Contessa sorvolò su quell'ultimo azzardo del castellano e chiese: “Bianca sapeva che sareste venuto a chiedermi la sua mano?”
 Tommaso fece segno di no e così Caterina gli disse: “Bene, allora prima ne parlerò con lei. Solo dopo aver capito cosa si aspetta esattamente dal vostro matrimonio deciderò cosa fare.”

   
 
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