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Autore: Manu75    19/05/2016    1 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Grazie a chi legge questa storia, a presto! ^_^


“Un gelido destino”

 

(La caduta degli Dei- seconda parte)

 

Cinquantatreesimo capitolo

 

(Luglio)

 

Il calore delle mani di suo padre, che filtrava sulle sue spalle dalla stoffa leggera della camicia da notte, la mattina in cui sua madre era stata rinvenuta morta.
Quella era l’unica cosa che Narcissa rammentava in quel momento.
Poteva quasi avvertire il tocco lieve, gentile ma deciso, di Cygnus che la bloccava prima che lei potesse entrare nel salotto e vedere il cadavere di Druella.
Ora non c’era nessun calore, nessuna protezione estrema a porsi tra lei e la morte con il suo orrore e il suo scempio.
Bellatrix si era data malata, negando decisamente la propria partecipazione al funerale di suo padre, i Lestrange non erano in Inghilterra e quindi, la penosa incombenza del riconoscimento del corpo di Cygnus, era tutta sulle spalle di Cissy.
Dorothy, seppur provata, le aveva detto di essere disposta ad eseguire quel compito ingrato al suo posto ma Narcissa aveva rifiutato con decisione: ormai aveva diciotto anni, era adulta e quello era suo padre, spettava a lei.
La zia Walburga era troppo prostrata: lei e suo fratello erano sempre stati molto uniti e quel colpo, insieme alle preoccupazioni che le dava Sirius, era stato davvero troppo.
Regulus era al suo capezzale e non poteva muoversi.
Tra pochi minuti ci sarebbe stata la cerimonia funebre, era tutto pronto, ma prima bisognava adempiere a quel triste rituale burocratico: un familiare doveva confermare che quello fosse proprio Cygnus Black.
Narcissa ricordava bene ciò che aveva provato davanti al cadavere di sua madre, quando era scivolata di nascosto nella camera dove era stato composto per la veglia.
Ma l’affetto pari allo zero che aveva sentito per Druella non era paragonabile al sentimento affettuoso, seppur formale, che aveva provato per suo padre.
Lui l’aveva educata, aveva condiviso con lei i suoi libri e le sue conoscenze, le aveva elargito affetto nell’unico modo che gli fosse possibile: dimostrandole ammirazione e dandole il suo consenso quando le sue azioni e i suoi comportamenti lo avevano soddisfatto. Le aveva inculcato i suoi principi, i suoi moniti avevano scandito la sua infanzia.
E ora era morto.
Essere una Black senza di lui era come sostare in un tempio mentre le imponenti colonne di roccia crollavano una ad una: prima o poi il soffitto le sarebbe franato addosso.
Così come un’ala di Weirwater era crollata addosso a Cygnus, o almeno così le avevano detto.
Lui era rimasto sepolto sotto le macerie, il suo corpo ne era stato straziato e devastato. Nessuno sapeva spiegare come un’intera ala di quell’antica dimora così solida avesse potuto implodere a quel modo, ma niente faceva pensare che ci fosse il dolo in quello sfortunato evento.
Narcissa non riusciva a decidersi.
Stava immobile davanti alla porta ricoperta di velluto blu scuro, i funzionari addetti al funerale si erano allontanati discretamente dopo un attimo di esitazione. Quella ragazza così giovane e bella li aveva dapprima inteneriti poi il suo sguardo, freddo e distante, li aveva convinti a lasciarla da sola.
Doveva farlo. Doveva scacciare quel nodo angoscioso e dare a suo padre l’ultimo saluto e il conforto della presenza di qualcuno che l’aveva amato, non meritava di non avere nessuno accanto a sé in quel momento.
Chiuse un attimo gli occhi, cercando dentro se stessa la forza di muovere quel passo che le avrebbe fatto varcare la soglia e posare lo sguardo su, lo sapeva, qualcosa di irreale e fasullo, qualcosa di orribile e grottesco al quale mai e poi mai lei avrebbe potuto associare suo padre.
Udì un lieve fruscìo e una mano grande che, con decisa gentilezza, le si posò sulla spalla destra.
Per un attimo credette che lo spirito di suo padre si fosse palesato, richiamato dalla sua angoscia, ma poi lo sentì: il suo profumo inconfondibile e la leggera stretta alla bocca dello stomaco in risposta ad esso, inconfondibile anche quella.
Aprì gli occhi lentamente e si voltò, incrociando degli straordinari occhi azzurri, così chiari da essere trasparenti.
Avrebbe voluto posare la guancia su quella mano e chiedergli, per favore, di portarla via da quell’ennesimo orrore ma sapeva che lui era la per accompagnarla e spingerla a superare quella soglia.
Avrebbe voluto strofinare il volto su quella mano e lasciare che le lacrime scorressero tra le sue dita, certamente lui l’avrebbe obbligata a sollevare il viso e compiere il suo dovere, a non ritrarsi davanti a quella prova.
E invece no.
- Vai, ci penso io- la voce di Lucius era fredda e atona, come spesso accadeva.
“Guarda me!” le aveva ordinato quando la Giostra stava per stritolarle le braccia, e l’aveva salvata togliendola da quel palco e da quella tortura.
I lividi bluastri erano ancora pienamente visibili.
- Non dovresti essere qui - riuscì a dire Narcissa, maledicendosi.
“Ti odio, odio quello che fai” gli aveva detto “ e spero che…” ... siate sconfitti e che lui cessi di esistere.
Le labbra di lui si stesero in un sorriso senza gioia - E’ quello che mi hanno detto i funzionari del cimitero, ho detto che potevano provare a fermarmi se ne avevano voglia -
Chi poteva fermare Lucius Malfoy?
La pressione della sua mano sulla spalla aumentò lievemente.
- Va, mio padre ti aspetta qui fuori. Poi verrà a salutarlo anche lui- il viso di Lucius era teso e sembrava scolpito in un blocco di ghiaccio.
- No, spetta a me - Narcissa lo guardò negli occhi e i loro sguardi si incatenarono come poche volte era accaduto in tutti quegli anni.
- Vengo con te - e la mano ricadde, scivolando sulla schiena e spingendola a muovere un passo.
Nonostante la situazione, nonostante il luogo in cui si trovavano, nonostante tutto lei sentì la prepotente emozione che il contatto e la vicinanza di lui riuscivano sempre a darle.
“spero che…” lui cessi di esistere, così tu sarai libero e io...
Superarono la porta blu insieme e si trovarono in un ambiente fiocamente illuminato dove l’atmosfera opprimente quasi le tolse il fiato.
Eppure un’altra cosa la colpì maggiormente, più ancora del profilo affilato di Cygnus e dei suoi tratti che una mano clemente ed esperta aveva cercato di ricomporre, rendendo meno violenta l’ombra livida della morte.
Lucius zoppicava.
Lei gli gettò uno sguardo di sottecchi e vide che la gamba destra era rigida e lui si appoggiava ad un lungo bastone nero, la cui impugnatura era scolpita a forma di testa di serpente.
Lui ignorò il suo sguardo ed entrambi si concentrarono su Cygnus.
Doveva aver sofferto molto e nulla poteva mitigare quella verità.

" Il mio più grande desiderio è avere un Malfoy per nipote. Per il legame che ho con tuo padre, per la grande ammirazione che nutrivo per tua madre ma, sopra ogni cosa, per il grande affetto che porto a te, Lucius. Sei il figlio che avrei voluto avere e che mi è stato negato. Per quanto mi riguarda, sei un grande uomo"

Lucius strinse le labbra.

" Non desidero altro che vederti sposato con l’unica figlia della quale sono realmente orgoglioso. L’unica nella quale riconosco il mio sangue, Lucius. Prima di morire desidero poter brindare alla vostra unione e poterti chiamare figlio..."

Nei lineamenti disfatti di quel corpo senza vita faceva fatica e riconoscere i tratti di colui che aveva ammirato e compreso più del suo stesso padre.
Gettò un’occhiata a Narcissa: la sua espressione era insondabile ma lui vide brillare una lacrima all’angolo dell’occhio e le labbra erano leggermente socchiuse come se fosse caduta in una sorta di incredulo torpore.
L’afferrò per il braccio, riscuotendola da quella specie di trance, e la trascinò fuori, dove li aspettava un profondamente provato Abraxas.
- Abbi cura di lei- Lucius la spinse verso suo padre e l’uomo l’accolse in un abbraccio paterno che rischiò di fare crollare la maschera che Narcissa stava faticosamente sostenendo.
Ma non era quello l’abbraccio che lei anelava e di cui sentiva il bisogno.
Lucius zoppicò altero e rigido verso i funzionari del cimitero e svolse le formalità al posto di Cissy, poi non le si avvicinò più.
Un via vai di volti e di condoglianze sussurrate in modo rigido e formale.
Narcissa non vacillò un istante ma Abraxas le rimase accanto per sostenerla in caso di bisogno.
Ad un certo punto la ragazza sollevò il viso, provando la sensazione di essere osservata, ma non vide nessuno. Lasciò scorrere gli occhi lungo le colline circostanti, che proteggevano il vecchio cimitero nobile dove l’enorme tomba della famiglia Black sorgeva.
Non riuscì a distinguere nulla e quindi si concentrò sulla funzione funebre, resistendo alla tentazione di chiedere ad Abraxas cosa avesse fatto Lucius alla gamba destra.
“Anche in questi momenti, nonostante tutto…” era lei la prima a stupirsi: se ne preoccupava ma lo rifuggiva, lo voleva accanto a sé ma lo respingeva, lo desiderava ma lo odiava.
No, non lo odiava.
Strinse le labbra combattendo contro l’impulso di correre da lui e chiedergli cosa mai gli fosse accaduto in quelle quarantotto ore da quando si erano lasciati davanti alla casa degli Hinchinhooke.
Dopo che lui l’aveva trascinata verso la carrozza dei Black, strizzandola senza troppi complimenti nel suo mantello di lana pregiata con il collo in pelliccia di volpe argentata, un indumento assurdo per quella stagione, per poi depositarla nella vettura e chiudere la porta con violenza, senza più rivolgerle una parola o uno sguardo.
Combatté contro la voglia di sventolare la mano, salutare tutti e lasciare quella cerimonia così tediosa e opprimente: tanto suo padre non si trovava lì, le sue spoglie martoriate si ma non il suo spirito che, non aveva dubbi, vagava ancora integro e integerrimo come sempre, probabilmente tra le rovine dell’amata Weirwater.
Si tirò la veletta nera sul volto e si sentì libera di lasciar scorrere lo sguardo sui presenti, cercando di resistere alla tentazione di cercare lui e solo lui.
Niente da fare: i suoi occhi scrutarono, schivarono, saettarono e scivolarono finché non lo trovarono.
Si era messo da parte, defilato rispetto alla piccola folla presente.
Era più alto della maggior parte degli uomini, indossava con eleganza un sontuoso abito nero il cui colletto dalla foggia orientale sottolineava il collo e il volto appuntito dalla pelle particolarmente pallida, i capelli biondi scendevano liberi sulle spalle.
Gli stivali arrivavano al ginocchio e lei notò che la gamba destra indossava una specie di tutore che la sosteneva fino a metà coscia, sbucava dallo stivale di pelle e si palesava solo ad uno sguardo attento.
Le mani erano coperte da guanti neri e quella destra poggiava su quel bastone eccentrico e finemente intarsiato.
Ad un certo punto quella mano fece compiere un giro su se stesso al bastone, una sorta di piccola piroetta, lasciandolo piantato nel terreno.
Stupita, Narcissa alzò lo sguardo sul suo viso e vide che Lucius lo ricambiava, avendo percepito perfettamente l’esame attento a cui l’aveva sottoposto da sotto la veletta nera.
Lei arrossì e lui arricciò le labbra in un piccolo sorriso insolente, come se potesse vederla perfettamente in volto e coglierne il rossore.
Cissy riprese a seguire la funzione che stava giungendo al termine e di nuovo lanciò uno sguardo verso le colline circostanti, sentendo una presenza celata da qualche parte.
Probabilmente era la sua immaginazione, l’atmosfera di quel luogo la suggestionava, si impose di non pensare più a nulla che non fosse suo padre e dopo mezz’ora tutto ebbe finalmente termine.


Severus stava a braccia conserte protetto dalle fronde spioventi di un salice piangente, che ne occultava la presenza senza impedirgli di osservare la scena sottostante.
I suoi occhi scuri indugiarono su Narcissa che stava immobile e diritta in mezzo a quella scena rigida e ingrata, come l’attrice principale di un dramma teatrale.
Ed ecco l’attore principale che zoppicava ma non crollava.
Severus lo scrutò con occhi impietosi e si chiese quanto dolore provasse in quel momento Lucius, visto che la potenza che l’Oscuro Signore gli aveva scagliato addosso era riuscita a far arretrare di un passo anche lui, che si trovava alle sue spalle e fuori dal raggio di azione della Maledizione Cruciatus.
Le urla di Malfoy erano state davvero impressionanti, erano risuonate nella stanza come se fosse una grotta, ed erano echeggiate a lungo perché Lord Voldemort non si era fermato per diversi secondi che si erano tramutati in minuti.
Ad un certo punto Severus si era chiesto se Lucius sarebbe morto per il dolore e la fatica sostenuta dal suo organismo e dal suo cuore, seppure giovane e forte.
Quelle urla le avevano udite solo loro: prima di convocare Lucius, Lord Voldemort gli aveva ordinato di rendere la stanza insonorizzata.
E Severus aveva capito.
Aveva compreso che per Malfoy non sarebbe stata una passeggiata e che l’ira del loro Signore era tale da non poter essere contenuta, alimentata dai sentimenti più che contrastanti che Lord Voldemort provava per Lucius: il suo favorito e la sua maggiore delusione.
Severus aveva visto e sentito, perché la sua innata dote di Legilimens gli permetteva di captare i pensieri altrui senza molta fatica come un abile rabdomante captava i ruscelli sotterranei e, in quel caso, il Signore Oscuro non era riuscito a trattenere il suo furore. Quando Lucius era entrato nella stanza, una sorta di energia crudele e vendicativa era scaturita dal corpo e dalla mente di Lord Voldemort.
Quando la punizione era terminata il corpo di Lucius aveva continuato a tremare convulsamente e Severus aveva dovuto scavalcarlo per poter abbandonare la stanza, lasciandolo a terra sul filo di una possibile e letale agonia.
Ed ora eccolo la, altero e superbo, senza vacillare nemmeno un attimo durante tutta la lunga funzione.
Severus lo ammirò proprio malgrado, pur conoscendo le sue lacune e la sua debolezza che risiedevano proprio in quell’arroganza e in quella supponenza e che non erano supportate da altre doti altrettanto fulgide, considerò cinicamente.
Allora che cosa lo sosteneva in quel momento? Cosa gli impediva di crollare e cedere sotto i colpi dei suoi muscoli e dei suoi nervi compromessi?
Lei, ovviamente.
Così come Severus aveva sentito l’ira di Voldemort era anche riuscito a sentire i sentimenti di Malfoy esplodere e incastonarsi nella stanza come dei fuochi d’artificio.
Narcissa che piangeva e soffriva, il volto morente di una donna dagli occhi verdi e i capelli scuri, una scogliera a picco sul mare: tutto il cuore di Lucius.
Severus osservò di nuovo la figuretta snella ed elegante di Narcissa.
L’unica della quale non potesse o volesse cogliere i sentimenti e i pensieri. L’aveva lasciata andare pian piano, ponendo tra loro un gelo ed una distanza inesorabili. La sofferenza di lei, quella si, l’aveva sentita. Aveva capito che la ragazza soffriva per il loro distacco ma lui non aveva voluto scoprire il perché, non aveva voluto assolutamente aprire quel vaso di Pandora, non ora che la gloria, la vendetta, il potere  erano li a portata.
Non ora che si era messo al servizio e, al tempo stesso, si stava servendo del più grande mago che mai fosse esistito.
Lui non si sarebbe lasciato traviare, lui non avrebbe subìto alcuna punizione, non avrebbe compiuto passi falsi, lui non era debole: lui non era Lucius Malfoy.
La cerimonia finì e il cimitero prese a svuotarsi, Narcissa rimaneva immobile e composta al centro della scena.
Severus aveva vegliato con lei così come lei aveva vegliato insieme a lui per Eileen, o almeno così gli piaceva pensare.
Averla così vicina eppure così lontana, vederla a distanza di pochi passi, diede uno strappo al suo cuore: desiderava abbracciarla e confortarla, voleva esserci lui al suo fianco a raccogliere il suo dolore.
“Non devierò la mia strada…” del resto Narcissa non glielo aveva mai chiesto.
Severus si infuriò con sé stesso “Io non sono debole!” e si smaterializzò senza più guardarla.


- Mia cara, lascia che ti accompagni a casa- la voce gentile di Abraxas era un balsamo - sarà lieto di darti un passaggio e di occuparmi di qualsiasi incombenza tu non possa o voglia svolgere -
Lei gli sorrise con gratitudine.
- Grazie, ma vorrei fermarmi ancora un po’ e dare un ultimo saluto a mio padre - gli posò una mano sul braccio e lui la prese con delicatezza e le posò un piccolo bacio sulla punta delle dita.
Lo sguardo le scivolò oltre le spalle dell’uomo e vide Lucius poco lontano, circondato da un gruppo di uomini che gli parlavano fittamente, fu quasi certa di vederlo ondeggiare per un istante: quella gamba doveva fargli davvero male.
Abraxas non insisté e si riunì a suo figlio, poco dopo era da sola davanti a quella specie di mausoleo in pietra grigia.
Vi sostò osservando la roccia scolpita:Frangar, non flectar’* citava sulla soglia della dimora eterna dei Black: spezzati ma mai piegati, era perfetta per Cygnus.
- Cissy…- una voce lieve, incrinata dal pianto, la chiamò.
Narcissa si irrigidì leggermente e impiegò qualche secondo prima di voltarsi.
Andromeda era a pochi passi da lei, vestita di scuro e con il volto rigato dalle lacrime.
I capelli castani dai riflessi ramati erano raccolti e il suo volto era bello e dolce come sempre.
- S-sei una donna…- sussurrò con la voce rotta, guardando Narcissa con profondo affetto nei suoi occhi grandi e scuri: gli occhi dei Rosier - s-sei bellissima…- e si avvicinò a sua sorella per abbracciarla.
Narcissa si irrigidì e Andromeda si bloccò, colma di dolore.
Del resto non si vedevano da sette anni e non avevano mai avuto modo di spiegarsi o dirsi addio.
Se non avesse già avuto il cuore infranto e l’animo tormentato, Cissy si sarebbe piegata sotto l’enorme massa di sentimenti che le piombarono addosso alla vista della sua adorata sorella maggiore, forse si sarebbe spezzata davvero.
Quanto aveva desiderato rivederla, risentire la sua voce, avvertire il suo calore e il suo conforto.
Quanto ne avrebbe avuto bisogno in tutti quegli anni, ogni volta che la vita le aveva sferzato addosso i suoi colpi taglienti, ogni volta che si era sentita sola...oddio, quanto si era sentita sola. Ogni volta che Bella le aveva rovesciato addosso il suo rancore e la sua rabbia, Lucius la sua fredda indifferenza o la sua rabbia incandescente, Severus il suo distacco impersonale.
Quanto avrebbe avuto bisogno di una parola di conforto da quella bocca così amata, uno sguardo pieno di affetto da quegli occhi dolci, una carezza da quelle mani vivaci. Quanto avrebbe voluto avere accanto a sé Andromeda, la sua adorata sorella dal cuore generoso.
E invece c’era stata Bellatrix con lei, quando erano state maledette e quando la cruda realtà della guerra le era stata palesata. C’era stato Lucius quando lei aveva scoperto con orrore cosa significasse lottare per quei principi che Andromeda aveva rinnegato con forza, c’era stato ancora Lucius quando lei aveva avuto il bisogno di una casa per scappare dalla morte di Druella, c’era stato sempre Lucius anche quando aveva dovuto guardare il corpo devastato di Cygnus. C’era stato Severus quando aveva avuto bisogno di un’oasi di tranquillità che le desse forza e pace per scappare da tutto questo, per fuggire da tutti loro.
- E’ troppo tardi- la voce di Narcissa era gelida e dura, come la roccia della tomba dei Black.
Si voltò e lasciò Andromeda al suo dolore.


Quando rientrò a casa fu accolta da Dorothy che sembrava estremamente agitata e sull’orlo delle lacrime.
- Miss…- non riusciva a controllare la voce - miss...Narcissa...Vostra sorella Vi attende nello studio di Vostro padre…-
Narcissa aggrottò le sopracciglia, togliendosi i guanti e il leggero soprabito e passandoli a Dorothy, con un piccolo cenno che la invitava a smettere di agitarsi.
Trovò Bellatrix accomodata nella poltrona che era stata di Cygnus, mentre giocherellava distrattamente con una pergamena.
- Credevo fossi malata - le disse senza preamboli, osservandola e vedendo che sembrava godere di ottima salute.
Bellatrix era raggiante.
Sua sorella la fissò con gli occhi scuri e pesanti, soppesandola e studiandola attentamente.
- Mi sento meglio - le risposte con noncuranza, distendendo le bella labbra carnose in un sorriso - talmente meglio che ho deciso di traslocare subito, senza ulteriori indugi -
Narcissa ricambiò lo sguardo con i suoi occhi chiari e insondabili, in attesa.
Bella si infastidì leggermente per quella mancanza di reazione ma non perse il suo, evidente, buonumore.
- Ovviamente puoi trovarti un’altra sistemazione - proseguì sorridendo in modo più ampio - non è il caso che una coppia di giovani sposi divida la casa con una sorella nubile, Dorothy ti ha già preparato un piccolo bagaglio, quello che ti basta per i primi giorni. Poi mi comunicherai il tuo nuovo indirizzo e avrò cura di spedire la tutto il resto dei tuoi averi-
- Il testamento di papà non è stato ancora reso noto - le disse Cissy semplicemente.
- Ti sbagli, mia dolce sorellina- Bella inclinò la testa e fissò lo sguardo sul camino spento - tra le macerie di Weirwater è stato ritrovato l’ultimo testamento da lui redatto e contenente le sue volontà- attese qualche secondo - Sono la sua erede legittima, in tutto e per tutto, in qualità di figlia maggiore. A te spetta del denaro, ma potrai entrarne in possesso solo quando compirai ventun anni, e Weirwater, che al momento risulta inagibile.-
- Dove immagini che io possa andare?- le chiese Narcissa con un tono di voce sereno e leggermente curioso.
- Onestamente, la cosa non mi riguarda - Bella fece spallucce - Barty Crouch sarebbe felice di ospitarti, suppongo- le sorrise dolcemente - so che la zia Walburga non riesce più ad alzarsi dal letto, immagino che avere accanto un’infermiera devota e di famiglia le farebbe piacere!- e non poté trattenere una piccola risata colma di soddisfazione.
Un leggero colpo di tosse proveniente dalla porta le distolse dalla loro sterile conversazione, Dorothy stava sulla soglia con una piccola borsa tra le mani tremanti.
- La borsa per Miss Narcissa…- sussurrò, evitando lo sguardo di entrambe.
- Fa venire Dorothy con me - Cissy conosceva già la risposta, la governante per un attimo si illuminò.
- Niente affatto - il tono era perentorio e Bella non esitò un secondo perché, chiaramente, se l’era aspettato - finalmente potrò avere un personale di servizio decente e non intendo rinunciarvi. Rodolphus arriverà qui tra poco, voglio poter sistemare la nostra stanza e istruire tutti sulle nostre abitudini. Abbi la cortesia di lasciare questa casa immediatamente- non c’era altro da aggiungere.
Dorothy fece per protestare ma Narcissa fu svelta, le posò una mano sulla guancia paffuta, le strappò di mano la borsa e uscì dalla casa londinese dei Black.
L’edificio scomparve sotto i suoi occhi e lei comprese che era stato posto un veto per lei: non avrebbe potuto rientrare in quella dimora se la padrona di casa non avesse tolto i sigilli.


Una volta in strada l’aria umida e densa l’avvolse, indossava ancora il leggero abito nero del funerale e ignorava cosa la sua cara Dorothy le avesse messo nella borsa ma, sopra ogni cosa, ignorava dove mai sarebbe potuto andare.
Lucius fu il primo volto che le apparve davanti agli occhi: sapeva che le porte di Malfoy Manor le sarebbero state aperte senza alcuna riserva, se non altro per l’intercessione di Abraxas.
Spinner’s end? Sorrise, immaginando il volto impenetrabile e leggermente stupito di Severus, le sopracciglia alzate in un moto di lieve sorpresa presto occultato, le spalle leggermente contratte. Non le avrebbe negato asilo ma non sarebbe mai rimasto sotto lo stesso tetto con lei, da soli.
Grimmauld Place? Non poteva immaginare di vivere in quella dimora oscura e cupa insieme a sua zia Walburga, che non l’aveva mai particolarmente considerata e le aveva sempre preferito Bella.
Weirwater era semidistrutta e pericolante.
Kerenza? La donna l’avrebbe quasi certamente ospitata ma non aveva risposto alla lettera che le aveva mandato per informarla della morte di Cygnus. Galatea era rientrata con la piccola pergamena ancora legata alla zampa, indignata per non aver potuto portare a termine la sua consegna, quindi lei era quasi certa che la strega cornica non si trovasse nel suo cottage scozzese in quel momento.
Narcissa sorrise e scosse la testa.
Non aveva alcun posto dove andare, nessuna persona che potesse aiutarla.
“Perché devi imparare a non contare sugli altri. Ti sono state tese molte mani, in realtà, ora devi imparare a cavartela da sola.”
Iniziò a camminare lungo la strada mentre cercava di focalizzare un luogo in cui smaterializzarsi, pratica che non amava molto ma per la quale aveva superato brillantemente gli esami.
La borsa era leggera e il funerale di Cygnus sembrava essere avvenuto mesi prima, non pareva fossero trascorse solo poche ore.
La sera stava scendendo lentamente accodandosi al lungo tramonto estivo, Narcissa valutò che per la notte l’unica possibilità era Diagon Alley, se si fosse sbrigata forse avrebbe trovato una stanza in una locanda.
“Più probabilmente a Notturn Alley!” si disse, sorridendo.
All’improvviso uno schiocco rumoroso la fece sobbalzare e lei si trovò la strada sbarrata da un’enorme carrozza scura decorata con assurdi pennacchi colorati che lei riconobbe come piume di struzzo.
La grande porta si spalancò e una voce gutturale, con un singolare accento tedesco, ne fuoriuscì - Dove credi di andare Kigeni?* Se ti succede qualcosa mi ammazza...salta su, con quelle tue lunghe gambe da gazzella, e fammi chiudere la porta che questa umidità mi uccide!-
Narcissa sbatté gli occhi, indecisa.
- Sali, si o no, Furaha Yangu?!-
La ragazza rimase a bocca aperta: c’era una sola persona al mondo che la chiamasse così e non aveva quella voce gracchiante e nasale. Vinta dalla curiosità salì sull’enorme e pesante carrozza che, con altro uno schiocco assordante, sparì dalla via e si lasciò dietro un paio di svolazzanti piume colorate.

 

Fine cinquantatreesimo capitolo

 

*frangar, non flectar = Mi spezzerò ma non mi piegherò (L.A.Seneca)

*kigeni= straniera in swahili

  
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