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Autore: Stephanie86    24/05/2016    2 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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17

 

 

 

Minnesota. Anni fa.

 

“Ehi, che diavolo fate?”

Lily aveva deciso di non andare a scuola quella mattina. Non c’era un motivo particolare. Semplicemente non aveva intenzione di chiudersi tra quelle quattro mura. Non aveva amici con cui andare a zonzo e non aveva sgraffignato la carta di credito di suo padre. Però era salita su un autobus ed era arrivata in periferia.

Là c’era un edificio con i muri ricoperti d’edera, che un tempo era un magazzino. Alcune finestre erano rotte, altre incrostate di fango e sporcizia non meglio identificata. Quel posto di sera metteva i brividi, soprattutto in inverno, perché era isolato, buio e gli spacciatori cincischiavano in ogni angolo. Ma quel giorno era estate. Era giorno e dietro al vecchio magazzino c’era solo uno spiazzo in cui i ragazzi giocavano a baseball.

Girato l’angolo, dopo pochi passi si imbatté in qualcosa. Era gialla. Un giallo acceso che sarebbe potuto piacere giusto ad un bambino.

‘O ad Emma’, si ritrovò a pensare.

La raccattò. Era una scarpa destra della Converse e sembrava nuova, non un oggetto abbandonato lì da molto tempo. Più avanti c’era anche il berretto sul quale era stampato il simbolo di una squadra di baseball. Lily cominciava ad avvertire brutte vibrazioni e si pentiva di aver avuto la brillante idea di recarsi in quel posto isolato.

Poi udì il grido. Ed era un grido di dolore. Il grido di chi sapeva di essere nei pasticci, ma sapeva anche di non avere alcuna speranza di uscirne tutto intero. Lily lasciò cadere la scarpa e il berretto e corse. Quel grido la spinse a scattare in avanti. Ad andare a dare un’occhiata, anche se era una stupidaggine, perché poteva finire nei guai a sua volta. E lei era molto brava a cacciarsi nei guai. Era brava a fare scelte sbagliate. O che le parevano giuste, ma poi le si rivoltavano contro. Una maledizione che la seguiva come un’ombra.

Un altro grido. Infine una risata maschile.

“Che cosa stai aspettando, bamboccio? Mangiala”, disse qualcuno. “Mangiala oppure te la faccio mangiare io. Se la mangi, potrai andartene a casa. Mi sembra un ottimo accordo”.

A quel punto Lily chiese che diavolo stesse facendo. Nel mentre aveva anche già raccolto una mazza da baseball lasciata cadere perché il proprietario aveva appena trovato un nuovo passatempo.

Il ragazzo alzò la testa. In piedi accanto a lui ce n’era un altro in tenuta sportiva, con la mano sinistra infilata in un guantone da baseball. Sul guantone c’era... uno stronzo di cane rinsecchito che i due stavano cercando di far mangiare ad un ragazzino smilzo e dal volto foruncoloso. Il ragazzino era rannicchiato per terra, un piede scalzo, la maglia con un vistoso strappo sulla schiena e un ginocchio sbucciato. Singhiozzava.

Colto di sorpresa e conscio del tono genuinamente disgustato di Lily, il tizio che aveva detto al “bamboccio” di mangiarsi la merda fece un passo indietro, ma poi si accorse che colei che l’aveva apostrofato aveva due o tre anni meno di lui ed era anche notevolmente più bassa.

“Sparisci. Non sono affari tuoi”, disse.

“Già”, gli diede manforte l’altro. “Sparisci. Finché sei in tempo...”

“Due contro uno. Due tizi grandi e grossi contro un ragazzino...”, ricominciò Lily. “E se lo raccontassi in giro? Ti conosco. Frequenti la mia stessa scuola”.

“Non racconterai un bel niente. Fidati. Potresti essere morta prima di allora”. Aveva i capelli ricci e castani che gli scendevano lungo il viso e sulle spalle. La mazza da baseball doveva essere sua, ma non lo preoccupava il fatto che ce l’avesse Lily. “Fuori dai piedi. Adesso”.

Lily non avvertiva alcun senso di paura, pur essendo consapevole che quei due avrebbero potuto spiaccicarla contro un muro come una mosca. Solo che non avrebbe potuto importargliene meno. Era in preda ad un’indicibile indignazione. Il pianto del ragazzino le rimbombava nella testa, alimentandone la furia.

“Se vuoi la sistemo io, Scott”, intervenne il compare.

Fu Lily a sistemarlo per prima. La mazza da baseball lo colpì sulla mascella, dislocandogliela. Sputò sangue e cadde per terra, intontito, gorgogliando qualcosa di incomprensibile. Il ragazzo di nome Scott la fissò con gli occhi fuori dalla testa. Poi la mazza raggiunse anche lui. Tra collo e spalla. Lily aveva una gran voglia di beccarlo in testa. Nella sua mente c’era una gigantesca nebbia rossa che le offuscava la ragione e dentro una bestia nera con occhi di fuoco e che sputava fumo dalle narici. Nessuno dei due si aspettava che lei lo facesse sul serio o che possedesse tanta forza, per questo non avevano avuto il tempo di reagire. Non l’avevano guardata bene. Se l’avessero guardata, forse avrebbero visto qualcosa nel suo sguardo. Forse avrebbero visto che non scherzava.

Lily lo colpì una seconda volta. Al ginocchio. Scott lanciò un urlo stridulo. Ora non sentiva più il pianto del ragazzino. Il pianto era lontano.

Quando la nebbia rossa si diradò, i due giacevano a terra, doloranti e gementi. Il ragazzino preso di mira, invece, la fissava con gli occhi sgranati. Aveva le guance rigate di lacrime e sporche di terra.

“Va tutto bene. Sono... solo degli idioti. Ti conviene andartene”.

Lui non se lo fece ripetere due volte. Raccolse lo zaino che era caduto a terra e filò via, più veloce del vento. Non la ringraziò. Non le disse niente.

A Lily sembrò che avesse paura di lei e non più dei due tizi che l’avevano minacciato.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Fallo. – disse ancora Emma, mentre un altro tuono borbottava sopra le loro teste e la pioggia cadeva sempre più fitta, insieme alla grandine.

Lily strinse di più l’elsa di Excalibur. Alzò la testa e vide Nimue a pochi metri di distanza.

Emma si sollevò un po’ e la punta della lama le sfiorò la gola. Avvertì il morso freddo dell’unica arma che avrebbe potuto ucciderla. Ucciderle entrambe. Eppure non smise mai di guardare Lily. I suoi occhi non lasciarono mai quelli della ragazza che la minacciava, che respirava affannosamente, mentre nella sua testa scorreva un turbine di idee e pensieri, un turbine di sentimenti in contrasto fra di loro. Emma li vedeva tutti, quei sentimenti. Vedeva quel turbine, nero come il tornado che si era portato via Zelena e la bambina. Lo vedeva accenderle lo sguardo. Rabbia, paura, risentimento, rammarico, dolore.

Lily gridò e poi conficcò la lama nell’asfalto. Si aprirono crepe che si diramarono fino all’edificio più vicino. Salirono lungo i muri, raggiunsero il tetto rompendo i vetri delle finestre. E infine l’edificio crollò come un castello di carte.

Emma non ci badò. Quando Lily si piegò su se stessa, piangendo, lei l’abbracciò.

- Io non posso farlo, Emma.

Lei non rispose. Non subito.

- Mi parla continuamente. Quello che vuole che io faccia... è molto peggio di ciò che ho fatto ora. Provo a... provo ad ignorarla. Ma lei torna sempre.

- Ti sta manipolando, Lily. È così che fa. – Emma si ritrasse e la fissò. – Io ho cercato di proteggerti da questo. Ti ho tolto i ricordi... per proteggerti. Togliendoteli, non avresti ricordato cos’eri diventata e non avresti ricordato Nimue. Avrei avuto il tempo per... ricomporre Excalibur e distruggere l’oscurità in entrambe.

- Non è servito a niente! Lei è di nuovo qui! – Lily si alzò, voltandole le spalle.

- Prenditi quello che vuoi, Lilith. – disse Nimue. – Abbiamo perso già abbastanza tempo. Prenditi ciò che vuoi!

- Puoi ancora lottare contro di lei, Lily! – intervenne Emma, raggiungendola e afferrandola per il braccio. – Lei vuole che tu uccida i miei genitori...

- Anche tu sei furiosa con loro...

- Certo che lo sono. Mi hanno imprigionata, a Camelot. Regina mi ha imprigionata. Anch’io... c’è una parte di me che vorrebbe far loro del male. Gliene ho già fatto, cancellando le loro memorie. Gliene ho fatto, rifiutandomi di parlare con loro. Ne ho fatto anche a Regina... e quella parte di me... pensa di non aver ancora finito.

- Allora ascoltala. Insieme saremo più forti. – disse Nimue.

- Se la ascolto, non distruggerò solo me stessa, ma anche te, Lily. E tu non meriti questo. Nemmeno Henry lo merita. E se faccio del male alla mia famiglia... perderò anche lui. Lui... ha creduto in me, proprio come hai fatto tu.

- Non meritava questo, ma l’hai trascinata nell’oscurità con te, Emma. – sibilò il primo Oscuro. – L’hai... portata con te, perché è così che è sempre stato. Siete sempre state... unite. Anche quando eravate lontane. Tutto questo è un segno. Guardati, Emma... anche l’illusione che hai creato intorno a te sta svanendo...

Emma abbassò lo sguardo sulla mano destra, scorgendo chiaramente le sfumature verdeoro tra le dita e sulle nocche. Era sicura che anche il suo viso stesse cambiando.

- Tutto questo deve finire. – ribatté Emma, scuotendo il capo, come chi cerca di scacciare un fastidioso insetto.

- E finirà. - rispose Nimue, piazzandosi davanti a lei. – Oh, sì. Finirà. Quando Lily avrà portato a termine il piano.

- No. Lily...

- Mi dispiace, Emma. - Lily agitò una mano e in essa comparve un acchiappasogni. Una scia di ricordi lasciò la mente dell’altro Oscuro e la rete del cerchio di salice li catturò, illuminandosi.

Emma batté le palpebre. Cercò di afferrare qualche frammento di memoria, ma l’ultima immagine che la sua mente le propose fu quella di lei e Lily nelle segrete del castello di Rothbart, dove Regina l’aveva rinchiusa.

Una densa nuvola viola avvolse Lily completamente. Sparì prima che Emma potesse fermarla.

 

***

 

Camelot. Poche ore prima della maledizione.

 

- Lily... ti prego, aspetta. – Malefica allungò una mano verso la figlia. – L’oscurità si sta servendo di te. Non devi ascoltarla.

- In realtà io sto facendo l’unica cosa giusta, quella che avreste potuto fare voi, invece di tradire Emma. Dov’è, a proposito? – domandò Lily, puntando Excalibur contro di loro.

Regina e Malefica si scambiarono un’occhiata. Gli altri giacevano per terra, privi di sensi. Persino il corvo di Knubbin era svenuto sul petto del suo padrone, con le ali spalancate e il becco socchiuso.

- Nei sotterranei, lo so. Ma vorrei che mi indicaste la strada. – aggiunse Lily.

Nessuna di loro due si mosse. Malefica si portò accanto a Regina.

- Brave, datevi man forte. Credete che basterà?

- Non dobbiamo arrivare a questo, Lily. – disse Regina.

- Sei tu che mi spingi a questo, Regina Cattiva. Perché immagino che ti diverta molto rinchiudere le persone in una buia segreta. Un tempo era quello che facevi con chiunque non eseguisse i tuoi ordini. Con chiunque fosse dalla parte della ragazzina che non ha tenuto la bocca chiusa. – Sollevò le sopracciglia, rivolgendole un sorriso arrogante.

A Regina pulsavano le tempie per la collera. Ed era una collera bruciante. La Regina Cattiva che era stata aprì gli occhi nell’angolo in cui era stata relegata. Quella parte di lei non vedeva l’ora di torcere il collo a Lily. Ma non poteva fare questo. Non poteva fare questo ad Emma e non poteva fare questo a Malefica.

- Ditemi dov’è Emma e dov’è il pugnale. Potete farlo o devo prendermi entrambe le cose con la forza?

- Sarebbe la soluzione migliore. – sussurrò Nimue.

- Sta zitta.

- Regina, che cosa succede? – disse Robin, piombando nella sala, armato di arco e frecce. Ne aveva una già incoccata.

- Mamma?

- Henry, no. Va via! – gridò Regina, in preda al panico.

Robin scoccò la freccia, che Lily acchiappò con una mano prima che la trafiggesse. Poi si liberò sia del ladro che di sua madre con un gesto della mano e afferrò Henry per il collo, sollevandolo da terra.

- Lascialo andare... – sibilò Regina.

- Lo farò quando ti toglierai dai piedi. Ma prima dammi il pugnale.

- Lily... non puoi fare del male ad Henry. – intervenne Malefica. – Lo sai. Emma ti odierà.

- Oh, sul serio? Vediamo se Regina è d’accordo con te. Vediamo se è disposta a rischiare la vita del suo adorabile bambino. – Lily guardò Regina.

Henry scalciava, cercando di avere la meglio su una presa per lui troppo salda.

Regina fece comparire il pugnale e lo lanciò a Lily. L’arma dell’Oscuro scivolò sul pavimento fino ai piedi della ragazza.

Lily lo raccolse e lo rimirò per qualche istante. – Ottima scelta.

- Lascia andare mio figlio.

Henry cascò per terra e perse conoscenza come tutti gli altri. Regina ormai era sola. E non la sorprese per niente che l’Oscuro non avesse ancora finito. Si sentì afferrare per il collo. Annaspò, mentre Lily la trascinava verso di sé. Regina strinse la giacca che Lily indossava e la fissò con rabbia.

Lily rimise Excalibur nel fodero appeso alla cintura e affondò una mano nel suo petto, estraendone il cuore pulsante. Pulsante e nero.

- Non è protetto. – disse Lily, osservandolo e soppesandolo. – Eri davvero convinta che Emma non ti avrebbe mai fatto del male... ma avresti dovuto pensare anche a me.  

Regina fissava il proprio cuore nelle mani della figlia di Malefica.

- Ora portami da Emma. – ordinò Lily, tenendolo sul palmo della mano destra.

Regina oppose una breve, ma energica resistenza. Un dolore atroce le scoppiò in testa e al centro del petto. Inorridita, avvertì la sua volontà tendersi come una corda di violino e le sue gambe muoversi verso la porta che conduceva nei sotterranei. Non aveva più alcun controllo su ciò che faceva. Era una sensazione che non aveva mai provato ed era spiacevolissima. Non voleva obbedire, eppure non era in grado di avere la meglio.

- Te l’avevo detto che non eri una Salvatrice. Quelle come noi non possono esserlo. – disse Lily, spingendola perché accelerasse il passo. – Mai.

 

***

 

Minnesota. Anni fa.

 

“Fuori da questa casa!”, le disse l’uomo che si definiva suo padre, indicando l’uscita con il lungo dito indice.

“Mi stai davvero cacciando? Dove potrei andare?”. Lily aveva quindici anni. Ed era arrabbiata con chiunque. Persino con se stessa.

“Questo è affar tuo”.

Non l’avevano cacciata per ciò che era successo al campo da baseball, con quei due ragazzi. Non l’avevano mai saputo. Ma sua madre aveva saputo che aveva saltato alcune lezioni. Diverse lezioni. Era iniziato tutto così. Era tornata a casa un pomeriggio dopo la scuola e lei la stava aspettando in cucina. Furibonda. Lo schiaffo l’aveva colta alla sprovvista e la forza della percossa era stata tale da mandarla a sbattere contro il tavolo.

“Non so che cosa ho fatto di male per meritarmi questo”, le aveva detto sua madre, la faccia rossa e gli occhi sgranati. Sembravano sporgere fin quasi a toccare le lenti degli occhiali. “Perché fai così?”

“Ho saltato solo qualche lezione”, le aveva risposto, portandosi una mano alla guancia in fiamme.

“Non si tratta solo delle lezioni e lo sai bene!”

Era vero. Non si trattava solo delle lezioni. Si trattava della sua vita. Della sua vita che andava a rotoli.

“Io ti ho dato tutto quello di cui avevi bisogno, Lily. Ma non è mai abbastanza per te. Che cos’è che vuoi?!”

Voglio smettere di sentirmi così, pensava Lily. Voglio smettere di sentirmi invisibile in un posto che dovrebbe essere casa mia. Voglio smettere di prendere decisioni che sembrano giuste ma poi mi si rivoltano contro.

“Rispondi!”

“Già lo sai. Te ne ho parlato, ma tu non mi hai ascoltata”.

“Lily... che cosa dovrei ascoltare? Le tue farneticazioni sulla presunta maledizione che ti perseguita?”

“Io ci provo, okay? Ci provo a fare la cosa giusta!”

“No, non è vero! Non ci hai mai provato veramente!”. Sua madre la guardava così come avrebbe potuto guardare una sconosciuta capitata in casa sua per caso. “Non hai idea di quanto tu mi abbia delusa, Lily”.

Aveva detto qualcos’altro. C’erano state altre accuse, le voci si era trasformate in grida. Ma per Lily il mondo era diventato grigio già da un bel pezzo. Prima grigio e poi rosso. Quel rosso che precedeva la tempesta. Una tempesta di fuoco.

Ad un certo punto sua madre aveva cercato di rifilarle un altro ceffone e Lily l’aveva fermata, prendendola per il polso e spingendola. Non voleva farla cadere. Non intendeva farle male. Voleva solo... allontanarla da sé, perché odiava essere guardata così. Come se fosse stata solo un errore. Una ragazzina capricciosa, che si divertiva a far soffrire le persone che le avevano dato una casa e straparlava di maledizioni, di sogni fatti di fiamme. Perché i suoi sogni erano spesso così: fiamme, creature alate, la realtà vista dall’alto. Quando si destava, la sua mano correva al ciondolo che portava al collo. A volte il ciondolo le sembrava caldo. Bruciante come i sogni. A volte era gelido e stringerlo la faceva sentire più vicina a quella madre che non aveva mai conosciuto.

Solo che le aveva fatto male.

La madre adottiva che tanto aveva deluso era caduta, battendo la testa e guadagnandosi un trauma cranico.

“Non puoi davvero buttarmi fuori! Non volevo farle del male, lo giuro!”, gridò Lily, in lacrime.

“Ho detto: fuori!”

Prese uno zaino e solo alcune delle sue cose. Qualche vestito di ricambio. Dei soldi. Beh, quelli li rubò. E fu costretta ad andarsene.

Alla sue spalle la porta sbatté.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Che cosa posso fare ancora per te, Lilith? Immagino che non sia una visita di cortesia. – disse il signor Gold, uscendo da dietro il bancone del suo negozio. – Dopo gli ultimi... avvenimenti... mi perdonerai anche se non ti offro un tè.

Belle sembrava indecisa se afferrare la balestra e puntarla contro Lily, anche se sapeva benissimo che non sarebbe servita a niente... non contro il nuovo Oscuro.

- Se stai cercando qualche ingrediente magico, ti avverto: Emma ha portato via parecchie cose. Ma credo che tu lo sappia già.

- Sono qui per te. – rispose Lily. Non aveva per niente un bell’aspetto. Era più pallida di quando era entrata nel suo negozio per chiedergli come poteva controllare il suo dono. Aveva gli occhi segnati da ombre scure e le iridi erano dorate.

- Per me? – Tremotino sollevò un sopracciglio. Aveva assistito alla tempesta magica della sera prima. Dopo che Belle si era addormentata, lui, incapace di prendere sonno, si era alzato e aveva scostato le tende di una finestra per guardare le nuvole nere sospese sopra la città come una spada di Damocle... e i fulmini che precipitavano dal cielo. Il potere che lo circondava gli aveva fatto accapponare la pelle, l’aveva spaventato al punto tale da costringerlo a mordersi il labbro con forza, eppure l’aveva anche affascinato. La sue pelle era diventata fredda e aggricciata, mentre l’ennesimo lampo squarciava le nubi, seguito da un boato simile al ruggito di una belva. Gli ingranaggi del suo cervello avevano cominciato a girare vorticosamente. Aveva avuto l’impressione che l’oscurità fosse là, accanto a lui, che non l’avesse mai davvero abbandonato. Aveva avuto l’impressione che, se si fosse voltato verso destra o verso sinistra, avrebbe visto qualcosa di nero in agguato, una cosa che si sarebbe avventata su di lui.

- Hai qualcosa di cui ho bisogno. Ed è qualcosa che non ha a che vedere con Emma. – stava dicendo Lily.

- E cosa sarebbe? – domandò Belle.

Non aveva nemmeno finito di pronunciare quella frase. Lily si materializzò davanti a Tremotino. Lui ebbe giusto il tempo di allungare una mano per spingere Belle più indietro, poi la lama di una spada lo ferì al braccio.

Per un paio di secondi pensò che a ferirlo fosse stata la lama di Excalibur. Pensò che fosse giunta la sua fine. Poi si rese conto che la spada che il nuovo Oscuro stringeva non era Excalibur, bensì una spada comune, con la lama sottile e ricurva. Due gocce del suo sangue scivolarono lungo quella lama e Lily le osservò, compiaciuta.

- Che diavolo significa? – domandò Tremotino, portandosi una mano al braccio e appoggiandosi al bancone.

- Il tuo sangue apre molte porte. Non è stato poi così doloroso, vero? – La spada svanì in una nuvola violacea. – Spero che non te la prenderai. Ho trovato la spada sulla nave del tuo vecchio nemico... Killian non dovrebbe lasciare le sue cose incustodite. Quando eravamo a Camelot... mi disse che quella era la spada di uno dei Bimbi Sperduti. Si chiamava Rufio. Gliel’ha presa quando l’ha ucciso.

- Mi scuserai se... non conosco tutti i seguaci di mio padre. – borbottò Tremotino. Belle aveva recuperato un panno pulito e gli stava tamponando la ferita.

- Peccato. Ma grazie, in ogni caso. – Lilith scomparve così com’era scomparsa la spada.

Belle e Tremotino fissarono lo spazio vuoto. Qualche goccia di sangue era schizzata sulle assi di legno.

 

***

 

Massachusetts. Qualche anno fa.

 

Il locale ruggiva di voci e di risate e di musica ad alto volume. Di bicchieri che sbattono sui tavoli o gli uni contro gli altri. L’aria era densa di aromi di hot dog alla griglia, anelli di cipolla, patatine fritte e chissà quale altra grassa leccornia. La birra scorreva a fiumi. L’alcol in generale scorreva a fiumi. Anche giù per la sua gola, ad incendiarle lo stomaco. A collegare il tutto, a dare al mondo una precisa connotazione, dagli altoparlanti piazzati in ogni angolo tuonava una canzone dei Doors.

 

“There’s a killer on the road
His brain is squirmin’ like a toad
Take a long holiday
Let your children play”

 

“Ehi, riempi questo bicchiere. E offrine uno anche alla signorina”, disse una voce alticcia. Il fracasso prodotto dallo sgabello che veniva spostato le aumentò l’emicrania.

“Non ti ho chiesto di offrirmi qualcosa”, rispose Lily. Era decisamente ubriaca. Reggeva bene l’alcol, di solito, ma quella sera aveva davvero esagerato.

“Suvvia, una ragazza come te non può starsene qui da sola”. L’uomo espose una fila di denti smaglianti, anche se i due incisivi erano sovrapposti. Aveva una bocca grande e occhi marroni che non vedevano nulla. Erano i classici occhi vuoti. Acquosi.

“Sparisci. È meglio”.

“Ringhia, hai visto? Mi piace”.

Lily gli gettò in faccia il contenuto del suo bicchiere. L’uomo, colto alla sprovvista, si tirò indietro e cascò dallo sgabello, finendo gambe all’aria. Scoppiò una salva di risate.

“Ho detto: sparisci. È così difficile da capire, idiota?”

L’idiota in questione imprecò contro di lei e levò le tende. Una vera fortuna. Lily non avrebbe mai voluto fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Si sedette di nuovo, accasciandosi quasi sul bancone.

“Ehi, tutto bene? Quel tipo ti stava dando qualche grattacapo, vero? Non penso che tornerà”. Un ragazzo si chinò su di lei. Vide che non andava tutto bene.

“So cavarmela da sola...”

“Non da ubriaca”.

“Non sono ubriaca. Sono maledetta”. Poco le importava che quel tipo la credesse pazza.

Il ragazzo si guardò intorno e poi sorrise. Aveva un taglietto sul mento. “Forse lo siamo tutti”.

Lily lo guardò in faccia e vide che il suo sorriso era sincero e comprensivo. Portava il pizzetto e aveva i capelli scuri. Quando tentò di alzarsi e barcollò, lui l’afferrò saldamente.

“Non toccarmi”, sibilò Lily.

“Volevo solo darti una mano. Ad uscire dal locale, almeno. Spero che tu non debba guidare”.

“Non ho una macchina. Sono a piedi. E poi potresti essere un maniaco. Come quel tizio”.

“Qui fuori è pieno di gente. C’è anche la mia ragazza. Ci siamo fermati a fare benzina”. La voce suonava sincera, come il sorriso. Non se l’era nemmeno presa perché gli aveva dato del maniaco. Anzi, era divertito.

Alla fine si lasciò aiutare. Il ragazzo la portò fino alla fermata dell’autobus più vicina. Effettivamente, quando uscirono, Lily vide una macchina parcheggiata in doppia fila, con una ragazza seduta dalla parte del passeggero. Lui le fece un cenno con la mano e le disse di aspettarlo.

“Cerca di salire sull’autobus giusto”, le disse.

“Uno vale l’altro”.

“Non mi hai detto il tuo nome. Non che tu sia obbligata, ma così... per curiosità, mi piacerebbe saperlo”.

“Starla”, rispose, senza pensarci.

“Starla. Bello. Il mio è...”. Ci fu una brevissima esitazione. “Puoi chiamarmi Bae”.

“Che razza di nome sarebbe Bae?”

“Un diminutivo. Ma non dirlo in giro”.

 

***

 

Camelot. Poche ore prima della maledizione.

 

Sconvolta e furiosa, Regina vide la propria mano tendersi verso i chiavistelli che chiudevano la porta della prigione... e farli scorrere, aprendola.

Si introdusse nel buio della segreta insieme a Lily, che si portò di fianco a lei. Continuava a stringere il cuore pulsante nella mano destra.

- Emma? – disse Lily.

Emma sbucò dall’ombra e si aggrappò alle sbarre della cella. – Lily... che cosa stai facendo?

- Ti sto liberando.

- Come hai fatto a scoprire dov’ero?

- Non hai idea di quanto sia semplice trovare qualcosa quando sei l’Oscuro... – Lily estrasse di nuovo Excalibur. – Ho trovato l’indicazione nella Torre di Merlino. Questa dimora apparteneva ad un altro Oscuro.

Emma guardò il cuore di Regina con la testa leggermente inclinata. Regina stessa non avrebbe saputo dire che cosa stesse provando Emma. Sollievo, incredulità, rammarico, ira. Forse tutte queste cose assieme. Per un momento le sembrò combattuta.

- Dov’è Henry? – chiese.

- Sta bene. – rispose Lily. – Non gli avrei mai fatto del male. Ma Regina... ha fatto la scelta giusta. Mi ha ridato ciò che ti appartiene.

Le passò il pugnale attraverso le sbarre. Emma lo prese.

- Ora stai indietro. – le consigliò Lily, sollevando Excalibur.

- Le sbarre di questa cella sono protette. – disse Regina. Ogni parola le costava uno sforzo enorme, tanto che arrivò in fondo alla frase esausta.

Lily non le diede retta. Calò un unico, poderoso fendente a due mani. Le sue labbra scoprivano i denti in una smorfia furente. La lama spezzata scintillò sinistra e colpì le sbarre. Tre di esse si spezzarono e si frantumarono come se fossero state fatte di vetro, creando un varco per Emma, che uscì dalla cella.

- Avalon. – disse Lily, semplicemente. – Non appena Emma mi ha detto che queste sbarre erano impregnate della magia di quel posto, sono andata a fare un giretto al lago. Non sapevo che cosa avrei trovato o cosa avrei dovuto cercare... ma quando sono arrivata mi è sembrato tutto chiaro.

- Le acque del lago. – disse Emma. E lo disse imprimendo una certa ammirazione nella sua voce.

- Le acque sono magiche, così come le nebbie e tutto ciò che riguarda l’Isola delle Fate. Mi è bastato immergervi la lama.

Emma prese il cuore di Regina senza chiederle niente. Osservò il rosso pulsare e cercare di farsi strada in mezzo all’oscurità.

- Distruggilo. – le suggerì Nimue. – Distruggi le persone che non credono in te e vogliono portarti via tutto.

“Quando siamo arrivati a Camelot, mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi salvato me. Oppure...”

“Io ti ho salvato. Ora tu salva me”.

Emma visse un momento terribile, durante il quale immaginò di serrare le dita sul cuore. Immaginò il cuore nero di Regina che si disintegrava, polvere che si disperdeva sul pavimento di quella lugubre cella. Il corpo di Regina che si afflosciava privo di vita.

- Vedi, Regina? L’oscurità è sempre dentro di te. – mormorò.

- Lei ti ha tradita. Ti ha rinchiusa in una prigione. Voleva controllarti e portarti via tutto. – Nimue si mise accanto a lei. - Diglielo, Emma. Dille che tutto questo è ciò che sei. Dille che tutto questo è tuo e che non te lo può togliere. Diglielo! E poi stringi quel cuore. Puniscila.

Emma sollevò l’indice e lo inclinò verso il basso. Regina crollò in ginocchio.

- Non è divertente non avere più il controllo di se stessi, vero Regina?

Lily sorrise. Aveva pensato di restituire il cuore all’altra madre di Henry e poi di spedirla a fare un pisolino insieme agli altri, ma quello che stava facendo Emma era... ipnotizzante.

- Guardati. In ginocchio. La Regina si è appena inginocchiata. – Le girò intorno, piazzandosi alle sue spalle.

- Emma, per favore... – disse Regina. – Non farlo. Non lasciare che l’oscurità ti consumi.

- Questo me l’hai già detto. Ma sai una cosa? – Si chinò e le scostò i capelli per parlarle in un orecchio. - Tu mi hai rinchiusa. Non hai avuto fiducia in me. Non hai creduto in me. Non l’hai fatto tu e non l’hanno fatto i miei genitori. O Killian. O Merlino.

- D’accordo, mi dispiace... non volevo affatto ferirti. Volevo aiutarti. Volevo assicurarmi che tu... che non ti facessi del male. Che non... sprofondassi.

“Quando siamo arrivati a Camelot, mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi salvato me. Oppure...”

“Sì. Te l’ho affidato! Perché credevo che saresti riuscita a salvarmi. O che mi avresti distrutta se fosse stato necessario!”

“Ed io non posso distruggerti. Non posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”

- Beh, mi hai sprofondata tu stessa nell’oscurità. Guarda dove mi hai rinchiusa. Sei esattamente come tua sorella. Ricordi? Quando teneva Tremotino in una gabbia...

Regina non disse niente.

- Lei voleva usarlo. Ed io potrei usare te. Potrei fare molte cose con questo cuore. Potrei farti passare... l’inferno che tu hai fatto passare a molte delle tue vittime. A Graham, per esempio.

- Emma...

Emma si piegò e, con la magia, l’afferrò per i capelli con forza, strattonando. Poi estrasse il pugnale, appoggiandoglielo sulla gola. Regina sentì il morso freddo di quella lama.

“Ed io non posso distruggerti. Non posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”

Nimue la fissava dall’alto, con un sopracciglio aggrottato.

- Emma... è una tua scelta. Ma sei migliore di così. Lo sai. – disse Regina. Si girò quel tanto che bastava per poter incrociare i suoi occhi. Il suo viso era vicinissimo. Poteva vedere ogni sfumatura verde che lo solcava, il male che la corrodeva pian piano. Avvertiva il respiro gelido dell’Oscuro sulla guancia. L’odore era forte, intenso, tenebroso. Era attraente ed era terribile. Voleva allontanarsene e, al tempo stesso, voleva respirarlo. Il cuore nero palpitava nella sua mano.

- Chiudi gli occhi. – rispose Emma.

Regina serrò le palpebre. Le dita di Emma strinsero il cuore in una morsa e lei soffocò un grido di dolore. Rantolò, scivolando in avanti.

Infine Emma le rimise il cuore nel petto. Con violenza. Regina gridò di nuovo, inarcando la schiena.

- Anche tu sei migliore di così. – sussurrò Emma, alzandosi. Agitò un braccio e Regina cadde sul pavimento della prigione, priva di sensi. – Rimani pure in questa maledetta cella.

- Non rimarrà qui. – rispose Lily, avvicinandosi e appoggiando una mano sul braccio di Emma.

- Che vuoi dire?

- Stiamo per andarcene, Emma.

- Andare dove? Di che parli? – Ora era seriamente allarmata.

- Storybrooke.

Scomparvero tutti in una nube magica.

 

Granny sollevò il fucile e sparò un colpo che rimbombò nella tavola calda. Il proiettile di grosso calibro mandò in frantumi i vetri di una finestra, dopo aver trapassato Lilith da parte a parte. Ovviamente il nuovo Oscuro non poteva morire e rise del suo tentativo di fermarla.

- Metti giù il fucile, nonna, prima che te lo faccia scoppiare tra le mani. – disse Lily.

- Sì, ragazzina. So che ne sei capace.

Emma scosse il capo, come in preda allo stordimento. Sul pavimento c’erano gli Azzurri, Killian e il mago Knubbin con il suo corvo. Regina era adagiata su un fianco, quasi si fosse semplicemente addormentata. Persino il suo viso appariva molto sereno. Henry giaceva vicino a lei. Malefica stava cercando di alzarsi da terra e Merlino guardava tutto con occhi sbarrati, allucinati.

Lily si liberò della nonna, spedendola nel mondo dei sogni con gli altri.

- Lilith, per favore, fermati. Non è ancora troppo tardi. – disse Merlino. – Ricorda quello che ti ho detto quando sei venuta a parlarmi: puoi sconfiggere l’oscurità. Ma se ti lasci guidare da essa, sarai esattamente ciò che hai sempre creduto di essere.

- Ma guardati. – rispose lei, ignorando le sue parole. – Il mago più potente del reame... senza magia e sporco di fango.

- Lily, che cos’hai in mente? Non puoi davvero lanciare il sortilegio oscuro. – intervenne Emma. – Sai che cosa devi fare per attivarlo?

- Certo che lo so.

Lily si dissolse per ricomparire di fronte a sua madre. Le affondò una mano nel petto ed estrasse il suo cuore, così come aveva fatto con Regina.

- Lily!

Emma non era stata l’unica a gridare il suo nome. Tremotino era in piedi a pochi passi da Merlino e puntava il lungo indice squamoso contro Lily.

- Che cosa stai facendo qui? Vuoi aiutarla con la sua vendetta?

- In realtà, volevo farle notare che sta commettendo un grosso errore. – rispose Tremotino, sorridendole.

Emma aggrottò la fronte.

Tremotino si volse verso Lily. – Ti è stato spiegato che, per lanciare il sortilegio oscuro, è necessario sacrificare... ciò che più ami. E tu... sacrifichi tua madre?

Malefica boccheggiava.

- La persona che ami di più non è tua madre. Se distruggerai quel cuore non andremo da nessuna parte. – Nimue prese il posto di Tremotino. – E lo sai benissimo. Per questo non fai altro che cincischiare.

- Lily, non devi ascoltarli. – disse Emma.

- La persona che più ami... è Emma.

Lily si ritrasse, guardando sua madre con gli occhi sbarrati e iniettati di sangue. Stava serrando con forza il cuore di Malefica e tra non molto l’avrebbe ridotto in cenere. Rilasciò la presa, esalando un gemito.

- Non avrei mai voluto farti questo... – mormorò Malefica. – Ma dovevo salvarti.

- Non posso... – mormorò Lily. – Non posso uccidere Emma.

- Oh, lo so! – Tremotino ricomparve e la sua voce ebbe lo stesso effetto del gesso che scivola maldestramente su una lavagna. – Nessuno qui ti chiede di farlo. Era solo una constatazione. Ma c’è sempre una scappatoia.  

Nimue riapparve. – Noi non vogliamo ucciderti. Abbiamo bisogno di te.

- Vattene. – sibilò Emma. Si avvicinò a Lily con cautela e prese la sua mano. – Restituisci il cuore a tua madre. Ricordi cosa ti dissi nel bosco? Possiamo risolverlo. Possiamo farlo insieme.

- Questo era quando ancora credevi di poterti fidare della tua famiglia, Emma. – rispose Nimue.

- Si può sapere che cosa vuoi? Perché la stai aiutando?

- Non essere sciocca. Gli Oscuri non fanno mai niente senza richiedere qualcosa in cambio. – Nimue ora sembrava divertirsi un mondo.

- Che cos’è?

- Sei un Oscuro. Sai che cosa vogliamo. Ma dobbiamo andare a Storybrooke. Ci serve Tremotino. Beh... ci serve l’uomo che un tempo era l’Oscuro. L’uomo che lo è stato per centinaia di anni. Il suo sangue aprirà la porta.

- Quale porta?

Nimue non rispose, eppure Emma lo capì comunque. Fu come entrare in diretto contatto con la mente del primo Oscuro. E fu una sensazione spaventosa. Come se tutto il buio esistente si stesse riversando dentro di lei.

- Non puoi. – riuscì soltanto a dire.

- Sì, possiamo. E lo faremo.

Emma si girò verso Lily. – È quello che ti ha suggerito fin dal principio. Non solo di uccidere i miei genitori per avere la tua vendetta...

- Emma... lei è troppo forte. Io non sono come te. Non riesco a contrastarla. – Lily appariva prostrata. Si appoggiò a lei, mettendole le mani sulle spalle. La sua voce era lacrimosa, stranamente... giovane. Come se stesse regredendo. Come se stesse tornando ad essere la ragazzina che le aveva coperto le spalle al supermercato. - Non so come fare.

- Emma... sei un Oscuro. Comportati come tale. So che vuoi anche tu il potere. So che una parte di te desidera uccidere le persone che ti hanno tradita. - Nimue fissò Merlino. – Non lasciare che l’amore ti fermi.

Emma sventolò una mano davanti al viso di Malefica e lei ricadde per terra, svenuta. Poi prese il cuore dalla mano di Lily e lo rimise al suo posto. – Tu non farai questo, Nimue.

- Accogli il potere. Se ti lascerai andare sarà tutto più semplice. Potrai aiutare Lilith. Non sei stanca di lottare? Non sei stanca che siano gli altri a decidere per te? Non hai mai avuto una vera scelta. Fin da quando sei nata, fai ciò che gli altri si aspettano da te. E poi... vieni tradita. La persona a cui ti sei affidata... ti rinchiude in una segreta, cerca di controllarti... tua madre, che ti aveva abbandonata...

- Basta. – disse Emma.

Ma lei continuò, imperterrita. Parlava lentamente, con lo studiato trionfo di chi stava per concludere una trattativa importante. - Tua madre, che ti ha abbandonata, ha portato via una bambina ad un’altra madre e l’ha maledetta. Ha cambiato la tua natura. E avrebbe lasciato morire Lilith. Inoltre... i tuoi genitori... hanno concepito un altro figlio, che avrà tutto ciò che tu non hai mai avuto!

Emma lanciò un grido e scagliò una sfera di fuoco contro la proiezione della sua coscienza. Ovviamente Nimue svanì e Tremotino riapparve, seduto su uno dei tavoli del Granny’s. Dondolava le gambe. - Quanta foga, cara.

- Lily... – disse Emma. – Ti fidi di me?

Lei abbassò lo sguardo sul corpo di sua madre. Lo sollevò per spostarlo su Nimue e poi su Merlino. Poi tornò a guardare Emma. – Sì.

- Che momento commovente! – esclamò Tremotino. – Ma ora passiamo alla cosa più importante. La maledizione.

- Io non... – cominciò Lily.

- Lilith non ucciderà Emma. E per lanciare la maledizione serve il cuore della persona che ama di più. – intervenne Merlino. - In ogni caso... ho già lasciato un messaggio per gli altri, quando ho visto Emma e Lilith nel bosco.

- Oh, ma guarda! Vi ha spiate! Quel mago da strapazzo gli ha certamente dato una mano. – Tremotino saltò giù dal tavolo e sfiorò Knubbin con la punta dello stivale. – Ma non preoccupiamoci di questo. Come ho detto, c’è sempre una scappatoia. C’è qualcuno... che prova qualcosa per te, Merlino.

Nimue riapparve e raggiunse Merlino. – E sono io. Ricordi? Io sono tutti gli Oscuri. Sono l’originale. Romantico, vero? Dopo tutto quello che è accaduto... sei ancora ciò che amo di più. Ed è così. Io ti amo.

Lo stregone alzò una mano tremante, quasi volesse toccare il viso della donna che aveva amato per centinaia di anni. - Ma non sei davvero qui.

- Invece sì. Io sono tutti loro, Merlino. Proprio perché sono il primo. Io... sono Emma. E sono Lilith.

- Quindi se distruggiamo il cuore di Merlino... – iniziò Lily.

- Sarò io a farlo. – concluse Nimue, senza smettere di fissarlo. Il suo tono era determinato, ma c’era molta tristezza nei suoi occhi. Forse ricordava i momenti felici che aveva trascorso con lui prima di cedere al male, uccidendo Vortigan. - Perciò facciamolo. Non devi sacrificare Emma. Come vedi, c’è una scappatoia. Tu puoi avere la tua vendetta... e in cambio... noi torneremo. Tutti noi. In carne ed ossa. Grazie al sangue dell’Oscuro che è morto... ed è risorto.

Con una mano, Lily arpionò la gola di Emma.

- Fallo ora.

Scagliò Emma contro la parete opposta. Un quadro si staccò. Merlino sapeva di non poter scappare e non si mosse neppure. Lily gli strappò il cuore dal petto.

- Puoi ancora fermarti. Non è troppo tardi. – sussurrò Merlino.

- Io non posso fermarmi. Sono stanca di lottare. – Il cuore del mago più potente del reame aveva una strana consistenza. Pulsava, un rosso vivido e puro, senza macchie. – L’ho fatto per tutta la mia vita.

- Questo non ti permetterà di essere felice. – disse Emma. – Ti prego, Lily.

Lei chiuse gli occhi, serrò il cuore di Merlino in una morsa e lo disintegrò. Trattenne la polvere nel pugno. Lo stregone piombò a terra.

- No! – gridò Emma.

- Mi dispiace... – Lily si diresse verso il calderone che Merlino aveva usato per registrare il suo messaggio e vi gettò i resti del suo cuore. Il calderone ribollì.

- Nessuno deve controllarti. La spada. – disse Nimue.

Lily rispedì Excalibur nella sua roccia. Poi si appoggiò al bancone del Granny’s, come se non avesse più forze.

Emma si inginocchiò accanto al corpo dello stregone.

- Non prenderla male. È morto per una giusta causa. – disse Tremotino.

“So che c’è oscurità in te, Emma, ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue”.

Non gli diede retta. Trasformò il suo corpo in cenere. - Riposa in pace. 

- Non puoi più fermarlo, Emma. È finita. – disse Lily. Il cuore le martellava, gonfio di terribili presagi. Era come se il mondo fosse appena stato ricoperto da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla tavola calda. Si lasciò scivolare sul pavimento e si coprì il viso con le braccia. C’erano ancora le voci nella sua testa. Alcune la rimproveravano aspramente, altre si complimentavano con lei per aver portato a termine il piano. Nimue non c’era più.

Qualcosa di simile ad un tentacolo le sfiorò la coscienza. Provò una sensazione di apertura, uno spazio così immenso da farla sentire meglio, anche se solo per un istante. Sembrava che Emma stesse cercando di rassicurarla, incuneandosi nei meandri della sua mente. Non era arrabbiata. Quando la guardò, i suoi occhi verdi erano limpidi e decisi.

- Ho promesso che non ti avrei più voltato le spalle come ho fatto anni fa. E non intendo rimangiarmi la promessa.

- Non c’è più niente che tu possa fare, Emma. La maledizione sta arrivando. – Parlò trascinando ogni singola sillaba. 

Che cosa ho fatto?

Il punto non era quello. Lily sapeva che il punto era che le era piaciuto farlo. Così come le era piaciuto picchiare quei bulli con la mazza da baseball. Così come le erano piaciute altre cose sbagliate che aveva fatto. Le odiava. Odiava la sua incapacità di prendere decisioni sensate. Ma le piaceva anche.

- Non posso fermarla. Ma posso farti dimenticare tutto. Anche che sei diventata un Oscuro.

Lily stava per chiederle che cosa diavolo significasse. Poi Emma le posò una mano sulla fronte e lei si afflosciò. Emma la prese tra le braccia, accompagnandone la caduta. La adagiò sul pavimento, accanto a Malefica.

Uno sfavillio e l’acchiappasogni comparve. - Quando ti sveglierai, non ricorderai niente. Nemmeno di essere un Oscuro. Tornerai ad essere quella che eri prima. Ed io sistemerò tutto quanto. Io sola.

- Mossa astuta, mia cara. Ma non credo che basti. – osservò Tremotino.

Emma posizionò l’acchiappasogni sopra la testa di Lily. Le memorie fuoriuscirono dalla sua mente sottoforma di una scia luminosa, che l’acchiappasogni si affrettò a catturare. – No, non basta. Devo cancellare anche i ricordi degli altri. Di tutti.

Sul pavimento del Granny’s comparvero anche Zelena e Belle. Emma restituì alla strega il suo bracciale nero e l’abito verde chiaro che aveva fino a quando non era sfuggita al loro controllo. – Nessuno di loro ricorderà quello che è successo qui. Nessuno. E non riavranno questi ricordi fino a quando non lo deciderò io.

Ad una ad una le menti si svuotarono e riempirono l’acchiappasogni.

- Giusto. Farsi aiutare da una famiglia che ti ha tradita non è esattamente una buona idea. Sei un Oscuro. Non hai bisogno di loro. – commentò Tremotino.

Emma gettò l’acchiappasogni nel calderone. La maledizione si levò sottoforma di una densa nube viola, che traboccò e scivolò lungo i bordi.

- Potrebbe non piacerti comunque le conseguenze. – riprese Tremotino.

La nube invase il Granny’s. Emma raccolse il giglio che aveva dato a Lily. Lo rimise nella tasca della sua giacca.

- O peggio... ti piaceranno molto.

 

Il cavallo di Merida si drizzò sulle zampe posteriori e nitrì, spaventato.

La regina di Dunbroch, che aveva remato e cavalcato quasi ininterrottamente negli ultimi giorni per raggiungere Camelot e vendicare la morte di suo padre, percepì qualcosa di grande, qualcosa di enorme e tenebroso che avanzava nella foresta che si stava lasciando alle spalle.

Pensò che qualche creatura l’avesse seguita.

Che l’Oscuro l’avesse seguita. Ricordava benissimo la mano di quella strega pronta a stritolare il suo cuore. E per quanto avesse deciso di non romperle la testa come avrebbe fatto con un cocomero, la sola idea che fosse lì la raggelava.

Si voltò e vide sopraggiungere la nube viola.

 

- Artù... che cos’è?

Il re di Camelot scostò i bordi della sua tenda per guardare fuori insieme alla moglie. Aveva dovuto abbandonare il castello in fiamme dopo l’attacco del drago e l’aveva fatto maledicendo Merlino e le sue profezie. Maledicendo il drago e ripromettendosi di ucciderlo. Maledicendo gli stranieri che aveva accolto e che avevano portato solo rovina. Maledicendo Zelena, che l’aveva piantato in asso quando era sopraggiunto il drago.

L’accampamento sorgeva a circa una lega da Camelot ed era silenzioso. Le torce erano accese, ma si spensero all’improvviso, così come il fuoco intorno al quale sedevano due dei suoi cavalieri.

Ciò che aveva visto Ginevra era una gigantesca nube viola che correva verso di loro. Stava inghiottendo ogni cosa. Le colline, la foresta, il lago.

- Magia nera. – disse Artù.

 

La dimora del re stava ancora bruciando. Le fiamme si levavano alte verso il cielo nero. Una torre tremò e si sgretolò, portandosi dietro parte delle mura. Stendardi infuocati fluttuarono. Le porte di legno che chiudevano le stalle e i magazzini con le scorte di cibo erano esplose e i resti erano sparsi a raggiera in tutto il cortile, insieme a bardature per cavalli, selle e briglie bruciate, sacchi di farina e armi.

E corpi. C’erano molti corpi. Corpi in posizioni scomposte. Occhi che fissavano il vuoto.

Di quella che era stata la sala che aveva ospitato la Tavola Rotonda, non rimaneva quasi niente.

C’era solo una cosa intatta. La roccia. La roccia ed Excalibur conficcata in essa. Il fuoco si rifletté nella gemma rossa incastonata nel pomolo.

La nube inghiotti anche le fiamme.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Direi che non poteva andare meglio. – disse Nimue, spaziando con lo sguardo sulla superficie del lago. – Hai il sangue dell’uomo che è tornato dagli Inferi.

Era notte. Ferma sulla riva nebbiosa del lago di Storybrooke, Lily si preparava a fare ciò che aveva promesso al primo Oscuro. Estrasse la spada, sulla cui lama c’era il sangue rappreso di Tremotino.

- In questo lago si nasconde una porta che conduce nell’Oltretomba. – continuò Nimue. – Il sangue la aprirà.

- Sei sicura che funzionerà?

- Non fare domande stupide. E sbrigati. – Distese un braccio per invitarla a compiere l’ultimo passo.

Lily si inginocchiò e spinse la lama appartenuta al Bimbo Sperduto nelle acque buie del lago.

“No, non puoi”, aveva detto Emma a Camelot, quando aveva capito quello che Nimue aveva in mente.

“Sì, possiamo. E lo faremo”.

Emma... perdonami.

Il lago vibrò e una piccola onda si espanse. Nimue era svanita. Ora Lily era sola. Ma non lo sarebbe stata per molto.

Il fumo bianco annunciò l’apertura delle porte che conducevano negli Inferi. Nell’aria si diffuse un odore terribile. Sembrava che gli odori peggiori del mondo si fossero fusi per generare quel fetore squallido; acque melmose, frutta marcia, fiori appassiti. Lily sfiorò il giglio che ancora custodiva in tasca. Gli aveva ridato vita, restituendogli l’aspetto originario.

Una barca carica di figure incappucciate emerse dai fumi bianchi.

- Non posso crederci. – mormorò Lily, trasecolata.

Era una barca sprovvista di vela, grossa e molto vecchia, con una lanterna che rosseggiava a prua. Un uomo, usando un lungo bastone, la sospinse fino al centro del lago. Guardando meglio, Lily vide che l’uomo era in realtà un vecchio con una folta barba bianca e sudicia, le mani simili ad artigli e gli occhi rossi come braci, circondati da cerchi di fiamme. Il labbro inferiore, tutto rovesciato in fuori, scopriva denti consumati e di colore bruno. Le narici vibravano come per effetto del respiro ed emettevano bianchi vapori.

Caronte.

Dovette distogliere lo sguardo, perché quello del demone che guidava la barca era terrificante. Pareva in grado di bruciarle i pensieri, di succhiarle la vita. Era uno sguardo antichissimo e crudele.

Una delle figure incappucciate si alzò e scese dalla barca, scivolando silenziosamente sulle acque. Portava una maschera dorata, sulla quale era incisa una fitta rete di simboli.

Raggiunse la riva e quando Lily le tese la mano, come in un sogno, l’altra la prese, dimostrandole che non si trattava di un’allucinazione.

- Salve, Lilith. – disse Nimue. Si tolse la maschera e le sorrise. – Siamo qui, come promesso. In carne ed ossa.

Avrebbe voluto risponderle, ma il cuore le martellava nel petto, impazzito. Gli altri attendevano sulla barca.

- Ora è il momento di metterci all’opera. E di fare quello che gli Oscuri sanno fare meglio. - Si voltò verso gli altri Oscuri. Ognuno di loro era immobile, seduto compostamente come se si trattasse di un viaggetto di piacere. – Soffocare la luce.

 

___________________

 

 

Angolo autrice:

 
La canzone citata è Riders on the storm, dei Doors.

 
E scusate per l’aggiornamento arrivato dopo secoli di attesa. Siamo quasi alla fine.


   
 
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