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Autore: La Tigre Blanche    20/05/2016    1 recensioni
{2p!LietPol | University!AU | Nerd!2P!Lituania}
Per Arianna, sei una patata adorabile e te la meriti tutta~ Enjoy!
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"Frandszk non poteva credere ai suoi occhi. Le braccia gli caddero mollemente lungo i fianchi e il quaderno degli appunti dell’Università scivolò dalle sue mani, impattando il pavimento al rallentatore – i fogli volanti si sparsero sul parquet scuro, aggiungendo ulteriore disordine al caos in cui era immerso il piccolo appartamento. Il tic all’occhio si risvegliò in un nanosecondo quando ebbe il fegato di guardarsi intorno e osservare il disastro in cui era ridotto il bilocale: vestiti, vestiti ovunque. I sudici abiti del suo altrettanto sudicio coinquilino erano sparsi letteralmente dappertutto – sulle sedie, sui tavoli, addirittura c’erano un paio di ridicole mutande a quadri bianchi e azzurri appese sul lampadario! E dire che era stato chiaro quella mattina, quando aveva urlato a Tomas di rimettere tutto in ordine per quando sarebbe tornato dai corsi universitari – quel lituano bastardo intanto si trovava allegramente stravaccato sul sofà a leggere e aveva mugugnato un verso d’assenso alle sue raccomandazioni “da mammina”, come le chiamava lui. Ah, ma lo avrebbe sentito, stavolta! Lo avrebbe sentito eccome, quel fottuto bastardo!"
Genere: Commedia, Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: 2p!Hetalia, Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ad Arianna, che mi ha introdotto a ‘sti due ciccini

 

Galeotto fu Enrico VIII e la sua autobiografia

 

 

Frandszk non poteva credere ai suoi occhi. Le braccia gli caddero mollemente lungo i fianchi e il quaderno degli appunti dell’Università scivolò dalle sue mani, impattando il pavimento al rallentatore – i fogli volanti si sparsero sul parquet scuro, aggiungendo ulteriore disordine al caos in cui era immerso il piccolo appartamento. Il tic all’occhio si risvegliò in un nanosecondo quando ebbe il fegato di guardarsi intorno e osservare il disastro in cui era ridotto il bilocale: vestiti, vestiti ovunque. I sudici abiti del suo altrettanto sudicio coinquilino erano sparsi letteralmente dappertutto – sulle sedie, sui tavoli, addirittura c’erano un paio di ridicole mutande a quadri bianchi e azzurri appese sul lampadario! E dire che era stato chiaro quella mattina, quando aveva urlato a Tomas di rimettere tutto in ordine per quando sarebbe tornato dai corsi universitari – quel lituano bastardo intanto si trovava allegramente stravaccato sul sofà a leggere e aveva mugugnato un verso d’assenso alle sue raccomandazioni “da mammina”, come le chiamava lui. Ah, ma lo avrebbe sentito, stavolta! Lo avrebbe sentito eccome, quel fottuto bastardo! Questa volta non sarebbe riuscito a sfuggirgli, a costo di prenderlo a sprangate su quel brutto muso fino a rompergli quei dannati occhiali che, diamine, stavano così bene su quella sua faccia di merda che avrebbe voluto spaccarglieli con un pugno. E non importava quanto poco coerenti fossero i suoi pensieri in quel momento, il suo unico obbiettivo era quello di fargli pulire immediatamente quello scempio volente o nolente! Lo avrebbe preso a calci in culo se non si fosse subito messo a riordinare di buona lena tutte le stanze.

« Tomas! » Sbraitò, marciando e battendo forte i piedi sul pavimento in un tentativo poco maturo di annunciarsi al (purtroppo) compagno di disavventure – gliel’avrebbe fatta pagare cara, a quello stronzo lavativo. Giunse gloriosamente sulla soglia del salotto, mani sui fianchi e un cipiglio intimidatorio che face uggiolare di paura il piccolo labrador paffuto che aveva adottato da qualche tempo. Occhieggiò con tentazione quella dolce palla di ciccia dagli occhi teneri, ma, risoluto, resistette all’istinto di gettarsi a terra e coccolarlo. Aveva prima un compito da svolgere, poi avrebbe tranquillamente potuto accarezzarlo stando sdraiato sul divano e osservando con infinita soddisfazione Tomas intento a fargli da cameriera – oh sì, il gusto della vendetta sarebbe stato dolcissimo!

Diresse infine lo sguardo di ghiaccio verso il divano e un ghigno malefico  si disegnò sul viso, deformandone i tratti affilati, quando intravide lui, Tomas Laurinaitis, studente universitario di ventidue anni, un paio di odiosi occhiali da vista blu oltremare e piercings e tatuaggi a ricoprire il corpo statuario sempre avvolto da abiti formali che stonavano terribilmente col suo carattere rozzo e arrogante e disgustoso. Gli venne quasi da ridere quando se lo ritrovò nella stessa e identica posizione di quella mattina: spaparanzato supino sul divano, con gli occhiali inforcati e un libro in mano. Dalle maniche della camicia spiegazzata si intravedevano i colorati e appariscenti disegni su pelle e aveva il medesimo sguardo perso nella lettura di qualche ora prima – era così concentrato che sembrava quasi non si fosse accorto della sua presenza, nonostante la fracassosa entrata in scena di Frandszk.

Il polacco attraversò il salotto con passi lenti e cadenzati e un sogghigno inquietante a solcargli il viso niveo fino a pararsi dinanzi al bastardo scansafatiche. A quel punto l’espressione di Frandszk cambiò repentinamente, come quando il cielo già grigio si rannuvola e inizia a illuminarsi dai lampi e a vibrare dai tuoni:

« Tomas, noi non ci siamo proprio capiti! Cosa ti avevo detto stamattina riguardo i tuoi stracazzo di vestiti, eh?! Eh, Tomas?! » E nonostante le occhiaie profonde dal troppo studio gli conferivano un aspetto abbastanza inquietante, i capelli biondi e arruffati e l’enorme maglione sformato che portava indosso lo facevano rassomigliare di più a un buffo pulcino strepitante – tenero e per niente autoritario.

Con un tono di disappunto, il polacco iniziò a declamare un’arringa degna di Cicerone, tutta sbraitata col tono più irritante possibile per far smuovere in qualche modo l’odioso lituano. Fu una vera e propria predica degna di questa definizione, condita con insulti abbastanza grevi – le mani non smettevano di muoversi, Frandszk gesticolava furiosamente e le guance gli divennero rosse dallo sforzo. Concluse fieramente la sua Filippica e, incrociate le braccia, stette a guardare l’altro che, in tutto quell’arco di tempo, non si era smosso di un solo fottuto millimetro. Il biondo soffiò via una ciocca che gli penzolava davanti al viso e, soddisfatto, stette a guardare la reazione del moro.

Tomas mosse pigramente le iridi penetranti, fissando per due secondi il polacco con quei suoi occhi verdi, di un verde slavato così conturbante che ogni volta faceva andare in apnea il coinquilino – e Frandszk si odiava in quei momenti perché il cervello andava in pappa e finiva sempre col balbettare penosamente qualche insulto in lingua madre e arrossire come una scolaretta. Il contatto visivo durò per pochi secondi ma furono abbastanza per far sprofondare la stanza in un pesante silenzio interrotto solo dal giocoso ansimare di Cloruro di Carbonile (Clocl, un nome la cui stranezza era direttamente proporzionale all’adorabilità di chi lo portava) che, tutto allegro per un motivo solo a lui conosciuto, continuava a scodinzolare così forte da dimenare qua e là il culetto peloso e a fissare i suoi padroni. Dopodiché, con la stessa flemmatica lentezza di prima, Tomas tornò a leggere, come se non fosse successo nulla.

Frandszk batté un paio di volte le palpebre prima di realizzare. Clocl uggiolò. Il tic all’occhio si fece più violento di prima. E, alla fine, il polacco si irrigidì tutto, rabbioso come una belva feroce, e, con gli occhi iniettati di sangue, spalancò le fauci per poter ruggire contro tutta la sua frustrazione a quel bastardo:

« Tu! Brutto figlio di una gran puttana, bastardo pezzo di merda, feccia umana, … – qui seguì una lunga, lunghissima lista dei più variopinti e blasfemi insulti del suo infinito repertorio – Tu! Sì, proprio tu, possibile che la tua unica fottutissima occupazione qui sia quella di leggere i tuoi cazzo di libri?! » Ansimò, con le guance rosse dalla collera e una vena pulsante sul collo – l’imperturbabilità di Tomas durante la sua sfilza di insulti lo fece avvampare d’ira, ma frenò l’impulso di afferrare una sedia e di spaccargliela in testa. Anche quella volta il lituano si limitò a voltare lo sguardo verso il suo visetto arrossato, inarcando un sopracciglio:

« Fran. » E, al nomignolo tanto odiato, percepì il retrogusto amaro di bile invadergli le papille gustative; incrociò le braccia e incassò la testa nella spalle in un modo che lo faceva sembrare una civetta spelacchiata e si morsicò la lingua per evitare di scoppiare di nuovo:

« Forse non ti è chiaro che, rispetto a te, persino il libriccino dell’alfabeto per bambini risulta più interessante » Tomas lanciò quella stilettata con estrema, sadica, lentezza e, man mano che pronunciava le parole, un ghigno ferino si aprì sulle labbra screpolate – quelle stesse labbra che, in notti deliranti, probabilmente dopo un’indigestione, il biondo polacco aveva sognato di baciare e mordere a sangue.

A quella frase pungente, Frandszk non reagì male. Reagì malissimo: digrignò i denti bianchi e la cravatta scura annodata mollemente al collo del lituano gli fu molto d’ispirazione al suo intrinseco istinto violento. Con uno schiaffo che parve più la zampata di una bestia non esattamente amichevole, fece volare la pesantissima e corposa autobiografia di Enrico VIII via dalle mani callose del coinquilino – il tomo di novecento pagine attraversò l’aere tracciando un lungo arco per poi impattare il pavimento con un tonfo sordo, le pagine tutte spiegazzate e rattrappite.

Il lituano aveva osservato il tutto con espressione sgomenta: le pupille nerissime si erano ridotte alla dimensione della capocchia di uno spillo e la bocca si era schiusa in una smorfia oltraggiata – mai, mai interrompere Tomas nella lettura, soprattutto in un modo così brusco! Perché, nonostante sembrasse così pigro e pacato, nel giro di neanche due secondi poteva trasformarsi in un individuo alquanto pericoloso. Era sempre stato una bomba pronta ad esplodere, lui, e Frandszk aveva appena innescato quell’ordigno. Peccato non avesse fatto conto dell’irruenza del polacco che, appena stappatogli il libro dalle mani, si era gettato su di lui senza tanti complimenti, afferrandogli la cravatta e tirandola verso di sé con la chiara intenzione di fargli fare una brutta fine. Si ritrovò quindi con un biondo strepitante a cavalcioni che, con vani strattoni, cercava di strangolarlo – cosa che fece rimanere Tomas di sasso per due secondi buoni, considerato che la cravatta era annodata lenta e che l’unica cosa che poteva rischiare in quel modo era una cervicale.

Dal canto suo Frandszk era tutto convinto di liberarsi una volta per tutte di quell’insopportabile individuo e, ignorando che, senza un nodo scorsoio, la cravatta non si sarebbe mai stretta al punto da strangolarlo, continuava imperterrito a tirare la stoffa verso di sé, muovendosi così tanto da sembrare all’occhio esterno di CloCl che, in realtà, il suo padroncino stesse facendo ben altro con Tomas – anche perché in quel momento il suo gracchiare irritato poteva essere frainteso per un altro tipo di urla.

« Bastardo! » Ansimò, già in debito di ossigeno per quella rabbiosa e involontaria cavalcata, con tanto di briglie strattonate e di cavallo imbizzarrito che, nonostante la posizione, cercava di scalciare e nitriva insulti altrettanto coloriti in risposta. E in tutto questo Clocl, impassibile, campeggiava sdraiato a stella sul pavimento, spazzando il parquet con la coda e osservando la scena. A quanto pare era l’unico che pareva divertirsi davvero.

Il rodeo durò pochi secondi a causa del nobile destriero imbizzarrito che, con un violento colpo di reni, invertì le posizioni e sovrastò l’inerme fantino. Frandszk strabuzzò gli occhi, ancora con le dita ossute strette attorno alla maledetta cravatta. Una smorfia irritata gli deformò le bianche labbra sottili: quel bastardo lituano era ancora vivo! Orrore e disgusto! Dal canto suo, Tomas, con uno sguardo incendiario e le guance paonazze di rabbia, gli afferrò malamente i polsi e li premette sul materasso, accanto al visetto allibito del polacco:

« Ma ti sei fottuto il cervello?! » Gli sbraitò in faccia, irritato per essere stato interrotto nella lettura. Lo scrutò coi suoi occhi di giada, perdendosi un secondo nell’osservare i tratti affilati di quel volto niveo che, ora che ci faceva caso, non aveva mai osservato veramente. Gli sembrò bello, delicato. Di porcellana, quasi, ma si vergognò dei suoi stessi pensieri e preferì pensare a quanto fosse erotico Frandszk ansante – e incazzato – sotto di lui. Sogghignò: oh, forse c’era un modo per fargliela pagare. Lo avrebbe colpito nell’orgoglio, sì, rimuginava tra sé e sé mentre scrutava le labbra rosse dell’altro con tentazione.

Intanto Frandszk non se ne era stato con le mani in mano, affatto: in men che non si dica, aveva iniziato a scalpitare e a strepitare imprecazioni e insulti in polacco stretto, convintissimo di poter, in qualche modo, ferire l’anima di Tomas – nonostante, sotto sotto, neanche ci sperava di poterlo smuovere a suon di improperi e non era nella posizione più adatta per potersi liberare e dargliele di santa ragione. Stava per lanciare un coloratissimo “Figlio di una scatoletta di tonno andata a male e scaricata nel cesso!” quando qualcosa lo interruppe bruscamente. Lanciò un verso acuto paragonabile a quello di un’aquila reale quando si rese conto che quel “qualcosa” non erano altro che un paio di labbra calde e screpolate. Fu così improvviso e inaspettato che il cervello andò completamente in black-out: tutti i muscoli si tesero per poi rilassarsi di colpo. Si abbandonò tra i cuscini del divano, con gli occhi fissi e spalancati come quelli di un pesce palla e le labbra che si muovevano da sole a ricambiare quel bacio in modo impacciato. Non riuscì a controllare il suo corpo, e forse fu questa la cosa che lo fece incazzare di più: l’essere debole, mera argilla tra le mani di Tomas – quel fottuto bastardo! – che, con sapienza, aveva violato le sue labbra e stava solleticando divertito la sua lingua con la propria. Durò relativamente poco, ma per Frandszk quei secondi parvero secoli tanto furono intensi e traumatizzanti.

Quando Tomas si allontanò per osservare con aria tronfia il risultato e godere nel vedere la sua espressione sperduta, il biondo si lasciò sfuggire un vergognoso mugolio insoddisfatto che non fece altro che allargare il già ampio ghigno impresso sulla bocca del lituano.

Il giovane polacco batté un paio di volte le palpebre, mettendo a fuoco la stanza e il brutto muso del suo coinquilino. Una luce strana e pericolosa balenò nei suoi zaffiri, ma l’altro, con la guardia abbassata, non lo notò, troppo occupato a gongolare per aver piegato Frandszk ai suoi loschi voleri:

« Allora, Fran, piaciuto il ba— AAAH! »

Una zampata da micio arruffato e il volto sogghignante di Tomas fu attraversato da un’aggressiva artigliata degna di una belva feroce – l’unghiata aveva infierito sulla fronte e sulla guancia, creando un segno rosso e bruciante che faceva incredibilmente rassomigliare il lituano a Scar de “il Re leone”, film tra l’altro adorato dal polacco. Poi, il silenzio. I due si fissarono per qualche secondo e il visetto contratto di Frandszk, ancora arrossato, si distese lentamente. Le labbra tremarono, e il biondo se le dovette mordere per impedire di scoppiare a ridere in faccia a Tomas che, allibito, aveva stampata in volto l’espressione più offesa sulla Terra.

« Sembri ancora più coglione del solito. » Riuscì solo a pronunciare, con la voce mezza tremante che tratteneva il riso. Si alzò e, dopo essersi pulito con un’espressione disgustata palesemente fasulla, andò ad afferrare l’autobiografia di Enrico VIII che ancora giaceva inerme sul pavimento. Lanciò un’occhiata carica di malcelato sadismo a Tomas:

« Questo è sequestrato. Pulisci tutto, tutto, e forse, se fai il bravo bambino, te lo ridò. » Piegò il capo di lato, sorridendo in quel modo che ricordava tanto un bimbo malefico e Tomas si ritrovò ad imprecare mentalmente: sarebbe stato un lungo pomeriggio.

 

 

 

 

NON CHIEDETEMI CHE È STA ROBA PERCHÉ NON LO SO. Se devo incolpare qualcuno, quel qualcuno è la mia cara _Rouge che mi fa venire in mente idee strane e che mi ha tartassato così tanto con questi due che, alla fine, mi ha contagiato. Ed ecco perché questo piccolo sclero.

Vado via prima che mi lancino pomodori, adieu!

 

La Tigre Blanche

   
 
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