N/A:
ecco l’aggiornamento con un ritardo mostruoso. Chiedo venia, ma per impegni vari
ho dovuto posticipare. Spero di farmi perdonare.
Umbrella
VITA
DA CELEBRITA’
Mycroft
aprì gli occhi e sorrise, trovandosi davanti il volto di Gregory, ancora
profondamente addormentato. Lo osservò per alcuni istanti, poi spostò lo sguardo
verso la finestra, attraverso la quale filtravano alcuni raggi di sole: a
giudicare dall’angolazione e dall’intensità della luce, dovevano essere già
passate le nove di quel sabato mattina, ma poco importava. L’ultima mossa di
Sherlock, benché meschina, tutto sommato non era stata così tremenda come forse
suo fratello aveva sperato che fosse: la polvere urticante, benché estremamente
pruriginosa e fastidiosa, era stata la scusa perfetta che lui e Gregory avevano
utilizzato per concedersi una giornata chiusi in casa, lontano da tutto e da
tutti, a cercare di togliersi di dosso quella sostanza nella loro vasca da
bagno. Ci avevano impiegato qualche ora più del necessario, ma nessuno dei due
si era lamentato. Avevano poi trascorso una piacevole serata, godendo della
reciproca compagnia, fino a quando non si erano addormentati l’uno accanto
all’altro.
Sì,
decisamente Sherlock aveva fatto a entrambi un meraviglioso, inconsapevole
regalo, dato che era raro che
riuscissero a ritagliarsi momenti come quelli, a causa dei rispettivi lavori. Si
sarebbero dovuti alzare, ma c’era tempo e Gregory sembrava così beato...
guardando di nuovo il volto del compagno, non riuscì a trattenersi e gli
accarezzò una guancia, ricevendo in risposta una specie di borbottio sconnesso.
Ridendo tra sé, si sporse verso di lui, baciandogli la fronte.
“Buongiorno
Gregory, dormito bene?” gli chiese, vedendolo
stiracchiarsi.
“Mhm,
sì, direi di sì.” Gli rispose l’Ispettore, aprendo gli occhi e guardandolo con
aria assonnata. “Tu?”
“Anche
io. Dovremmo scendere a fare colazione.
“Nah,
prendiamoci ancora qualche minuto.” replicò Gregory, passandogli un braccio
intorno alla vita per bloccarlo, guadagnandosi uno sbuffo da parte del politico.
“D’accordo,
ma solo qualche minuto.” Gli disse, sorridendo, prima di aggiungere: “Sai, stavo
pensando di smettere con gli scherzi.”
L’Ispettore
lo guardò sorpreso.
“Smettere?
Davvero? E come mai?” gli chiese, alquanto costernato: Mycroft era sembrato così
deciso a vincere quella guerra e ora voleva chiuderla senza un’ultima
contromossa?
“Beh,
l’ultimo scherzo di Sherlock è stato una notevole caduta di stile. Insomma,
polvere urticante? Come se fossimo ancora dei bambini? Pensavo di giocare contro
un adulto, così non c’è molto gusto.”
“Forse
non serve che te lo ricordi, ma tu hai ricoperto lui e John di letame.” Gli fece
notare Gregory, ridendo.
“Era
diverso, la mia idea è stata paradossalmente più raffinata.” Replicò Mycroft,
facendo ridere di nuovo il compagno. “Sul serio, Gregory. Ho visto le
registrazioni, avrebbe potuto evitarlo se avesse usato la logica al posto
dell’irruenza di dimostrare che è più brillante di tutti.”
“Anche
tu avresti potuto capire che si era nascosto nell’armadio, però.” Fu la risposta
che ricevette e che gli fece inarcare un sopracciglio.
“Lo
difendi ora? Non ho dedotto la sua presenza in quell’armadio perché, se ricordi
bene, ero alquanto distratto al momento.” Gli disse.
L’Ispettore
gli sorrise sornione.
“Tutto
sommato hai le tue ragioni. Però devo ammetterlo, mi dispiace che tu abbia
deciso di smettere.”
“Ma
come? Proprio tu che all’inizio volevi che facessi l’adulto e ponessi una fine
alla guerra, adesso sei dispiaciuto che ci metta un
freno?”
“Beh,
l’ultimo scherzo di Sherlock ci ha regalato questo” gli rispose Gregory,
accarezzandogli un braccio. “E poi lo confesso, è bello vederti in azione su
qualcosa che non sia il lavoro. È…
sì, direi accattivante.”
Mycroft
lo guardò, sorridendo.
“Quindi
tu non vuoi che io smetta.” Affermò.
“No,
in effetti no. Anche perché non mi è piaciuto per niente l’atteggiamento di
John. Hai visto come era divertito di averci messi nel
sacco?”
“Sì,
il dottor Watson si è mostrato alquanto irriverente, ma vorrei ridimensionare
tutta la situazione e ricordare a Sherlock che la sfida è tra me e
lui.”
Gregory
lo guardò, sospirando.
“Suppongo
tu abbia ragione in fondo, ma… aspetta, questo vuol dire che hai già qualcosa in
mente?” gli chiese. Mycroft gli rispose con un ghigno stampato sul
volto.
“Oh
sì, mi è venuta un’idea che credo possa andare e che possa far capire chi è che
sta vincendo davvero. Certo, ci vorrà un po’ per realizzarla come si deve, ma
l’attesa renderà ancora più bello vederne la realizzazione
concreta.”
“Sembra
promettente” commentò Gregory, sorridendo “suppongo però che non mi dirai
nulla.”
“Esatto,
credo sia meglio così. Mi fido di te, ma ho visto che ti diverte di più vedere
il prodotto finito, per così dire. Tuttavia, stavolta avrò bisogno di un po’ di
collaborazione.” Replicò Mycroft. L’Ispettore inarcò un
sopracciglio.
“Collaborazione
con chi? Anthea?” gli chiese infatti.
“Oh
no. Se te lo dicessi, dubito che mi crederesti.”
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Qualche
settimana dopo…
“Allora,
è tutto pronto signor Anderson?”
“Tutto
pronto, signor Holmes. Ho seguito le sue istruzioni alla lettera e il progetto è
pronto a partire.”
“Molto
bene, allora può inviare il comunicato. Mi raccomando, usi quello che le ho
mandato io senza cambiarlo di una virgola.”
“Sarà
fatto, e… ecco, è in rete. Adesso cosa facciamo?”
Mycroft
ghignò tra sé, conscio che l’uomo all’altro capo del telefono non poteva
vederlo.
“Adesso
aspettiamo che mio fratello si decida ad uscire di casa. La ringrazio per il suo
aiuto.”
“Si
figuri, quello che me ne verrà è più di quanto potessi sperare. Grazie a lei per
avermi contattato. Buona giornata.”
“Anche
a lei.” Replicò il maggiore degli Holmes, interrompendo la chiamata. Bene, stava
andando tutto secondo i piani. Adesso bastava fare in modo che Sherlock
lasciasse l’appartamento per una qualche ragione, che fosse un caso o meno e il
divertimento sarebbe cominciato.
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Due
giorni dopo…
“Sherlock,
dov’è finita la roba che era nel frigo?” chiese John, la testa infilata nel
frigorifero.
“Avevo
bisogno di spazio per i miei organi, l’ho data ai ragazzi della rete dei
senzatetto.” Fu la risposta di Sherlock, mollemente sdraiato sul
divano.
“L’hai…
Sherlock, ma che ti salta in mente? Cosa mangiamo per cena?” gli chiese il
dottore, indignato, andando verso di lui e fermandosi, le mani sui
fianchi.
“Ah,
non lo so. Perché non hai fatto la spesa, scusa?”
“Perché,
caro il mio genio, pensavo che il frigo fosse pieno e invece qualcuno l’ha
svuotato!” esclamò John, esasperato. Sherlock lo guardò, prima di mettersi a
sedere.
“Vorrà
dire che stasera andremo da Angelo.” Gli disse, alzandosi.
“Cosa?
Ah no, non ho intenzione di tornare là dentro e cenare con una candela sul
tavolo e le risatine dei camerieri in sottofondo. No, adesso tu prendi il tuo
cappotto, ti alzi il colletto e vai a fare la spesa.” Gli ordinò il dottore,
incrociando le braccia al petto. Il consulente lo guardò.
“E
se mi rifiutassi?” gli chiese in tono di sfida, ricevendo un ghigno da John, che
gli voltò le spalle e si diresse verso il frigorifero, aprendolo e prendendo un
sacchetto.
“Se
tu ti rifiutassi, io, tanto per usare uno dei giochi di parole dei quali mi
accusi di abusare nei miei resoconti, rifiuterò i tuoi esperimenti dritti nel
bidone dell’immondizia.” Gli disse, agitando il sacchetto in mano e sorridendo
di fronte all’espressione orripilata del suo coinquilino.
“Non
oseresti, non… non puoi. Sono importanti!” gli disse infatti, balzando verso di
lui. John riuscì a schivarlo, spostandosi fuori dalla sua portata.
“Anche
il mio stomaco è importante, quindi ora fila, prendi il portafogli e vai a fare
la spesa! Ti manderò la lista per messaggio mentre sei per
strada.”
Il
consulente lo guardò, aprendo bocca un paio di volte per cercare di rispondere
degnamente, poi, di fronte all’espressione perentoria dell’amico, sbuffò e si
arrese.
“D’accordo,
va bene. Come vuoi tu.” Disse, andando verso l’ingresso e recuperando la sciarpa
e il cappotto. “Ma non ti lamentare se non prenderò le stesse cose che compri
tu.”
“Sì
sì, tanto lo so che prenderai prodotti diversi per farmi innervosire. Buona
missione, Sherlock.” Gli disse John, spingendolo fuori dall’appartamento e
chiudendo la porta dietro di lui. Il consulente sbuffò di nuovo, si strinse nel
cappotto e scese i gradini fino a uscire su Baker Street. Scartò subito l’idea
di prendere un taxi – d’altronde, il supermercato era solo a cinque minuti di
distanza – e si incamminò verso la sua destinazione. A metà strada, il cellulare
vibrò nella sua tasca, segnalando l’arrivo del messaggio annunciato da John.
Scorse la lista, decidendo subito che si sarebbe preso tutto il tempo che avesse
voluto per acquistare i prodotti, così il dottore avrebbe imparato a mandare lui
a fare acquisti. Arrivato al supermercato, entrò e prese un cestino, cominciando
a girare tra gli scaffali. Vista l’ora c’era parecchia gente, tutti
evidentemente appena usciti dal lavoro e fermatisi a fare compere sulla strada
del ritorno a casa. Impiegati, avvocati, infermieri… un vero potpourri di
rappresentanza della società londinese. Dopo aver fatto un giro di esplorazione
ed aver notato che erano già trascorsi quindici minuti, decise di cominciare a
prendere qualcosa. Si stava giusto dedicando alla scelta del latte, quando sentì
qualcuno, presumibilmente una ragazza, schiarirsi la voce alle sue spalle.
Dubitava che, chiunque fosse, si stesse rivolgendo a lui, così continuò a
leggere l’etichetta sulla bottiglia.
“Mi
scusi, signor Holmes.”
Stavolta
non potevano esserci errori, la ragazza stava cercando di attirare la sua
attenzione. Si voltò, trovandosi di fronte un paio di occhi castani molto
vivaci. La ragazza doveva avere poco più di vent’anni, studentessa che abitava
ancora con i genitori e... oh no, pensò tra sé, quando l’occhio gli cadde su un
particolare della giacca: attaccata sul petto, c’era una spilletta con su
scritto I believe in Sherlock Holmes.
Fantastico, doveva essere una delle socie dello stupido club di
Anderson!
“Non
concedo interviste e non ho intenzione di venire a uno dei vostri incontri,
quindi non sprecare il tuo tempo.” Le disse, sperando così di troncare il
discorso, ma rimase sorpreso quando la vide sorridere.
“No,
vorrei solo fare una foto con lei. Ci vorrà un istante, poi la lascerò in pace.”
Gli rispose lei, facendogli sgranare gli occhi. Una foto? Santo cielo, non
poteva nemmeno uscire tranquillamente a fare la spesa senza che qualcuno lo
assillasse per una foto? Ponderò l’idea di rifiutare, ma calcolando che doveva
ancora finire di fare la spesa e che non poteva scappare dal supermercato,
assentì con una sbuffata. Il viso della ragazza si illuminò.
“Ehi,
Judy, vieni a farci una foto?” chiese poi a una ragazza che se ne stava qualche
metro più in là ad osservare la scena. Quest’ultima, sorridendo, si avvicinò
sfoderando un cellulare, mentre la ragazza che lo aveva interpellato gli si
faceva più vicina e appoggiava la testa contro la sua spalla – gesto che lo fece
irrigidire subito, come si permetteva? Non si sforzò nemmeno di sorridere e
attese che il momento finisse e che Judy scattasse quella benedetta foto. Quando
la vide sorridere e confermare che lo scatto era andato a buon fine, si rilassò,
pronto a riprendere da dove si era fermato, quando si sentì richiamare di
nuovo.
“Ci
scusi ancora, anche Judy vorrebbe una foto. È
una sua grande ammiratrice, conosce il blog del dottor Watson meglio di chiunque
altro.” Gli disse la ragazza che lo aveva chiamato prima, un sorriso a trentadue
denti stampato sulla faccia. Ancora una volta fu tentato di rispondere che non
aveva tempo per simili fesserie, ma ancora una volta le obiezioni che si era
posto prima tornarono a farsi prepotentemente spazio nella sua testa, così, a
malincuore, accettò di nuovo. Scattata anche la seconda foto, rispose con un
borbottio alle due ragazze e si stava giusto voltando vero il latte, quando le
sentì dire qualcosa che catturò la sua attenzione.
“Due
foto! Non vedo l’ora che gli altri lo sappiano, siamo in
testa.”
“Già,
siamo state sicuramente le prime!”
Sherlock
si voltò per la terza volta, pronto a chiedere di cosa stessero parlando, ma le
due ragazze se n’erano già andate. Rimuginò quelle frasi nella sua testa,
cercando di trovare una spiegazione e guadagnando solo un brutto, bruttissimo
presentimento. Desistendo dal suo intento precedente, prese due bottiglie di
latte e cominciò a muoversi per i corridoi più velocemente che poteva per
prendere tutto quanto richiesto e tornare a casa quanto
prima.
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“Ma
dove diavolo si sarà cacciato?” borbottò John.
Era
passata quasi un’ora dal momento in cui Sherlock era uscito di casa per andare a
fare la spesa. Era possibile che stesse ritardando per farlo irritare, ma così
cominciava ad essere troppo. Stava per chiamarlo per l’ennesima volta quando
vide il display del cellulare illuminarsi e il nome del consulente comparire
sullo sfondo. Senza indugiare, rispose.
“Sherlock,
ma dove ti sei cacciato? Se è una tattica per non mandarti più da Tesco, sappi
che…”
“John,
devi aiutarmi, sono nei guai.”
La
voce terrorizzata del suo coinquilino pose fine alla sua predica. Nei guai?
Possibile che non potesse nemmeno fare pochi passi a piedi senza cacciarsi nei
guai? Certo era preoccupante che sembrasse così spavenato…
“Sherlock,
ti giuro che se è uno scherzo io..”
“Non
è uno scherzo, John! Mi danno la caccia!”
“Chi..
chi ti dà la caccia?” chiese il dottore, sempre più in
allerta.
“Le
socie della bara vuota”.
“…..”
A
John ci vollero alcuni secondi per riuscire a far arrivare le parole di Sherlock
alla sua mente, più un’altra manciata per essere in grado di connetterle e di
capire cosa comportavano.
“Cioè,
le ragazze del fan-club che Anderson ha creato in tuo onore ti stanno dando la
caccia? Perché?”
“Non
ne ho idea, ma credo di aver capito che si tratta di una specie di iniziativa e
scommetto che c’è mio fratello dietro a tutto questo. Sembrano sempre sapere
dove sono.”
“Sherlock,
dubito che Mycroft si metterebbe in combutta con Anderson
per..”
“Esatto,
dubiti! Proprio per questo non sospetteremmo mai di
lui!”
“Ora
basta, stai diventando paranoico! Questa storia degli scherzi ti ha totalmente
dato alla testa!”
“John,
per una volta usa il cervello! Queste ragazze sanno esattamente dove mi trovo,
sbucano dal nulla e riescono a rintracciarmi come se niente
fosse!”
“Hai
mai sentito parlare dei cellulari e della comunicazione del ventesimo secolo?
Staranno facendo passaparola.”
“Ha
poca importanza ora! John, devi aiutarmi!”
“E
cosa diamine posso fare, scusa?”
“Devi
venirmi a prendere!”
Il
dottore sbuffò, passandosi una mano sulla faccia.
“Va
bene, d’accordo. Dove sei?”
“Sono
in un vicolo di Clay Street. Ora devo staccare, sento che si stanno avvicinando.
Fai presto.”
John
non fece neanche in tempo a chiedergli a quale altezza di Clay Street si
trovasse che il consulente aveva interrotto la chiamata. Si mise il cellulare in
tasca e andò a prendere la giacca, prima di uscire
dall’appartamento.
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Venti
minuti dopo….
“Sherlock,
per l’ennesima volta, smettila. Non troverai niente in rete perché non c’è
niente da trovare.” Disse John dalla poltrona su cui si era accomodato dopo il
loro rocambolesco rientro a Baker Street. Le fan di Sherlock li avevano
inseguiti e per poco non si erano fatte investire dal taxi sul quale erano a
stento riusciti a salire. Avevano scattato anche diverse foto e il dottore non
osava immaginare cosa ne avrebbero fatto.
“Mycroft
deve entrarci qualcosa. Erano troppo ben organizzate.” Gli rispose Sherlock che,
seduto al tavolo di cucina, ticchettava furiosamente sulla tastiera del
portatile.
“Beh,
questo capita quando sei una celebrità che si fa desiderare. Se decidono di
braccarti, queste ragazzine ci riescono alla perfezione.”
“Non
ci arrivi proprio! Sembrava che stessero facendo una
classifica!”
John
si passò una mano sulla faccia per l’ennesima volta.
“Stai
cercando da tre quarti d’ora, avrai inserito trecentomila nomi e definizioni
diverse, hai cercato la tua foto, e non è saltato fuori niente. Sarà una bravata
tra ragazzine.”
“Proprio
per questo sospetto che ci sia Mycroft dietro. È
impossibile che ci sia un’organizzazione simile senza che io me lo sia
perso!”
“Beh,
grande detective, ogni tanto c’è qualcosa che sfugge anche a te, fattene una
ragione.”
“Che
hai detto?”
“Oh
andiamo, non ti sarai mica offeso!”
“No,
John” Sherlock smise di scrivere e si voltò a guardarlo. “Come mi hai chiamato?”
chiese.
Il
dottore inarcò un sopracciglio.
“Grande…
detective?” ripeté con una lieve incertezza nella voce. Il consulente lo fissò
per un secondo, poi batté le mani.
“Sono
un tremendo idiota!” sbottò, mettendosi a digitare di nuovo. “È
così ovvio!”
John
gli si avvicinò.
“Cosa
sarebbe ovvio?” gli chiese.
“Se
tu vuoi comunicare con qualcuno senza che altri lo scoprano, cosa
usi?”
“Un
codice.”
“Esattamente.
Ora, in questo caso le persone coinvolte sono molte, quindi mio fratello,
Anderson o chiunque abbia dato avvio alla cosa deve aver utilizzato un
linguaggio conosciuto da tutti gli affiliati e cosa meglio dei sinonimi per
veicolare un messaggio senza che io me ne accorga?”
“Sembrerebbe
un po’ macchinoso…” commentò John, pensieroso.
“Eppure
è così semplice! Ecco, guarda qua, trovato!” esultò Sherlock, girando appena lo
schermo in modo che anche il dottore potesse vedere. I due lessero un annuncio
che era evidentemente stato pubblicato da Anderson e che parlava del consulente…
senza però che il suo nome venisse fatto una volta che fosse una. Praticamente
impossibile da trovare se non si sapeva cercare. Ciò che più colse la loro
attenzione – e suscitò il loro orrore – fu che si trattava di una sorta di
competizione tra fan pe chi riusciva a fare la foto migliore e che si sarebbe
protratta per circa dieci giorni, data la sua elusività.
John
si grattò la testa.
“È
un bel problema.” Commentò.
“È
una catastrofe!” esclamò Sherlock, alzandosi in piedi. “Dieci giorni senza
uscire di casa, senza poter ricevere nessuno, senza potermi dedicare ai casi e…
Signora Hudson, cosa c’è?!” sbottò, vedendo che la porta si apriva e che la
signora stava entrando con un vassoio tra le mani.
“Cù-cù,
ho sentito del trambusto e ho pensato di fare un po’ di tea.” Disse, sorridendo
e andando a posare il vassoio con due tazze fumanti sopra sul tavolino da caffè
davanti al divano. “Sherlock, caro, mi sembri molto agitato.” Aggiunse,
sorridendogli e infilando le mani nelle tasche del grembiule.
“Lo
sarebbe anche lei se si trovasse a dover subire una tortura come la mia!”
replicò il consulente, appoggiandosi alla mensola del
caminetto.
“Oh,
ti farei convivere tutti i giorni con la mia anca, poi potremmo riparlarne.” Gli
rispose lei con una risatina, muovendo di nuovo le mani.
“Non
è la stessa cosa!” esclamò lui, voltandosi e trovandosi a dover chiudere gli
occhi, accecato da quello che pareva un flash. “Ma cosa…”
“Ah!”
esultò la padrona di casa, stringendo una piccola macchina fotografica tra le
mani e rimirando il risultato. “Vi ho presi tutti e due, alla faccia di quelle
adolescenti che si sono vantate di avervi rincorso ovunque. Oh, moriranno di
invidia, ih-ih” rise tra sé, andando più velocemente che poté verso la porta,
lasciandosi alle spalle i due uomini ancora shockati.
FINE
DEL CAPITOLO