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Autore: Andre Fly    12/04/2009    2 recensioni
Ogni tanto, quando mi capita di soffermarmi ad ascoltare la realtà, a percepire la sua profondità, non posso fare a meno di cercare di descrivere, per quanto mi è possibile, quel turbinio di sensazioni e di emozioni che, come scintille d'armonia, accendono e aprono il proprio cuore.
Genere: Poesia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ed ecco qua il capitolo più raggiante della raccolta, conclusione e proseguimento della situazione di quello precedente (che raccontava, attraverso una lunga metafora, un’esperienza durata circa un anno fra la quarta e la quinta liceo).
Scritto per parti, rivisto più volte (forse troppe) e corretto per cercare di dare un ordine logico e donargli un po’ di comprensibilità per chi lo legge. Il titolo richiama, non a caso, quello della raccolta stessa; titolo che mi è statto suggerito dall’inconscio quando ho deciso di iniziare a pubblicare. La ragione di ciò, mi è sorta solo qualche settimana fa, quando mi sono fermato a riflettere. Immediata , come un cavo che si collega e prende corrente, è stata la comprensione del perché questo titolo, del suo significato che in quel momento ha assunto per me un enorme importanza e mi ha dato ancora più voglia di scrivere.
Ad Alessandra, Ambra, Bina, Davide, Giovanni, Valeria.








Addormentato, assopito, incapace di sentire; inglobato, ibernato in una massa d’acqua ero.
Uno stato di quieta irritazione tutto dentro di me, un desiderio di metamorfosi andava lentamente a delinearsi (flussi argentati scorrono rapidissimi e silenziosi nella mia mente). Un pesce? Una rana! Un delfino; una stella marina, una torpedine. Una medusa… Un granchio
Volevo evadere da quel pericoloso labirinto in cui tutta la mia persona giaceva. Avevo bisogno di un ancòra, di molte àncore, di essere agganciato, di essere preso dentro, catturato, rapito; ogni cosa, fatto o persona che fosse in grado di rigenerarmi, di darmi nuovi colori con cui fondere il mio sguardo, nuove voci, fresche come le uova di un tiepido mattino poste sul davanzale e baciate dai primi raggi del Sole. Sentivo un bisogno di nuove vibrazioni, di nuovi sapori, di quelle delicate armonie che tanta pace riuscivano a darmi: quel campo, quella strada, quella nebbia.

Apro gli occhi e davani ai miei ne scorgo un altro paio, del colore della primavera, occhi sorridenti, furbi, immobili ma allo stesso tempo ammiccanti. Da essi traspariva una sorta di nascosta sincerità, di splendida naturalezza, di dolce attenzione, una chiara e piacevole femminilità. Due occhi e un frammento di viso, velato da lisci capelli di una tonalità leggermente più intensa di quella dell’iride. Pochi istanti dopo mi son reso conto che l’unico dei miei sensi che funzionava era proprio la vista.
Ma intanto aveva smesso di tuonare…

Una carezza, amabile, leggera come una piuma mi si sovrapponeva, delicatamente mi sentivo massaggiato, mi sentivo come una palla di plastilina che con estrema morbidezza viene modellata, lisciata, le vengono appianate le imperfezioni. Quei tocchi così semplici e teneri mi stavano rigenerando il corpo, stavano dando vigore ai muscoli dormienti, la sentivo anche dentro le ossa, non più piegate e segnate dal gelo.
Ma intanto aveva smesso di piovere…

Ed ecco un profumo d’aria giungermi alle narici; finalmente dilatate, vitale ossigeno raggiungeva i polmoni riempiendoli di docile calma, di quella regolarità nel respiro che pensavo m’avesse abbandonato.
Ma intanto aveva smesso di far freddo e l’oscurità con le sue ombre andavano via via sparendo…

Sentivo profondi sentimenti di musicalità dentro le mie orecchie, richiami provenienti da una fonte indefinita, ma vicina.
Ma intanto l’oceano che mi circondava se n’era andato, come una grande marea si era ritirato, lontano…

Ora anche la lingua si era sciolta, una delicata morbidezza percepivo sulle labbra, una freschezza di menta in gola, mi faceva rendere conto di non aver più bisogno di reidratarmi; tutte le mie cellule eran talmente fresche, vive e potevo sentire le pulsazioni di ciascina di essse.
Potevo finalmente decidere della mia posizione; potrei girarmi su me stesso e vedrei alte e bianche montagne innevate, girarmi ancora e camminierei con lo sguardo lungo le sinuosità di verdi colline, di biondi campi coltivati, girarmi e e mi tufferei in quella ricca rigogliosità che solo la Terra sa generare.

In profondi cunicoli ripongo i miei ricordi. Come un bicchiere che cadendo si frantuma in molti pezzi, io raccolgo e conservo i più grossi; i piccoli frammenti sono ormai perduti, semplici dettagli, inutili e dolorosi, persi e non rintracciabili, vuoti e rimossi.
E quando si prova ricostruire il bicchiere, esso non rimane più in piedi, non è più integro, non è più colonna portante all’interno della mia testa. È un vecchio stipite, consumato dal peso che ha dovuto sopportare e dalle innumerevoli volte in cui la sua porta è stata aperta, per entrare in quella attraente stanza dove mi perdevo a cercare di capire ed evadere il mistero che mi dicevi di nono conoscere, pur essendo visibile a molti.
Nel buio della notte, soffocato dall’ignoraza della strada da seguire, scintille d’armonia brillano intorno a me, mi fanno luce, mi accompagnano, mi consolano, mi tengono per mano, mi abbracciano con la loro tenerezza, interagiscono con me e mi fanno sentire più vero, più vivo e più felice.





Quelle scintille d’armonia, siete voi.

  
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