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Autore: Adeia Di Elferas    24/05/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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 “Ci sono grilli ovunque...” si lamentò Caterina, scacciandone uno con un colpo secco della mano: “Sembra quasi una punizione biblica...!”
 “Come?” chiese Tommaso Feo, soprappensiero, alzando lo sguardo dai resoconti che stava spulciando.
 “Dicevo...” cominciò la Contessa, fermandosi subito: “Nulla.”
 Il castellano fece un breve cenno col capo e tornò a revisionare i conti, con un'espressione corrucciata e assorta.
 Da quando era scoppiato il caldo, da un giorno all'altro, Forlì e le zone vicine erano state invase dai grilli. Una vera e propria inondazione.
 Mancava meno di una settimana al matrimonio tra Tommaso Feo e Bianca Landriani e la rocca di Ravaldino si stava preparando a una grande festa. C'era attesa anche per l'arrivo dei genitori della sposa, che, complice il bel tempo ritrovato, sarebbero arrivati da un giorno all'altro.
 A scaldare l'ambiente, oltre ai raggi roventi del sole estivo, erano arrivate delle notizie poco rassicuranti da Roma. Si diceva che Napoli avesse cominciato a fare molte pressioni sul confine, riuscendo anche ad aizzare gli Orsini contro Innocenzo VIII. Anche se dietro al papa si vedeva nettamente l'ombra di Rodrigo Borja, il pontefice era sempre meno influente presso i suoi cardinali e i suoi continui malori agitavano i porporati come non mai.
 Caterina, in tutta franchezza, si chiedeva come mai a nessuno fosse ancora venuto in mente di propinargli qualche veleno per chiudere in fretta la questione.
 Tra tutti, il più interessato in quel senso sarebbe stato proprio lo spagnolo, ma forse Borja non si sentiva ancora abbastanza forte da tentare un nuovo conclave. Suo figlio Cesare, si diceva in giro, aveva intrapreso da poco gli studi all'università di Perugia. Poteva essere che il padre volesse attendere di avere nel figlio un valido alleato e che dunque stesse temporeggiando per dargli il tempo di farsi una cultura coi fiocchi.
 Quale che fosse il motivo, a Caterina importava solo relativamente. Ciò che le premeva di più, arrivata a quel giugno, era capire se Tommaso Feo sarebbe andato fino in fondo con sua sorella Bianca.
 Di matrimoni infelici ne aveva fin sopra ai capelli. Se da un lato aveva la sua passata esperienza con Girolamo Riario, dall'altro aveva gli esempi dei suoi fratelli, Gian Galeazzo e Chiara.
 Del primo aveva ricevuto nuove notizie, sempre per mano di Isabella d'Aragona, che ci teneva a informarla di come le sue 'tiepide parole' non avevano per nulla 'scaldato il cuore' del Duca, mentre la seconda era arrivata a uccidere il primo marito perché lui era ancora innamorato di un'altra donna.
 Pensando a Chiara, Caterina non riuscì a reprimere un vago sorriso. Proprio la sera prima le era stata recapitata una stringatissima missiva della sorella, che, da Roma, le faceva sapere che stava bene, che si era salvata dal naufragio e che aveva appena dato alla luce un figlio.
 'Il suo nome è Paolo' le aveva scritto: 'Egli è in salute e assomiglia molto a nostro padre. Rassicura anche nostra madre sulla mia salute e su quella del mio bambino, ma dopo questa mia, te ne prego, non chiedere più nulla, non cercarmi più. Mi fido di mia sorella, ma non di mio zio e so che ultimamente vi state riavvicinando. Dunque, non chiedere e non cercare, sorella mia, perché non saprai altro.'
 E con quelle parole la lettera si chiudeva, seguita dalla firma di Chiara e un'ultima dichiarazione d'affetto.
 Caterina era certa, da quello che Chiara aveva scritto, che la sorella fosse felice, con quel suo secondo marito che finalmente l'aveva resa madre, tuttavia sapeva che le cicatrici nate dal primo matrimonio non se ne sarebbero mai andate. Non voleva che anche Bianca dovesse soffrire una pena simile.
 Non voleva vedere Bianca costretta a una vita infelice, ma non poteva far nulla per impedirle di sposare un uomo di cui si dichiarava innamorata.
 “Se lo desiderate, per il matrimonio, farò venire alla rocca Andrea Bernardi, così potrà sbarbarvi e pettinarvi.” propose Caterina, risvegliandosi dai suoi pensieri, mentre l'ennesimo grillo si attaccava al vetro dello finestra.
 Tommaso fece un verso di assenso, senza nemmeno sollevare gli occhi dal foglio, anche se la sua attenzione era in parte stata deviata dalle parole della sua signora.
 “Siete ancora in tempo per cambiare idea.” provò a dire Caterina, osservando il grillo che le passeggiava davanti al naso: “Potete ancora rifiutarvi di sposarla. Se non siete sicuro di quello che state per fare, meglio ritirarvi in buon ordine prima che sia troppo tardi.”
 Il castellano deglutì rumorosamente e, voltando pagina, disse con semplicità: “Non mi rimangio la parola data.”
 Caterina avrebbe voluto ribattere in qualche modo, sperando di far finalmente ragionare il suo castellano, convincendolo a evitare un matrimonio di ripicca, quando lui le chiese: “Avete già fatto confezionare un vestito per mio fratello? Sarà il mio testimone e non credo abbia abbastanza denaro per comprarsi un abito adeguato, lo sapete, vero?”
 Il tono con cui Tommaso aveva posto quella domanda lasciava intendere anche troppe cose, così Caterina si indispose e borbottò, a mezza bocca: “Non dovete preoccuparvi, ho già provveduto a fargli confezionare un abito adatto alla cerimonia.”
 Tommaso inarcò un sopracciglio: “Bene. Se dovessimo aspettare che mio fratello guadagni abbastanza da farsi fare un vestito lussuoso, diventeremmo vecchi nell'attesa.”
 
 Gian Piero e Lucrezia Landriani arrivarono assieme al figlio Piero due giorni prima delle nozze di Bianca e Tommaso.
 Il loro viaggio era stato abbastanza lungo e difficoltoso, in parte per via della strada accidentata in più punti, a causa dell'inverno appena trascorso, e in parte perché avevano portato con loro praticamente tutti i loro averi.
 “In previsione di restare per sempre in Romagna – aveva riso Gian Piero, poggiandosi una mano sul ventre prominente – abbiamo dovuto far fagotto!”
 Lucrezia aveva subito voluto vedere le figlie, dicendosi incredibilmente lieta nel poterle rivedere entrambe sane e salve e poi si era dedicata per tutto il pomeriggio ai nipotini.
 Dopo cena, poi, aveva chiesto a Tommaso Feo – che si era comportato per tutto il tempo come il genero ideale – di lasciarla sola un momento con Bianca.
 Quando le vide sparire assieme verso la camera che era stata provvisoriamente assegnata ai Landriani, Caterina immaginò che sua madre volesse congratularsi con Bianca per le imminenti nozze e parlarle di... Non sapeva dire di cosa. In quel momento, mentre le guardava allontanarsi l'una sotto braccio all'altra, l'unica cosa a cui riusciva davvero a pensare era che a lei non era stata concessa una vigilia di nozze di quel tipo. Sua madre non le aveva parlato con il sorriso sulle labbra, felicitandosi con lei per un futuro marito 'gentile e prestante'. Quando lei era stata data in sposa a Girolamo Riario, c'era stata solo una donna vestita di grigio, accanto a lei, che non le aveva parlato quasi mai e che, in fondo, non aveva fatto altro che rendersi complice di un crimine.
 Solo a tarda sera Lucrezia si presentò alla porta delle stanze di Caterina.
 “Chi è?” chiese la moglie di Bernardino, avvicinandosi con circospezione all'uscio chiuso.
 La donna stava aiutando la sua padrona a sciogliersi i capelli e messer Giacomo Feo era già nella stanza. Dunque doveva stare molto attenta a chi bussava alla porta.
 “Sono la madre di Caterina.” rispose la voce di Lucrezia.
 La dama di compagnia si voltò verso la Contessa per riferire, ma non ce n'era bisogno. Caterina aveva sentito benissimo e stava pensando a come gestire quel momento. Non aveva pensato che sua madre sarebbe passata da lei. Credeva che Lucrezia avrebbe trascorso l'intera serata con Bianca...
 “Un momento.” le rispose, poi, alzandosi, si rivolse a Giacomo: “Torno più tardi.”
 Il ragazzo fece un breve sospiro, ma sorrise: “Ti aspetto.”
 Lucrezia non si aspettava di vedere uscire la figlia, piuttosto pensava che l'avrebbe fatta entrare e accomodare nella sua stanza.
 “Vieni, andiamo nello studiolo del castellano. Là non ci disturberà nessuno a quest'ora.” fece in fretta Caterina, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle.
 Arrivate nella stanzetta che ospitava tutte le scartoffie della rocca, Caterina accese un po' di candele con quella che aveva portato con sé e invitò la madre a sedersi sulla poltroncina imbottita, mentre tenne per sé la sedia di legno intagliato.
 Lucrezia cominciò con un certo distacco a dirle quando i bambini fossero cresciuti e quanto la trovasse bene: “Sei molto più distesa dall'ultima volta.”
 Caterina avrebbe voluto farle notare che l'ultima volta che si erano viste erano prigioniere degli Orsi, ma capiva bene che sua madre era solo un po' in imbarazzo. Paradossalmente entrambe erano più impacciate quella sera, nel rivedersi dopo qualche mese, che non quando si erano riviste a Milano dopo anni.
 “E così vi siete trasferiti qui in pianta stabile.” notò Lucrezia, per rompere il ghiaccio.
 “Non mi fido a tornare a palazzo. Preferisco la rocca.” spiegò secca Caterina, facendo subito morire il discorso.
 “Tommaso è un brav'uomo?” chiese Lucrezia, dopo una breve esitazione, stringendo le mani l'una nell'altra: “Insomma, so che ti fidi di lui. Bianca mi ha detto quanto è stato importante, dopo...”
 “Dopo la rivolta degli Orsi.” l'aiutò Caterina.
 “Infatti.” convenne Lucrezia: “Tuttavia, l'ho visto un po' freddo con lei, oggi...”
 “Tommaso è il migliore degli uomini e Bianca lo ama.” tagliò corto Caterina: “Non vedo che altro ci serva sapere.”
 A Lucrezia non sfuggì l'irritazione della figlia, anche se non ne capì il motivo.
 Pur vergognandosene profondamente, Caterina si stava rendendo conto di essere invidiosa di Bianca e delle preoccupazioni che la loro madre le stava riservando. Non poteva mettere a tacere la voce che nella sua mente le ripeteva, insistente e perfida: 'Per te non si era preoccupata così tanto...'
 Lucrezia comprese che, almeno per il momento, era meglio cambiare argomento. Così cominciò a raccontare della Festa del Paradiso e sul matrimonio di Gian Galeazzo.
 “Tuo fratello Ermes era andato a Napoli a rappresentarlo per il matrimonio per procura – stava dicendo – e poi alla festa indetta al palazzo di Porta Giovia c'era anche Piero Medici, il figlio di Lorenzo.”
 Caterina era poco interessata a quelle cose, ma fece finta di gradire quelle chiacchiere, così familiari e rilassate che quasi la fecero sentire a casa.
 “Bona mi ha detto di salutarti.” fece poi Lucrezia, appena più seria: “E ha aggiunto di dirti che non te ne ha mai fatto una colpa, di quello che è successo. Io non so che intendesse, ma sembrava una cosa importante.”
 Caterina era rimasta immobile, nel sentire quelle parole. Bona la stava sollevando da un peso enorme con quel semplice perdono. Si era sempre fatta una colpa di averla convinta a destituire Cicco Simonetta. Per insopportabile che fosse quell'uomo, era sempre stato un cancelliere diligente e scaltro, esattamente il tipo di persona che avrebbe potuto salvare Bona da Ludovico. Con le sue lettere, Caterina aveva avuto un ruolo fondamentale nella caduta di Simonetta e quindi nella carcerazione di Bona.
 “Infatti, è una cosa molto importante.” concordò Caterina.
 Lucrezia la guardava come a chiederle maggiori spiegazioni e restò un po' delusa nel vedere come invece la figlia pareva intenzionata a non dire altro in merito.
 “Come sta Bona?” chiese Caterina, accomodandosi sulla sedia.
 “Ha qualche ruga in più e i capelli le stanno diventando bianchi, ma per il resto è esattamente come la ricordi.” mentì Lucrezia, che invece aveva trovato Bona estremamente provata e invecchiata.
 Caterina sorrise: “Mi fa piacere.”
 Anche Lucrezia si aprì in un breve sorriso, prima di farsi di nuovo accigliata: “Hai saputo dei problemi di tuo fratello?”
 “Del fatto che sua moglie si firmi 'la peggio maritata'? Sì, quella ragazza ha scritto anche a me, ma devo ammettere che queste cose mi toccano solo fino a un certo punto.” rispose Caterina, alzandosi improvvisamente.
 Era stufa di parlare e sentir parlare solo di matrimoni. Da un lato le ricordavano quello che era stato il suo, dall'altro le rinfacciavano il fatto che non avrebbe mai potuto sposare Giacomo. Non come Bianca avrebbe sposato Tommaso, almeno. Niente feste, niente madri sorridenti e rocche addobbate per l'occasione. Non voleva provare invidia, perché quello era un sentimento che la rendeva irascibile e scontenta, quando lei invece avrebbe voluto essere solo tranquilla e felice. Tuttavia non riusciva a frenarsi...
 “Hai ragione.” fece piano Lucrezia, lisciandosi l'abito, quasi convinta che la conversazione si stesse spegnendo.
 Però Caterina non accennava a congedarsi, limitandosi a vagare per la stanza, andando ora a una candela ora all'altra, pretendendo di controllarne la fiamma.
 “Bianca mi ha detto qualcosa riguardo un tuo possibile... Interesse amoroso.” fece alla fine Lucrezia, incerta.
 “Bianca a volte parla troppo.” la fermò subito Caterina, con troppa durezza.
 Lucrezia, in quei modi bruschi, stava rivedendo in parte la stessa figlia che le era arrivata improvvisamente a Milano, stremata dalla vicinanza del marito Girolamo e in cerca di un po' di affetto materno. Rammentando come Caterina fosse migliorata nell'arco di pochi giorni, decise che le avrebbe lasciato il suo tempo. Si sarebbero riavvicinate poco per volta e questa volta sarebbe stato per sempre.
 “Scusami...” disse Caterina, accorgendosi di aver esagerato: “Sono solo un po' stanca.”
 “Hai ragione, è tardi. Colpa mia.” si schermì Lucrezia, mettendosi in piedi e andando verso la figlia: “Avremo tempo, stavolta.”
 Caterina annuì e si lasciò abbracciare, maledicendosi per le barriere che lei stessa costruiva senza volerlo e per la difficoltà che incontrava nell'abbatterle.
 “Ora andiamo a riposare.” concluse Lucrezia e lasciò che la figlia l'accompagnasse fino alla sua camera.

 Il 21 giugno, sotto a un cielo azzurro come il mare, Tommaso Feo e Bianca Landriani si sposarono, alla rocca di Ravaldino, di fronte a pochi parenti e amici stretti.
 Il castellano Feo indossava un abito di foggia invidiabile, tanto elegante da farlo sembrare un nobile, mentre Bianca portava un vestito bianco molto semplice, così grazioso e leggerlo da farla sembrare una bambina.
 Caterina sedeva in prima fila, assieme ai genitori e al fratello della sposa. Seguì l'intera cerimonia con uno strano batticuore. Per quanto si fosse dibattuta, nelle settimane addietro, nel dubbio, ora che li vedeva una accanto all'altro, sentiva che Bianca e Tommaso avrebbero avuto un matrimonio felice.
 Non sapeva dire in che modo, ma la sensazione era quella.
 Giacomo Feo era stato agghindato e preparato come un principe. Il suo vestito, inutile negarlo, era molto più costoso e alla moda di quello del fratello, tanto da farlo quasi sfigurare. Se non fosse stato che era Tommaso, quello davanti al prete, si sarebbe potuto pensare che lo sposo fosse il fratello minore.
 La festa che seguì al matrimonio si tenne alla rocca, sempre tra pochi intimi.
 I figli più grandi di Caterina mangiarono al tavolo degli sposi, mentre la Contessa e la famiglia di Bianca, assieme a quella di Tommaso, si sistemarono in un tavolo vicino.
 Caterina e Giacomo si erano volutamente seduti lontani l'uno dall'altra, ma Lucrezia non mancò di notare gli sguardi, frequenti e insistenti, che i due si lanciavano.
 Quando venne il momento di ballare, gli sposi aprirono le danze, seguiti quasi a ruota dagli invitati più giovani, tra cui Bernardino e sua moglie.
 “Mi concedete questo ballo?” fece Gian Piero, ridacchiando, porgendo la mano alla moglie.
 Lucrezia sorrise, mentre il figlio Piero invitava una delle dame presenti nella sala, ma prima di accettare fece con Caterina: “Balla anche tu, dai... Perché non la fate ballare voi?” chiese, rivolgendosi a Giacomo: “Il fratello dello sposo deve assolutamente ballare con la sorella della sposa!”
 Giacomo aprì appena le labbra, cercando lo sguardo di Caterina, sperando che gli venisse in aiuto, ma la Contessa aveva preso quella proposta come una sfida: “Mia madre ha ragione.” fece, poi guardò Giacomo: “Non ballo veramente da molto tempo.”
 “Mi... Mi concedete l'onore?” disse allora Giacomo, ricordandosi all'ultimo di usare il 'voi' di rappresentanza.
 Lucrezia non aveva messo cattiveria nella sua insinuazione. Voleva solo capire e quando vide la disinvoltura con cui la mano di Giacomo toccava quella di Caterina, capì di aver fatto centro.
 Man mano che i musici cambiavano melodie, tutte adatte a danze di coppia, Caterina si trovò a essere grata a sua madre, per averla istigata a ballare con Giacomo. Era una delle prime cose che facevano assieme. A parte incontrarsi di nascosto, Giacomo e Caterina non facevano mai nulla assieme...
 Tra una giravolta a l'altra, i due non si dicevano nulla, a mala pena incrociavano lo sguardo l'uno dell'altra, troppo intenti a non sfiorarsi con troppa voluttà, a non stringersi con eccessivo entusiasmo, a controllarsi per non insospettire nessuno. Il loro non cambiare mai compagno di ballo, però, insospettì ben più di un ospite, anche senza prove più schiaccianti.
 
 Tommaso si sentiva un po' alticcio. Pur non volendo esagerare, aveva bevuto un po' troppo, durante il banchetto. Il ballo, poi, gli aveva solo confuso le idee.
 Si era sentito un vero verme quando, per tutto il tempo, si era scoperto a fissare suo fratello che ballava con la Contessa. Quasi non si era accorto di avere tra le braccia la sua novella sposa, una giovane donna che lo aveva scelto, pur sapendo quanto lui preferisse la sorella.
 Bianca non era ancora arrivata nella loro stanza. La Contessa aveva insistito per farli trasferire negli alloggi più comodi della rocca e Tommaso aveva accettato, malgrado fosse affezionato alla sua vecchia camera.
 Colto da un calore improvviso, Tommaso andò alla finestra e l'aprì appena, sperando di sentire entrare un po' di aria. Al contrario, un'afa ancora più pesante gli alitò in viso, mentre l'assordante fracasso prodotto da chissà quanti grilli riempiva la stanza. Tutt'attorno, nella vegetazione, sotto alla luna di quel solstizio d'estate, dovevano esserci nascosti milioni di grilli...
 Tommaso si massaggiò la fronte, pentito di aver bevuto tanto e infastidito da quel rumore molesto e ripetitivo. Ancora non credeva possibile di essere sposato. E sì che ci aveva ragionato parecchio...
 Finalmente udì la porta alle sue spalle aprirsi. Quando si voltò, fece appena in tempo a vedere una delle serve allontanarsi e lasciare lì Bianca, avvolta da una vestaglia quasi trasparente, i capelli lunghi sciolti sulla schiena e lo sguardo basso, tradito appena dal rossore delle guance.
 Mentre la moglie gli si avvicinava, Tommaso ebbe un momento di ripensamento. Forse la sua signora aveva ragione, forse non avrebbe dovuto sposarsi solo per ripicca...
 Bianca gli era ormai di fronte e gli parve di colpo piccola, indifesa e così diversa da Caterina...
 “Potete fingere che io sia lei.” fece la ragazza, senza levare gli occhi da terra, ma con un pallido sorriso sulle labbra sottili: “Non mi importa. So che col tempo amerete me e me soltanto.”
 Tommaso cominciò a scuotere il capo, ma il vino lo rendeva debole e il modo in cui Bianca gli prese la mano con le sue gli fece capire quanto lei lo desiderasse e a quel punto non gli parve una colpa tanto grande, assecondare la sua sposa.

   
 
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