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Autore: Adeia Di Elferas    21/05/2016    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina uscì dalla stanza cercando di muoversi in fretta e di aprire la porta il meno possibile. Tommaso, da buon castellano, non cercò comunque di sbirciare oltre l'uscio.
 “Ditemi tutto.” fece Caterina, chiedendosi da cosa derivasse l'urgenza di Tommaso.
 Se si era permesso di disturbarla quella mattina, pur sapendo che la Contessa aveva pregato tutti di non cercarla fino al pomeriggio, doveva trattarsi di qualcosa di serio.
 Tommaso, che pur stava cercando di imporsi un comportamento degno della sua carica, non riuscì a evitare di guardare la sua signora con occhio indagatore e chiedere: “Spero di non avervi importunata. Stavate riposando? Vi sentite bene?”
 Caterina strinse le braccia al petto: “Nessun disturbo, ditemi quello che dovete.”
 Tommaso estrasse una lettera dalla tasca interna della sua giubba: “Questa è appena arrivata da Pavia, portata da una staffetta che aveva un accento strano, credo napoletano. Mi ha detto di dirvi che si tratta di una lettera estremamente confidenziale e che aspetta una risposta per riportarla al più presto a Pavia.”
 Caterina allungò una mano per prendere il messaggio. Da Pavia? Che fossero notizie di Bona? Strano, dato che la staffetta secondo Tommaso era napoletana. Poteva trattarsi di una lettera di Isabella d'Aragona, anche se Caterina non capiva cosa potesse portare la nuova Duchessa a scrivere proprio a lei...
 “Grazie.” fece la Contessa, facendo mezzo passo per tornare in camera: “Dite al messaggero che avrà la mia risposta al più presto.”
 Tommaso aveva aperto la bocca, ma non era riuscito a dar voce ai suoi pensieri.
 Così Caterina provò: “Avete altro da dirmi?”
 Tommaso guardò ancora un momento i vestiti discinti della sua signora, visibilmente appena indossati, e la vestaglia, che nascondeva a stento le sue forme. Sapeva bene chi c'era con lei, in quella camera, quando era andata a chiamarla. Era una tortura, una tortura inutile...
 “Nulla, mia signora.” concluse Tommaso, abbassando il capo per costringersi a non guardarla più.
 Caterina lasciò perdere e tornò nella sua camera.
 Giacomo si rilassò subito, quando vide che a entrare era Caterina e non qualcun altro. Si era messo a vagare nudo per la stanza, curiosando di qua e di là. Raramente restava solo negli alloggi della Contessa e doveva ammettere di essere curioso.
 “Un momento.” gli disse Caterina, guardandolo appena.
 Non voleva farsi distrarre e desiderava scoprire chi le aveva scritto, aspettandosi con tanta urgenza una risposta.
 Sedendosi sul letto, ruppe la ceralacca e per prima cosa corse alla firma, stupendosi di leggere proprio il nome più improbabile di tutti: Isabella d'Aragona, Duchessa di Milano.
 Appena sotto c'era poi l'aggiunta più curiosa che Caterina avesse mai letto. Isabella si era apostrofata da sola come la 'peggio maritata di tutte le donne'.
 Passò in fretta la prima parte del messaggio, in cui la Duchessa le esprimeva tutta la sua gratitudine per aver permesso a Bona – a cui Gian Galeazzo era indicibilmente affezionato – di prendere parte alla Festa del Paradiso e poi si concentrò di più sul cuore vero della missiva.
 Isabella si lamentava del fatto che il suo matrimonio con Gian Galeazzo non fosse ancora stato consumato. Si diceva certa dei suoi sentimenti e di quelli del marito e non si spiegava come mai un matrimonio combinato, benedetto dalla reciproca attrazione, fosse incappato in un simile problema.
 'Le corti sparlano e presto mia cugina Beatrice d'Este sarà moglie di vostro zio Ludovico. Immaginate quale scandalo, se lei desse un erede a vostro zio, prima che io ne possa dare uno a vostro fratello!' insisteva Isabella, senza mezzi termini: 'Vi prego di intercedere per me presso mio marito, di convincerlo a non sfuggirmi a questo modo. So che voi, in quanto sua sorella e donna d'esperienza, saprete toccare le sue corde meglio di chiunque altro. Ditegli che non deve temere nulla, che non deve esserci imbarazzo, se è questo a turbarlo. Io lo amo e desidero solo la felicità per entrambi.'
 Seguivano i saluti e un'ultima richiesta d'aiuto. Infine la firma e lo strano epiteto.
 'La peggio maritata del mondo'. Era palese che Isabella non sapesse la storia di Caterina, non la versione completa, almeno, altrimenti avrebbe scoperto che esistono mariti peggiori, di quelli che scappano ai propri doveri coniugali.
 In ogni caso, pensò Caterina, avrebbe rassicurato la giovane Duchessa e avrebbe scritto anche a suo fratello, redarguendolo sui rischi che correva a comportarsi così e spiegandogli quanto una vita matrimoniale completa lo avrebbe reso più felice.
 Ripiegando la lettera di Isabella d'Aragona, Caterina si mise a rimuginare su se stessa e sulle differenze abissali che correvano tra l'amore che vivevano con Giacomo e la folle crudeltà che era stato il matrimonio con Girolamo.
 Quasi a rassicurarsi da sola sul fatto che nella sua stanza ci fosse l'uomo che amava e non quello che aveva odiato, Caterina cercò Giacomo con lo sguardo.
 Questi stava accarezzando con due dita la costa di uno dei libri in latino che Caterina aveva lasciato sulla scrivania il giorno prima. Quando il giovane si sentì addosso gli occhi della sua donna, si volt verso di lei e le sorrise.
 La lettera della Duchessa aveva fortuitamente risvegliato antiche paure in Caterina e gliene fece crescere improvvisamente nel petto una nuova.
 Di Giacomo non sapeva praticamente nulla. Fino a quella mattina non vi aveva mai dato molto peso, anche se forse avrebbe dovuto. Tra lei e Girolamo il non conoscersi, anzi, il reciproco non voler conoscersi, era stata una delle tante cose che li aveva divisi. Certo, con il suo primo marito i veri problemi erano stati ben altri, di portata ben diversa, tuttavia, se avessero fatto uno sforzo in più, magari, col tempo, alcune divergenze si sarebbero appianate.
 Perciò, dato che fino ad allora lei e Giacomo non avevano avuto motivo di scontrarsi ancora su nulla, era fondamentale creare le basi per una relazione che resistesse nel tempo e conoscersi era il modo migliore per cominciare.
 “Com'era Savona? Ti piaceva stare lì?” chiese Caterina a bruciapelo, partendo da una domanda a caso, essendosi appena ricordata che Girolamo e Giacomo avevano in comune la città di provenienza.
 Giacomo, accigliandosi appena, ma non stupendosi troppo del quesito bizzarro, rispose: “Non saprei. Ero troppo piccolo, quando l'ho lasciata. L'unica cosa che ricordo di quel posto è il profumo del mare.”
 Il ragazzo si morse appena il labbro, allargando leggermente le braccia: “In realtà non so nemmeno io se considerarmi di Savona o di Forlì. Mi sento straniero, ma so che mi sentirei così pure se tornassi nella città in cui sono nato.”
 Nell'accento meticcio di Giacomo – in parte ligure e in parte romagnolo – si poteva avvertire quanto gli pesasse, sentirsi straniero in quella terra. Caterina, in un certo senso, poteva capirlo, perché c'erano giorni in cui nemmeno lei si sentiva a casa, in quella città. 
 Giacomo si abbandonò a un profondo sospiro e poi, ritornando a passare in rassegna le coste dei libri di Caterina, rilanciò: “E Milano com'era? Ti piaceva?”
 Caterina non si aspettava una domanda, ma avrebbe dovuto. Giacomo aveva capito quello che lei stava cercando di fare e la stava assecondando. E per la prima volta le stava dando del tu. Quello sforzo da parte di entrambi aveva un fine comune: avvicinarsi ancora di più.
 “Mi piaceva molto. Quella di Milano e di Pavia è una terra ricca, generosa, ma molto esigente. Mi ha dato tanto e ha anche preteso tanto.” disse Caterina, ripensando ai lunghi e freddi inverni di nebbia e alle torride estati di zanzare e sole.
 Giacomo non aveva afferrato in pieno il senso di quelle parole, ma non importava. Caterina non sapeva che altro chiedere.
 Giacomo, finito di sfiorare i libri, passò alle lettere: “Queste di chi sono?” chiese, indicando un pacco di messaggi tenuti insieme da un filo rosso.
 Caterina sorrise: “Corrispondenza con alcuni alchimisti...”
 “Alchimisti?” gli occhi di Giacomo si erano accesi di curiosità: “Sapevo che ti piaceva l'alchimia, ma non che c'era una corrispondenza così serrata tra te e gli alchimisti...”
 Il viso di Caterina si era fatto luminoso. Scoprì che farsi conoscere da Giacomo le piaceva. Si rese conto che forse quel ragazzo avrebbe voluto fin da subito farle certe domande, ma che non ne aveva mai avuto il coraggio.
 “E questo...?” proseguì Giacomo, indicando un cumulo di fogli zeppi di appunti: “Ri... Rime... Rimedi...” cominciò a leggere, a fatica.
 “Rimedi a far bella – lo anticipò Caterina, più per levarlo d'impiccio che altro – alcune mie scoperte e ricette di alchimia.”
 “Rimedi a far bella...” soppesò lui, passando un dito su quel titolo: “Ebbene... Direi che funzionano.” decretò, girandosi verso di lei.
 Caterina abbassò lo sguardò, arrossendo appena. Giacomo le stava davanti senza schermi, in quel momento, senza nulla a coprirlo. Era nudo, non solo nel senso letterale del termine. Il fatto che avesse provato a leggere, dimostrandole quanto fosse per lui difficile, e l'ammettere di sentirsi un apolide erano stati più di ogni altra cosa, per lei, una dichiarazione d'amore. Mostrarsi indifesi restava per lei il modo più nobile per dimostrare la propria fiducia nell'altro.
 Giacomo si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, tenendo l'altro braccio inerme lungo il fianco: “Avevi degli amanti, quando eri sposata con Girolamo?”
 Caterina trovò quella domanda anche troppo diretta, tuttavia rispose: “No.”
 “Perché?” la incalzò Giacomo, avvicinandosi un po' al letto.
 “Perché ero sposata.” spiegò con semplicità Caterina, sperando che egli non volesse sapere altro.
 “Con un uomo che detestavi, se non sbaglio.” puntualizzò Giacomo, come a dire che quella spiegazione non gli bastava affatto.
 “Io...” Caterina esitò.
 Quello era il momento in cui spettava a lei mostrarsi nuda a Giacomo, ma la sua sarebbe stata una nudità molto più profonda. Se Giacomo aveva come spettri nell'armadio quello di non aver avuto un'istruzione sufficiente e di non avere radici forti, quelli di Caterina erano fantasmi molto più subdoli e cattivi.
 “Io provavo repulsione, per tutte queste cose...” e per spiegarsi, Caterina indicò Giacomo.
 Istintivamente, lui si guardò, ma comprese solo in un secondo tempo cosa intendesse dire la sua donna.
 “Come mai?” chiese lui, andandosi a sedere accanto a lei: “Mi sembra che... Non prenderla per il verso sbagliato, ma mi sembra che non ti dispiaccia quando...”
 Caterina scosse il capo, per farlo smettere. Sapeva che quell'affermazione non era volutamente indelicata. Giacomo non era un uomo rozzo. Solamente, lui non sapeva. Non poteva sapere...
 “È una storia complicata.” tagliò corto Caterina, sentendosi improvvisamente divorata dal terrore, come quando Girolamo era stato per la prima volta in una stanza assieme a lei.
 Le sembrava quasi di sentire di nuovo il suo odore, la sua voce, di vederlo davanti ai suoi occhi, tanto prepotente quanto debole, così incapace eppure così violento...
 “Ti ascolto.” sussurrò Giacomo, mentre la sua spalla si appoggiava con delicatezza a quella di Caterina.
 Il lungo silenzio che seguì a quell'invito era interrotto solo a tratti dal rumore crepitante del fuoco morente nel camino. Caterina non sapeva cosa fare. Se avesse raccontato tutto a Giacomo, sarebbe stata lei quella completamente nuda ai suoi occhi. Non aveva mai toccato quell'argomento con nessuno, a parte sua madre e anche in quel caso non era scesa troppo in dettaglio.
 Giacomo stava aspettando, senza fretta, dandole tutto il tempo che le serviva per riordinare le idee e raccontare la sua verità.
 “Quando...” cominciò Caterina, dopo un respiro un po' incerto, fermandosi subito.
 Il ragazzo accanto a lei aveva assunto una postura leggermente curva, come un confessore che si accinge a raccogliere le ultime parole di un moribondo.
 Dopo essersi passata la mano sulle labbra ed essersi schiarita la voce un paio di volte, alla fine Caterina si decise: “Mio padre aveva allontanato mia madre Lucrezia e Bona dal palazzo, con tutti i miei fratelli. Girolamo Riario è arrivato a Milano per sposarmi e il giorno stesso in cui mi hanno detto che sarei stata sua moglie, abbiamo celebrato le nozze.”
 Giacomo ascoltava, facendosi un po' più corrucciato man mano che il racconto proseguiva.
 “Avevo nove anni – continuò Caterina, tenendo gli occhi fissi sul pavimento – e mio padre ha cercato di prepararmi a quello che mi stava per accadere, ma io non riuscivo a capire cosa intendesse. Avevo paura e basta.”
 Giacomo ora aveva spostato lo sguardo su di lei, le labbra strette e la fronte sempre più corrugata. Aveva sentito dire che Caterina e il Conte si erano sposati per procura, quando lei era ancora una bambina, per poi procedere con un matrimonio regolare solo anni dopo, ma adesso lei gli stava dando una versione molto diversa.
 “Una donna vestita di grigio mi ha vestita per il matrimonio, senza dirmi nulla. Un  prete ha officiato il matrimonio in una delle sale sotterranee del palazzo di mio padre e poi la donna in grigio mi ha fatta cambiare e mi ha accompagnata in una camera che di solito non veniva usata da nessuno e...” la voce di Caterina si spezzò improvvisamente, mentre un conato di vomito la scosse, ritrascinandola nell'angoscia di quella lontana notte.
 Riuscì a non dar di stomaco, ma la nausea non l'abbandonò, benché Giacomo le avesse messo un braccio attorno alle spalle, per farle forza.
 “E poi è arrivato Girolamo.” fece la donna, con l'amaro in bocca.
 Non risparmiò nulla, a Giacomo. Gli confessò ogni cosa, tutto quello che aveva provato e il terrore e il dolore che avevano contraddistinto quel primo incontro con suo marito. Il ragazzo ascoltava, inorridendo a ogni parola, tenendola sempre più stretta, come se avesse voluto proteggerla, anche se ormai era tardi per salvarla da quella cicatrice che mai se ne sarebbe andata.
 Finito il racconto di quella prima notte di nozze, Caterina gli spiegò anche di come la sua vita era cambiata, della recita che aveva messo in piedi per far soffrire suo padre e di quanto ne aveva sofferto, il giorno in cui il Duca era stato assassinato davanti ai suoi occhi il giorno di Santo Stefano.
 “E quando poi sono dovuta tornare a vivere con Girolamo, non è cambiato nulla. Ho vissuto nella violenza per anni, fisica e mentale, senza riuscire a ribellarmi davvero a lui.” concluse Caterina.
 Giacomo lasciò che le ultime parole di Caterina riempissero l'aria tiepida della stanza e che la sua amata si prendesse un minuto per riprendersi da quella prova.
 Si rendeva conto che quel trauma del passato era per Caterina un fantasma impossibile da battere. Quella fragilità era il suo unico vero punto debole e il fatto che ne avesse parlato con lui dimostrava quanto lei si fidasse.
 “Prima di conoscere te, non immaginavo che amare qualcuno potesse essere così bello anche per me.” fece Caterina, a voce molto bassa: “Mi credevo condannata all'infelicità.”
 Giacomo, ancora turbato dal racconto che la donna gli aveva fatto, le diede un silenzioso bacio sulla guancia: “Io non farò mai niente per ferirti, in nessun modo. Lo prometto.”
 Caterina gli accarezzò il viso: “Non puoi saperlo.”
 Lo stalliere strinse gli occhi, interdetto da quel commento così strano e pessimista, ma in tutta risposta Caterina sorrise: “A volte feriamo chi ci è vicino senza nemmeno rendercene conto, quindi è meglio non promettere nulla.”
 Giacomo si alzò, visibilmente scosso da quelle congetture, che lo stavano confondendo come non poco. Il giovane voleva poter riportare il discorso su un piano a lui più congeniale, meno filosofico, meno complesso.
 Il pensiero astratto l'aveva sempre messo in difficoltà, mentre capiva che Caterina era abituata a rimuginare sulle ragioni dell'anima.
 Cercando un appiglio per cambiare argomento, Giacomo diede uno sguardo alla donna, notando come lei evitasse di guardarlo.
 “Ti vergogni a guardarmi nudo?” chiese lo stalliere, di punto in bianco, con un mezzo sorriso.
 Caterina, apposta, si mise a fissarlo: “No...” ma le sue guance si stavano imporporando.
 Giacomo si sentì trionfante. Era riuscito a sviare i discorsi astratti per far concentrare entrambi su qualcosa di molto più terreno.
 “E ti vergogni a farti vedere nuda da me?” buttò lì, riavvicinandosi al letto e cominciando a sfilare gli abiti da notte alla sua signora.
 “Ma che dici...” sussurrò Caterina, lasciandolo fare, ben consapevole che quell'iniziativa era nata solo per troncare un discorso scomodo.
 Non le importava, le bastava sentire sul collo il bacio lento e bramoso di Giacomo per perdonargli quel suo rifiuto dinnanzi a un ragionamento appena più complesso del solito.
 Ora che gli aveva raccontato il suo segreto più personale e doloroso, sentiva di non aver più nulla da nascondergli. Se ancora c'erano tra loro differenze e divisioni, non le importava più. Ai suoi occhi erano una cosa sola e lo sarebbero stati per sempre.

 “Che significa che Isabella d'Aragona si firma 'la peggio maritata del mondo'?” chiese Ludovico, in un sussurro adirato.
 Calco alzò entrambe le sopracciglia a mo' di difesa: “Significa che in tutte le lettere che scrive a familiari e conoscenti si firma esattamente così.”
 Il maestro Leonardo, poco distante da loro, pareva alquanto infastidito da quell'interruzione. Già odiava avere pubblico quando lavorava, se poi lo disturbavano anche con delle inutili chiacchiere...!
 Nemmeno Cecilia Gallerani era entusiasta dell'intrusione di Calco. Il furetto che teneva in braccio continuava ad agitarsi ed era certa che prima o poi l'avrebbe graffiata. Che idea stupida, farla posare con quell'animale!
 “Ma Napoli cosa dice?” si informò Ludovico cercando di ragionare in fretta.
 “La corte di Napoli si sta facendo impaziente, non ve lo nascondo.” ammise Calco: “Mi hanno scritto più volte dicendo che se passerà ancora del tempo prima della consumazione del matrimonio, potrebbero anche chiedere alla Sacra Rota di annullarlo, riprendendosi la dote della sposa e infangando il nome degli Sforza.”
 “La dote della sposa?!” esclamò il Moro, facendo voltare verso di sé sia Leonardo sia Cecilia: “Ma stiamo scherzando?” aggiunse, a voce più bassa.
 Il cancelliere gonfiò le guance, cercando di far capire al suo signore che non c'era nulla da fare, se Gian Galeazzo rifiutava così la moglie.
 “Ebbene, proverò a parlare a mio nipote... Anzi, prima gli scriverò, così mi risparmierò un viaggio a Pavia.” concluse Ludovico, grigio in volto: “Se non metterà la testa a posto, troveremo un modo per costringerlo. Io proprio non lo capisco... Isabella è anche una giovane dall'aspetto gradevole, così piacente...”
 A quelle parole, Cecilia si indispettì e, fingendo di non aver sentito, provò a richiamare l'attenzione del suo uomo con uno sbuffo: “Questo furetto mi sta facendo impazzire!”
 Il Moro comprese che la sua amata Cecilia stava solo cercando di attirare la sua attenzione, così congedò Calco e tornò a occuparsi del maestro e della sua musa.
 
 “Siamo lieti di annunciarvi che il papa si è ripreso splendidamente. Annunciò uno dei medici personali di Innocenzo VIII.
 “Anche stavolta...” borbottò tra sé Rodrigo Borja, stringendosi il pugno nella tasca della tunica.
 “Direi che il modo che ha il papa di riprendersi ogni santa volta ha del miracoloso.” commentò a denti stretti Ascanio Sforza, arrivato a Roma in fretta e furia nella speranza di dover partecipare a un conclave.
 “Dio gli ha donato una grande forza di volontà.” concordò il medico, senza traccia di ironia.
 “Decisamente.” convenne Giuliano Della Rovere, che si era presentato a Roma con lo stesso entusiasmo di Ascanio: “Un vero miracolo vivente. Ogni volta che ha un colpo apoplettico, ne risorge più in forma di prima.”
 Raffaele Sansoni Riario, accorso come gli altri per sentire le notizie fresche circa la salute del Santo Padre, in fondo era sollevato. Aveva già tanti pensieri per conto suo, non aveva alcun bisogno di dover prendere parte a un conclave. Restare chiuso in Vaticano per giorni, magari per settimane, senza avere contatti con l'esterno non gli andava.
 “Cardinale – lo apostrofò Rodrigo Borja, mentre tutti i porporati ritornavano con delusione alle proprie occupazioni e il medico spariva di nuovo nelle stanze private del papa – allora come vanno le cose in Forlì? Ho sentito dire strane cose sul conto della vostra congiunta...”
 Raffaele sbiancò, temendo che lo spagnolo avesse sentito delle chiacchiere su Caterina e sullo stalliere. Ottaviano gli aveva scritto di nuovo, avvalorando i suoi dubbi circa una relazione tra i due, ma il Cardinale Sansoni Riario aveva sperato che si trattasse di una cosa ancora segreta, lontana da orecchie e occhi indiscreti.
 “Come...?” balbettò Raffaele, prendendo tempo.
 Rodrigo aggrottò la fronte. La reazione del Cardinale non era proporzionata a quello che Borja voleva insinuare.
 “Ho sentito che il castellano di Forlì in giugno sposerà la sorellastra della vostra parente – fece lo spagnolo, notando la distensione del viso di Raffaele a quelle parole e capendo che doveva esserci qualche altro pettegolezzo, più succoso e compromettente, su cui indagare – e immagino che ne siate felice. Queste nozze metteranno a tacere uno volta per tutte le malelingue che accusavano la Contessa Riario di essere l'amante di quell'uomo.”
 “Infatti. Molto contento, sì...” boccheggiò Raffaele, approfittando subito del passaggio di Ascanio Sforza: “Carissimo Sforza, parlavamo di vostra nipote!”
 “Ne parlavate bene, spero...” sorrise il milanese, con scarsa convinzione.
 “Sforza, ho proprio da farvi una domanda...” fece Rodrigo, concentrandosi improvvisamente su di lui: “Ma è vero quello che dicono tutti? Che Isabella d'Aragona si firma nelle lettere come 'la peggio maritata del mondo'? Come mai, mi chiedo io...”
 Ascanio cominciò a farfugliare mezze frasi, mentre le sue guance incavate prendevano appena colore.
 Raffaele non perse l'occasione e si defilò, lasciando il povero milanese a vedersela da solo con lo spagnolo.

   
 
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