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Autore: getsomeSleep    18/05/2016    0 recensioni
Dove una ragazza incontra un ragazzo in modo troppo bizzarro per far evolvere la loro storia in maniera normale.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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3 - The coke is stupid
«Agnes, tesoro, muovi il culo» sento gridare mio padre da dietro la porta della mia stanza.
Mi alzo e mi trascino fino al corridoio.
Guardo mio padre, col maglioncino verde di flanella guardarmi con una ciambella in mano.
«Buongiorno anche a te, papà» gli dico io sorpassandolo e prendendogli la ciambella dalle mani.
Amo i miei due papà.
Dean e Corey Harriet.
Sono due persone completamente diverse.
Il primo ha i capelli castani e gli occhi chiari. Non esce di casa senza una camicia stirata e inamidata o un maglione.
Corey... Che dire. È il papà col quale andresti a fare un tatuaggio o al quale chiederesti una sigaretta. È un ex giocatore di rugby professionista e mi ha insegnato ad amare quello sport.
«Muoviti. Devi andare a scuola.»
«Come se non lo sapessi» mormoro mangiando un altro pezzo della mia colazione.
Ritorno in camera e mi vesto alla solita maniera. Jeans, maglietta a maniche corte con sopra una felpa o una camicia a quadri aperta.
Scelgo la felpa.
Mi lavo la faccia e i denti, metto gli occhiali e torno in salotto.
«Papà, la bici è a posto?»
«L'ho riparata ieri sera» dice mio padre con in bocca i cereali. 
«Ci vediamo dopo» dico baciando la guancia dei miei per poi uscire con la giacca addosso.
Prendo la bici dal garage e mi scappa un sorriso.
Ovviamente non si era limitato ad aggiustare la catena, ma aveva fatto la revisione completa. Le ruote gonfiate, i pedali stretti e la sella regolata.
Metto le cuffiette nelle orecchie e parto verso la scuola.
In pochi minuti entro nel parcheggio e vado a legare la bici dietro l'edificio come faccio tutte le mattine.
«Ciao, cugina stupida» sento la voce di Blake dire.
«E da quando saresti diventato quello intelligente?» replico io.
«Hai fatto colazione?» mi chiede.
«Sì» gli rispondo.
«Beh, ti ho portato lo stesso un Bounty, per essere sicuro che la mancanza di roba da mangiare non ti faccia diventare una vecchia frustrata.» Ma che carino.
Scuoto la testa con un sorriso mentre ci incamminiamo verso l'interno.
Entro nell'aula di geografia e nel banco accanto al mio trovo Julius.
«Ciao, compagna di banco» mi saluta mentre approfitta dell'assenza del professore per giocare con la PSP.
Mi siedo appoggiando la testa sul banco.
«Odio i lunedì» dico.
«Ma oggi è mercoledì.»
Alzo la testa con uno sguardo parecchio confuso.
«Nes, meno pizza e Breaking Bad da oggi in poi.» Detto questo si becca uno sguardo omicida da parte mia.
Il prof attraversa la stanza.
«Aprite il libro a pagina 384»

                                    ***

«Nes, mi dai un passaggio in bici?» E nella lingua di Julius voleva dire che lui pedalava e io mi mettevo sul portapacchi.
«Dove andiamo?» gli domando.
«A che ora lavori oggi?»
«Quattro e mezza.»
Annuisce lasciandomi senza una risposta.
Gli lancio le chiavi del lucchetto e Julius slega e monta sulla bici.
Io, come sempre d'altronde, mi siedo sul portapacchi.
Mentre percorriamo la strada che porta verso casa sua, ci mettiamo a cantare. Siamo talmente bravi che le persone sentendoci si toccano come se fosse passata l'ambulanza.
La casa di Julius è una bella villetta a schiera. Niente di particolarmente appariscente. Ma nel giardino sul retro c'è un tappeto elastico, e con questo non devo aggiungere altro.
Scendo in modo non molto aggraziato e, mentre il mio amico porta la bici, andiamo verso quella meraviglia che ha in giardino.
Ora, non sono molto propensa allo sport o a qualsiasi cosa implica movimento e sudorazione eccessiva, ma chi non ama i tappeti elastici? Nessuno.
Dopo aver tolto le scarpe e i giubbotti, iniziamo a rimbalzare e a ridere come degli emeriti deficienti, cosa che siamo sotto ogni punto di vista.
«Nes, sei pronta a vedere il famosissimo carpiato Rydell?»
«Ti farai male, e io riderò di te.» Gli amici si vedono nel momento del bisogno.
«Sta' zitta» dice fulminandomi.
Si prepara come se fosse davvero un atleta di alto livello. Poi cade. E io rido.
«È stato più divertente del previsto» gli faccio notare.
«Quando imparerò a fare questo cavolo di salto ti inchinerai di fronte alla mia bravura» mi dice lui con finto fare altezzoso, facendomi ridacchiare.
Per alcuni secondi c'è un silenzio leggero. Ma il nostro 'ho fame' lo spezza in un istante.

«Agnes» mi chiama Julius con la bocca piena di pane e nutella. Io alzo lo sguardo in attesa che continui.
«Non dovremmo metterci a studiare?» Lo sguardo che gli rivolgo sarebbe stato lo stesso se mi avesse detto di essere a dieta.
«Farò finta di non aver sentito quel che hai appena detto» gli rispondo facendogli nascere un sorriso alla nutella sulle labbra.

                                  ***
Mentre pedalo verso casa, mi ritrovo a pensare alle ragazze e al genere femminile in generale. 
Mia nonna è, apparentemente, l'unica donna capace di capirmi,Mi manca davvero tanto, ma il Minnesota non è vicino. Mi manca la sua cucina, il suo salotto dall'aria antica ma non vecchia, con il caminetto di mattoni e i mobili di legno. Mi manca stare seduta con lei sul divano a guardare i più stupidi reality show che trasmettono. Mi mancano i suoi consigli e le sue mani rugose che mi accarezzano i capelli. Mi manca sentirla raccontare della sua vita passata insieme a mio nonno e di come lo abbia amato per tutta la vita. A volte è parecchio strano avere una donna come punto di riferimento. Insomma, sono circondata da uomini dalla mattina alla sera. Un po' di tempo fa avevo un'amica. Non è finita bene. Essendo una persona possessiva sono molto gelosa di ciò che considero mio. La mia amica si stancava di me e smetteva di parlarmi. E io ho fatto la stessa cosa.
Assorta ancora dai pensieri di un paese lontano e di una delle persone a cui voglio più bene, arrivo nel vialetto di casa mia. Non ci sono le macchine dei miei.
Canticchiando una canzone di Ariana Grande apro la porta di casa e butto lo zaino e il giubbotto all'ingresso. Tolgo gli auricolari e faccio andare la canzone a volume alto.
Interrompo la mia performance canora degna di un uccello agonizzante per chiamare i miei ragazzi, Zeke e Trevor.
Il primo è una piccola palla di pelo di quattro mesi, l'avevo trovato tre mesi prima per strada e l'ho nascosto nella mia felpa. I miei papà lo sono venuti a sapere solo un mese dopo che io lo avevo portato a casa. Era di tutte le sfumature del marrone e aveva gli occhietti verdi. Un gatto con la passione per l'arrampicata. Fa free climbing sulle tende, sulle persone... Su Trevor.
Quest'ultimo è il gatto con più scazzo che abbia mai visto. È perennemente sdraiato. Dappertutto e in tutte le posizioni. Per spostarsi da un posto dove sdraiarsi all'altro, lui si butta per terra e rotola.
Alla fine fa le stesse cose che vorrei fare io.
Verso di me vedo arrivare solo Zeke.
Lo prendo in braccio e lui si arrampica per riuscire a sedersi sulla mia spalla, poi vado verso il frigo.
Avanzi. Avanzi. Avanzi. Pizza. Avanzi.
Qualcosa mi attira e non sono gli avanzi.
Prendo il cartone della pizza, la bottiglia di coca cola e chiudo il frigo.
Mentre vado verso camera mia, parte teenage dirtbag.
Her name is Noelle
I have a dream about her
She rings my bell
I got gym class in half an hour
Oh, how she rocks
In Keds and tube socks
But she doesn't know who I am
And she doesn't give a damn about me
Entro in camera cantando il ritornello, ma appena rivolgo la mia attenzione verso il mio letto, dalla mia bocca esce un'imprecazione davvero poco femminile che fa scappare via Zeke e che mi fa cadere la bottiglia di coca cola.
Seduto tranquillamente sul mio letto c'è Jeremy.
Ci guardiamo per qualche secondo.
«Hai davvero detto...» inizia a domandarmi riguardo alla parolaccia.
«Sì, cazzo. Sai, mi sono dimenticata di averti invitato» dico sarcasticamente.
Tra le sue braccia c'è Trevor con l'espressione di chi si è appena fatto una canna.
«Che ci fai qui?» gli chiedo.
«Sono passato a trovarti e a ridarti il cd - fa una pausa - prego, siediti, fa come se fossi a casa tua» dice indicandomi lo spazio vuoto accanto a se.
Raccolta la coca da terra mi avvicino, gli metto il palmo aperto della mia mano sul viso e spingo la sua faccia da culo sul cuscino, facendolo ridere.
Mi siedo a gambe incrociate sul letto e apro il cartone della pizza.
Guardo Jeremy.
«Pensi di andartene o...» dico lasciando in sospeso la frase.
«Tu hai da studiare?» Povero ingenuo.
«Se avessi dovuto studiare avrei un libro in mano, non una fetta di pizza.»
«Allora sto qua a tenerti compagnia» dice sorridendo e posando Trevor sul cuscino.
«Ma non hai niente di meglio da fare?»
«No. Niente di meglio.»
Sorrido. Poi, senza guardarlo, gli allungo una fetta di pizza.
Dopo due fette di pizza mi viene sete.
Prendo la bottiglia e cerco di aprirla con davvero scarsi risultati.
«Jeremy, mi apri la coca?»
«Mhmh» mi risponde masticando.
Con poco sforzo svita il tappo, ma la coca cola schizza dappertutto come se fosse un irrigatore da giardino.
Coperta bagnata, pizza inzuppata. Vestiti bagnati e appiccicosi.
Rimango un attimo senza parole, ma vedendo la faccia di Jeremy, un misto di sorpresa e di ilarità, scoppio a ridere. Jeremy mi segue.
«Spero ti piaccia la pizza al salame e coca cola» mi dice indicandomi il cartone.
Lo guardo un attimo.
Ha la parte inferiore della maglietta e i pantaloni bagnati.
Mi alzo e controllo sul pavimento e sulle sedie, cercando la felpa di Eminem di Blake.
La trovo e gliela lancio. Poi vado in bagno e nel cesto della roba da stirare (cosa che non capisco. A volte Dean si comporta come una casalinga) e trovo i pantaloncini blu che mio padre usa per giocare con me in giardino.
Torno in camera e Jeremy si sta mettendo la felpa. Lo ammetto, è molto carino.
«I pantaloni li cambi in bagno» dico porgendogli i pantaloni.
Lo sento ridacchiare mentre gli indico il bagno.
Velocemente tolgo i vestiti appiccicosi e metto la maglietta del negozio sopra una maglietta a maniche lunghe e un paio di jeans presi a casaccio. Quelli con l'orlo troppo alto.
Essere alta un metro e cinquantatré è scomodo. Dean è diventato la mia sarta personale e gli orli vanno che è una bellezza.
Una volta uscito dal bagno, si rimette vicino a me sul letto.
«Che facciamo?» mi chiede.
Guardo l'ora sullo schermo del mio telefono.
«Sono le quattro e un quarto. Devo andare al lavoro."
«Dove lavori?»
"Al Game Over» gli rispondo.
Per pochi istanti regna il silenzio.
«Me lo sarei dovuto aspettare» borbotta facendo girare lo sguardo ai miei poster di supereroi e ai fumetti sparsi per la stanza.
Esco dalla stanza e Jeremy mi segue.
Mentre camminiamo in corridoio, sento la porta di casa aprirsi e un «È uscito il nuovo Call Of Duty, muovi il culo» diffondersi fino alla casa dei vicini.
Blake.
«Come se non lo sapessi, te l'ho fatto mettere da parte» dico io scendendo le scale.
«Agnes.»
«Sì?»
«C'è un ragazzo dietro di te.» Ah, già.
Silenzio. Solo silenzio.
«A-ah. Lui è il mio tutor... Di scienze.»
«Ok, va bene. Tu chi sei?» dice rivolgendosi a Jeremy. Mi sono dimenticata un particolare abbastanza fastidioso di mio cugino. È l'unico che sa riconoscere una mia bugia. E questa è evidentemente una bugia visto che il ragazzo accanto a me l'ho conosciuto tre giorni fa e che il mio tutor di scienze non esiste.
«Sono-» inizia Jeremy.
«Oh cazzo, sei Jeremy McQueen» esclama mio cugino.
Ma perché cazzo tutti riconoscono questo cretino?
«Ehm, sì. Sono un suo amico.»
Blake lo osserva.
«Nes, abbracciami.» Alzo gli occhi.
Metto le braccia attorno al suo collo.
«Perché cazzo ha la mia felpa e i pantaloni del sabato del rugby di tuo padre?!»
Sbuffo.
«La coca-cola ha schizzato dappertutto.»
«Adesso è così che si dice?!»
Rimango perplessa qualche istante.
«Non credevo portassi a casa dei ragazzi per far "schizzare la coca-cola dappertutto"» continua. Ora sono offesa.
«Ma cos'hai in testa, segatura?!» dico allontanandomi velocemente da lui.
Mi volto verso Jeremy che sorride abbastanza in imbarazzo.
L'imbarazzo ha lasciato la sua firma anche sul mio viso come se mi avesse tirato uno schiaffo e il segno della mano mi fosse rimasto stampato e ben visibile sul viso.
«V-vado al lavoro, Blake, chiudi tu.» Ed esco con la testa bassa e senza salutare nessuno.
Corro e raccolgo la mia bici lasciata sul prato a prendere un sole che oggi non esiste.
Inizio a pedalare velocemente verso il negozio.
Cosa cazzo ha nel cervello quel coglione di Blake? Ho fatto solo cadere una bottiglia di coca-cola, cazzo.
Gli sembro il tipo di ragazza che potrebbe portare a casa un ragazzo?
Arrivo velocemente davanti al negozio.
«Ciao Brian, come stai?» Mi avvicino a lui e gli scompiglio i capelli lunghi. Quando capita di ritrovarsi in una giornata con pochi clienti, gli faccio le trecce. Mi piacciono i suoi capelli.
«Bene, sei pronta per il giorno del giudizio?» mi chiede con aria seria. E il giorno del giudizio, lo è davvero. Ogni volta che esce un nuovo videogame pieno di violenza gratuita e di sangue come se piovesse, che tra parentesi è uno dei generi che preferisco, il negozio è invaso da ragazzi di tutte le età che vengono a ritirare il disco chiuso dentro una custodia che hanno ordinato almeno quattro mesi prima della data di uscita.
Sono già stanca.
La porta si apre e vedo questo ragazzino corre tutto trafelato verso la cassa.
«Ho ordinato il nuovo Call Of Duty.»
Sospirando, vado a prendere l'ordine.
Sarà un pomeriggio infernale.
 

   
 
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