Cocci
Mi
mozza il fiato, mi bracca il cuore.
Come
un vaso di vetro, che per troppo tempo è rimasto sospeso.
Oppresso
dalla polvere, che l’ha fatto sbilanciare verso
l’oblio.
Vi
è il vuoto.
Oltre
il nostro mondo.
Il
nostro piccolo meccanismo di abitudini.
Ma
avvolti da mura e castelli, noi non lo vediamo.
Solo
quando il vento e la tempesta disfano e annientano… eccoti
lì.
A
radunare i frammenti di un impero morto… a
chiederti…
E
se le avessi erette più forti?
E
se il vento avesse colpito altrove?
E
se il mio reame avesse resistito? Sarei libera?
Libera
da questo morbo che mi lacera il cuore, gettandomi nel buio nella
speranza che
non ritrovi mai la via di casa?
La
mia mente, ammaliante, mi parla.
Della
sfortuna, del caso, delle sviste, è dalla mia parte.
Poiché
in questa rete di teorie vacue anche la mia colpa si fa inconsistente.
Il
mio cuore mi fissa, credeva in me ed è deluso.
“Puoi
fare di più, lo so, lo sappiamo.”
Questo
mi sussurra delicato all’orecchio.
Di
nuovo mi sale alla gola, quell’amarezza che brucia come il
fuoco e fa male.
È
avida, la fiamma, avida del mio corpo affranto.
Mi
incendia l’ugola, mi contrae lo stomaco, mi storpia la vista,
mi accarezza il
viso in caldi fiumi di ghiaccio sciolto.
Ghiaccio
che era credenza, desiderio, amore.
Tutti
infranti da poche lingue scarlatte.
E
io sono qui in mezzo al lago, a risollevarmi lentamente e a pensare.
Così
mi accorgo.
Mi
accorgo che già ho fatto metà strada, quando il
mio bianco foglio ha iniziato a
colmarsi di una nuova storia.
Come
un soldato, pentito delle proprie azioni, penso.
“Anche
per me, la redenzione.”