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Autore: Ilovethegreenofyoureyes    18/05/2016    0 recensioni
Ciao a chi sta leggendo, che dire, questa storia parla di un demone, un demone che ha messo in discussione tutto quello in cui credeva, quando un giorno si trovò a incrociare lo sguardo di uno dei Winchester. Voglio precisare che non è una storia sdolcinata, e che è la prima volta che scrivo. La protagonista è Isabelle, la sua storia volente o dolente s'intreccia con quella dei cacciatori.
Posso dire solo questo, visto che la trama nasce man mano che la scrivo...
Spero vi prenda, lei ha preso me.
Grazie in anticipo per chi leggerà.
Buona lettura.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Impala, Lucifero, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
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Gli ultimi mesi erano passati troppo lentamente, mi sentivo come chiusa in una bolla che solo io riuscivo a vedere. I rumori del mondo ovattati mentre le urla si facevano strada dentro la mia testa incessanti, certi momenti mi sembrava di impazzire. 
Dovevo nascondere la verità a lui, affogare l'oscurità, zittire le voci, gestire Jane... tutto insieme. Diventava ogni giorno sempre più difficile, più devastante, più doloroso, ed io più debole. 
Le ricerche per mantenere la promessa fatta a lei, non mi portavano da nessuna parte. Promessa fatta li in quella stanza, quella stessa notte passata con la paura che il mio incubo peggiore diventasse realtà. Lui di sotto sul divano a una rampa di scale da me. John, era stato fin troppo attento, e lei ancora di più proteggendo la sua mente da invasioni esterne. Ma non capivo che in quel caso ero io a tenere lontano lei. 
Non mi sarei arresa, avrei trovato quello che cercavo a qualunque costo. Quella notte cambiò tutto, dovevo scoprire chi mi aveva attaccata, o chi aveva attaccato Jane.
Poi mi restava l'ultima cosa da fare, affrontare Dean. Faccia a faccia, ma davvero ci sarei riuscita?

Dopo l'incontro nel bosco, l'avermi salvata da Jackson e i suoi amici, da quella notte che si era improvvisato chirurgo salvandomi, ignaro della mia vera natura, i nostri rapporti cambiarono mio mal grado, nonostante volessi tenermi lontana da lui, lo vedevo più spesso, per via dell'identità di Jane, il suo lavoro, le indagini, le scuse.
Le settimane passavano, una dopo l'altra diventando mesi, ogni tanto collaboravamo nei casi "strani", non poteva sapere cosa ci fosse davvero dietro, o almeno era quello che speravo. Con la consapevolezza che lui era il migliore nel suo campo e sarei potuta finire spalle contro al muro contro la verità. 
Quegli anni a seguire i loro casi, loro, era come se io lo conoscessi già da una vita, solo che lui vedeva solo quella maschera che portavo. Dovevo toglierla prima che fosse troppo tardi, prima che lo scoprisse in altri modi, prima di diventare nemici. Ma non ora. 

Ed eccomi qui, dovevo combattere un altro nemico, me stessa, allontanarmi dal rumore della vita, urla troppo, l'oscurità vuole uscire e zittirla. 
Uscii fuori dalla porta guardandomi attorno, una serata tranquilla, il canyon era il posto migliore. Chiusi la giacca e mi materializzai li sulla mia roccia sedendomi, portai le braccia attorno alle gambe e mi concentrai sulla vasta vista di fronte a me.
La notte passò lenta, ne osservai tutte le sue sfaccettature, prima del alba mi materializzai a casa, dovevo arrivare prima cosi da nascondere i vari ritagli di giornale, i libri di Jane, le bottiglie di Jack, o sistemare casa da eventuali miei sfoghi, nel caso passasse a prendermi. Stavo perdendo il conto di tutte la menzogne che stavo accumulando. Sistemai il pannello sotto il letto come al solito e dopo una doccia veloce mi cambiai, indossai "la divisa" pantalone nero, canotta nera sotto una giacca di pelle, distintivo alla cintura, ero pronta ad un altra giornata di lotta. Scesi di sotto diretta in cucina, prima di uscire dovevo ricaricarmi con una dose del mio liquido preferito. Presi la bottiglia che stava già sul tavolo e riempii il bicchiere a metà, non volevo esagerare, specie nei giorni che sapevo dovevo incontrare lui. Dovevo mantenere la lucidità per quanto possibile, e per perdere quella bastavano le voci e il verde. 
Socchiusi gli occhi mandando giù d'un fiato il liquido rimasto lasciando il bicchiere sul tavolo, come da abitudine stavo per materializzarmi sul posto che mi interessava, ma il suono del cellulare mi bloccò. 

"-Ho una pista per il tuo caso, e uno nuovo io. Ci vediamo sulla scena del crimine, non sarà difficile per te trovarla. Ti aspettiamo-"

Una frase molto formale, tono serio di voce, pronunciò quelle parole per poi riattaccare, probabilmente era con altri agenti e possibili testimoni. Misi via il cellulare e uscii dalla porta, niente poteri per questa volta. Chiusi la porta raggiungendo la vettura sovrappensiero, era snervante comportarmi da umana, essere Jane dopo che per sei anni l'avevo evitata, essere lei adesso che sapevo, con lui sempre nei paraggi, oltre al terrore che mi scoprisse temevo si ricordasse lei, o dei ricordi del mio attacco che gli avevo rimosso.
Misi in moto scuotendo il capo per scacciare ogni pensiero e lo raggiunsi.

Quando ci incontravamo sulle scene del "crimine", o su qualche caso, non si rendeva conto che per tutto il tempo quasi non respiravo. 
Ascoltavo le sue parole come se da esse dipendesse la mia vita, ed effettivamente a volte era così. 
Quello sguardo, i movimenti delle labbra, gli occhi, la sua mimica facciale mi rapiva alcune volte, tanto che dovevo scuotere il capo per tornare lucida, concentrata su quello che stavamo facendo.

-Odio questa parte Jane. Lo sai vero..-

Ripetevo sempre ogni volta che scendevo dalla mia vettura e lo raggiungevo sul posto. 
Odiavo quel umanità che tanto mi stava insegnando degli umani.
Diamo loro dei deboli, ma non lo sono per niente. Come si può convivere ogni giorno con tutto questo e restare in piedi? 
Sono forti. Sono fottutamente forti.
Giunta sul posto parcheggiai poco distante e scesi avvicinandomi a lui, a loro, a piedi, questa volta c'era anche Sam con lui, li salutai con un cenno della testa spostando lo sguardo sugli altri due agenti mostrando il mio distintivo, mi presentai chiedendo poi a loro i dettagli. 
Ascoltai i discorsi mentre ci spostavamo da li diretti verso un locale vicino, mi chiedevo come facesse a mangiare a qualsiasi ora quelle schifezze. Scossi il capo e tornai tornai guardare davanti a me entrando nel locale, ordinai un caffè che "truccai" con un leggero schiocco delle dita, osservai lui ed il fratello spostarsi al tavolo mentre discutevano del caso, e di quanto poco salutare fossero gli Hamburger, due discorsi opposti che per loro sembrava normale mettere insieme.

-Vai, chiederglielo Isabelle. -

Mormorai portando il bicchiere di carta alle labbra, sentii l'aroma del caffè inebriarmi le narici, bevvi un sorso spostandomi dal bancone e li raggiunsi sedendomi di fronte a loro, quella scena mi procurò un flash, Jane, John, il fast food. Per un momento lo sguardo apparve perso, la mano di Sam che si agitava davanti alla mia faccia mi riportò li, mano che poi allungò verso me, quella era la prima volta che ci incontravamo io e lui, afferrai la sua mano stringendola per qualche secondo mentre pronunciavo il mio nome, lui il suo, provai una strana sensazione, un brivido attraverso la mia schiena, mi ero presentata come Jane, era come rinnegare me stessa ogni volta.
Dopo quella presentazione poggiai la mano sul tavolo bevendo un altro sorso di caffè mentre portavo lo sguardo su di lui che stava addentando il panino, masticò il boccone mandandolo giù farfugliado qualcosa, "come avrai capito lui è il mio collega", ammetto che quella scena mi fece sfuggire un lieve sorriso, che nascosi subito.

-Allora, dimmi delle novità sul caso...sul mio caso.-

Replicai al suo farfugliare con la bocca piena, le immagini della sua espressione compiaciuta mentre mi picchiava, i suoi occhi, le risate, ricordare quella notte faceva salire la mia voglia di strappargli il cuore. Senza rendermi conto presa da quel pensiero strinsi il bicchiere del caffè nella mano fino a incrinarlo, ero come assente, le urla nella mia testa, l'odio che saliva, cercai di rimanere più calma possibile e ricordarmi che non ero sola.
Il tocco di una mano contro la mia mi fece sussultare, portai lo sguardo verso essa seguendo l'altra fino al suo volto, quegli occhi, prese il bicchiere che avevo schiacciato in quella stretta, senza distogliere lo sguardo dal mio, tornai in me in quel momento.

-Calmati. Nessuno ti fará più del male. Okay? Ti ho fatto una promessa, e intendo mantenerla.
Ho trovato uno di loro. Dopo andiamo in centrale e lo interrogo.-

Disse lui con quel tono di voce che mi rassicurava in un istante, mi lasciai sfuggire un lieve sospiro per poi respirare profondamente, annuii a quelle parole distogliendo lo sguardo dal suo alzandomi poco dopo, dovevo allontanarmi un momento, mi serviva aria. Con la scusa di andare a rinfrescarmi andai in bagno, entrai chiudendo la porta dietro me, poggiai la schiena contro essa socchiudendo gli occhi e mi materializzai lontano da li, un posto a caso in mezzo al nulla. Strinsi i pugni e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, aprii gli occhi completamente neri, respiro irregolare, avrei voluto farli a pezzi, sentirli urlare, avere la mia vendetta. 
Passò qualche minuti e tornai li in quel bagno, nel locale, una rinfrescata al viso ed uscii di li tornando da loro, espressione calma mossi le labbra in un semi sorriso e gli feci un cenno con il capo come a fargli fretta.

-Su, andiamo ad interrogarlo, e risolvere questo caso...-

Dissi dandogli poi le spalle diretta verso l'ingresso, uscii raggiungendo la mia vettura sulla quale salii mettendo in moto, ci saremmo visti direttamente in centrale. 
Per tutto il tragitto non feci altro che pensare a come uscirne, da un lato speravo che chiudesse in fretta il caso per sentirmi "al sicuro", dall'altro non volevo, sapendo che a quel punto sarebbe andato via. Presa da quei pensieri non mi resi conto di essere già arrivata, ero ferma davanti la centrale mani strette al volante, dei colpi contro il finestrino mi fecero sussultare, mi girai trovando lui a picchiettare contro il vetro, spensi il motore, scesi e dopo aver chiuso portai lo sguardo su di lui.

-"Il mio collega si dedica a l'altro caso per ora."-

-Voglio entrare nella stanza anch'io. -

Disse lui, io lo interruppi con quella frase guardandolo dritto negli occhi, poteva chiaramente leggere nei miei cosa stavo provando, non replicò, annuii invitandomi a seguirlo con il cenno del capo. Entrammo diretti nella stanza degli interrogatori, pochi minuti dopo uno degli agenti accompagnò il ragazzo, nell'istante in cui mi passò accanto mi ci volle un autocontrollo smisurato per non afferrarlo per il collo e sparire da li, Dean si avvicinò a me, sentii la sua mano che afferrò il mio polso, si sporse verso me, che strinsi il pugno della mano.

"-Mantieni la calma, Jane.-

Lo disse a bassa voce, quasi in un sussurro, mi lasciò il polso senza aggiungere altro, deglutii a vuoto ed annuii, a volte mi spaventava il suo capire come mi sentivo e intervenire, indietreggiai per poi poggiarmi alla parete della stanza. Lui si sistemò la giacca con fare da "agente" e raggiunse lui sedendosi di fronte.
Seguivo ogni movimento, anche il più impercettibile della sua espressione mentre lo "interrogava", Mark, uno degli amici di Jackson, quel bastardo avrebbe pagato, ogni calcio, ogni pugno, ogni singola bastonata. 
Speravo davvero che fosse lui a trovarlo per prima, la rabbia che covavo nei suoi confronti si accumulava, veniva alimentata da quel'oscuro con cui combatto ogni giorno. Non sarebbe rimasto vivo faccia a faccia con me.
L'interrogatorio andò avanti per ore, lasciai fare a lui senza intervenire, poggiata contro quella parete, incrociai le braccia al petto e cercai di mantenere la calma, una calma apparente, lavorare a stretto contatto con il "nemico" non era una passeggiata, non lo era affatto.
Dovevo stare attenta ad ogni mia mossa sbagliata, ogni passo falso, attenta alle trappole che piazzava per quel "mostro" del bosco che stava cercando, per me.
Ogni giorno mi chiedevo come avrebbe reagito, cosa avrebbe fatto se in una delle sue indagini, se alla fine, cacciando si sarebbe ritrovato sulle mie tracce faccia a faccia con me. Con il "mostro".
In quei mesi avevamo instaurato un rapporto di fiducia, come membri delle forze dall'ordine, copertura dietro la quale ci nascondevamo entrambi, era ben diverso quello che nascondevamo però, da un lato il cacciatore lui, da l'altro il demone io. 
Le due facce diverse della stessa medaglia. 
Non ero pronta al confronto, non senza maschere, e avrei dovuto stare attenta anche alla vita di Jane. I suoi segreti. 
Camminavo sui carboni ardenti, ad ogni passo rischiavo di bruciarmi.

"-Basta giocare! Dimmi dov'è si trova!-"

Urlò contro quel ragazzo battendo la mano sul tavolo, riportandomi alla realtà, in quella stanza, a torchiare l'amico di quel pezzente. Mi spostai dalla parete alla quale ero poggiata e mi avvicinai a lui, ci dividevamo i ruoli, agente buono agente cattivo, e lui era molto bravo a fare il cattivo, nonostante la "cattiva" tra i due ero io, tanto bravo che non avrei mai voluto trovarmi faccia a faccia con lui in quelle vesti. 
Mi fermai alla sua destra chinandomi fino a raggiungere il suo orecchio.

-Lasciamolo andare e poi lo seguiamo.-

Sussurrai tornando dritta subito dopo, braccia incrociate, espressione seria, ma calma, guardai il ragazzo negli occhi serrando le labbra tra loro dalla rabbia nel ricordare i suoi calci contro l'addome, inclinai il capo e sciolsi le braccia indicandogli con la mano la porta.

-Vai adesso, e vedi di non sparire, ti contatteremo noi.-

Dissi con tono tranquillo. Lui si alzò senza farselo ripetere due volte e a passo svelto andò via, appena chiuse la porta Dean si alzò dalla sedia, era al quanto adirato, quella caccia stava durando troppo, troppi giorni, troppi mesi, andava via per raggiungere il fratello, risolvere i loro casi, i loro casini, e nei buchi tra un caso ed un altro si faceva vivo. Mi aveva fatto una promessa, e lui mantiene le promesse. Era il suo lavoro, scovare mostri ed ucciderli, la sua vita. Ed era bravo, fottutamente bravo in questo. Se avesse sospettato, se si fosse avvicinato troppo, non avrei avuto scampo. 
Questo pensiero mi logorava, mi chiedevo spesso cosa avrebbe fatto. Io avevo mandato a puttane tutto il mio mondo per quel maledettissimo verde. E lui? Lui di fronte alla verità cosa avrebbe fatto? 

-Lo troveremo.-

Dissi interrompendo quel silenzio che si era creato nella stanza, mi guardò un istante serrando le mascelle, annuì sistemandosi la giacca e distolse lo sguardo andando verso la porta, afferrò la maniglia e la strinse girando di poco il capo verso me.

-"Devo raggiungere Sam adesso per l'altro caso. Ci sentiamo dopo. Per qualsiasi cosa, chiamami."-

Disse con tono apparentemente tranquillo, poi aprì la porta ed uscì dalla stanza, lo seguii subito dopo chiudendo la porta dietro me, giunti fuori dalla centrale ci separammo ognuno diretto nella vettura propria vettura, andando ognuno per la propria strada quel giorno. Ma una volta intraprese certe strade sono destinate a incrociarsi, ancora, e ancora. 

Tornai a casa con la sola voglia di affogare ogni cosa, scesi dalla vettura sbattendo lo sportello con forza, la tensione accumulata mi stava schiacciando, appena varcai la porta di casa le luci iniziarono a lampeggiare, esplodere, ne avevo accumulato troppa. Andai dritta in cucina afferrando quella bottiglia che stava sul tavolo, quella che avevo cercato di evitare la mattina, non lo versai nel bicchiere, in un gesto veloce alzai il braccio portandola alle labbra, socchiusi gli occhi e lascia scorrere quel liquido giù per la gola, un lungo sorso, lungo come quelle ore passate a combattete la mia natura, passate fianco a fianco a lui, la mia debolezza più grande. 

-Ti stai divertendo, vero Jane?

Sbuffai alzando lo sguardo verso il soffitto, dopo aver mandato giù quel sorso, strinsi gli occhi scuotendo il capo e mi spostai diretta al piano di sopra, un sorso non sarebbe bastato, e nemmeno quella mezza bottiglia per far sparire ogni cosa.
Entrai in camera bevendo ancora per poi poggiarla sul comodino, il mal di testa aumentava ogni minuto sempre di più, mi lasciai cadere sul letto perdendo lo sguardo verso il soffitto, ripercorrendo tutto il giorno coi pensieri...allungai la mano insinuandola sotto il cuscino ed afferrai quel sottile foglio lucido, una delle foto trovate in quella busta mesi prima, quello squarcio verso una vita non mia, ma che sentivo mia fino al midollo.
Deglutii a vuoto alzandola fino a portarla davanti agli occhi, le avevo chiesto aiuto una di quelle volte che in preda all'oscurità mi ero sporcata ancora le mani, e lei come risposta mi invase con quei sentimenti che tanto odiavo, l'amore per quel bambino che io nemmeno conoscevo, un amore immenso, incondizionato, puro.
Mi abbandonai a quella sensazione quella notte, accettai la sua "umanità" senza combatterla, e per un momento non sentii nulla, ne tormento, ne voci, ne urla, nient'altro che pace. Mi aggrappai a questo pensiero, ricordo non mio, come fa lei li nella sua "trappola" che è la mia mente, ed ogni tanto quando tutto era troppo da gestire, cercavo rifugio in quel umanità. Guardavo quella foto, quel sorriso dolcissimo e la sua espressione felice nello specchiarsi in quegli occhi. Un amore che avevo scoperto anch'io di poter provare, un amore che mi consumava, che nascondevo, ma che non potevo rinnegare. 

-Perché.....-

Mornorai girandomi su di un fianco stringendo a me il cuscino, in quel momento mi sentii cosi umana da averne paura, chiusi gli occhi cercando di non ascoltare le urla, di concentrarmi solo sul sussurro, era notte fonda ormai, quasi l'alba, mi abbandonai pian piano a quello stato di dormiveglia, senza alcuna barriera tra me e Jane. 

Poche ore e il sole entrò dalla finestra svegliandomi quasi in modo violento, portai d'istinto la mano davanti agli occhi e mi alzai passando quest'ultima sul viso per svegliarmi del tutto. Dovevo uscire alla svelta, prima che passasse, avevo lasciato un lavoro in sospeso ai piani bassi, dopo l'attacco a Jane stavo cercando di capire chi la volesse morta. Anche se scendere di sotto non era mai una buona idea, troppe tentazioni, troppe urla amplificate a stordirmi, tanto da non rendermi conto del tempo che effettivamente stavo passando li. 
Poi il buio, quel buio che mi inghiottiva, dove profondavo, quel buio che avevo dentro e che in quei momenti usciva lasciando che il peggio di me prendesse il controllo. I risvegli erano sempre un trauma, il vuoto nella mente, altro sangue sulle mani, urla nella testa, sensi di colpa sulla coscienza. Ore immersa in quel oscurità, quel torpore, poi una luce infondo. Un attimo prima il nulla, l'attimo dopo il verde.

Guardare in quegli occhi in cui mi ero specchiata più volte, in quel maledetto verde in cui mi perdevo, con i miei neri come la pece, mi spezzò. 
Il suo sguardo sorpreso dapprima, incredulo, deluso, che pian piano mutò in qualcosa che non avrei mai voluto vedere, sentire su di me. Uno sguardo pieno d'odio.Tradimento. 
L'aria sembrava essere cessata nella stanza, in un secondo avevo distrutto ogni cosa, ogni muro, me. 
Ero immobile, mano contro in suo collo, lui spalle al muro, un silenzio agghiacciante ci circondava, il tempo sembrava essersi fermato, ed io ero tornata in me. Ed ora? Non riuscivo a muovermi, allentai la presa dal suo collo, respirare era presso che impossibile. Il mio peggior incubo era appena diventato reale. 

-Isabelle! Ehi...Isabelle??

Una voce chiamava il mio nome, la sua voce, ma le sue labbra non si muovevano, mi specchiavo nei suoi occhi vedendoci un mostro. Indietreggiai sentendo la vista appannarsi, il suo silenzio mi uccideva più di mille coltelli, esorcismi, poi ancora quella voce, la testa che sembrava volesse esplodere, portai le mani contro le tempie nel tentativo di fermare ogni cosa, la sua immagine era sempre più contorta, sfocata, e fu buio, ancora.

-Isabelle!-

Di nuovo la sua voce, poi avvertii un calore alle guance, uno schiaffo, poi un altro, non forti, aprii di colpo gli occhi respirando con affanno, battiti irregolari, cercai di focalizzare il posto dove mi trovavo, la sagoma davanti a me, misi a fuoco quel viso ritrovandomi davanti a lui, i suoi occhi, come era possibile? Cos'era successo? 
Mi passai la mano sul viso distogliendo lo sguardo dal suo e mi guardai attorno, ero spalle al muro, non riuscivo a distinguere cosa era vero e cosa no. La realtà e le visioni si accavallavano, mi ero esposta? L'avevo attaccato? Tornai a guardarlo per cercare di capire, la sua, era un espressione normale, più preoccupata che piena d'odio e delusione come quella di qualche minuto prima.

-Cos'è successo? Dove siamo? -

Chiesi occhi nei suoi come se volessi leggere i suoi pensieri. Portò una mano sulla mia spalla stringendola appena, e con un cenno del capo mi indicò alla sua destra, spostai lo sguardo in quella direzione, eravamo davanti ad un motel, uno di quelli dove di solito si fermavano, tornai a guardare lui confusa, cosa ci facevo li? 

-Sicura di stare bene? Siamo al motel dove alloggio, ricordi il caso che stavo seguendo con Sam? È da ieri che ci lavoriamo, abbiano studiato il caso tutta la notte. Siamo usciti dalla stanza per andare a prendere un caffè ma di colpo sei diventata strana.
Andiamo il caffè ti serve doppio.-

Disse lui assumendo un espressione perplessa, spostò la mano dalla mia spalla indicandola sua vettura, si fermò dal lato del guidatore poggiando le mani sul tetto guardandomi, mi fece cenno di raggiungerlo poi aprì la portiera salendo a bordo e mise in moto, rimasi a guardarlo ancora confusa da quello che era successo. Non ricordavo nulla delle ore precedenti, di come ero arrivata li, della notte passata con lui a studiare il caso, l'ultimo ricordo era di me che andavo di sotto, poi le voci, il buio, e adesso il vuoto nella mente. Scossi il capo avvicinandomi alla vettura ed aprii chinandomi per guardarlo.

-Ti seguo con la mia, non posso lasciarla qui.-

Dissi mostrando una calma apparente, la verità era che volevo allontanarmi da lui. Ma non si trovò d'accordo, battè la mano sul sedile del passeggero muovendo ancora il capo in un cenno, "-forza sali, hai una pessima cera, non ti laccio guidare"- replicò con quel tono serio che esce ogni volta che voglio fare una sciocchezza. Sospirai e senza aggiungere altro salii in auto, chiusi la portiera e spostai lo sguardo fuori dal finestrino, il mio corpo era li, ma la mente era persa, rivivevo la scena di prima, quel suo sguardo deluso, deglutii a vuoto provando una stretta allo stomaco, poi guardai lui, tranquillo, sguardo fisso sulla strada, mi guardò un istante, poi tornò vigile, mentre ci allontanavamo dal motel diretti in un bar. Avevo altro ancora sul quale lavorare, questo buco di due giorni, azioni che non ricordavo, che diavolo mi stava succedendo? Altre domande. Dubbi. Tormenti da affrontare. 

Passarono giorni, tre settimane da quel evento inspiegabile, il caso al quale lavoravano fu risolto, e loro partiti per tornare alle loro faccende, ci tenevamo in contatto tramite e-mail, con messaggi, chiamate, per aggiornarlo sui sviluppi del mio caso. 
Tornammo alle nostre vite ognuno nella sua città, lui a caccia dei suoi demoni, io dei miei. Della vita dei cacciatori alcune cose mi sfuggivano, come il fatto che tra di loro si conoscono, o in generale se cacci da molto, o appartieni a generazioni di cacciatori la fama ti precede, e Jane, doveva essere una cacciatrice ingamba. In alcuni casi, usarla mi era stata utile con altri cacciatori. 
Non molto tardi scoprii che lui era al corrente che "ero" una cacciatrice, ma non mi disse nulla, e nemmeno io, per farlo doveva scoprire anche lui le sue carte. Invece ci mentivamo a vicenda. Ma non potevo più rischiare che arrivasse a l'altro segteto, cosi presi la decisione di usare ancora Jane per avere altro tempo. Mi esposi. 
Cercai un caso irrisolto, qualche morte sospetta, poi contattai loro. Avrei messo in mezzo la cacciatrice, detto che conoscevo il mondo sovrannaturale, così da avere una scusa per le mie sparizioni, per quando mi perdevo dentro quel oscurità. Sperando che funzionasse. 

Più il tempo passava più mi sentivo in trappola.
Tornai a casa aspettando che mi contatasse dopo aver ascoltato il mio messaggio in segreteria. Probabilmente aveva il cellullare spento per via di qualche caso che stavano seguendo.
Mi resi conto ben presto che stavo giocando con il fuoco. 
Che quel limite che stavo varcando era pericoloso. 
I castelli di carta sono fragili, la minima folata di vento e crollano. Ed era così la mia vita al momento. Carte, su carte, segreti, tasselli, bugie e verità nascoste, cresceva sempre di più, ed ogni cosa girava intorno ad un unica vita. La sua.
Mai far diventare qualcuno il pezzo che tiene tutto in piedi... il destino è un sadico bastardo e si diverte a giocare, se per suo divertimento quel pezzo viene a mancare....
Volano le carte, vacilla la torre, cade il castello, crolla tutto.. e la vita che conoscevi potrebbe cambiare per sempre.
Sei disposta a correre il rischio?

-Jane. Lasciami in pace.-

Mormorai dando un colpo con la mano alle carte sul tavolo e afferrando la bottiglia, mi materializzai via da li, lontano, li nel nulla, sulla mia roccia di fronte a quella immensa distesa che in qualche modo riusciva a riempire quel vuoto che mi logorava da dentro.

Qualche giorno dopo mentre ero nella stanza delle ricerche, per cercare una via d'uscita dalla mia gabbia umana, il suono del cellulare attirò la mia attenzione, misi via il libro che avevo davanti e risposi alla chiamata, ormai mi veniva quasi automatico. Non guardai nemmeno il display, "Jane Stewart, detective, in cosa posso esserle utile?"
Dall'altro capo lui, per qualche istante il silenzio, poi la sua voce, aveva ascoltato il messaggio. 
"-Dobbiamo parlare, ti aspetto al motel-" disse quella frase con un tono serio, non riuscii a capire il suo stato d'animo, la sua reazione a quella rivelazione. -"Sono nei paraggi, ci vediamo.-" replicai riattaccando subito dopo. Non era vero che ero nei paraggi, ma mi sarei materializzata poco distante. Mi alzai dalla sedia ed uscii dalla stanza scendendo le scale velocemente, presi la giacca, la borsa e mi materializzai sul retro del motel. Odiavo mentirgli, ma non avevo altra scelta, dovevo avere la sua completa fiducia prima di togliere la maschera.
Raggiunsi la sua camera e alzai la mano chiusa a pugno per bussare, in quel momento ripensai a quel giorno, il giorno in cui avevo deciso di andare da lui, il giorno che Lucifero mi portò via, che iniziò il mio inferno. Presi un respiro profondo e bussai, poco dopo la porta si aprì, incrociai il suo sguardo subito, non disse nulla, si scansò lasciandomi entrare richiudendo la porta dietro se. Quel silenzio mi inquietava, mi fermai nel centro della stanza, piccola, troppo piccola pensai, l'unico mio pensiero era andare via prima possibile. Si spostò verso il mobiletto e riempì il bicchiere, osservavo la sua espressione, ogni sfumatura, si inumidì le labbra portando il bicchiere contro queste ultime, bevve un sorso, poi passò la lingua su esse e spostò lo sguardo su di me, io immobile, trattenevo il respiro. 

"-Cosi, sei una cacciatrice. Perché tenerlo nascosto per tutto questo tempo. Sono mesi che lavoriamo insieme, e non hai detto una parola. Cos'è cambiato?-"

Disse quelle parole agitando la mano in segno di disappunto, guardandomi negli occhi come se cercasse in essi le risposte, la verità. Bevve un altro sorso visibilmente contrariato. Scossi il capo sospirando appena.

"-Nemmeno tu ti sei esposto. È quello che facciamo no? Nascondiamo chi siamo per proteggere gli altri e noi stessi. È cambiato, che mi fido di te.-"

Replicai con tono calmo, sostenendo il suo sguardo, nonostante quel verde mi destabilizzasse. Poteva capire che non stavo mentendo, non mentivo, nascondevo ogni giorno la mia natura, per non far del male, per trovare una scappatoia. Ascoltò le mie parole serrando le labbra, infondo sapeva che avevo ragione, bevve un altro sorso finendo il contenuto e lentamente si girò dandomi le spalle, tornò vicino al mobiletto poggiando su esso il bicchiere, ed io li con mille pensieri nella testa, che facevano a pugni con le voci.

"-È pericoloso. Hai ragione. Non avviciniamo nessuno. Viviamo per proteggere gli altri, e quando non ci riusciamo...-"

Lasciò la frase in completa e prese la sua giacca da federale che stava appesa allo schienale della sedia, non si voltò a guardarmi, spostò il corpo in direzione della porta e la aprì uscendo. Lo raggiunsi subito dopo, e chiusi la porta che aveva lasciato aperta per me. Non sapevo come decifrare quella sua reazione. Mi fermai dietro di lui che si stava sistemando la giacca, poi aprì il cofano della sua baby controllando che ci fosse tutto.

"-Il peso di quelle perdite, quei fallimenti, ci schiacciano... Non sono una persona da proteggere. Siamo colleghi. So badare a me stessa.-"

Dissi interrompendo quel silenzio, lui si fermò da ciò che stava facendo, portò le mani sul cofano e lo chiuse, il rumore mi fece sussultare. Avevo detto che non ero una persona da proteggere, ma in quei mesi mi aveva "salvata" due volte. E continuava a seguire il caso di Jackoson. Mi sentii debole in quel momento, pensai alle parole che Jane mi sussurrava incessanti. 
Si girò verso me guardandomi in quel modo, con quello sguardo duro, severo, ed io trattenevo il respiro senza batter ciglio, senza replicare, io che con il solo movimento di una mano avevo spezzato più colli di quanti riesco a contarne, di fronte a quello sguardo, quel espressione, perdevo ogni potere. Perdevo me.
Serrai le labbra tra loro distogliendo lo sguardo dal suo chiudendo li, cosi ogni mia protesta, o pensiero.

-"Non sarai un altro senso di colpa sulla mia coscienza, Jane. Non te lo permetterò."

Chiuse li il discorso. Tornai a guardarlo a quelle parole. Nei suoi occhi potevo leggere ogni male, dolore, perdita che aveva sopportato nella sua vita, e quello che sentivo mi stringeva la gola in una morsa.
-"Nemmeno tu il mio, Dean."
Pensai. Più collaboravamo, più quel "legame" diventava una lama a doppio taglio.
Non puoi cambiare ciò che sei, puoi nasconderlo, a te, agli altri, ma è li dentro, pronto a uscire e distruggerti. Ed io mi nascondevo dietro una vita non mia, farlo ogni maledetto giorno era estenuante, il suo istinto da cacciatore prima o poi avrebbe prevalso su l'uomo, l'amico, avrebbe capito, e mi avrebbe odiata con tutto se stesso.
Entrammo entrambi in macchina senza aggiungere altro, mise in moto ed andammo via da li per raggiungere Sam da Bobby, e risolvere il caso.

[..]

Alla fine di ogni giorno tornavo a casa, in quella casa grande, vuota, silenziosa, ma piena di urla nello stesso tempo. Emozioni impresse in quelle mura, che mi tenevano sveglia, notte dopo notte. Passai dalla cucina prendendo una bottiglia e mi diressi di sopra, potevo materializzarmi ma non lo feci, salii le scale, gradino dopo gradino, uno dopo l'altro cercando di lasciare la pesantezza di quel giorno scivolare dietro me. Entrai in camera e mi distesi direttamente, sospirando stanca. Schioccai le dita facendo apparire quel quaderno, ogni tanto lo evitavo, ma mi serviva per mantenere il contatto con la realtà. 
Era l'unico modo per non perdermi del tutto. Appuntare ogni cosa in quel maledetto diario. Anni di vita, tormenti, di me, di lei, dei miei sbagli più grandi. Ogni sera in quella stanza, su quel letto, mettevo nero su bianco pezzi di me.

-Non è ironico Jane? 
Sei la mia peggior nemica e la mia unica amica. -
   
 
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