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Autore: dreaming_eclipse    11/04/2009    3 recensioni
Helene è sua amica, Helene lo ama, Helene lo conosce, Helene lo capisce. Ma non capisce sé stessa. Una piccola love_story sul classico caso: innamorata del migliore amico. "Ma ciò che più mi spaventava erano i suoi occhi. Lucidi, di quel verde profondo che mi aveva sempre intrappolata, di cui mi sentivo così dipendente e schiava, sembravano implorare di essere chiusi. Mi inginocchiai al suo fianco e gli passai un braccio sulle spalle. La mia voce tremava quando parlai, cercai di nascondere il mio turbamento: <>."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo mi è venuto un po' più corto... Vi accorgerete che non scrivo mai capitoli particolarmente lunghi. Spero li apprezzerete ugualmente e magari prima o poi imparerò =) Grazie a Tanny per la recensione:

Ti ringrazio davvero per i complimenti, che ho apprezzato davvero tantissimo, e spero che leggerai anche il seguito del primo capitolo. Quanto a migliorare.... Beh, io mi impegno =) i risultati spero arriveranno!

 e a:

1 - bribry85 [Contatta]
2 -
Nessie [Contatta]
3 -
pirilla88 [Contatta] 

Per aver aggiunto questa Fic ai loro preferiti. Ecco il seguito... per favore commentate!!!

                                                               Dreaming_Eclipse

 

 

Whirlpool

 

 

Caddi sul banco, letteralmente. Non volevo essere consolata, non volevo carezze sulle spalle. Nemmeno sue… forse. Le lacrime scendevano copiosamente. Sentii il saluto dei miei compagni di classe quando entro dalla porta, i suoi passi che si fermavano giusto davanti a me, e il suo sguardo, pungermi attraverso la barriera di riccioli scuri che di certo non avrei avuto il coraggio di attraversare. Avevo paura del mio prato, dei fili d’erba che sotto quelle nubi potevano sembrare così scuri, delle onde che in quella tempesta ci avvolgevano e ci allontanavano. I passi ripresero e con loro il battito del mio cuore e un singhiozzo scappò al mio controllo. Ed arrivò, inevitabile, la sua mano sulla mia spalla, una distanza mortificata mantenuta a stento, prima che mi voltassi per abbracciarlo. Lo amavo. Ne avevo il permesso?

 

Tornammo a casa ancora insieme. Non chiedevo altro, ma continuavo a pensare a ciò che ci eravamo detti durante il tragitto di andata. Il pomeriggio i miei mi avvertirono che saremmo andati a cena da una mia amica. Fui felice: non vedevo Francesca da tempo. Quando arrivai fu come qualche anno fa: la nostra amicizia era intatta. Ci precipitammo sul lettone, in camera sua, come facevamo da piccole e spettegolammo del più e del meno. Quando, però, uscì fuori il nome di Lorenzo la sua espressione mi fece preoccupare. Le stavo raccontando dei miei sentimenti nei suoi confronti, lei aveva sempre saputo tutto, per me non era niente di che, il solito discorso con Francesca. Ma vedevo il suo viso farsi sempre più ansioso davanti alle mie parole, alle mie elucubrazioni e a tutte le seghe mentali che aveva sempre sopportato di me. Non capivo e il silenzio scese di colpo. Fui lei a romperlo: “Così… ti piace ancora?”.

Probabilmente impallidii. Cosa voleva dire quel tono? E soprattutto… dove voleva arrivare con quella domanda? “Beh… sì.” Le risposi dubbiosa e un po’ inquieta. Non capivo da dove provenisse quella soffiata di aria strana che mi aveva invaso quando mi aveva domandato una cosa così ovvia.

“Cavolo!” borbottò tra sé. La fissai per un po’, poi non resistetti: “Fra, devi dirmi qualcosa?”. Sì, conoscevo bene quell’espressione sul suo viso. Ricambiò lo sguardo, ma rimase in silenzio. Ripetei la richiesta: “Fra, cosa mi nascondi?”. E lei capitolò.

 

Conoscevo Lorenzo da circa due anni e da un anno e mezzo mi piaceva. Avevamo fatto finalmente amicizia dopo sei mesi di pedinamenti, lettere, mai consegnate, fantasticherie varie: semplicemente era finito nella mia classe e successivamente mio compagno di banco grazie all’aiuto della prof. E forse fu lì che mi innamorai davvero di lui. Iniziò a chiacchierare con me e io non riuscivo a fare a meno di vibrare dalla gioia ogni volta. Erano parole stupide, ordinarie, prive di significati particolari o profondi. Erano chiacchiere dedicate al giorno in sé, che non prevedevano niente per il futuro, ma per me erano l’aria che respiravo. Piano piano mi accorsi che lui stesso mi cercava e che conversazioni s’infittivano durante la giornata, fino a farmi finire in un’immensa utopia onirica, che da sola mi ero creata e che lui sembrava voler alimentare. Ed ero felice. Ma non mi accorsi di con che occhi osservava Francesca quando uscivamo insieme, né delle parole dolci che usava in sua presenza, né delle battute con cui si abbelliva davanti al suo cuore. Fui fortunata perché fu lei a impedirmi una delusione del genere. Fui fortunata perché per il mio bene rifiutò a sé stessa ogni desiderio di lui. E io non lo scoprii… fino a quel giorno.

 

Davanti al mio sguardo vacuo, il suo si riempì di lacrime: “Mi dispiace, non sapevo cosa fare, lui ci provava e io non sapevo come comportarmi e tu non te ne accorgevi o forse sì, non riuscivo a capirlo”. Rimasi con le labbra sospese, come per urlare, ma non spirai fiato. “Helène, ti prego, dì qualcosa!”. Frasi fumose, perse nel mio baratro personale. Non capivo. Non POTEVO capire. Lorenzo, il MIO Lorenzo non era diventato mio amico per una sciocca cotta, non per la mia migliore amica. Il mio prato non poteva diventare così brullo tutto a un tratto, il mio mare calmo non poteva iniziare a vorticare per quella manciata di parole. Non potevo accettare che fosse la realtà, quell’immenso vortice, che mi stava portando via dalla mia amica, non poteva esistere realmente. E lo cancellai: presi la maglia che mi era scivolata dal letto e nascosi i miei brividi, mi alzai lentamente per assicurarmi al terreno e sorrisi. Irrealmente sorrisi, quasi isterica, forse falsa, ma sorrisi. E Francesca mi abbracciò.



  
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