17
Minnesota.
Anni fa.
“Ehi,
che diavolo fate?”
Lily
aveva deciso di non andare a
scuola quella mattina. Non c’era un motivo particolare.
Semplicemente non aveva
intenzione di chiudersi tra quelle quattro mura. Non aveva amici con
cui andare
a zonzo e non aveva sgraffignato la carta di credito di suo padre.
Però era
salita su un autobus ed era arrivata in periferia.
Là
c’era un edificio con i muri
ricoperti d’edera, che un tempo era un magazzino. Alcune
finestre erano rotte,
altre incrostate di fango e sporcizia non meglio identificata. Quel
posto di
sera metteva i brividi, soprattutto in inverno, perché era
isolato, buio e gli
spacciatori cincischiavano in ogni angolo. Ma quel giorno era estate.
Era
giorno e dietro al vecchio magazzino c’era solo uno spiazzo
in cui i ragazzi
giocavano a baseball.
Girato
l’angolo, dopo pochi passi
si imbatté in qualcosa. Era gialla. Un giallo acceso che
sarebbe potuto piacere
giusto ad un bambino.
‘O
ad Emma’, si ritrovò a pensare.
La
raccattò. Era una scarpa destra
della Converse e sembrava nuova, non un oggetto abbandonato
lì da molto tempo.
Più avanti c’era anche il berretto sul quale era
stampato il simbolo di una
squadra di baseball. Lily cominciava ad avvertire brutte vibrazioni e
si
pentiva di aver avuto la brillante idea di recarsi in quel posto
isolato.
Poi
udì il grido. Ed era un grido
di dolore. Il grido di chi sapeva di essere nei pasticci, ma sapeva
anche di
non avere alcuna speranza di uscirne tutto intero. Lily
lasciò cadere la scarpa
e il berretto e corse. Quel grido la spinse a scattare in avanti. Ad
andare a
dare un’occhiata, anche se era una stupidaggine,
perché poteva finire nei guai
a sua volta. E lei era molto brava a cacciarsi nei guai. Era brava a
fare scelte
sbagliate. O che le parevano giuste, ma poi le si rivoltavano contro.
Una
maledizione che la seguiva come un’ombra.
Un
altro grido. Infine una risata
maschile.
“Che
cosa stai aspettando,
bamboccio? Mangiala”, disse qualcuno. “Mangiala
oppure te la faccio mangiare
io. Se la mangi, potrai andartene a casa. Mi sembra un ottimo
accordo”.
A
quel punto Lily chiese che
diavolo stesse facendo. Nel mentre aveva anche già raccolto
una mazza da
baseball lasciata cadere perché il proprietario aveva appena
trovato un nuovo
passatempo.
Il
ragazzo alzò la testa. In piedi
accanto a lui ce n’era un altro in tenuta sportiva, con la
mano sinistra infilata
in un guantone da baseball. Sul guantone c’era... uno stronzo
di cane
rinsecchito che i due stavano cercando di far mangiare ad un ragazzino
smilzo e
dal volto foruncoloso. Il ragazzino era rannicchiato per terra, un
piede
scalzo, la maglia con un vistoso strappo sulla schiena e un ginocchio
sbucciato. Singhiozzava.
Colto
di sorpresa e conscio del
tono genuinamente disgustato di Lily, il tizio che aveva detto al
“bamboccio”
di mangiarsi la merda fece un passo indietro, ma poi si accorse che
colei che
l’aveva apostrofato aveva due o tre anni meno di lui ed era
anche notevolmente
più bassa.
“Sparisci.
Non sono affari tuoi”,
disse.
“Già”,
gli diede manforte l’altro.
“Sparisci. Finché sei in tempo...”
“Due
contro uno. Due tizi grandi e
grossi contro un ragazzino...”, ricominciò Lily.
“E se lo raccontassi in giro?
Ti conosco. Frequenti la mia stessa scuola”.
“Non
racconterai un bel niente.
Fidati. Potresti essere morta prima di allora”. Aveva i
capelli ricci e castani
che gli scendevano lungo il viso e sulle spalle. La mazza da baseball
doveva
essere sua, ma non lo preoccupava il fatto che ce l’avesse
Lily. “Fuori dai piedi.
Adesso”.
Lily
non avvertiva alcun senso di
paura, pur essendo consapevole che quei due avrebbero potuto
spiaccicarla
contro un muro come una mosca. Solo che non avrebbe potuto
importargliene meno.
Era in preda ad un’indicibile indignazione. Il pianto del
ragazzino le
rimbombava nella testa, alimentandone la furia.
“Se
vuoi la sistemo io, Scott”,
intervenne il compare.
Fu
Lily a sistemarlo per prima. La
mazza da baseball lo colpì sulla mascella, dislocandogliela.
Sputò sangue e
cadde per terra, intontito, gorgogliando qualcosa di incomprensibile.
Il
ragazzo di nome Scott la fissò con gli occhi fuori dalla
testa. Poi la mazza
raggiunse anche lui. Tra collo e spalla. Lily aveva una gran voglia di
beccarlo
in testa. Nella sua mente c’era una gigantesca nebbia rossa
che le offuscava la
ragione e dentro una bestia nera con occhi di fuoco e che sputava fumo
dalle
narici. Nessuno dei due si aspettava che lei lo facesse sul serio o che
possedesse tanta forza, per questo non avevano avuto il tempo di
reagire. Non
l’avevano guardata bene. Se l’avessero guardata,
forse avrebbero visto qualcosa
nel suo sguardo. Forse avrebbero visto che non scherzava.
Lily
lo colpì una seconda volta. Al
ginocchio. Scott lanciò un urlo stridulo. Ora non sentiva
più il pianto del
ragazzino. Il pianto era lontano.
Quando
la nebbia rossa si diradò, i
due giacevano a terra, doloranti e gementi. Il ragazzino preso di mira,
invece,
la fissava con gli occhi sgranati. Aveva le guance rigate di lacrime e
sporche
di terra.
“Va
tutto bene. Sono... solo degli
idioti. Ti conviene andartene”.
Lui
non se lo fece ripetere due
volte. Raccolse lo zaino che era caduto a terra e filò via,
più veloce del
vento. Non la ringraziò. Non le disse niente.
A
Lily sembrò che avesse paura di
lei e non più dei due tizi che l’avevano
minacciato.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Fallo. – disse ancora Emma, mentre un altro tuono borbottava
sopra le loro
teste e la pioggia cadeva sempre più fitta, insieme alla
grandine.
Lily
strinse di più l’elsa di Excalibur.
Alzò la testa e vide Nimue a pochi metri di
distanza.
Emma
si sollevò un po’ e la punta della lama le
sfiorò la gola. Avvertì il morso
freddo dell’unica arma che avrebbe potuto ucciderla.
Ucciderle entrambe. Eppure
non smise mai di guardare Lily. I suoi occhi non lasciarono mai quelli
della
ragazza che la minacciava, che respirava affannosamente, mentre nella
sua testa
scorreva un turbine di idee e pensieri, un turbine di sentimenti in
contrasto
fra di loro. Emma li vedeva tutti, quei sentimenti. Vedeva quel
turbine, nero
come il tornado che si era portato via Zelena e la bambina. Lo vedeva
accenderle lo sguardo. Rabbia, paura, risentimento, rammarico, dolore.
Lily
gridò e poi conficcò la lama
nell’asfalto. Si aprirono crepe che si diramarono
fino all’edificio più vicino. Salirono lungo i
muri, raggiunsero il tetto
rompendo i vetri delle finestre. E infine l’edificio
crollò come un castello di
carte.
Emma
non ci badò. Quando Lily si piegò su se stessa,
piangendo, lei l’abbracciò.
-
Io non posso farlo, Emma.
Lei
non rispose. Non subito.
-
Mi parla continuamente. Quello che vuole che io faccia... è
molto peggio di ciò
che ho fatto ora. Provo a... provo ad ignorarla. Ma lei torna sempre.
-
Ti sta manipolando, Lily. È così che fa.
– Emma si ritrasse e la fissò. – Io ho
cercato di proteggerti da questo. Ti ho tolto i ricordi... per
proteggerti.
Togliendoteli, non avresti ricordato cos’eri diventata e non
avresti ricordato
Nimue. Avrei avuto il tempo per... ricomporre Excalibur e distruggere
l’oscurità in entrambe.
-
Non è servito a niente! Lei è di nuovo qui!
– Lily si alzò, voltandole le
spalle.
-
Prenditi quello che vuoi, Lilith. – disse Nimue. –
Abbiamo perso già abbastanza
tempo. Prenditi ciò che vuoi!
-
Puoi ancora lottare contro di lei, Lily! – intervenne Emma,
raggiungendola e
afferrandola per il braccio. – Lei vuole che tu uccida i miei
genitori...
-
Anche tu sei furiosa con loro...
-
Certo che lo sono. Mi hanno imprigionata, a Camelot. Regina mi ha
imprigionata.
Anch’io... c’è una parte di me che
vorrebbe far loro del male. Gliene ho già
fatto, cancellando le loro memorie. Gliene ho fatto, rifiutandomi di
parlare
con loro. Ne ho fatto anche a Regina... e quella parte di me... pensa
di non
aver ancora finito.
-
Allora ascoltala. Insieme saremo più forti. –
disse Nimue.
-
Se la ascolto, non distruggerò solo me stessa, ma anche te,
Lily. E tu non
meriti questo. Nemmeno Henry lo merita. E se faccio del male alla mia
famiglia... perderò anche lui. Lui... ha creduto in me,
proprio come hai fatto
tu.
-
Non meritava questo, ma l’hai trascinata
nell’oscurità con te, Emma. –
sibilò
il primo Oscuro. – L’hai... portata con te,
perché è così che è sempre
stato.
Siete sempre state... unite. Anche quando eravate lontane. Tutto questo
è un
segno. Guardati, Emma... anche l’illusione che hai creato
intorno a te sta
svanendo...
Emma
abbassò lo sguardo sulla mano destra, scorgendo chiaramente
le sfumature
verdeoro tra le dita e sulle nocche. Era sicura che anche il suo viso
stesse
cambiando.
-
Tutto questo deve finire. – ribatté Emma,
scuotendo il capo, come chi cerca di
scacciare un fastidioso insetto.
-
E finirà. - rispose Nimue, piazzandosi davanti a lei.
– Oh, sì. Finirà. Quando
Lily avrà portato a termine il piano.
-
No. Lily...
-
Mi dispiace, Emma. - Lily agitò una mano e in essa comparve
un acchiappasogni.
Una scia di ricordi lasciò la mente dell’altro
Oscuro e la rete del cerchio di
salice li catturò, illuminandosi.
Emma
batté le palpebre. Cercò di afferrare qualche
frammento di memoria, ma l’ultima
immagine che la sua mente le propose fu quella di lei e Lily nelle
segrete del
castello di Rothbart, dove Regina l’aveva rinchiusa.
Una
densa nuvola viola avvolse Lily completamente. Sparì prima
che Emma potesse
fermarla.
***
Camelot.
Poche ore prima della
maledizione.
-
Lily... ti prego, aspetta. – Malefica allungò una
mano verso la figlia. –
L’oscurità si sta servendo di te. Non devi
ascoltarla.
-
In realtà io sto facendo l’unica cosa giusta,
quella che avreste potuto fare
voi, invece di tradire Emma. Dov’è, a proposito?
– domandò Lily, puntando
Excalibur contro di loro.
Regina
e Malefica si scambiarono un’occhiata. Gli altri giacevano
per terra, privi di
sensi. Persino il corvo di Knubbin era svenuto sul petto del suo
padrone, con
le ali spalancate e il becco socchiuso.
-
Nei sotterranei, lo so. Ma vorrei che mi indicaste la strada.
– aggiunse Lily.
Nessuna
di loro due si mosse. Malefica si portò accanto a Regina.
-
Brave, datevi man forte. Credete che basterà?
-
Non dobbiamo arrivare a questo, Lily. – disse Regina.
-
Sei tu che mi spingi a questo, Regina Cattiva. Perché
immagino che ti diverta
molto rinchiudere le persone in una buia segreta. Un tempo era quello
che
facevi con chiunque non eseguisse i tuoi ordini. Con chiunque fosse
dalla parte
della ragazzina che non ha tenuto la bocca chiusa. –
Sollevò le sopracciglia,
rivolgendole un sorriso arrogante.
A
Regina pulsavano le tempie per la collera. Ed era una collera
bruciante. La
Regina Cattiva che era stata aprì gli occhi
nell’angolo in cui era stata
relegata. Quella parte di lei non vedeva l’ora di torcere il
collo a Lily. Ma
non poteva fare questo. Non poteva fare questo ad Emma e non poteva
fare questo
a Malefica.
-
Ditemi dov’è Emma e dov’è il
pugnale. Potete farlo o devo prendermi entrambe le
cose con la forza?
-
Sarebbe la soluzione migliore. – sussurrò Nimue.
-
Sta zitta.
-
Regina, che cosa succede? – disse Robin, piombando nella
sala, armato di arco e
frecce. Ne aveva una già incoccata.
-
Mamma?
-
Henry, no. Va via! – gridò Regina, in preda al
panico.
Robin
scoccò la freccia, che Lily acchiappò con una
mano prima che la trafiggesse. Poi
si liberò sia del ladro che di sua madre con un gesto della
mano e afferrò
Henry per il collo, sollevandolo da terra.
-
Lascialo andare... – sibilò Regina.
-
Lo farò quando ti toglierai dai piedi. Ma prima dammi il
pugnale.
-
Lily... non puoi fare del male ad Henry. – intervenne
Malefica. – Lo sai. Emma
ti odierà.
-
Oh, sul serio? Vediamo se Regina è d’accordo con
te. Vediamo se è disposta a
rischiare la vita del suo adorabile bambino. – Lily
guardò Regina.
Henry
scalciava, cercando di avere la meglio su una presa per lui troppo
salda.
Regina
fece comparire il pugnale e lo lanciò a Lily.
L’arma dell’Oscuro scivolò sul
pavimento fino ai piedi della ragazza.
Lily
lo raccolse e lo rimirò per qualche istante. –
Ottima scelta.
-
Lascia andare mio figlio.
Henry
cascò per terra e perse conoscenza come tutti gli altri.
Regina ormai era sola.
E non la sorprese per niente che l’Oscuro non avesse ancora
finito. Si sentì
afferrare per il collo. Annaspò, mentre Lily la trascinava
verso di sé. Regina
strinse la giacca che Lily indossava e la fissò con rabbia.
Lily
rimise Excalibur nel fodero appeso alla cintura e affondò
una mano nel suo
petto, estraendone il cuore pulsante. Pulsante e nero.
-
Non è protetto. – disse Lily, osservandolo e
soppesandolo. – Eri davvero
convinta che Emma non ti avrebbe mai fatto del male... ma avresti
dovuto
pensare anche a me.
Regina
fissava il proprio cuore nelle mani della figlia di Malefica.
-
Ora portami da Emma. – ordinò Lily, tenendolo sul
palmo della mano destra.
Regina
oppose una breve, ma energica resistenza. Un dolore atroce le
scoppiò in testa
e al centro del petto. Inorridita, avvertì la sua
volontà tendersi come una
corda di violino e le sue gambe muoversi verso la porta che conduceva
nei sotterranei.
Non aveva più alcun controllo su ciò che faceva.
Era una sensazione che non
aveva mai provato ed era spiacevolissima. Non voleva obbedire, eppure
non era
in grado di avere la meglio.
-
Te l’avevo detto che non eri una Salvatrice. Quelle come noi
non possono
esserlo. – disse Lily, spingendola perché
accelerasse il passo. – Mai.
***
Minnesota.
Anni fa.
“Fuori
da questa casa!”, le disse
l’uomo che si definiva suo padre, indicando
l’uscita con il lungo dito indice.
“Mi
stai davvero cacciando? Dove
potrei andare?”. Lily aveva quindici anni. Ed era arrabbiata
con chiunque.
Persino con se stessa.
“Questo
è affar tuo”.
Non
l’avevano cacciata per ciò che
era successo al campo da baseball, con quei due ragazzi. Non
l’avevano mai
saputo. Ma sua madre aveva saputo che aveva saltato alcune lezioni.
Diverse
lezioni. Era iniziato tutto così. Era tornata a casa un
pomeriggio dopo la
scuola e lei la stava aspettando in cucina. Furibonda. Lo schiaffo
l’aveva
colta alla sprovvista e la forza della percossa era stata tale da
mandarla a
sbattere contro il tavolo.
“Non
so che cosa ho fatto di male
per meritarmi questo”, le aveva detto sua madre, la faccia
rossa e gli occhi
sgranati. Sembravano sporgere fin quasi a toccare le lenti degli
occhiali.
“Perché fai così?”
“Ho
saltato solo qualche lezione”,
le aveva risposto, portandosi una mano alla guancia in fiamme.
“Non
si tratta solo delle lezioni e
lo sai bene!”
Era
vero. Non si trattava solo
delle lezioni. Si trattava della sua vita. Della sua vita che andava a
rotoli.
“Io
ti ho dato tutto quello di cui
avevi bisogno, Lily. Ma non è mai abbastanza per te. Che
cos’è che vuoi?!”
Voglio
smettere di sentirmi così,
pensava Lily. Voglio smettere di sentirmi invisibile in un posto che
dovrebbe
essere casa mia. Voglio smettere di prendere decisioni che sembrano
giuste ma
poi mi si rivoltano contro.
“Rispondi!”
“Già
lo sai. Te ne ho parlato, ma
tu non mi hai ascoltata”.
“Lily...
che cosa dovrei ascoltare?
Le tue farneticazioni sulla presunta maledizione che ti
perseguita?”
“Io
ci provo, okay? Ci provo a fare
la cosa giusta!”
“No,
non è vero! Non ci hai mai
provato veramente!”. Sua madre la guardava così
come avrebbe potuto guardare
una sconosciuta capitata in casa sua per caso. “Non hai idea
di quanto tu mi
abbia delusa, Lily”.
Aveva
detto qualcos’altro. C’erano
state altre accuse, le voci si era trasformate in grida. Ma per Lily il
mondo
era diventato grigio già da un bel pezzo. Prima grigio e poi
rosso. Quel rosso
che precedeva la tempesta. Una tempesta di fuoco.
Ad
un certo punto sua madre aveva
cercato di rifilarle un altro ceffone e Lily l’aveva fermata,
prendendola per
il polso e spingendola. Non voleva farla cadere. Non intendeva farle
male.
Voleva solo... allontanarla da sé, perché odiava
essere guardata così. Come se
fosse stata solo un errore. Una ragazzina capricciosa, che si divertiva
a far
soffrire le persone che le avevano dato una casa e straparlava di
maledizioni,
di sogni fatti di fiamme. Perché i suoi sogni erano spesso
così: fiamme,
creature alate, la realtà vista dall’alto. Quando
si destava, la sua mano
correva al ciondolo che portava al collo. A volte il ciondolo le
sembrava
caldo. Bruciante come i sogni. A volte era gelido e stringerlo la
faceva
sentire più vicina a quella madre che non aveva mai
conosciuto.
Solo
che le aveva fatto male.
La
madre adottiva che tanto aveva
deluso era caduta, battendo la testa e guadagnandosi un trauma cranico.
“Non
puoi davvero buttarmi fuori!
Non volevo farle del male, lo giuro!”, gridò Lily,
in lacrime.
“Ho
detto: fuori!”
Prese
uno zaino e solo alcune delle
sue cose. Qualche vestito di ricambio. Dei soldi. Beh, quelli li
rubò. E fu
costretta ad andarsene.
Alla
sue spalle la porta sbatté.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Che cosa posso fare ancora per te, Lilith? Immagino che non sia una
visita di
cortesia. – disse il signor Gold, uscendo da dietro il
bancone del suo negozio.
– Dopo gli ultimi... avvenimenti... mi perdonerai anche se
non ti offro un tè.
Belle
sembrava indecisa se afferrare la balestra e puntarla contro Lily,
anche se
sapeva benissimo che non sarebbe servita a niente... non contro il
nuovo
Oscuro.
-
Se stai cercando qualche ingrediente magico, ti avverto: Emma ha
portato via
parecchie cose. Ma credo che tu lo sappia già.
-
Sono qui per te. – rispose Lily. Non aveva per niente un
bell’aspetto. Era più
pallida di quando era entrata nel suo negozio per chiedergli come
poteva
controllare il suo dono. Aveva gli occhi segnati da ombre scure e le
iridi
erano dorate.
-
Per me? – Tremotino sollevò un sopracciglio. Aveva
assistito alla tempesta
magica della sera prima. Dopo che Belle si era addormentata, lui,
incapace di
prendere sonno, si era alzato e aveva scostato le tende di una finestra
per
guardare le nuvole nere sospese sopra la città come una
spada di Damocle... e i
fulmini che precipitavano dal cielo. Il potere che lo circondava gli
aveva
fatto accapponare la pelle, l’aveva spaventato al punto tale
da costringerlo a
mordersi il labbro con forza, eppure l’aveva anche
affascinato. La sue pelle
era diventata fredda e aggricciata, mentre l’ennesimo lampo
squarciava le nubi,
seguito da un boato simile al ruggito di una belva. Gli ingranaggi del
suo
cervello avevano cominciato a girare vorticosamente. Aveva avuto
l’impressione
che l’oscurità fosse là, accanto a lui,
che non l’avesse mai davvero
abbandonato. Aveva avuto l’impressione che, se si fosse
voltato verso destra o
verso sinistra, avrebbe visto qualcosa di nero in agguato, una cosa che
si
sarebbe avventata su di lui.
-
Hai qualcosa di cui ho bisogno. Ed è qualcosa che non ha a
che vedere con Emma.
– stava dicendo Lily.
-
E cosa sarebbe? – domandò Belle.
Non
aveva nemmeno finito di pronunciare quella frase. Lily si
materializzò davanti
a Tremotino. Lui ebbe giusto il tempo di allungare una mano per
spingere Belle
più indietro, poi la lama di una spada lo ferì al
braccio.
Per
un paio di secondi pensò che a ferirlo fosse stata la lama
di Excalibur. Pensò
che fosse giunta la sua fine. Poi si rese conto che la spada che il
nuovo
Oscuro stringeva non era Excalibur, bensì una spada comune,
con la lama sottile
e ricurva. Due gocce del suo sangue scivolarono lungo quella lama e
Lily le
osservò, compiaciuta.
-
Che diavolo significa? – domandò Tremotino,
portandosi una mano al braccio e
appoggiandosi al bancone.
-
Il tuo sangue apre molte porte. Non è stato poi
così doloroso, vero? – La spada
svanì in una nuvola violacea. – Spero che non te
la prenderai. Ho trovato la
spada sulla nave del tuo vecchio nemico... Killian non dovrebbe
lasciare le sue
cose incustodite. Quando eravamo a Camelot... mi disse che quella era
la spada
di uno dei Bimbi Sperduti. Si chiamava Rufio. Gliel’ha presa
quando l’ha
ucciso.
-
Mi scuserai se... non conosco tutti i seguaci di mio padre. –
borbottò
Tremotino. Belle aveva recuperato un panno pulito e gli stava
tamponando la
ferita.
-
Peccato. Ma grazie, in ogni caso. – Lilith scomparve
così com’era scomparsa la
spada.
Belle
e Tremotino fissarono lo spazio vuoto. Qualche goccia di sangue era
schizzata
sulle assi di legno.
***
Massachusetts.
Qualche anno fa.
Il
locale ruggiva di voci e di
risate e di musica ad alto volume. Di bicchieri che sbattono sui tavoli
o gli
uni contro gli altri. L’aria era densa di aromi di hot dog
alla griglia, anelli
di cipolla, patatine fritte e chissà quale altra grassa
leccornia. La birra
scorreva a fiumi. L’alcol in generale scorreva a fiumi. Anche
giù per la sua
gola, ad incendiarle lo stomaco. A collegare il tutto, a dare al mondo
una
precisa connotazione, dagli altoparlanti piazzati in ogni angolo
tuonava una
canzone dei Doors.
“There’s
a killer on the road
His
brain is squirmin’ like a toad
Take
a long holiday
Let
your children play”
“Ehi,
riempi questo bicchiere. E
offrine uno anche alla signorina”, disse una voce alticcia.
Il fracasso
prodotto dallo sgabello che veniva spostato le aumentò
l’emicrania.
“Non
ti ho chiesto di offrirmi
qualcosa”, rispose Lily. Era decisamente ubriaca. Reggeva
bene l’alcol, di
solito, ma quella sera aveva davvero esagerato.
“Suvvia,
una ragazza come te non
può starsene qui da sola”. L’uomo espose
una fila di denti smaglianti, anche se
i due incisivi erano sovrapposti. Aveva una bocca grande e occhi
marroni che
non vedevano nulla. Erano i classici occhi vuoti. Acquosi.
“Sparisci.
È meglio”.
“Ringhia,
hai visto? Mi piace”.
Lily
gli gettò in faccia il
contenuto del suo bicchiere. L’uomo, colto alla sprovvista,
si tirò indietro e
cascò dallo sgabello, finendo gambe all’aria.
Scoppiò una salva di risate.
“Ho
detto: sparisci. È così
difficile da capire, idiota?”
L’idiota
in questione imprecò contro
di lei e levò le tende. Una vera fortuna. Lily non avrebbe
mai voluto fare
qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Si sedette di nuovo,
accasciandosi
quasi sul bancone.
“Ehi,
tutto bene? Quel tipo ti
stava dando qualche grattacapo, vero? Non penso che
tornerà”. Un ragazzo si
chinò su di lei. Vide che non andava tutto bene.
“So
cavarmela da sola...”
“Non
da ubriaca”.
“Non
sono ubriaca. Sono maledetta”.
Poco le importava che quel tipo la credesse pazza.
Il
ragazzo si guardò intorno e poi
sorrise. Aveva un taglietto sul mento. “Forse lo siamo
tutti”.
Lily
lo guardò in faccia e vide che
il suo sorriso era sincero e comprensivo. Portava il pizzetto e aveva i
capelli
scuri. Quando tentò di alzarsi e barcollò, lui
l’afferrò saldamente.
“Non
toccarmi”, sibilò Lily.
“Volevo
solo darti una mano. Ad
uscire dal locale, almeno. Spero che tu non debba guidare”.
“Non
ho una macchina. Sono a piedi.
E poi potresti essere un maniaco. Come quel tizio”.
“Qui
fuori è pieno di gente. C’è
anche la mia ragazza. Ci siamo fermati a fare benzina”. La
voce suonava
sincera, come il sorriso. Non se l’era nemmeno presa
perché gli aveva dato del
maniaco. Anzi, era divertito.
Alla
fine si lasciò aiutare. Il
ragazzo la portò fino alla fermata dell’autobus
più vicina. Effettivamente, quando
uscirono, Lily vide una macchina parcheggiata in doppia fila, con una
ragazza
seduta dalla parte del passeggero. Lui le fece un cenno con la mano e
le disse
di aspettarlo.
“Cerca
di salire sull’autobus
giusto”, le disse.
“Uno
vale l’altro”.
“Non
mi hai detto il tuo nome. Non
che tu sia obbligata, ma così... per curiosità,
mi piacerebbe saperlo”.
“Starla”,
rispose, senza pensarci.
“Starla.
Bello. Il mio è...”. Ci fu
una brevissima esitazione. “Puoi chiamarmi Bae”.
“Che
razza di nome sarebbe Bae?”
“Un
diminutivo. Ma non dirlo in
giro”.
***
Camelot.
Poche ore prima della
maledizione.
Sconvolta
e furiosa, Regina vide la propria mano tendersi verso i chiavistelli
che
chiudevano la porta della prigione... e farli scorrere, aprendola.
Si
introdusse nel buio della segreta insieme a Lily, che si
portò di fianco a lei.
Continuava a stringere il cuore pulsante nella mano destra.
-
Emma? – disse Lily.
Emma
sbucò dall’ombra e si aggrappò alle
sbarre della cella. – Lily... che cosa stai
facendo?
-
Ti sto liberando.
-
Come hai fatto a scoprire dov’ero?
-
Non hai idea di quanto sia semplice trovare qualcosa quando sei
l’Oscuro... –
Lily estrasse di nuovo Excalibur. – Ho trovato
l’indicazione nella Torre di
Merlino. Questa dimora apparteneva ad un altro Oscuro.
Emma
guardò il cuore di Regina con la testa leggermente
inclinata. Regina stessa non
avrebbe saputo dire che cosa stesse provando Emma. Sollievo,
incredulità,
rammarico, ira. Forse tutte queste cose assieme. Per un momento le
sembrò
combattuta.
-
Dov’è Henry? – chiese.
-
Sta bene. – rispose Lily. – Non gli avrei mai fatto
del male. Ma Regina... ha
fatto la scelta giusta. Mi ha ridato ciò che ti appartiene.
Le
passò il pugnale attraverso le sbarre. Emma lo prese.
-
Ora stai indietro. – le consigliò Lily, sollevando
Excalibur.
-
Le sbarre di questa cella sono protette. – disse Regina. Ogni
parola le costava
uno sforzo enorme, tanto che arrivò in fondo alla frase
esausta.
Lily
non le diede retta. Calò un unico, poderoso fendente a due
mani. Le sue labbra
scoprivano i denti in una smorfia furente. La lama spezzata
scintillò sinistra
e colpì le sbarre. Tre di esse si spezzarono e si
frantumarono come se fossero
state fatte di vetro, creando un varco per Emma, che uscì
dalla cella.
-
Avalon. – disse Lily, semplicemente. – Non appena
Emma mi ha detto che queste
sbarre erano impregnate della magia di quel posto, sono andata a fare
un
giretto al lago. Non sapevo che cosa avrei trovato o cosa avrei dovuto
cercare... ma quando sono arrivata mi è sembrato tutto
chiaro.
-
Le acque del lago. – disse Emma. E lo disse imprimendo una
certa ammirazione
nella sua voce.
-
Le acque sono magiche, così come le nebbie e tutto
ciò che riguarda l’Isola
delle Fate. Mi è bastato immergervi la lama.
Emma
prese il cuore di Regina senza chiederle niente. Osservò il
rosso pulsare e
cercare di farsi strada in mezzo all’oscurità.
-
Distruggilo. – le suggerì Nimue. –
Distruggi le persone che non credono in te e
vogliono portarti via tutto.
“Quando
siamo arrivati a Camelot,
mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi
salvato me.
Oppure...”
“Io
ti ho salvato. Ora tu salva
me”.
Emma
visse un momento terribile, durante il quale immaginò di
serrare le dita sul
cuore. Immaginò il cuore nero di Regina che si disintegrava,
polvere che si
disperdeva sul pavimento di quella lugubre cella. Il corpo di Regina
che si
afflosciava privo di vita.
-
Vedi, Regina? L’oscurità è sempre
dentro di te. – mormorò.
-
Lei ti ha tradita. Ti ha rinchiusa in una prigione. Voleva controllarti
e
portarti via tutto. – Nimue si mise accanto a lei. -
Diglielo, Emma. Dille che
tutto questo è ciò che sei. Dille che tutto
questo è tuo e che non te lo può
togliere. Diglielo! E poi stringi quel cuore. Puniscila.
Emma
sollevò l’indice e lo inclinò verso il
basso. Regina crollò in ginocchio.
-
Non è divertente non avere più il controllo di se
stessi, vero Regina?
Lily
sorrise. Aveva pensato di restituire il cuore all’altra madre
di Henry e poi di
spedirla a fare un pisolino insieme agli altri, ma quello che stava
facendo
Emma era... ipnotizzante.
-
Guardati. In ginocchio. La Regina si è appena inginocchiata.
– Le girò intorno,
piazzandosi alle sue spalle.
-
Emma, per favore... – disse Regina. – Non farlo.
Non lasciare che l’oscurità ti
consumi.
-
Questo me l’hai già detto. Ma sai una cosa?
– Si chinò e le scostò i capelli
per parlarle in un orecchio. - Tu mi hai rinchiusa. Non hai avuto
fiducia in
me. Non hai creduto in me. Non l’hai fatto tu e non
l’hanno fatto i miei
genitori. O Killian. O Merlino.
-
D’accordo, mi dispiace... non volevo affatto ferirti. Volevo
aiutarti. Volevo
assicurarmi che tu... che non ti facessi del male. Che non...
sprofondassi.
“Quando
siamo arrivati a Camelot,
mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi
salvato me.
Oppure...”
“Sì.
Te l’ho affidato! Perché
credevo che saresti riuscita a salvarmi. O che mi avresti distrutta se
fosse
stato necessario!”
“Ed
io non posso distruggerti. Non
posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”
-
Beh, mi hai sprofondata tu stessa nell’oscurità.
Guarda dove mi hai rinchiusa.
Sei esattamente come tua sorella. Ricordi? Quando teneva Tremotino in
una
gabbia...
Regina
non disse niente.
-
Lei voleva usarlo. Ed io potrei usare te. Potrei fare molte cose con
questo
cuore. Potrei farti passare... l’inferno che tu hai fatto
passare a molte delle
tue vittime. A Graham, per esempio.
-
Emma...
Emma
si piegò e, con la magia, l’afferrò per
i capelli con forza, strattonando. Poi
estrasse il pugnale, appoggiandoglielo sulla gola. Regina
sentì il morso freddo
di quella lama.
“Ed
io non posso distruggerti. Non
posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”
Nimue
la fissava dall’alto, con un sopracciglio aggrottato.
-
Emma... è una tua scelta. Ma sei migliore di
così. Lo sai. – disse Regina. Si
girò quel tanto che bastava per poter incrociare i suoi
occhi. Il suo viso era
vicinissimo. Poteva vedere ogni sfumatura verde che lo solcava, il male
che la
corrodeva pian piano. Avvertiva il respiro gelido dell’Oscuro
sulla guancia.
L’odore era forte, intenso, tenebroso. Era attraente ed era
terribile. Voleva
allontanarsene e, al tempo stesso, voleva respirarlo. Il cuore nero
palpitava
nella sua mano.
-
Chiudi gli occhi. – rispose Emma.
Regina
serrò le palpebre. Le dita di Emma strinsero il cuore in una
morsa e lei
soffocò un grido di dolore. Rantolò, scivolando
in avanti.
Infine
Emma le rimise il cuore nel petto. Con violenza. Regina
gridò di nuovo,
inarcando la schiena.
-
Anche tu sei migliore di così. –
sussurrò Emma, alzandosi. Agitò un braccio e
Regina cadde sul pavimento della prigione, priva di sensi. –
Rimani pure in
questa maledetta cella.
-
Non rimarrà qui. – rispose Lily, avvicinandosi e
appoggiando una mano sul
braccio di Emma.
-
Che vuoi dire?
-
Stiamo per andarcene, Emma.
-
Andare dove? Di che parli? – Ora era seriamente allarmata.
-
Storybrooke.
Scomparvero
tutti in una nube magica.
Granny
sollevò il fucile e sparò un colpo che
rimbombò nella tavola calda. Il
proiettile di grosso calibro mandò in frantumi i vetri di
una finestra, dopo
aver trapassato Lilith da parte a parte. Ovviamente il nuovo Oscuro non
poteva
morire e rise del suo tentativo di fermarla.
-
Metti giù il fucile, nonna, prima che te lo faccia scoppiare
tra le mani. –
disse Lily.
-
Sì, ragazzina. So che ne sei capace.
Emma
scosse il capo, come in preda allo stordimento. Sul pavimento
c’erano gli
Azzurri, Killian e il mago Knubbin con il suo corvo. Regina era
adagiata su un
fianco, quasi si fosse semplicemente addormentata. Persino il suo viso
appariva
molto sereno. Henry giaceva vicino a lei. Malefica stava cercando di
alzarsi da
terra e Merlino guardava tutto con occhi sbarrati, allucinati.
Lily
si liberò della nonna, spedendola nel mondo dei sogni con
gli altri.
-
Lilith, per favore, fermati. Non è ancora troppo tardi.
– disse Merlino. –
Ricorda quello che ti ho detto quando sei venuta a parlarmi: puoi
sconfiggere
l’oscurità. Ma se ti lasci guidare da essa, sarai
esattamente ciò che hai
sempre creduto di essere.
-
Ma guardati. – rispose lei, ignorando le sue parole.
– Il mago più potente del
reame... senza magia e sporco di fango.
-
Lily, che cos’hai in mente? Non puoi davvero lanciare il
sortilegio oscuro. –
intervenne Emma. – Sai che cosa devi fare per attivarlo?
-
Certo che lo so.
Lily
si dissolse per ricomparire di fronte a sua madre. Le
affondò una mano nel
petto ed estrasse il suo cuore, così come aveva fatto con
Regina.
-
Lily!
Emma
non era stata l’unica a gridare il suo nome. Tremotino era in
piedi a pochi
passi da Merlino e puntava il lungo indice squamoso contro Lily.
-
Che cosa stai facendo qui? Vuoi aiutarla con la sua vendetta?
-
In realtà, volevo farle notare che sta commettendo un grosso
errore. – rispose
Tremotino, sorridendole.
Emma
aggrottò la fronte.
Tremotino
si volse verso Lily. – Ti è stato spiegato che,
per lanciare il sortilegio
oscuro, è necessario sacrificare... ciò che
più ami. E tu... sacrifichi tua
madre?
Malefica
boccheggiava.
-
La persona che ami di più non è tua madre. Se
distruggerai quel cuore non
andremo da nessuna parte. – Nimue prese il posto di
Tremotino. – E lo sai
benissimo. Per questo non fai altro che cincischiare.
-
Lily, non devi ascoltarli. – disse Emma.
-
La persona che più ami... è Emma.
Lily
si ritrasse, guardando sua madre con gli occhi sbarrati e iniettati di
sangue.
Stava serrando con forza il cuore di Malefica e tra non molto
l’avrebbe ridotto
in cenere. Rilasciò la presa, esalando un gemito.
-
Non avrei mai voluto farti questo... – mormorò
Malefica. – Ma dovevo salvarti.
-
Non posso... – mormorò Lily. – Non posso
uccidere Emma.
-
Oh, lo so! – Tremotino ricomparve e la sua voce ebbe lo
stesso effetto del
gesso che scivola maldestramente su una lavagna. – Nessuno
qui ti chiede di
farlo. Era solo una constatazione. Ma c’è sempre
una scappatoia.
Nimue
riapparve. – Noi non vogliamo ucciderti. Abbiamo bisogno di
te.
-
Vattene. – sibilò Emma. Si avvicinò a
Lily con cautela e prese la sua mano. –
Restituisci il cuore a tua madre. Ricordi cosa ti dissi nel bosco?
Possiamo
risolverlo. Possiamo farlo insieme.
-
Questo era quando ancora credevi di poterti fidare della tua famiglia,
Emma. –
rispose Nimue.
-
Si può sapere che cosa vuoi? Perché la stai
aiutando?
-
Non essere sciocca. Gli Oscuri non fanno mai niente senza richiedere
qualcosa
in cambio. – Nimue ora sembrava divertirsi un mondo.
-
Che cos’è?
-
Sei un Oscuro. Sai che cosa vogliamo. Ma dobbiamo andare a Storybrooke.
Ci
serve Tremotino. Beh... ci serve l’uomo che un tempo era
l’Oscuro. L’uomo che
lo è stato per centinaia di anni. Il suo sangue
aprirà la porta.
-
Quale porta?
Nimue
non rispose, eppure Emma lo capì comunque. Fu come entrare
in diretto contatto
con la mente del primo Oscuro. E fu una sensazione spaventosa. Come se
tutto il
buio esistente si stesse riversando dentro di lei.
-
Non puoi. – riuscì soltanto a dire.
-
Sì, possiamo. E lo faremo.
Emma
si girò verso Lily. – È quello che ti
ha suggerito fin dal principio. Non solo
di uccidere i miei genitori per avere la tua vendetta...
-
Emma... lei è troppo forte. Io non sono come te. Non riesco
a contrastarla. –
Lily appariva prostrata. Si appoggiò a lei, mettendole le
mani sulle spalle. La
sua voce era lacrimosa, stranamente... giovane.
Come se stesse regredendo. Come se stesse tornando ad essere
la ragazzina
che le aveva coperto le spalle al supermercato. - Non so come fare.
-
Emma... sei un Oscuro. Comportati come tale. So che vuoi anche tu il
potere. So
che una parte di te desidera uccidere le persone che ti hanno tradita.
- Nimue
fissò Merlino. – Non lasciare che
l’amore ti fermi.
Emma
sventolò una mano davanti al viso di Malefica e lei ricadde
per terra, svenuta.
Poi prese il cuore dalla mano di Lily e lo rimise al suo posto.
– Tu non farai
questo, Nimue.
-
Accogli il potere. Se ti lascerai andare sarà tutto
più semplice. Potrai aiutare
Lilith. Non sei stanca di lottare? Non sei stanca che siano gli altri a
decidere per te? Non hai mai avuto una vera scelta. Fin da quando sei
nata, fai
ciò che gli altri si aspettano da te. E poi... vieni
tradita. La persona a cui
ti sei affidata... ti rinchiude in una segreta, cerca di
controllarti... tua
madre, che ti aveva abbandonata...
-
Basta. – disse Emma.
Ma
lei continuò, imperterrita. Parlava lentamente, con lo
studiato trionfo di chi
stava per concludere una trattativa importante. - Tua madre, che ti ha
abbandonata, ha portato via una bambina ad un’altra madre e
l’ha maledetta. Ha
cambiato la tua natura. E avrebbe lasciato morire Lilith. Inoltre... i
tuoi
genitori... hanno concepito un altro figlio, che avrà tutto
ciò che tu non hai
mai avuto!
Emma
lanciò un grido e scagliò una sfera di fuoco
contro la proiezione della sua
coscienza. Ovviamente Nimue svanì e Tremotino riapparve,
seduto su uno dei
tavoli del Granny’s. Dondolava le gambe. - Quanta foga, cara.
-
Lily... – disse Emma. – Ti fidi di me?
Lei
abbassò lo sguardo sul corpo di sua madre. Lo
sollevò per spostarlo su Nimue e
poi su Merlino. Poi tornò a guardare Emma. –
Sì.
-
Che momento commovente! – esclamò Tremotino.
– Ma ora passiamo alla cosa più
importante. La maledizione.
-
Io non... – cominciò Lily.
-
Lilith non ucciderà Emma. E per lanciare la maledizione
serve il cuore della
persona che ama di più. – intervenne Merlino. - In
ogni caso... ho già lasciato
un messaggio per gli altri, quando ho visto Emma e Lilith nel bosco.
-
Oh, ma guarda! Vi ha spiate! Quel mago da strapazzo gli ha certamente
dato una
mano. – Tremotino saltò giù dal tavolo
e sfiorò Knubbin con la punta dello
stivale. – Ma non preoccupiamoci di questo. Come ho detto,
c’è sempre una
scappatoia. C’è qualcuno... che prova qualcosa per
te, Merlino.
Nimue
riapparve e raggiunse Merlino. – E sono io. Ricordi? Io sono
tutti gli Oscuri.
Sono l’originale. Romantico, vero? Dopo tutto quello che
è accaduto... sei
ancora ciò che amo di più. Ed è
così. Io ti amo.
Lo
stregone alzò una mano tremante, quasi volesse toccare il
viso della donna che
aveva amato per centinaia di anni. - Ma non sei davvero qui.
-
Invece sì. Io sono tutti loro, Merlino. Proprio
perché sono il primo. Io...
sono Emma. E sono Lilith.
-
Quindi se distruggiamo il cuore di Merlino... –
iniziò Lily.
-
Sarò io a farlo. – concluse Nimue, senza smettere
di fissarlo. Il suo tono era
determinato, ma c’era molta tristezza nei suoi occhi. Forse
ricordava i momenti
felici che aveva trascorso con lui prima di cedere al male, uccidendo
Vortigan.
- Perciò facciamolo. Non devi sacrificare Emma. Come vedi,
c’è una scappatoia.
Tu puoi avere la tua vendetta... e in cambio... noi torneremo. Tutti
noi. In
carne ed ossa. Grazie al sangue dell’Oscuro che è
morto... ed è risorto.
Con
una mano, Lily arpionò la gola di Emma.
-
Fallo ora.
Scagliò
Emma contro la parete opposta. Un quadro si staccò. Merlino
sapeva di non poter
scappare e non si mosse neppure. Lily gli strappò il cuore
dal petto.
-
Puoi ancora fermarti. Non è troppo tardi. –
sussurrò Merlino.
-
Io non posso fermarmi. Sono stanca di lottare. – Il cuore del
mago più potente
del reame aveva una strana consistenza. Pulsava, un rosso vivido e
puro, senza
macchie. – L’ho fatto per tutta la mia vita.
-
Questo non ti permetterà di essere felice. – disse
Emma. – Ti prego, Lily.
Lei
chiuse gli occhi, serrò il cuore di Merlino in una morsa e
lo disintegrò.
Trattenne la polvere nel pugno. Lo stregone piombò a terra.
-
No! – gridò Emma.
-
Mi dispiace... – Lily si diresse verso il calderone che
Merlino aveva usato per
registrare il suo messaggio e vi gettò i resti del suo
cuore. Il calderone
ribollì.
-
Nessuno deve controllarti. La spada. – disse Nimue.
Lily
rispedì Excalibur nella sua roccia. Poi si
appoggiò al bancone del Granny’s,
come se non avesse più forze.
Emma
si inginocchiò accanto al corpo dello stregone.
-
Non prenderla male. È morto per una giusta causa.
– disse Tremotino.
“So
che c’è oscurità in te, Emma,
ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla
vendetta. Non
commettere lo stesso errore di Nimue”.
Non
gli diede retta. Trasformò il suo corpo in cenere. - Riposa
in pace.
-
Non puoi più fermarlo, Emma. È finita.
– disse Lily. Il cuore le martellava,
gonfio di terribili presagi. Era come se il mondo fosse appena stato
ricoperto
da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla tavola
calda. Si lasciò
scivolare sul pavimento e si coprì il viso con le braccia.
C’erano ancora le
voci nella sua testa. Alcune la rimproveravano aspramente, altre si
complimentavano con lei per aver portato a termine il piano. Nimue non
c’era
più.
Qualcosa
di simile ad un tentacolo le sfiorò la coscienza.
Provò una sensazione di
apertura, uno spazio così immenso da farla sentire meglio,
anche se solo per un
istante. Sembrava che Emma stesse cercando di rassicurarla,
incuneandosi nei
meandri della sua mente. Non era arrabbiata. Quando la
guardò, i suoi occhi
verdi erano limpidi e decisi.
-
Ho promesso che non ti avrei più voltato le spalle come ho
fatto anni fa. E non
intendo rimangiarmi la promessa.
-
Non c’è più niente che tu possa fare,
Emma. La maledizione sta arrivando. –
Parlò trascinando ogni singola sillaba.
Che
cosa ho fatto?
Il
punto non era quello. Lily sapeva che il punto era che le era piaciuto farlo. Così come le
era
piaciuto picchiare quei bulli con la mazza da baseball. Così
come le erano
piaciute altre cose sbagliate che aveva fatto. Le odiava. Odiava la sua
incapacità di prendere decisioni sensate. Ma le piaceva anche.
-
Non posso fermarla. Ma posso farti dimenticare tutto. Anche che sei
diventata
un Oscuro.
Lily
stava per chiederle che cosa diavolo significasse. Poi Emma le
posò una mano
sulla fronte e lei si afflosciò. Emma la prese tra le
braccia, accompagnandone
la caduta. La adagiò sul pavimento, accanto a Malefica.
Uno
sfavillio e l’acchiappasogni comparve. - Quando ti
sveglierai, non ricorderai
niente. Nemmeno di essere un Oscuro. Tornerai ad essere quella che eri
prima. Ed
io sistemerò tutto quanto. Io sola.
-
Mossa astuta, mia cara. Ma non credo che basti. –
osservò Tremotino.
Emma
posizionò l’acchiappasogni sopra la testa di Lily.
Le memorie fuoriuscirono
dalla sua mente sottoforma di una scia luminosa, che
l’acchiappasogni si
affrettò a catturare. – No, non basta. Devo
cancellare anche i ricordi degli
altri. Di tutti.
Sul
pavimento del Granny’s comparvero anche Zelena e Belle. Emma
restituì alla
strega il suo bracciale nero e l’abito verde chiaro che aveva
fino a quando non
era sfuggita al loro controllo. – Nessuno di loro
ricorderà quello che è
successo qui. Nessuno. E non riavranno questi ricordi fino a quando non
lo
deciderò io.
Ad
una ad una le menti si svuotarono e riempirono
l’acchiappasogni.
-
Giusto. Farsi aiutare da una famiglia che ti ha tradita non
è esattamente una
buona idea. Sei un Oscuro. Non hai bisogno di loro. –
commentò Tremotino.
Emma
gettò l’acchiappasogni nel calderone. La
maledizione si levò sottoforma di una
densa nube viola, che traboccò e scivolò lungo i
bordi.
-
Potrebbe non piacerti comunque le conseguenze. – riprese
Tremotino.
La
nube invase il Granny’s. Emma raccolse il giglio che aveva
dato a Lily. Lo
rimise nella tasca della sua giacca.
-
O peggio... ti piaceranno molto.
Il
cavallo di Merida si drizzò sulle zampe posteriori e
nitrì, spaventato.
La
regina di Dunbroch, che aveva remato e cavalcato quasi
ininterrottamente negli
ultimi giorni per raggiungere Camelot e vendicare la morte di suo
padre,
percepì qualcosa di grande, qualcosa di enorme e tenebroso
che avanzava nella
foresta che si stava lasciando alle spalle.
Pensò
che qualche creatura l’avesse seguita.
Che
l’Oscuro l’avesse seguita. Ricordava benissimo la
mano di quella strega pronta
a stritolare il suo cuore. E per quanto avesse deciso di non romperle
la testa
come avrebbe fatto con un cocomero, la sola idea che fosse
lì la raggelava.
Si
voltò e vide sopraggiungere la nube viola.
-
Artù... che cos’è?
Il
re di Camelot scostò i bordi della sua tenda per guardare
fuori insieme alla
moglie. Aveva dovuto abbandonare il castello in fiamme dopo
l’attacco del drago
e l’aveva fatto maledicendo Merlino e le sue profezie.
Maledicendo il drago e
ripromettendosi di ucciderlo. Maledicendo gli stranieri che aveva
accolto e che
avevano portato solo rovina. Maledicendo Zelena, che l’aveva
piantato in asso
quando era sopraggiunto il drago.
L’accampamento
sorgeva a circa una lega da Camelot ed era silenzioso. Le torce erano
accese,
ma si spensero all’improvviso, così come il fuoco
intorno al quale sedevano due
dei suoi cavalieri.
Ciò
che aveva visto Ginevra era una gigantesca nube viola che correva verso
di
loro. Stava inghiottendo ogni cosa. Le colline, la foresta, il lago.
-
Magia nera. – disse Artù.
La
dimora del re stava ancora bruciando. Le fiamme si levavano alte verso
il cielo
nero. Una torre tremò e si sgretolò, portandosi
dietro parte delle mura.
Stendardi infuocati fluttuarono. Le porte di legno che chiudevano le
stalle e i
magazzini con le scorte di cibo erano esplose e i resti erano sparsi a
raggiera
in tutto il cortile, insieme a bardature per cavalli, selle e briglie
bruciate,
sacchi di farina e armi.
E
corpi. C’erano molti corpi. Corpi in posizioni scomposte.
Occhi che fissavano
il vuoto.
Di
quella che era stata la sala che aveva ospitato la Tavola Rotonda, non
rimaneva
quasi niente.
C’era
solo una cosa intatta. La roccia. La roccia ed Excalibur conficcata in
essa. Il
fuoco si rifletté nella gemma rossa incastonata nel pomolo.
La
nube inghiotti anche le fiamme.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Direi che non poteva andare meglio. – disse Nimue, spaziando
con lo sguardo
sulla superficie del lago. – Hai il sangue
dell’uomo che è tornato dagli
Inferi.
Era
notte. Ferma sulla riva nebbiosa del lago di Storybrooke, Lily si
preparava a
fare ciò che aveva promesso al primo Oscuro. Estrasse la
spada, sulla cui lama
c’era il sangue rappreso di Tremotino.
-
In questo lago si nasconde una porta che conduce
nell’Oltretomba. – continuò
Nimue. – Il sangue la aprirà.
-
Sei sicura che funzionerà?
-
Non fare domande stupide. E sbrigati. – Distese un braccio
per invitarla a
compiere l’ultimo passo.
Lily
si inginocchiò e spinse la lama appartenuta al Bimbo
Sperduto nelle acque buie
del lago.
“No,
non puoi”, aveva
detto Emma a Camelot, quando aveva capito quello che Nimue aveva in
mente.
“Sì,
possiamo. E lo faremo”.
Emma...
perdonami.
Il
lago vibrò e una piccola onda si espanse. Nimue era svanita.
Ora Lily era sola.
Ma non lo sarebbe stata per molto.
Il
fumo bianco annunciò l’apertura delle porte che
conducevano negli Inferi. Nell’aria
si diffuse un odore terribile. Sembrava che gli odori peggiori del
mondo si
fossero fusi per generare quel fetore squallido; acque melmose, frutta
marcia,
fiori appassiti. Lily sfiorò il giglio che ancora custodiva
in tasca. Gli aveva
ridato vita, restituendogli l’aspetto originario.
Una
barca carica di figure incappucciate emerse dai fumi bianchi.
-
Non posso crederci. – mormorò Lily, trasecolata.
Era
una barca sprovvista di vela, grossa e molto vecchia, con una lanterna
che
rosseggiava a prua. Un uomo, usando un lungo bastone, la sospinse fino
al
centro del lago. Guardando meglio, Lily vide che l’uomo era
in realtà un
vecchio con una folta barba bianca e sudicia, le mani simili ad artigli
e gli
occhi rossi come braci, circondati da cerchi di fiamme. Il labbro
inferiore,
tutto rovesciato in fuori, scopriva denti consumati e di colore bruno.
Le narici
vibravano come per effetto del respiro ed emettevano bianchi vapori.
Caronte.
Dovette
distogliere lo sguardo, perché quello del demone che guidava
la barca era
terrificante. Pareva in grado di bruciarle i pensieri, di succhiarle la
vita. Era
uno sguardo antichissimo e crudele.
Una
delle figure incappucciate si alzò e scese dalla barca,
scivolando
silenziosamente sulle acque. Portava una maschera dorata, sulla quale
era
incisa una fitta rete di simboli.
Raggiunse
la riva e quando Lily le tese la mano, come in un sogno,
l’altra la prese,
dimostrandole che non si trattava di un’allucinazione.
-
Salve, Lilith. – disse Nimue. Si tolse la maschera e le
sorrise. – Siamo qui,
come promesso. In carne ed ossa.
Avrebbe
voluto risponderle, ma il cuore le martellava nel petto, impazzito. Gli
altri attendevano
sulla barca.
-
Ora è il momento di metterci all’opera. E di fare
quello che gli Oscuri sanno
fare meglio. - Si voltò verso gli altri Oscuri. Ognuno di
loro era immobile,
seduto compostamente come se si trattasse di un viaggetto di piacere.
–
Soffocare la luce.
___________________
Angolo
autrice:
La
canzone citata è Riders on the
storm, dei
Doors.
E
scusate per l’aggiornamento arrivato dopo secoli di attesa.
Siamo quasi alla
fine.